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Gala Maria Follaco

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Il 30 aprile del 1904 si apriva a St. Louis, negli Stati Uniti, l’Esposizione Universale, un evento che su una superficie di 500 ettari ospitava sessanta rappresentanze nazionali e accoglieva poco meno di ventimila persone accorse a conoscere i progressi della scienza, della tecnica e dell’arte.1 Tra le opere in mostra nel padiglione francese, vi erano i quadri dei pittori impressionisti, e tra questi alcuni dipinti di Alfred Sisley, scomparso solo cinque anni prima.

Sisley ha nome e origini inglesi, ma educazione francese; nasce a Parigi nel 1839 e vi trascorre la sua giovinezza. È coetaneo di Cézanne, qualche anno più giovane di Manet e un anno più anziano di Monet. A diciotto anni suo padre lo manda a studiare a Londra, al fine di farne un valido continuatore dell’attività di famiglia, cioè il commercio di tessuti. Sono gli anni di Napoleone III e degli studi di Darwin; Dégas viaggia in Italia, Cézanne studia legge e Renoir decora porcellane. Il Salon rifiuta Manet, l’Academie Française rifiuta Baudelaire. Flaubert difende, con successo, la sua Madame Bovary dalle accuse di immoralità.

Durante i tre anni a Londra, Sisley, lungi dal mostrare interesse per le tecniche e per isegreti dell’arte del commercio, frequenta con assiduità musei e gallerie, studia i quadri di Turner e di Constable e, nel tempo libero, assiste alle rappresentazioni dei drammi di Shakespeare. Come prevedibile, al suo rientro in Francia nel 1861 non è una carriera da mercante di tessuti ad attenderlo, ma un atelier frequentato da giovani artisti, in cui fa la conoscenza di Monet e di Renoir.

Anni dopo, e precisamente nel periodo dell’Esposizione di St. Louis, un altro padre invia il giovane figlio, Nagai Sōkichi, in un paese straniero perché impari una professione utile, quella di banchiere.

1 Dati appresi dalla homepage del BIE (Bureau International des Expositions) all’indirizzo web www.bie-paris.org

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Sōkichi, che in seguito prenderà il nome di Kafū, proviene da una famiglia facoltosa, una di quelle che risiedono nello Yamanote, la zona della ricca borghesia cittadina sin da quando Tōkyō si chiamava ancora Edo. La sua famiglia vanta figure di spicco negli ambienti politici, diplomatici e accademici. Il nonno materno, Washizu Kidō, è stato tra i protagonisti della vita culturale del Giappone tra la fine dello shogunato e i primi anni della Restaurazione, importante poeta e studioso di classici cinesi. Inoltre, suo padre è estremamente sensibile alle nuove tendenze in arrivo dall’Europa e dall’America. La sua educazione pare riprodurre in scala l’attività intellettuale che sosteneva la modernizzazione giapponese, e che si muoveva sostanzialmente su due fronti: quello degli studi cinesi, che già dalla fine del periodo Edo avevano costituito quanto oggi è considerato il fondamento della modernizzazione stessa (sia per il ruolo che hanno avuto nei processi di alfabetizzazione della popolazione rurale, sia per aver portato a nuove soglie d’attenzione il confronto tra quanto era giapponese “autentico” e quanto era “altro”),2 e quello dell’acquisizione di elementi occidentali. Ma soprattutto, una posizione centrale nella formazione di Kafū spettava al suo innato interesse per la cultura del bakumatsu, gli ultimi anni dello shogunato Tokugawa.

Molti raccontano di Kafū adolescente che salta la scuola e trascorre le sue giornate immerso nella lettura di ninjōbon sulle sponde del Sumida, e questa figura a fatica si distingue da quelle create da lui stesso nei suoi romanzi e nei suoi racconti. Impara il rakugo e il kōdan, ama il kabuki. Quest’ultimo per lui non è soltanto una forma di rappresentazione teatrale, ma una vera e propria società all’interno della società, un microcosmo fatto di mestieri, di mode, di volti e di suoni collocati in una cornice che, nella Tōkyō di epoca Meiji, coincideva perfettamente con lo shitamachi, i quartieri popolari della città, le piccole e strette vie del mondo mizu shōbai (letteralmente: “commercio d’acqua”, l’espressione si riferisce a una serie di attività legate alla prostituzione) abitate da attori, prostitute e altri personaggi che nell’immaginario letterario di Kafū diventano i custodi di un passato sul punto di scomparire.

L’inizio della sua carriera letteraria si fa risalire al 1898, anno dell’incontro con Hirotsu Ryūrō.3 Nello stesso anno, Kafū aveva soggiornato per tre mesi a Shanghai, e nella città cinese aveva ambientato un breve racconto, Enkoi, che tre anni dopo sarebbe comparso sulla rivista Shinshōsetsu,4 selezionato

2 Sull’argomento, Emmanuel Lozerand, Littérature et génie national – Naissance d’une

histoire littéraire dans le Japon du XIXe siècle, Les Belles Lettres, Paris 2005, e Kanbe

Yasumitsu, “Bakumatsu ishinki ni okeru kangaku juku – Kangakusha no kyōiku katsudō”, in Ikuma Hironobu et al., Bakumatsu ishinki kangaku juku no kenkyū, Keisuisha, Hiroshima 2003.

3 Cfr. Minami Asuka, Nagai Kafū no Nyūyōku, Pari, Tōkyō – zōkei no kotoba, Kanrin shobō, Tōkyō 2007, p. 12.

4 Cfr. Akase Masako, Nagai Kafū. Hikaku bungaku teki kenkyū, Aratake, Tōkyō 1986, p. 90.

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197 da una giuria composta da Ozaki Kōyō, Kōda Rohan, Mori Ōgai e Tsubouchi Shōyō. Si è osservato5 quanto il modo in cui i personaggi sono presentati, a partire dai vestiti che hanno indosso, sia vicino a tecniche proprie della scrittura teatrale della fine del periodo Edo. Secondo Okitsu Kaname, Kafū ha vissuto una fase creativa in cui veniva influenzato in modo inconsapevole dalla letteratura del periodo Edo durata fino al 1901, anno di pubblicazione di Shinumegoyomi; quest’opera, ispirata al capolavoro di Tamenaga Shunsui, con le sue descrizioni di usanze e di atmosfere così vicine al mondo del suo importante mentore, rappresenterebbe l’espressione più evidente della tendenza riscontrata da Okitsu.6 Ma a questi stessi anni risalgono due incontri importanti per il giovane Kafū, e dei quali è necessario tener conto: quello con Fukuchi Ōchi, giornalista e drammaturgo che nei primi anni Meiji aveva visitato l’Occidente al seguito della missione Iwakura e che al suo ritorno era stato tra i rinnovatori del kabuki, e quello con i libri di Zola, avvenuto proprio nel periodo della frequentazione con Ōchi. Nakamura Mitsuo, in uno studio relativo ai primi anni della carriera di Kafū, dedica particolare attenzione al fatto che la sua passione per la Francia sia stata veicolata da ambienti kabuki, e che la sua comprensione della letteratura francese in un primo periodo fosse legata all’interesse per la cultura del periodo Edo.7 Tra il 1901 e la primavera dell’anno successivo, infatti, legge moltissime opere di Zola in traduzione inglese.

La studiosa Minami Asuka ritiene che uno degli effetti più significativi della lettura di Zola su Kafū sia la diversa considerazione che da quel momento in poi egli avrebbe riservato alla rappresentazione di paesaggi.8 Prima di allora, infatti, l’uso di tecniche di scrittura assimilabili alla tradizione letteraria del periodo Edo si era esteso anche alle parti descrittive: erano i personaggi stessi, mediante i loro dialoghi, a presentare al lettore l’ambientazione. Lo scrittore si limitava a fornire indicazioni su alcuni elementi, lasciando ai suoi personaggi il compito di commentarli e di trasmettere l’atmosfera che contribuivano a creare.

Ma in un saggio del 1910 intitolato Natsu no machi, Kafū afferma che lo studio della letteratura naturalista francese ha arricchito in modo significativo la sua visione del Sumida, e che la lettura di Aux champs, opera che descrive il rapporto dei parigini con la campagna alle porte della città, gli ha fatto comprendere meglio molte abitudini degli abitanti di Edo, i quali avevano intuito ancora prima dei francesi il fascino della vita di periferia, come dimostrava l’abitudine di andarsi a divertire contemplando la vista di

5 Ivi, p. 168.

6 Okitsu Kaname, “Nagai Kafū to Edo bungaku”, Kokubungaku, 6, 4, 1961, p. 73.

7 Nakamura Mitsuo, “Kafū no seishun”, in Bungei dokuhon – Nagai Kafū, Kawade shobō shinsha, Tōkyō 1981, p. 11.

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un fiume in compagnia di una geisha.9 Successivamente alla lettura di Zola, dunque, Kafū pare apprendere appieno le potenzialità della descrizione come elemento funzionale alla narrazione, e questa, secondo Minami, è una delle caratteristiche più interessanti della sua produzione fino al 1903.

È questo, infatti, l’anno in cui lascia il Giappone per andare negli Stati Uniti. Ma a dispetto delle aspettative del padre, Kafū non è per nulla interessato al lavoro in banca; racconta nel Saiyūnisshishō, una sorta di diario che raccoglie numerosi episodi del suo viaggio, di non riuscire a portare a termine in modo soddisfacente i compiti a lui assegnati, di essere spesso richiamato dai suoi superiori e di non amare i suoi colleghi e le occasioni in cui è costretto a conversare e intrattenersi con loro. Con passione e dedizione, invece, legge (soprattutto letteratura francese), va a teatro (nei periodi trascorsi a New York assiste a spettacoli teatrali praticamente ogni giorno) e fa lunghe, lunghissime passeggiate.

L’8 ottobre del 1904, parte per St. Louis per visitare l’Esposizione Universale.10 Nel Sayūnisshishō, oltre alle date di partenza e di arrivo e a pochissime note stringate sul viaggio lungo il corso del Mississippi, non è scritto altro.

Con ogni probabilità Kafū, nel punto più intenso della sua storia d’amore con la cultura francese, ha visitato l’Esposizione Universale soffermandosi sulle opere impressioniste. Esse dovevano suscitare la sua curiosità per almeno due motivi: il primo è che raffiguravano luoghi che egli desiderava moltissimo visitare, e che all’epoca non sapeva se avrebbe visitato mai; il secondo è che il movimento impressionista era intimamente legato a tutti gli scrittori che Kafū amava. Baudelaire era stato tra coloro che per primi avevano apprezzato e incoraggiato la pittura impressionista, in particolare quella di Manet; Mallarmé è autore di un articolo11 che nel 1876, dalle pagine dello Art Monthly Review sottolineava il carattere innovativo sia nella tecnica che nella scelta dei soggetti; ancora, Maupassant aveva spesso ricavato ispirazione dalla osservazione di quadri impressionisti, e Zola ha scritto molto in proposito, alternando elogi e critiche in testi che in alcuni casi hanno segnato momenti cruciali nella storia del movimento.

Kafū non scrive nulla riguardo alla sua visita all’Esposizione Universale, non descrive ciò che ha visto né le impressioni che ne ha ricavato. Ma nell’arco di un mese prende l’importante decisione di iscriversi ai corsi di letteratura francese del Kalamazoo College, e le pagine del Saiyūnisshishō, da questo momento in poi, si fanno sempre più fitte di riferimenti al sogno di visitare la Francia.

9 Nagai Kafū, Natsu no machi, in Kafū zenshū, Iwanami shoten, Tōkyō 1992, vol. 7, pp. 217 e sgg. D’ora in avanti i volumi di Kafū zenshū saranno indicati con la dicitura KZ.

10 Nagai Kafū, Saiyūnisshishō, in KZ, vol. 4, p. 303.

11 Stephane Mallarmé, “The Impressionists and Édouard Manet”, in Œuvres Completes, Gallimard, Paris 1998, vol. II, pp. 444-470.

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199 Allo stato attuale, dunque, non è possibile affermare con certezza che egli conoscesse le opere di Sisley, anche se le probabilità che le abbia effettivamente viste a St. Louis sono molte. In ogni caso, non è tanto quella di dimostrare la presunta evidenza di un’influenza diretta dei quadri del pittore impressionista sull’opera di Kafū la finalità principale del presente lavoro, quanto piuttosto la condivisione di una lettura nuova di parte del suo mondo letterario che scaturisce dalla presa in considerazione di una coincidenza. Sia Kafū che Alfred Sisley hanno rivelato una spiccata predilezione per i paesaggi fluviali, come soggetti delle proprie opere. E sostenere che tali paesaggi fossero i “soggetti” anche della scrittura di Kafū, e non soltanto della pittura di Sisley, non è un’esagerazione. Talvolta le storie e i personaggi delle sue opere sembrano nulla più che un pretesto per rappresentare uno scenario; lui stesso, mediante il watakushi di Bokutō kitan, afferma:

Quando scrivo un romanzo, ciò che più suscita il mio interesse è la scelta e la descrizione del luogo in cui la vita dei personaggi e gli eventi si svolgono. Ricado sempre nello stesso errore di dare più importanza alla descrizione dell’ambiente che al carattere dei personaggi.12

Quando Edo diventa il centro del suo universo letterario, egli si sposta fisicamente nelle strade dello shitamachi riconoscendovi l’essenza stessa, ancora in parte visibile e respirabile, di una cultura sul punto di scomparire. Il paesaggio, nelle opere di Kafū, è molto più che funzionale alla narrazione: è l’elemento stesso cui la scrittura conferisce vita e azione. Non è lo sfondo degli atti dei protagonisti, né è utilizzato per accentuarne gli stati d’animo. È per questo che Seidensticker, ricordandolo insieme a Tanizaki in un articolo scritto in occasione della scomparsa di quest’ultimo, ci dice che la conoscenza della città di Tōkyō è indispensabile per la comprensione dell’opera di Kafū, elemento che secondo lui ne penalizzerebbe la diffusione all’estero.13

Ma tale affermazione pare in parte smentita dalla sensazione nettissima che quel momento preciso in cui la città moderna sta inghiottendo Edo riviva nelle pagine dei suoi racconti ogni volta che li leggiamo: la nostalgia, corollario emotivo della memoria che Kafū si impegna a preservare, si estende a ogni lettore, anche quelli non giapponesi, anche quelli che sono nati un secolo dopo di lui. Il mondo che egli ha fermato in istantanee non appartiene al passato, ma è sempre attuale perché è il vero protagonista, con il suo carattere, la sua storia e il suo ruolo da recitare. In tal senso, pare persino che l’affermazione di Seidensticker possa essere rovesciata, e che sia l’opera di Kafū a farsi indispensabile per la comprensione di Tōkyō. E in effetti in Giappone il nome di Kafū è sempre più spesso associato a iniziative di scoperta e riscoperta

12 Nagai Kafū, “Una strana storia al di là del Sumida”, in Al giardino delle peonie e

altri racconti, trad. e cura di Luisa Bienati, Marsilio, Venezia 1989, pp. 165-66.

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della capitale, e la Nihon bungeisha pubblica a cadenza mensile una rivista dal titolo proprio di Kafū!, che, priva di contenuti letterari, propone di volta volta passeggiate in un quartiere diverso della città.

Le descrizioni di paesaggi fluviali sono quelle che ricorrono più spesso nella sua opera. Nomi di fiume assegna a diverse sue opere indimenticabili, come Sumidagawa e Bokutō kitan, e i quartieri che sorgono sulle loro sponde sono il fondale su cui si muovono i suoi personaggi, e sono i luoghi privilegiati delle passeggiate che annota nei suoi diari.

Spiega in uno zuihitsu dal titolo Mizu no nagare:

Ogni volta che attraverso il Kototoibashi o lo Azumabashi, sono tanto felice di poter richiamare alla mente il passato, che non riesco a sottrarmi alla tentazione di appoggiarmi al parapetto e osservare lo scorrere di quelle acque torbide, anche se per farlo devo aggrottare le sopracciglia e tapparmi il naso. Niente come lo scorrere dell’acqua dà a chi lo osserva il piacere di una visione impossibile da descrivere a parole. L’approssimarsi del tramonto in una giornata autunnale leggermente nuvolosa e senza vento è il momento migliore per contemplare non solo questo, ma qualsiasi fiume, qualsiasi corso d’acqua. In fondo non c’era una canzone popolare già nel periodo Edo che diceva: “guardare il Sumida al tramonto”?14

Anche negli anni trascorsi in Occidente, la vista di corsi d’acqua cattura sovente la sua attenzione. Nel Saiyūnisshishō, il Mississippi compare tre volte, lo Hudson otto e lo East River una; ma è l’anno a Lione quello in cui Kafū si sofferma più spesso a descrivere paesaggi fluviali: il Rodano e la Saona ricorrono rispettivamente sette e tre volte. L’ultimo dei passaggi dedicati al fiume principale della città francese risale alla sera precedente la sua partenza definitiva:

A notte fonda, sulla strada di casa, attraverso il Ponte Lafayette per tutta la sua lunghezza, e chissà come mai questa sera soltanto le correnti irrequiete del Rodano tacciono, e piccole onde si infrangono contro le barche a riva, incredibilmente lievi all’udito. La notte è serena, nel cielo le stelle, e il vento è mite. Penso che dopo stanotte non vedrò più il Rodano, il passo rallenta, e mi ritrovo a piangere stretto alla ringhiera.15

In questo brano descrive nella sua prosa misurata l’anima indecifrabile del fiume che si congeda regalandogli un istante di inaspettato silenzio, spezzato solo dalle sue lacrime spontanee. Ciascun elemento della rappresentazione è colto con rapidità e precisione tali da far pensare che poco o nulla sia stato concesso a un’elaborazione intellettuale. Siamo di fronte all’immediatezza che il giovane Stephen Dedalus, l’alter ego letterario di James Joyce, attribuiva alla forma lirica per la sua qualità di mettere l’artista in comunicazione diretta

14 Nagai Kafū, Mizu no nagare, in KZ, vol. 20, p. 198.