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Francesco Paolo Cerase

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IAPPONE

Nel corso di questi ultimi anni nei documenti di politica economica giapponese è stata dedicata una crescente attenzione al tema della “rigenerazione” delle economie regionali. Ciò al fine di far fronte alla pesante crisi che, a partire dagli anni ’90 del secolo appena trascorso, ha coinvolto molte regioni del Paese. Interrogati sulle ragioni che hanno prodotto tale crisi, il più delle volte studiosi o esperti giapponesi le riconducono in vario modo agli effetti dello scoppio della “bolla” dei primi anni ’90 o a quelli della delocalizzazione effettuata dalle grandi imprese. A tali effetti si sarebbero poi andati sommando quelli della competizione sempre più agguerrita di altri paesi, anzitutto asiatici.1 Quali che siano le ragioni, nel loro insieme gli effetti della crisi si sono abbattuti in modo particolare sulle piccole imprese del settore manifatturiero, che ne sono state decimate.

In questo lavoro si presentano i risultati di una ricerca svolta da chi scrive tra aprile e giugno del 2007. Durante tale periodo l’autore è stato Visiting Professor presso la Chūō University e il National Graduate Institute for Policy Studies di Tōkyō. Per questo un ringraziamento particolare va al prof. Furuki Toshiaki della Chūō University e al prof. Horie Masahiro del GRIPS. Ma la ricerca è stata possibile grazie anche al supporto di moltissime altre persone. In particolare per il lavoro sul campo generoso e indispensabile è stato l’aiuto del prof. Ishikawa Akihiro della Chūō University, così come del prof. Yahata Kazuhide e del sig. Ogawa Yukio della Camera di commercio di Sumida ku, del sig. Seto Akira della Camera di commercio di Tsubame shi e del sig. Ueki Yoshishige del Techno Center di Sakaki machi. A tutte le altre persone, che solo la mancanza di spazio impedisce qui di nominare singolarmente, l’autore esprime un sincero ringraziamento collettivo. Un ringraziamento a parte è dovuto a Mochizuki Yoko: il suo aiuto e in particolare la paziente traduzione della documentazione in giapponese sono stati essenziali. Per lo svolgimento della ricerca l’autore si è parzialmente avvalso del contributo finanziario ottenuto per il progetto Miur-Cofin “Attuazione ed esiti delle politiche pubbliche: come incidono interessi, motivazioni e strategie degli attori”.

1 Queste, tuttavia, potrebbero essere ritenute ragioni “contingenti”. Da un punto di vista più generale le ragioni della crisi potrebbero essere riconducibili alle difficoltà dell’economia giapponese a far fronte alle sfide della nuova competitività a livello globale,

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Calcolato in base al numero di “stabilimenti manifatturieri” (business

establishments), dall’inizio degli anni ’90 ai primi anni 2000 l’exit rate nel

settore manifatturiero è stato costantemente superiore all’entry rate, e la forbice tra il primo e il secondo è andata sempre più crescendo. L’exit rate è salito, infatti, da 4% nel biennio 1989-91 a 5,7% nel periodo 2001-2004, mentre l’entry rate è sceso dal 2,8 al 2,2.2 In termini assoluti ciò si è tradotto in una drastica riduzione del numero di stabilimenti manifatturieri e di lavoratori impiegati. Nel periodo 1994-2005 il totale degli stabilimenti è passato da 382.825 a 276.522 (pari a una riduzione del 28%), mentre quello dei lavoratori si è ridotto da 10.416.000 a 8.143.000 (un decremento del 22%). Ma la riduzione è stata massiccia soprattutto per i piccoli e i grandi stabilimenti, con valori percentuali intorno al 31%.3 Per questi ultimi, tuttavia, sia la riduzione di stabilimenti che di lavoratori dipendenti, è maggiormente imputabile alla delocalizzazione. La decimazione, inoltre, ha investito soprattutto piccole imprese a conduzione familiare per le quali ha influito spesso anche la mancanza di “eredi” o comunque di soggetti disposti a continuarne l’attività.4

Inoltre – a parte le differenze tra i diversi settori industriali sulle quali qui non ci si sofferma – ciò che conta è che la decimazione delle attività di impresa ha riguardato alcune province-regioni (prefectures) più di altre. Ciò ha innescato una nuova disparità di sviluppo tra le diverse parti del Paese che la ripresa di questi ultimi anni, lungi dal fermare, ha se mai accentuato. La ripresa, infatti, ha riguardato soprattutto la grande impresa e si è principalmente concentrata in alcune province – Tōkyō, Yokohama, Nagoya e poche altre. Di qui la crescente enfasi sulla “rivitalizzazione” delle economie regionali che si intreccia a doppio filo con la rivitalizzazione delle piccole e medie imprese: parlare della prima significa, infatti, sostanzialmente parlare della seconda.

Tale intreccio emerge chiaramente nei più recenti orientamenti del ministero dell’Economia (METI, Ministry of Economy, Trade, and Industry) in tema di politica di rilancio dell’economia nazionale e nelle conseguenti indicazioni di misure da adottare. Basti guardare al modo in cui provvedimenti mirati a “Migliorare la produttività delle PMI” e alla loro “Rivitalizzazione”, si

o più esplicitamente, alle inadeguatezze del “cooperation-based” capitalismo giapponese e del suo assetto istituzionale nella nuova fase di sviluppo capitalistico mondiale seguita alla fine della guerra fredda (K. Yamamura, “Germany and Japan in a New Phase of Capitalism: Confronting the Past and the Future”, in K. Yamamura & W. Streeck (eds),

The End of Diversity? Prospects for German and Japanese Capitalism, Cornell University

Press, Ithaca 2003).

2 Japan Small Business Research Institute, White Paper on SME in Japan 2006, Tōkyō

2006, p. 361.

3 Elaborazioni da METI, White Paper on SME in Japan, 2007 (in rete, in giapponese).

4 In questi casi, naturalmente, accanto a una ragione economica, ha agito una ragione demografica. È questo un punto che riemergerà ripetutamente nel corso dell’analisi.

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151 riflettono in quelli mirati alla più generale “Rigenerazione” e “Rivitalizzazione” delle economie regionali.5 È da questi orientamenti e conseguenti provvedi-menti adottati – letti come politiche di sviluppo locale – che muoverà, pertanto, l’analisi che segue. Più in generale, come quadro di riferimento teorico, per un verso si guarderà a queste politiche in relazione al potenziamento dei sistemi produttivi locali, visti anche come possibili alternative al modello di sviluppo basato sulla grande impresa.6 Per l’altro, si guarderà al modo in cui esse riflettono specificamente il modello di sviluppo capitalistico giapponese7

in un più ampio quadro di tipi e varietà di “capitalismi”.8

L’attenzione verrà così anzitutto incentrata sugli orientamenti strategici cui tali politiche sembrano ispirarsi, sugli attori chiamati in causa e sulle modalità a tal fine predisposte e incentivate. Ma in questo lavoro interessa principalmente sapere se e quale rispondenza tutto ciò trova “sul territorio”; in che modo, cioè, quegli orientamenti trovano concreta attuazione a livello locale, chi sono gli attori coinvolti e come lo sono. Da questo punto di vista si tratta di sapere se queste politiche segnano una svolta nel “governo” del territorio da parte del centro – con i governi locali effettivamente chiamati a svolgere un ruolo autonomo o comunque “indipendente” dalle direttive del governo centrale. O se anche esse vanno più semplicemente inquadrate in una nuova fase del “Japanese developmentalism” cui – quale che sia stato il ridimensionamento del ruolo della burocrazia nazionale in questi ultimi anni – alludono, ad esempio, Yamamura e Streeck.9

Per far ciò si è svolta una ricerca sul campo in tre aree: Sumida ku, nell’area metropolitana di Tōkyō; Tsubame shi, nella provincia-regione di Niigata (sul Mar del Giappone), e Sakaki machi, nella provincia-regione di Nagano (nella parte centrale di Honshū). Si tratta di aree molto diverse tra di loro e certamente non rappresentative delle diverse realtà regionali del Giappone. Lo studio che vi si è svolto, tuttavia, può offrire non pochi spunti di risposta alle domande di ricerca che si sono poste e che verranno meglio puntualizzate di qui a poco.10

5METI, Economic Growth Initiative. Revised, June 19, 2007 (in rete, in giapponese).

6 Cfr. C. Crouch, P. Le Galès, C. Trigilia, H. Voelzkow, Local Production Systems

in Europe: Rise or Demise?, Oxford University Press, Oxford 2001; e, degli stessi autori, Changing Governance of Local Economies: Responses of European Local Production Systems, Oxford University Press, Oxford 2004.

7 Su questo punto, cfr. in particolare Yamamura & Streeck, The End of Diversity?, cit.

8 Cfr. J.R. Hollingsworth & R. Boyer (eds), Contemporary Capitalism. The

Embedded-ness of Institutions, Cambridge University Press, Cambridge 1997; P. Hall & D. Soskice

(eds), Varieties of Capitalism: The Institutional Foundations of Comparative Advantage, Oxford University Press, Oxford 2001.

9 Yamamura & Streeck, The End of Diversity?, cit., p. 2.

10 Oltre alla raccolta di dati e informazioni sulla situazione socio-economica delle tre aree, la ricerca è consistita principalmente in interviste di approfondimento a numerosi attori locali – e principalmente piccoli, medi, ma anche grandi imprenditori – e in visite guidate ad alcune strutture locali in vario modo preposte a sostenere i programmi di sviluppo locale.

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Orientamenti strategici del METI e interventi per lo sviluppo locale

Motivo ricorrente nei documenti di politica economica nazionale (come quelli sopra citati) – così come peraltro negli editoriali e nei commenti sulla stampa o nelle opinioni manifestate da esperti – è che il benessere sociale, oltre che economico, del Giappone, e dunque il suo stesso futuro, dipendono fondamentalmente dalla sua capacità di sostenere la sfida della competitività a livello globale. Il più delle volte ciò significa soprattutto capacità di tenere il passo – e di mantenere una certa posizione di vantaggio – rispetto alla emergente forza competitiva di altri paesi asiatici, come la Cina.11 Questa stessa tensione alimenta la maggior parte dei programmi avviati e delle azioni previste per “rivitalizzare” le economie regionali. Ed è da essa che derivano i principali orientamenti strategici cui si ispirano – nel senso anzidetto – le “politiche di sviluppo locale”.

Su tre orientamenti, in particolare, vale la pena fermare l’attenzione: - azioni mirate a incentivare e sostenere l’innovazione;

- azioni mirate a sostenere l’attività imprenditoriale;

- azioni mirate a favorire sinergie e forme di integrazione – di conoscenze (know-how), di prodotti e di processi – tra attori economici e non, pubblici e privati.

Chiaramente si tratta di orientamenti che si rinforzano reciprocamente. In essi, inoltre, è palese l’impegno o per lo meno la volontà di coinvolgere risorse e attori locali. Basti qui un breve richiamo ad alcuni programmi.

Azioni mirate a incentivare e sostenere l’innovazione sono i numerosi programmi intesi a sostenere l’introduzione nell’attività di impresa di innovazioni sempre più avanzate nel campo della tecnologia informatica (IT). Altrettanto puntuale è l’esempio del JAPAN Brand Development Assistance Program lanciato dal METI nel 2005 allo scopo di sviluppare la forza di penetrazione dei prodotti giapponesi sul mercato sia nazionale che internazionale e orientato a sostenere l’innovazione dei prodotti attraverso il sostegno a nuovi marchi.

Maggiormente mirato, invece, a sostenere l’attività imprenditoriale, contrastandone il declino, è quell’insieme di azioni che si propongono, per un verso, di promuovere e facilitare l’aggiornamento tecnico-professionale dei piccoli e medi imprenditori e, per l’altro, di incoraggiare i giovani ad avviarsi verso lavori in piccole e medie imprese manifatturiere.

La promozione dell’attivazione e del coinvolgimento di risorse e attori locali appare, infine, chiaramente al centro di tutte quelle azioni che mirano a favorire sinergie e forme di integrazione di conoscenze, di prodotti e di

11 Naturalmente, questo non significa disconoscere i vantaggi, sotto forma di crescenti interscambi commerciali, che lo sviluppo delle economie dei paesi asiatici e in particolare della Cina, hanno comportato per il Giappone (su questo punto, cfr. C. Molteni, “Cina e Giappone: sviluppo e prospettive delle relazioni economiche bilaterali”, Mondo cinese, gennaio-marzo 2004, 118, pp. 23-29).

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153 processi. Anche in questo caso, naturalmente, l’obiettivo principale è quello di pervenire ad attività di impresa altamente competitive. L’esempio più emblematico di queste azioni può considerarsi il programma che mira a sostenere la costruzione in numerosissime aree del Paese di “cluster di imprese industriali”. Avviato nel 2001, il programma è giunto al suo secondo stadio di attuazione e nel prossimo quinquennio 2006-2011 è previsto che vengano avviate 40.000 nuove attività di impresa. Tra i diversi tipi di cluster individuati, un particolare interesse rivestono qui i Production region clusters. Si tratta – come viene specificato – di cluster formati da imprese impegnate in una specifica attività industriale e concentrate in una area (regione) ben definita, e che si sono sviluppate attraverso l’uso e il sostegno reciproco di materiali e di tecnologie.12 In buona sostanza sono dei distretti industriali, in parte già esistenti da tempo e che i nuovi interventi stanno aiutando a trasformarsi, ma in parte anche nuovi, come nel caso di distretti high-tech. È soprattutto nell’ambito della costruzione di questi cluster industriali che si punta alla cooperazione tra imprese, università (centri di ricerca) e istituzioni pubbliche – il sangakukan renkei. Questa forma di cooperazione è ritenuta il fulcro di un’integrazione virtuosa tra gli interessi di attori e attività diverse in grado di tenere elevato il livello di competitività dell’attività di impresa, innovandola costantemente.

Il punto sul quale qui conta incentrare l’attenzione, tuttavia, è se, al di là delle intenzioni, questo insieme di politiche si è effettivamente tradotto per i sistemi di produzione locale in vantaggi competitivi. O più esplicitamente, se e come tali politiche sono effettivamente riuscite a produrre, rafforzare e mettere a disposizione delle PMI dei beni collettivi locali per la competizione.13

In estrema sintesi, l’accesso a un bene collettivo locale implica un’esternalità positiva e quindi una riduzione di costi, siano essi riferiti all’addestramento, alla ricerca, alla commercializzazione, ecc. In quanto tali, i beni collettivi per la competizione appaiono specificamente orientati a facilitare l’innovazione, a stimolare la cooperazione, a consolidare il territorio come una risorsa.14

In relazione alla sfida cui si è fatto cenno sopra, dunque, i vantaggi competitivi acquisiti dai sistemi di piccola impresa attraverso i beni collettivi locali per la competizione possono renderli competitivi rispetto alla concorrenza di altri paesi, e al tempo stesso possono rappresentare un’alternativa alla delocalizzazione delle attività produttive.

Da questo punto di vista conta sapere – e sono queste le domande che in definitiva hanno guidato la ricerca – se e come le azioni pubbliche intraprese

12 Japan Small Business Research Institute, White Paper on SME in Japan, cit., p.

135.

13 P. Le Galès & H. Voelzkow, “Introduction: The Governance of Local Economies”, in C. Crouch et al., Local Production Systems in Europe, cit., pp. 2-3.

14 Più in generale, su questo punto cfr. Crouch et al., Local Production Systems in

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si sono effettivamente tradotte nella creazione o rafforzamento di tali beni e quali attori hanno “governato” il processo. In particolare, se esso è tuttora governato dal centro. In quest’ultimo caso risulterebbe confermata la tesi che anche queste politiche si inquadrano in una nuova fase dello “sviluppismo” giapponese.

I punti sui quali si articolerà la discussione seguente possono essere, dunque, così rifocalizzati: in che modo gli orientamenti cui si è appena fatto cenno e le azioni che a essi si ispirano hanno trovato concreta attuazione a livello locale? Chi sono stati gli attori effettivamente coinvolti e come? In particolare, quale è stato il ruolo dei governi locali? Infine, quali sono stati i fattori di successo e più specificamente in che modo tutto ciò è in relazione con la produzione di beni collettivi locali per la competizione e con chi ha “governato” il processo?

Uno sguardo a ciò che accade sul “territorio”

Prima di entrare nell’analisi dei singoli punti, vale la pena accennare al modo in cui le tre aree dove si è svolta l’indagine empirica differiscono tra di loro, a cominciare da come si presentano i dati strutturali riportati sopra per l’intero Giappone.

Dall’esame dei dati cui si è avuto accesso, per quanto non direttamente comparabili a ragione dei diversi periodi cui essi si riferiscono, è emerso che tutte e tre le aree hanno subito tra gli anni ’90 e primi anni del 2000 una forte contrazione dell’attività manifatturiera, ma con una maggiore accentuazione nell’area di Sumida ku.15

Le caratteristiche della struttura industriale delle tre aree non sono, tuttavia, omogenee. Le differenze riflettono la loro diversa storia e collocazione territoriale. Le caratteristiche industriali di Sumida ku – di fatto “una città” al centro dell’area metropolitana di Tōkyō – si sono andate evolvendo verso quelle forme di aggregazioni industriali di tipo urbano, con una crescente enfasi sullo sviluppo delle risorse umane e sull’innovazione manageriale (per esempio, con la creazione di un centro internazionale per la moda e le arti creative e l’istituzione di una scuola per giovani imprenditori).16 Quelle di Tsubame shi sono invece sostanzialmente le caratteristiche di un consolidato distretto industriale di prodotti di metallo che ha attraversato diverse fasi – riadattando di volta in volta sapere diffuso e capacità imprenditoriali – ma che ha comunque continuato ad avere il suo punto di forza nella sua reputazione di

15 Le fonti consultate sono state: per Sumida ku: Sumida City Office, Guidebook of

industrial development program of Sumida ku 2006, 2007; per Tsubame shi: Tsubame

shi, Division of Commerce and Industry, Summary of Commerce and Industry of Tsubame

City Office 2006, 2007; per Sakaki machi: Sakaki Town Office, Division of Commerce and

Industry, Industrial Situation of Sakaki, June 2000, 2000.

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155 centro per la produzione di utensileria domestica.17 Piuttosto ibride appaiono invece le caratteristiche industriali di Sakaki machi, dove l’impulso principale allo sviluppo risale agli insediamenti effettuati durante la Seconda guerra mondiale al fine di disperdere i centri di produzione per l’industria bellica. Alcune di queste attività industriali si sono successivamente trasformate, altre ne sono sorte, dando comunque luogo a una struttura industriale caratterizzata dalla presenza di alcune grandi imprese cui è collegata una fitta rete di piccole imprese.

Queste diverse caratterizzazioni appaiono riflesse nella diversa enfasi che nelle tre aree viene posta sia sulle azioni avviate per la rivitalizzazione dell’economia locale cui si è accennato sopra, sia sugli attori coinvolti.

Le azioni concrete

Una sintesi puntuale ed efficace del modo in cui le sfide che la manifattura giapponese (monozukuri) si trova oggi a dover affrontare e del modo in cui esse vengono tradotte a livello locale è contenuta in un documento interno di presentazione delle attività del Techno Center di Sakaki machi (vedi Tabella). In esso vi si trovano chiaramente riflesse sia le sfide di competitività e di innovazione richiamate in precedenza, che gli orientamenti prevalenti per affrontarle.

Le sfide dell’industria manifatturiera di Sakaki machi e modi per affrontarle

Le sfide:

1. Far fronte alla rapida crescita tecnologica di Cina, Corea, ecc.

2. Far fronte a questioni “glocal”, come la delocalizzazione di attività produttive all’estero 3. Far avanzare le tecniche per la fusione dei metalli con la plastica

4. Preservare i saperi e le tecniche artigianali (takumi) 5. Attivare lo scambio tra le imprese

6. Incentivare l’esternalizzazione di parti del processo produttivo 7. Sviluppare le tecniche per la produzione ad alta precisione 8. Costituire un gruppo di ricerca per delle imprese di incisione 9. Sviluppare le nanotecnologie

10. Promuovere la cooperazione tra imprese, università e settore pubblico (sangakukan

renkei)

11. Contrastare il crescente divario tra le imprese

12. Far fronte alle conseguenze dell’invecchiamento della popolazione e ai problemi della generazione del baby boom (dankai no sedai)

13. Far fronte alle emergenze energetiche e ambientali

(Alcuni) Modi per affrontarle:

Costruire gruppi di ricerca per far avanzare le tecniche per la fusione dei metalli con la plastica e per le tecniche di incisione

17 Tsubame City Office, Summary of Commerce and Industry of Tsubame City Office

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Potenziare le attività del Sakaki Research Group finalizzate alla cooperazione tra industria, università e settore pubblico (sangakukan renkei)

Sviluppare in particolare la cooperazione tra imprese e istituti tecnici universitari e promuovere la cooperazione tra imprenditori

Organizzare seminari e incontri; stimolare la partecipazione di imprenditori Fonte: Adattato da un documento interno del Sakaki Techno Center. Originale in giapponese.

Ma non meno puntuali sono le sintesi che si possono desumere dalla documentazione raccolta a Sumida e a Tsubame. Per molti versi in tale documentazione si trovano ribadite le stesse sfide e modi per affrontarle già evidenziati per Sakaki nella tabella. Per altri sono emerse, invece, enfasi diverse. Comuni a tutte e tre le aree, ad esempio, sono le azioni intraprese per facilitare gli scambi e la collaborazione tra le imprese e soprattutto quelle per promuovere la cooperazione tra imprese, università (centri di ricerca) e settore pubblico (sangakukan renkei) e l’enfasi posta sull’innovazione – di