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Valerio Luigi Alberizzi

I

LRUOLODELKANBUNKUNDOKU NEGLISTUDISULLALINGUA GIAPPONESE

:

ILCASODEI

CARATTERINONLETTI

Le strategie di interpretazione della lingua cinese adottate in Giappone hanno riguardato ogni singolo aspetto dell’analisi testuale e, come è ovvio attendersi, anche quello grammaticale non fa eccezione. Trattandosi di una lingua dalle spiccate caratteristiche isolanti, in cinese classico una parola assume differenti valori (verbo, sostantivo, ecc.) in base alle relazioni funzionali, di tipo sintattico, che essa possiede in una data frase, determinate in prevalenza dalla posizione occupata all’interno del contesto narrativo.

Le difficoltà principali che si incontrano nella classificazione delle parole derivano essenzialmente da due fattori: da una parte, la spiccata propensione alla multifunzionalità, dall’altra, la notevole eterogeneità dei testi cinesi antichi. Le differenze, a volte profonde, riscontrabili sia sul piano lessicale sia su quello più propriamente grammaticale dipendono infatti da fattori molteplici, quali le differenze stilistiche, le influenze dialettali, la diversa datazione dei testi […] In uno studio che tende a evidenziare gli elementi comuni della lingua impiegata per la compilazione di questi testi, tali fattori devono sempre essere tenuti in considerazione, in quanto non è detto che un morfema grammaticale sia presente in tutti i testi con l’intera gamma delle sue funzioni, o che un morfema lessicale non possa essere classificato diversamente da testo a testo.1

Le parole possono essere di due tipi: di contenuto e di funzione. La prima categoria designa i morfemi lessicali, mentre la seconda quelli grammaticali. Questa distinzione è stata operata basandosi su quella tradizionale cinese tra

shici 實詞 “parole piene” (morfemi lessicali) e xuci 虛詞 “parole vuote” (morfemi

grammaticali). In alcuni casi, tuttavia, non esiste una netta demarcazione tra le due classi e questo comporta la mancanza di un inventario esaustivo dei morfemi grammaticali in quanto sono inclusi in differenti schemi tassonomici che variano a seconda dei singoli studiosi.

1 Maurizio Scarpari, Avviamento allo studio del cinese classico, Cafoscarina, Venezia 1995, p. 18.

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La presenza di questi elementi, privi di un vero e proprio valore semantico, dovette rappresentare per i giapponesi un complesso quesito da risolvere nell’ambito dello sviluppo di una strategia interpretativa che si rivelasse agile e funzionale. Le scelte che si offrivano erano in genere di due tipi: assegnare al logogramma (o coppia di logogrammi) la pronuncia corrispondente alla posposizione giapponese con analoga funzione sintattica riposizionandolo nel testo se necessario, oppure ignorarlo in fase di lettura, interpretando correttamente solo il ruolo grammaticale da questi rappresentato, integrandolo con l’aggiunta di una glossa in kana accanto al morfema lessicale di riferimento che, in genere, lo precedeva nel tessuto narrativo.

L’approccio in prevalenza adottato durante il periodo tardo antico fu quest’ultimo tant’è che nella terminologia tecnica accanto al più generico okiji 置字, “caratteri apposti”, si preferisce parlare di futokuji 不読字, “caratteri non letti” ma, ciononostante, è riscontrabile una certa disomogeneità, a seconda dei documenti, anche in merito all’interpretazione di un singolo carattere. Alcuni logogrammi, inoltre, ricorrono più di frequente in alcune tipologie testuali, mentre in altre sono quasi del tutto assenti.

Lo studio di Kasuga Masaji 春日政治 (1878-1962) condotto sul Konkōmyō

saishōōkyō 金光明最勝王経, un documento risalente al 762 con glosse databili

attorno all’830 circa, ha dimostrato che in alcune circostanze i caratteri 而 (congiunzione di coordinazione/subordinazione), 以 (congiunzione di subordinazione), 於 (preposizione temporale), 于 (preposizione del comple-mento indiretto), 之 (congiunzione di determinazione), 者 (posposizione di nominalizzazione), 與 (congiunzione di coordinazione) sono trascurati nel processo di lettura e che altri segni, invece, come 矣 (posposizione modale finale), 焉 (sostituto indefinito), 也 (posposizione modale finale), per quanto di largo impiego nelle opere della tradizione cinese, non ricorrono nemmeno una volta nel documento.2

La stessa tendenza è confermata da documenti a esso coevi come il Daijō

daishū Jizō jūrinkyō 大乗大集地蔵十輪経, con glosse dell’883, mentre altri

come il Daitō Genjō sanzō hōshi hyōkei 大唐三蔵玄奘法師表啓, annotato nell’860, presentano un numero maggiore di parole di funzione. In generale, uno studio comparativo dei manoscritti di periodo tardo antico con quelli di periodo Insei (1087-1185) ha dimostrato una certa fluttuazione dei caratteri inclusi nella categoria dei futokuji dovuta probabilmente alla diversità del diatipo linguistico adottato nel testo in cinese e a una semplificazione più o meno accentuata del metodo di interpretazione da parte degli estensori giapponesi delle glosse.

Infatti, elementi che per tutto il X secolo non ebbero una corrispondente lettura, come 雖, 與, 從, 及, 所, 被, 使, 令, 有, 未, 不, 可 e 如, con i primi dell’XI

2 Kasuga Masaji, Saidaijibon Konkōmyō saishōōkyō koten no kokugogakuteki kenkyū (Studio filologico sull’edizione annotata del Konkōmyō saishōōkyō conservata al Saidaiji), “Kasuga Masaji chosakushū, bekkan”, Benseisha, Tōkyō 1985, pp. 32-33.

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71 secolo iniziarono a essere associati a termini del lessico autoctono passando da morfemi grammaticali non pronunciati a parole di funzione interpretate nella lettura del testo. In altri casi, la mancata definizione di una relazione univoca tra un preciso elemento sintattico giapponese e un dato carattere portò all’adozione di pronunce multiple favorendo, in virtù di questa ambiguità, un ritorno del logogramma tra i futokuji come 矣 accostato alla copula nari o al verbo di azione su, ma di fatto omesso di frequente nella lettura di un dato contesto.3

Si evince, quindi, come a causa dell’elevata irregolarità nell’esegesi di queste forme non si possa fare eccessivo affidamento sulla datazione del manoscritto in esame in grado, in molti altri casi, di collocare un dato fenomeno linguistico all’interno di un alveo ben definito.

Un’indagine conoscitiva che si riveli la più sistematica possibile, pertanto, dovrà partire dalla posizione occupata dai morfemi sintattici rispetto ai vari costituenti del discorso e, solo in un secondo tempo, considerarne le interpretazioni fornite dall’estensore delle glosse. Pertanto, i principali “caratteri non letti” possono essere suddivisi in:

a) Elementi impiegati all’inizio o a metà dell’enunciato: 於, 以, 則, 而, 及, 于 b) Elementi impiegati solo alla fine dell’enunciato: 矣, 耳, 耶, 歟

c) Elementi impiegati a inizio, metà o fine di enunciato: 乎, 之, 也, 與, 焉 Dei caratteri precedentemente menzionati, ze 則 è, senza dubbio, uno dei più interessanti. In cinese classico era impiegato in prevalenza per indicare una subordinazione di natura condizionale essendo adottato per marcare sia la protasi sia l’apodosi. La lettura giapponese di frequente associata a questo elemento è sunawachi, “in altre parole” o “cioè”. È tendenza comune quella di credere che durante la pratica del kundoku il carattere fosse sempre letto in questo modo, ma questa generalizzazione comporta non pochi problemi in differenti campi di applicazione che spaziano dalla retorica all’analisi testuale.

Nel 1961 Kobayashi Yoshinori 小林芳規, uno dei principali studiosi di materiali in kundoku, sviluppò una solida teoria sul carattere ze e il processo storico cui fu sottoposto prima di essere effettivamente letto “sunawachi”.4 A tutt’oggi, la sua accurata e ben documentata spiegazione è adottata in modo pressoché acritico in tutti gli studi sul kanbun kundoku.

3 Kobayashi Yoshinori, “Kanbun kundoku shijō no hitomondai” (Un problema nella storia del kanbun kundoku), Kokugogaku, 16, 1954, pp. 47-64.

4 Kobayashi Yoshinori, “Hakase yomi no genryū – tokinba wo ichirei toshite” (Sull’origine delle letture delle casate laiche – il caso di tokinba), Kokubungaku gengo to

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Sunawachi e tokinba: la teoria di Kobayashi

Una semplice ricerca del logogramma 則 nei maggiori dizionari antichi, risalenti ai primi dell’XI secolo, quali Ruijumyōgishō 類聚名義抄 (edizione Kanchiin 観智院本), Iroha jiruishō 色葉字類抄 (edizione Maeda 前田本) e

Hokkekyō onkun 法華経音訓, rivela come la lettura associata in prevalenza a

questo segno sia sunawachi スナハチ.

Di etimo incerto, fattore che portò allo sviluppo di varie teorie relative alla sua origine, le uniche conclusioni certe che la ricostruzione filologica ha permesso di stabilire sono un suo valore di carattere temporale e un impiego come sostantivo indipendente durante il periodo antico. Con la transizione verso il IX secolo, sunawachi modificò la propria funzione grammaticale in avverbio con il conseguente passaggio da termine indipendente a modificatore di una parte variabile del discorso pur mantenendo ancora inalterato il proprio campo semantico. In seguito, fu adottato come lessema esclusivo del kanbun

kundoku sovente in associazione ai caratteri ji 即, nai 乃, bian 便, zhe 輙 e ze

則 dai quali probabilmente mutuò la valenza di marca della coordinazione subordinata.

Sulla scorta di lunghe indagini svolte in collezioni pubbliche e private, Kobayashi concluse che il suo impiego sembra essere caratteristico dei documenti ascrivibili al filone religioso come dimostrano alcuni manoscritti tra i quali merita di essere ricordata la copia risalente al 1224 (edizione Bandō 坂東本) del Kyōgyō shinshō 教行信証 di Shinran 親鸞上人 (1173-1262).5

Il perno della sua teoria è tuttavia costituito dalla scoperta dei due volumi, conservati al Tōdaiji 東大寺, del Kegonkyō bonkai narabi ni sōshi den 華厳経 品会并祖師伝 annotati da Sōshō 宗性 (1202-1292).6

La peculiarità di questo manoscritto è di riunire in sé la natura di un testo a carattere religioso e di un documento appartenente alla tradizione laica

5 Titolo abbreviato del Ken jōdo shinjitsu kyōgyōshō monrui 顕浄土真実教行証文類 (Raccolta di passi che rivelano la corretta dottrina, pratica e raggiungimento della Terra Pura). È la principale opera di Shinran, il fondatore della scuola di buddhismo Jōdoshin 浄土真宗. Strutturato in sei capitoli, il cuore delle dottrine esposte si basa sui quarantotto voti del Buddha Amida.

6 Figlio di Fujiwara no Takenori 藤原隆憲 entrò, all’età di tredici anni, al Tōdaiji nel secondo anno dell’era Kenpō (1214) dove iniziò a dedicarsi allo studio dell’Abhidharmakośa

bhāsya (giapp. Kusharon 倶舎論) prendendo parte al Kusha sanjūkō 倶舎三十講, le “trenta

lezioni sull’Abhidharmakośa”. Divenuto monaco residente del Sonshōin 尊勝院, uno dei principali complessi templari che gravitava attorno al Tōdaiji, spostò progressivamente il proprio interesse verso i testi di scuola Kegon con particolare riferimento alle problematiche del karma. Nel secondo anno dell’era Jōkyū 承久 (1220) si recò a Kyōto per assistere, in qualità di uditore, allo Hosshōji onhachikō 法勝寺御八講, il ciclo di otto sermoni che si teneva presso lo Hosshōji, stringendo un rapporto di amicizia con Chien 智円 dello Enryakuji che lo porterà ad approfondire lo studio di alcuni aspetti della scuola Tendai. L’analisi della sua esperienza religiosa si rivela fondamentale nel tracciare la fase di transizione dalle vecchie scuole religiose a quelle di nuova concezione, caratteristiche del periodo medio, grazie a un

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73 cinese conservando i rispettivi metodi di notazione. Come è possibile intuire dal titolo, il corpo principale riportato sul fronte dei rotoli è costituito da un’opera buddhista cui fanno seguito le biografie di alcuni monaci famosi. In esso il carattere 則 è di sovente accompagnato da una glossa su ス, posta alla sua destra, che suggerisce una lettura in “sunawachi”. Il verso, invece, è ricco di fitte annotazioni, tratte da dizionari e Classici cinesi, che Sōshō doveva aver riportato come fonti di consultazione, ancillari all’esegesi del testo, in cui l’interpretazione attribuita al segno 則 risulta essere del tutto diversa:

論語曰、深キトキハ[則]厲ス、淺キトキハ[則]掲ス (深則厲淺則掲)

Nei Dialoghi sta scritto: “Quando [l’acqua] è profonda [si attraversa] con le vesti sollevate, quando è bassa [si attraversa] con le vesti sciolte”.7

Al carattere 則 è demandato, in virtù della posizione occupata nel testo, il solo ruolo di marca funzionale mentre non gli è assegnata direttamente alcuna lettura, integrata invece dal kana che lo precede: toki wa トキハ.

Il sintagma nominale toki (ni) wa e la sua variante generatasi per eufonia,

tokinba, sono fatti rientrare dagli specialisti nel novero di quelle letture,

legate al kanbun kundoku, proprie della lettura dei Classici cinesi e definite, pertanto, hakase yomi 博士読み. Sulla scorta dell’adozione selettiva operata da Sōshō, ne consegue che, nel caso di costruzioni con il logogramma 則, sembra sia possibile distinguere due differenti approcci di decodifica testuale ciascuno dei quali è legato all’interpretazione di uno specifico filone di opere:

sunawachi per i documenti buddhisti, mentre l’impiego come “carattere non

letto” sarebbe appannaggio dei manoscritti legati al pensiero laico cinese. A partire dall’ultimo periodo tardo antico, tokinba figura in un numero cospicuo di documenti come lettura che ricorre con frequenza prima del logogramma 則. Il suo uso si diffuse e protrasse nel tempo fino al periodo premoderno dove, in virtù della sua peculiare pronuncia, fu subito fatto oggetto di studi da parte dei principali filologi che si dedicarono ai primi studi organici sul kanbun kundoku come Keian Genju 桂庵玄樹 (1427-1508) e Dazai Shundai 太宰春台 (1680-1747).

Il Keian oshō kahō waten 桂庵和尚家法倭点 (1501) e il Wadoku yōryō 倭 読要領, infatti, riportano che numerosi sono i casi in cui il carattere 則 non era letto se preceduto dall’espressione tokinba e attestano durante il periodo Muromachi la presenza di una nuova lettura, tokinba sunawachi トキンバ則 チ, ottenuta esplicitando nello stesso contesto le due interpretazioni di base illustrate in precedenza.8 Le ricerche condotte da Kasuga Masaji, tuttavia,

7 Kobayashi, “Hakase yomi no genryū”, cit., p. 13. La citazione è tratta da xian wen 憲 問, il quattordicesimo capitolo dei Dialoghi.

8 Dazai Shundai, Wadoku yōryō (I principi della “lettura alla giapponese”), “Kango bunten sōsho, 3”, Kyūko shoin, Tōkyō 1979, pp. 384-461. Keian Genju, Keian oshō kahō

waten (Il metodo di notazione del monaco Keian), “Dainihon shiryō, IX, 1”, Tōkyō teikoku

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hanno consentito di rilevare la presenza di una struttura toki niwa + “carattere non letto” トキニハ + [則] anche in alcuni manoscritti di testi sacri del primo IX secolo, lasciando aperti ulteriori interrogativi.9

Di conseguenza, per chiarire con puntualità l’iter compiuto da toki niwa/

tokinba e sunawachi nelle due categorie testuali che ricorrevano al kundoku,

e quale sia stato il processo che le abbia fissate come letture associate al carattere 則, si rivelò necessario ricercare la modalità d’impiego di questi sintagmi nei Classici cinesi per confrontarla con quella emersa dall’analisi dei testi buddhisti.

A tal fine, la scelta di Kobayashi cadde sul Qunshu zhiyao 群書治要 annotato da Kiyohara no Noritaka 清原教隆 (1199-1265) che si rivelò un eccellente campo di studio per dedurre il tipo di strategia adottata dalle casate laiche degli studiosi in quanto, oltre a essere una delle prime fonti di cui si può disporre, la sua natura di raccolta di estratti da diversi testi classici si presta particolarmente a questo scopo rendendo disponibili all’indagine una grande varietà di materiali.

In questo documento, tokinba compare con notevole assiduità, esclusiva-mente con valore di lettura suppletiva, come risulta dai seguenti esempi:

呂刑に云(ハク)、一人慶イコト有ルトキンハ兆民頼ルトイヘリ (一人有慶兆民頼之) Nel Luxing sta scritto: “Se un solo individuo riceve un beneficio è come se lo ottenessero migliaia di persone”.10

知(リ)易キトキンハ[則]親有リ従カヒ易キトキンハ[則]功有リ (易知則有親易從則有功) “Se è facile da conoscere vi è affinità, se è facile da seguire vi è destrezza”.11

Non rari, anche se meno numerosi, i casi in cui ricorrono i sintagmi toki

ni e toki wa. Nella totalità degli esempi, tuttavia, il loro impiego, unitamente

a quello della variante principale, è pressoché identico, essendo collocati dopo la forma attributiva (rentaikei) di una parte flessiva del discorso per collegare una proposizione condizionale con il resto dell’enunciato costituito da una dichiarativa. Ne consegue che la funzione demandata a tokinba dalle annotazioni scritte sul manoscritto del Qunshu zhiyao è quella di trasmettere una verità universale senza alcun riferimento ad alcun valore suppositivo, di condizione prestabilita o, tantomeno, temporale. Questo fenomeno, inoltre, si ravvisa sia in presenza sia in assenza nel testo originale in cinese di un logogramma con valore connettivo come 則12 che, qualora ricorresse, era molto

9 Kasuga, Saidaijibon Konkōmyō saishōōkyō koten, cit., pp. 276-277.

10 Kobayashi, “Hakase yomi no genryū”, cit., p. 10. La citazione è tratta dal capitolo

Luxing dello Shujing.

11 Ozaki Yasushi, Kobayashi Yoshinori (a cura di), Gunsho chiyo 1 (Qunshu zhiyao 1), Kyūko shoin, Tōkyō 1989, p. 123. La citazione è tratta dal commentario Xici zhuan 繋辭傳 allo Yijing.

12 Tra gli altri caratteri associati a tokinba con funzione di morfema grammaticale nel testo del Qunshu zhiyao si hanno: 者, 也, 焉 e 止.

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75 probabilmente tralasciato nel processo di lettura in quanto in tutta l’opera non si trova un solo caso in cui sia letto sunawachi o in altro modo, confermando, quindi, quanto affermato da Keian Genju:

則字。古点ニ上ノ字ノ下ニテ、トキンハト点スル時ハ、スナハチトヨム事マレナリ

Il carattere 則. Nell’antico metodo di notazione, quando è riportato “tokinba” sotto al segno che lo precede, sono rari i casi in cui è letto sunawachi.13

A ulteriore riprova, in alcuni materiali posteriori di circa un secolo al documento fin qui considerato si iniziano a notare alcune particolari glosse in corrispondenza di 則 come 則ンバ (edizione del Kinkushū 金句集 in possesso della famiglia Date 伊達)14 o 則 (edizione del Lunyu jijie 論語集解 conservata presso il Daitōkyū kinen bunko 大東急記念文庫, 1334-1336). Queste testimonianze, quindi, lasciano supporre due possibili scenari:

A) トキンバ[則] 則バ

B) トキナバ則チ 則バ

Il primo, A), prevede che in virtù del suo frequente accostamento al logogramma 則 tokinba sia progressivamente subentrata come lettura propria di quel segno, mentre il secondo, B), propone una sostituzione di sunawachi, lettura propria del carattere 則, con tokinba che, in molti casi, lo precedeva. Appare da subito evidente, tuttavia, come la soluzione di tipo B) sia da scartare non solo in virtù dell’eccessiva complessità di una lettura tokinba sunawachi, caratterizzata da un’ampollosa iterazione della funzione sintattica e mai rilevata nelle fonti fin qui prese in esame, ma anche perché, facendo affidamento sul Wadoku

yōryō, questa interpretazione inizia a manifestarsi solo a partire dalla prima

metà del XIV secolo.

Ne consegue che le teorie volte a individuare in tokinba una lettura caratteristica del sistema di notazione dei Classici sono da ritenersi corrette in quanto questa è la chiave interpretativa prevalente fornita dai manoscritti quando l’estensore delle glosse si trovava ad affrontare il carattere 則, letto

sunawachi quasi esclusivamente nei testi a carattere religioso, come ben

sintetizza il Kegonkyō bonkai narabi ni sōshi den di Sōshō.