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I VIAGGI IN EUROPA DI RICARDO ROJAS

6. Francia, tra passato e futuro…

L’attualità politica domina così, sin dalla prima prosa, Crisis del Midi, l’attenzione del giovane corrispondente de “La Nación”, sceso dalla «torre de marfil» dei cultori decadentistici dell’arte pura per inoltrarsi nel vivo dell’agitazione sociale che, attorno ai temi ruggenti della crisi delle province vinicole del mezzogiorno del paese, dimidia la Francia.

Si può ricordare, per opposizione, quel passo delle cronache di Gómez Carrillo in cui il protagonista, sorpreso durante una delle sue abituali escursioni parigine dalle agitazioni di una sommossa cittadina, è costretto a rifugiarsi nell’intimità dell’«estudio de Pierre Feitu». Nell’atmosfera ovattata e preziosa dell’ambiente, i clamori di un “fuori” categoricamente escluso dalla sfera di interesse di questo cultore dell’arte per l’arte si smorzano quindi nel breve tremito di «delicadas figulinas sájones», su cui – sullo sfondo di malinconiche riflessioni sui tempi del «siglo galante y cortesano» ormai passato - si chiude la scena: scena che descrive perfettamente il processo di “internamento” del viaggio dei modernisti nella “gabbia” aristocratica dell’“interior”, dello studio o del salotto, su cui aveva diffusamente dissertato Viñas.

«He llegado á París en momentos de la gran crisis política del Mediodía»351,

annuncia il cronista di Crisis del Midi, con un esordio che situa bruscamente il dato soggettivo della narrazione («he llegado») nell’orizzonte obiettivo della realtà sociale, sulla quale si aprono immediatamente i sipari della cronaca. Esposta brevemente la questione, però, verso la fine della prima pagina, la visuale torna alla prospettiva soggettiva del viaggiatore che, dal balcone dell’albergo affacciato sulle «hermosas Tullerías», fa scorrere una prima

350 Ivi, p. 73.

panoramica della città apparentemente inviolata, nel suo traffico febbrile, dall’agitazione che dalle viscere infiammate dalla «revuelta popular» del sud si è trasmessa all’intero paese.

Dai «bellos mármoles», «una Bacante de Carriere-Belleuse, una Cybeles de Reganudin» delle Tulleries, lo sguardo procede dunque sulle «pululantes avenidas» assorte nella loro vita tumoltuosa, «con los fiacres lucientes y los automóviles veloces» e il passeggio inquieto «de las grisetas –Mimís probables ó Musetas posibles» -; dei «boulevards galantes, con tanto Olimpia y Vaudeville», e delle vie cosmopolite, dove i turisti borghesi, tra questi molti argentini, attendono «la apoteosis nocturna de su Cocota, esta serpiente mullida de sedas y con cabeza humana, que publica, en el oro simbólico de sus cabellos, el precio de su desnudez». Concludendo la ricognizione nella «catacumba sonora de los Metró y en el camino errante de las aguas del Sena y en los café-conciertos de las frondas del Bois»352.

Nella sintetica e non inefficace carrellata visiva, Rojas effettua in effetti una ricognizione dei grandi, diffusissimi topoi su cui si era innervata, con il contributo speciale e massivo della letteratura di viaggio ispanoamericana, la mitizzazione di Parigi: le pose immortali delle statue marmoree, la cui sensualità si prolunga nei “baci” degli innamorati appartati ai piedi di quelle; il ritmo febbrile delle “avenidas” con le comparse ormai canoniche dei suoi tipi femminili, figure consacrate da un’ormai annosa letteratura di ispirazione murgeriana: «grisetas», «Mimís probables», «Musetas posibles», le chiama Rojas con espressioni che rinviano consapevolmente a ormai diffuse e già logore categorie socio-letterarie; la bellezza depravata, canonicamente ornata di sete e capelli d’oro, della «Cocota», che ripagherà con la sua «apoteosis nocturna» la foga “consumistica” dei turisti borghesi; la Parigi infine dell’Olimpia e del Vaudeville, e della miriade di café-concert che riscalda la smania trasgressiva della pullulante Parigi.

È il sunto della Parigi effervescente e maliziosa che Rojas non visiterà, o almeno non racconterà, è la prima, superficiale, immagine della città sulla quale si riversa «la curiosidad del peregrino» appena giunto, «hasta que pueda penetrar en las intimidades de la vida doméstica y comulgar, en institutos y museos, con la Belleza y la Verdad de los siglos…»353.

Occorre svincolarsi dall’«impulso del ansia epicúrea» che fa soccombere il viaggiatore alle manifestazioni epidermiche di quella «París febriciente y sensual», rompere i veli della sua superficie tentatrice, per introdursi nella “profondità” storica della vita della nazione, asserisce Rojas, che riporta così saggiamente il discorso sulle gravi questioni dell’attuale crisi politica del mezzogiorno francese. Per ricavarne subito insegnamenti importanti per la patria argentina, come quelli che vengono dall’esempio di una nazione costruita su un solido e storico legame tra centro e periferia. Si dovrebbe al proposito comparare con l’elogio mistraliano della Francia tellurica ed arcaica

352 Ivi, pp. 11-12. 353 Ivi, p. 12.

del meridione, la valutazione effettuata qui da Rojas di un Midi, dal quale la «febriciente y sensual» Parigi, all’apparenza «completamente desvinculada de la nación», trae tutta la sua «fuerza renovadora». Abbondanti metafore biologiche e geologiche - «arterias ocultas y tegumentos vivos y nervios invisibles» - connettono nella rappresentazione rojoniana la capitale al tessuto della nazione: infatti Parigi è «un viejo árbol de leyenda y de amor, cuyas ramas ligeras ofrecen á la gula de los hombres su poma dorada, pero cuyas raigambres se abrazan á las rocas geológicas y se abren en lo subterráneo hasta el mar y los ríos de sus fronteras». Non ramificano invece nelle vaste superfici della pianura pampeana le radici della metropoli argentina, per la quale viene quindi la lezione di «una metrópolis donde el cosmopolitismo no haya cegado las fuentes nativas»354.

E così, con una recensione approfondita del dibattito politico del giorno Rojas comincia ad inoltrarsi nella vivace realtà della Francia del radicale Clemenceau e dell’animosa opposizione dei socialisti di Jean Jaurés, del quale ha modo di conoscere e di descrivere analiticamente l’oratoria «gesticulante» di una sua tribuna contro la politica centralista e capitalistica dello stato che schiaccia le province oppresse e insorte della Linguadoca e il Rossiglione.

La politica prevarica finanche nelle pagine dedicate a una delle più raffinate coscienze del decadentismo letterario, Paul Verlaine, ricordato qui non per i versi «subjetivos y sensuales» delle Fêtes galantes o della Bonne chanson – che Rojas riconosce come testi basilari del rinnovamento delle lettere ispanoamericane355 -, ma per il libro postumo Voyage en France par un français, la

cui recente pubblicazione aveva rivelato l’ideologia insospettatamente reazionaria, antirepubblicana e accesamente cattolica del suo credo politico. E verso la storia si dirigono anche le escursioni museali del giovane argentino, poco interessato, si direbbe, a familiarizzare con le esplosive testimonianze dei nuovi linguaggi figurativi e, in verità, neppure disposto a rendere conto dei pellegrinaggi convenzionali alle istituzioni storiche della città, Louvre e annessi. Non elude invece, in La casa de Victor Hugo, una visita alla casa-museo di recente creazione del grande scrittore, dove l’emozione «sensual» svegliata nel visitatore di Place des Voges dalla “ricchezza” temporale di siti antichi e monumentali, dalla «pátina de sus piedras envejecidas», rimanda all’arida geografia cittadina del mondo argentino e al compito incompiuto e urgente che si profila di «renovar nuestra historia, cultivar la leyenda, vivificar la tradición»356.

Si diletta, quindi, negli spazi museali dell’Hôtel Carnavalet, lussureggiante galleria di «reliquias históricas», segni plastici che illustrano «la historia panfletaria y violenta de Carlyle ó la historia documentada y reflexiva de

354 Ivi, p. 13.

355 Cominciato attorno alla guida del genio “olimpico” di Hugo, maestro della narrazione

«de la realidad exterior», essa avrebbe trovato nella poesia del «joven desaventurado y lunático» il salvacondotto per l’esplorazione delle regioni dell’interiorità psichica. Cfr. R. Rojas, La política del Pauvre Lelian, op. cit., p. 66.

Taine»357. Ma la fantasia dell’intellettuale, che si prepara ad assistere ai

festeggiamenti della patria per «el día de la República», è soggiogata soprattutto dagli oggetti disparati, dalla «silla donde murió Voltaire» all’«autográfo macilento de Luis XVI», che narrano i giorni tumultuosi della Rivoluzione francese, «reliquias revolucionarias que rememoran el más hermoso drama de fe, de utopía, de gloria, de vergüenza, de canalla y de heroismo que hayan visto los tiempos»358.

Procedono, dall’emozionante galleria storica del museo Carnavalet, pagine dove si addensano eloquenti pronunce dell’intellettuale circa la realtà nazionale che gli si ritrae nella cornice visuale dei festeggiamenti del 14 luglio. Da una parte l’allegria festosa, spensierata della folla che manifesta con una sfrenatezza forse poco consona – critica velatamente il cronista – alla ricorrenza solenne che l’ha tratta in piazza. Dall’altra i pronunciamenti ufficiali, di diverse bandiere, di politici e uomini di cultura: a un estremo, le grida antimilitariste di un Hervé, a un altro gli inni alla Francia e all’Alsazia e la Lorena francesi dei «compañeros de la Liga de los Patriotas», con Déroulède e Barrès in prima fila ad omaggiare di fiori la figura di Giovanna d’Arco e la «estatua de la ciudad de Estrasburgo»359. La «patria», scrive Rojas, a cui tutti i

gruppi dirigenti, ciascuno secondo la propria fede politica, hanno portato i loro omaggi, «es aquí una realidad etnográfica y un sentimiento indestructibile ante los cuales ha tenido que ceder hasta la generosa construcción socialista»360. Come dimostra uno scorcio di La crisis del Midi, Rojas individua

nella Francia il più solido modello di nazione in Europa, perché può riposare, a differenza di Spagna, Germania ed Italia, su una antica «unidad de territorio y de espíritu», forgiatasi, dopo il crollo dell’imperio di Carlo Magno, su una politica che ha guardato alla definizione e conservazione dei confini naturali e non al gioco ambizioso dell’annessione forzosa e dell’espansione territoriale. È però con simpatia ed entusiasmo che il giovane argentino guarderà all’espansione del paese nelle colonie nordafricane: con l’entusiamo di vedere difesa e onorata la bandiera della “latinidad” nell’arena internazionale – prepotentemente occupata dai paesi dell’asse anglogermanico – del nuovo colonialismo europeo. Rifletterà su questo punto nelle pagine de La exposición

de Vincennes, ma nella stessa cronaca di Crisis del Midi Rojas esprime il suo

diretto coinvolgimento sentimentale e politico, «como latino», per «el porvenir de Francia, para que siga siendo en la ola móvil de la democracia experimental, la quilla y la proa de las naciones»361.

Qui, come in altre pagine, Rojas dimostra di essere chiaramente partecipe del «nacionalismo latino» che - come aveva annotato Romero –, con un significativo retaggio dell’arielismo rodoniano si incrociava complessamente nell’ideologia nazionalistica della generazione del “Centenario”. L’ondata

357 Id., El día de la República, in Cartas de Europa, op. cit., pp. 29-30. 358 Ivi, p. 28.

359 Ivi, p. 35. 360 Ivi, p. 34.

nazionalistica dei giovani di “Ideas”, argomentava lo studioso, traeva il suo impulso da un atteggiamento fieramente oppositivo nei confronti dell’imperialismo nordamericano. Quel diffuso sentimento antistatunitense aveva trovato un riconoscimento, nella politica diplomatica del loro paese, nel rifiuto, opposto dai rappresentanti argentini alla prima Conferencia Panamericana di Washington nel 1889, a ricevere il tutorato degli Usa. Va d’altra parte osservato che «buena parte de aquella resistencia contra los Estados Unidos nacía en ciertas élites argentinas de su solidariedad con Inglaterra y de su consustanciación con los modos de vida inglés. Pero de todos modos, nació de esta extraña coyuntura una manifestación del nacionalismo latino, que se lanzaba contra los admiradores del utilitarismo nortemamericano y detractores, al mismo tiempo, de la tradición española»362.

Può essere allegato come un’interessante testimonianza del credo “latinista” che univa i giovani letterati del “Centenario” il sonetto con cui Charles de Soussens salutava nel luglio del 1908 il poeta recentemente rientrato in Argentina dal suo giro europeo. Così come alla sua partenza, un banchetto, presenziato da Chiappori, Palacios, Muñoz, Leguizamón, Jofré, tra altri, rendeva omaggio al «paladín» tornato alla patria con il «mensaje» nuovo de La

Restauración Nacionalista. Al poeta di origini svizzere de Soussens toccò il

compito di mettere in rima il saluto affettuoso degli amici al viaggiatore testimone de «le rêve inmense» di Parigi e delle immortali geografie spirituali «de la race latine»:

Mais sur tout chante-nous, dans ton rythme espagnol, Le printemps éternel de la race latine

Qui, de l’Arc du Triomphe á la Puerta del Sol, Mélange ses parfums dans ton âme argentine Et-joint au fier ombu des temps ensevelis La splendeur de la rose et la grâce des lys363.

Ma nelle Cartas de Europa la celebrazione della “latinidad” si era in verità incentrata attorno all’epicentro francese dell’“Arc du Triomphe”, lasciando sotto traccia la dislocazione ispanica, nella “Puerta del Sol” madrilena, tracciata nelle rime enfatiche di de Soussens. Alla Francia si rivolge lo sguardo del viaggiatore argentino come alla «guía y mentor de nuestro espíritu latino»364. È assolutamente significativo che nelle Cartas la rivendicazione di

questo «espíritu latino» eluda completamente il riferimento identitario a una

362 J. L. Romero, El desarrollo de las ideas en la sociedad argentina del siglo XX, op. cit., p. 59. 363 El regreso a la patria, in La obra de Rojas, op. cit., p. 91. Come chiarisce una nota editoriale, si

riproduce qui un articolo apparso con il titolo La demonstración a Ricardo Rojas nella rivista “Nosotros” dell’agosto-settembre del 1908. Ad un’introduzione che rievoca la celebrazione dell’omaggio offerto a Rojas, seguono un Discurso di Atilio Chiappori, e, all’epilogo, le rime di de Soussens dedicate “A Ricardo Rojas”.

matrice spagnola, che si approfondirà invece nelle pagine della Restauración

Nacionalista.

Il dualismo nazionalistico (latino-argentino) prospettato nelle pagine di Desde

París si estende qui - nella sezione dedicata alla trattazione particolareggiata del

“Curso de Historia” - in un trinomio schematicamente costruito sui campi identificativi di «espíritu», «idioma» e «territorio»: «latinos de espíritu, españoles de idioma, americanos de territorio»365. La Spagna si riconosce qui come «raíz

misma» del mondo americano e come una matrice che trasmette con una mediazione lo “spirito latino” nella cultura del nuovo mondo. Si vedrà poi come nel Retablo español Rojas svilupperà un’interpretazione “etnicoculturale” della storia della Spagna che tenderà a svalutare significativamente la matrice romana e visigotica rispetto al suo primitivo fondo “iberico”, nel quale riconoscerà l’elemento davvero strutturale, il carattere perpetuo, del “genio” della razza: il riferimento, insistito durante tutto il percorso del viaggio spagnolo, alla «raza ibérica» e alle sue specifiche espressioni psicologiche e antropologiche sottende, come in Gálvez, un’operazione di «deslatinización» della penisola iberica tesa a dimostrare l“individualità” assoluta della sua cultura nel contesto globale delle nazioni dell’Europa mediterranea.