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I VIAGGI IN EUROPA DI RICARDO ROJAS

2. La riflessione attorno alla nazione argentina

Si è visto come le Cartas de Europa si fossero formate come una materia cronachistica scaturita con l’immediatezza propria del reportage giornalistico dallo sguardo del corrispondente venticiquenne de “La Nación” iniziato all’esperienza del vecchio mondo. Retablo español venne ad essere piuttosto la narrazione al passato remoto di un viaggio della giovinezza scritto dal punto di vista di uno scrittore «poligráfico» all’apice di una feconda carriera intellettuale. Si sa come questa fu tutta quanta votata, nel contributo scrittorio come in quello docente, all’elaborazione di un pensiero nazionalistico concepito al calore dei pressanti interrogativi identitari di cui avevano cominciato a farsi interpreti, imponendoli con vigore nel dibattito culturale dell’Argentina del primo ‘900, gli intellettuali della “generación del Centenario”.

I compatti anche se confusi proclami di rigenerazione patria che agitavano quegli ambienti avrebbero appunto trovato una prima importante espressione sistematica ne La Restauración Nacionalista di Rojas, e ne El diario de Gabriel

Quiroga di Manuel Gálvez. Alla pubblicazione dell’opera galveziana si

affiancava, proprio nel 1910 delle fastose celebrazioni dell’anniversario dell’indipendenza argentina, un ulteriore importante contributo di Rojas,

Blasón de plata, seconda tappa della triade dedicata a quella che denominò la

sua «filosofía de la nacionalidad», culminata ne La argentinidad del 1916. A partire da questo esordio pressappoco simultaneo, le parabole nazionalistiche dei due compagni di generazione si svilupperanno secondo traiettorie intellettuali senza dubbio distinte nei loro esiti ideologici. Come si vedrà, Rojas costruirà «un nacionalismo particular, democrático, laico, no tradicionalista ni xenofobo, que propone una síntesis armónica entre lo antiguo y lo nuevo, entre lo nacional y lo extranjero, entre lo indígena y lo hispánico, que denuncia la dependencia cultural y económica, pero sin deternerse a analizar sus mecanismos ni a ahondar en soluciones, que propone una visión renovada de la historia nacional, de la cual no debe estar ausente la perspectiva del Interior». Gálvez, invece, «profundamente católico y profundamente provinciano, elaborará una visión del mundo que, rechazando el cosmopolitismo y la tradición liberal, se anticipará en muchos aspectos a ciertas temáticas del nacionalismo de la década del 30»243.

La brusca alterazione della realtà socioeconomica del paese dovuta all’introduzione forzosa di un capitalismo straniero e di ingenti componenti immigratorie imponeva per i giovani intellettuali riuniti attorno alla rivista “Ideas” (1903) la necessità di approntare un programma di rigenerazione etica

243 M. I. Barbero y F. Devoto, Los nacionalistas, Buenos Aires, Centro Editor de América

e riforma sociale del paese che metteva necessariamente in discussione il modello del liberalismo ottocentesco di Gutiérrez, Alberdi e Sarmiento, riconosciuti come i «próceres ilustres» di una civiltà progredita ed opulenta, ma drammaticamente priva di un piano morale ed in preda alle espressioni del materialismo più brutale. Tale era agli occhi della nuova generazione - Rojas, Gálvez, Juan Pablo Echagüe, Florencio Sánchez, Martínez Cuitiño, Alberto Gerchunoff, Emilio Becher, Charles de Soussens, Eugenio Díaz Romero, Eduardo Acevedo Díaz, Atilio Chiappori, per ricordarne solo alcuni - l’Argentina che si preparava a festeggiare l’imminente ricorrenza del “Centenario”. Era, nelle rievocazioni di Giusti, una generazione che viveva nell’«heroismo» come in «un estado natural», imbevuta con ingenuo anacronismo della fede romantica nel «progreso indefinido», fiduciosa, «a pesar de las engañosas aparencias, en la concordia de las naciones y en la paz universal»244. Salde origini provinciali, che radicano il loro retroterra di vita e

esperienza nell’ambiente tradizionalista e arcaico dell’Argentina dell’“interior”, orientano il loro sguardo inquieto su una capitale che condensa i vizi di uno spirito cosmopolita e mercantile, e disegna nel suo babelico traffico di uomini il fenomeno inquietante di una progressiva “descaracterización” del paese245.

I confusi conati di quel nazionalismo embrionale emanano dall’impatto repulsivo con l’atmosfera «fenicia» della capitale e dalla comparazione nostalgica con il mondo sano delle provincia e del suo vecchio ordine patriarcale. In questo senso nel clima sentimentale del “Centenario” si riattiva attorno ad un’ancora fragile proposta di rigenerazione del paese il sanguigno rinascimento della tradizione “criolla”, l’«agresiva resurrección de la rebeldía gaucha» che verso fine ‘800, attorno alla barbarie eroica del Martín Fierro, cominciava ad attestare una vasta, irruenta reazione culturale contro l’oligarchia aristocratica degli uomini dell’‘80 - esecutori estremi della «política civilizadora» di Sarmiento246.

244 R. F. Giusti, Visto y vivido: anécdotas, semblanzas, confesiones y batallas, Buenos Aires, Losada,

1965, p. 88.

245 Mi affido su questo punto ad un’esaustiva rievocazione generazionale delle memorie

galveziane: «en su mayoría veníamos de las provincias. Ricardo Rojas era santiagueño y Juan Pablo Echagüe sanjuanino; Emilio Becher y Emilio Ortiz Grognet procedían del Rosario, donde había vivido hasta poco antes; Leumann y yo santefecinos, él por nacimiento yo por mi familia paterna […] Mario Bravo era tucumano y Alfredo López Prieto de Río Cuarto, y Alberto Gerchunoff había pasado su infancia en una colonia israelita de Entre Ríos». Cfr. M. Gálvez, Recuerdos de mi vida literaria. Amigos y maestros de mi

juventud, Buenos Aires, Hachette, 1961, p. 39. Sulle origini di Rojas e Gálvez, discendenti di

due agiate famiglie dell’“interior” – espressioni tipiche delle elites consevatrici della “generación del 80” - che si erano distinte nell’amministrazione politica di Santiago e Santa Fé, cfr. il già citato lavoro di Cárdenas e Payá.

246 Come ricostruisce Romero, questo fenomeno culturale avrebbe trovato espressione sul

piano politico nella costituzione del partito radicale, la “Unión cívica”, attorno ad «un programa de clase, de clase popular, de clase no privilegiada». La convergenza di Rojas con gli ideali populistici del gruppo radicale si ebbe solo verso gli anni ‘30, quando la coalizione era al tracollo e si preparava l’ascesa del generale Uriburu (J. L. Romero, El desarrollo de las

Il Martín Fierro di Hernández del 1872, La tradición nacional (1888) e Mis

montañas (1893) di Joaquín V. González, le opere di Martiniano Leguizamón e

di José S. Álvarez realizzano in un’importante produzione letteraria e sociologica una narrazione nostalgica della “provincia”, nella quale un importante studioso del nazionalismo argentino ha visto il retroterra essenziale a partire dal quale Rojas, con un ripudio sostanziale dell’«ideario liberal de Sarmiento y Alberdi», avrebbe definito «la conciencia y el ideal» dell’“argentinidad”247.

El país de la selva, pubblicato a Parigi nel 1907, fu certamente uno dei più

specifici contributi a questa vasta tendenza “nativista” delle lettere e della cultura argentina otto-novecentesca. Con orgoglio Rojas la presentava nelle In effetti l’ideale civico di Rojas e Gálvez, hanno accuratamente ricostruito Payá e Cárdenas, stentò ad esprimersi in una «definida militancia política», esprimendosi in un programma nazionalistico dalla vocazione idealistica, nobilmente pedagogica, che, scardinando «verdaderos dogmas de nuestra historiografía» – si pensi al riscatto da parte di Gálvez della figura unanimamente condannata del caudillo Rosas - «permitiera proyectar al presente político la necesidad de rectificar el proceder de los dirigentes» (E. J. Cárdenas, C. M. Payá, op. cit., p. 108). Se da una parte il loro nazionalismo rifletteva un attaccamento nostalgico ai valori del mondo intellettuale e politico della vecchia generazione dell’80, di cui i padri dei due scrittori furono protagonisti eminenti nelle loro sedi regionali, dall’altra non si sentirono congruamente rappresentati nelle loro istanze idealistiche dai nuovi esponenti del gruppo conservatore - espressione di quelle stesse forze oligarchiche - nei quali videro «dirigentes mediocres y carentes de un ideario sugestivo» (ivi, p. 112). Viceversa, il socialismo li attrasse con il verbo seduttivo dell’ugualitarismo, ma non li potette conquistare per l’inconciliabilità della nuova dottrina materialista e internazionalista «con el destino libertador que atribuían a la argentinidad». Diversamente, gli oscuri messaggi di patriottismo e di spiritualità che emanavano dalle «misteriosas declaraciones de Hipólito Yrigoyen» finirono col fare breccia sulle disorientate coscienze civiche dei due autori (ivi, p. 112).

Anche Zuleta ha segnalato il fatto peculiare della mancanza di un’effettiva militanza politica in una personalità così esemplarmente votata al campo delle passioni civiche quale quella di Rojas. La sua adesione nel 1931 alla causa già in declino del radicalismo prospetta a suo avviso una “diminuzione” del suo «ánimo batallador y polémico contra las grandes figuras del liberalismo», e la conseguenza di un grave «desencuentro» - testimoniata da El

Radicalismo de mañana – con la realtà politica e sociale alla quale aveva accettato di aderire.

Per ciò che concerne il problema delle relazioni di Rojas con l’ambiente politico e culturale dell’epoca Zuleta si limita a notare che, nonostante il carattere appartato e minoritario delle rivendicazioni telluriche e indianiste di Rojas e le battagliere polemiche contro «los dioses mayores del liberalismo», «se le dejó pasar al recinto de la cultura oficial» (E. Zuleta Álvarez, El Nacionalismo argentino, tomo I, Buenos Aires, Ediciones La Bastilla, 1975, pp. 96- 97).

Quanto alla parabola ideologica di Gálvez, si sarebbe distinto come «uno de los pocos intelectuales no radicales que apoyó a Yrigoyen», sostenendo su tale sua convinzione «una significativa polémica con Julio Irazusta y La Nueva República». Difese il radicalismo come «una “expresión viviente y exaltada del sentimiento nacionalista” que “nada debía a las doctrinas ni a los métodos europeos…sino que había surgido de la masa popular”»; viceversa gli adepti della Nueva República denunciavano il carattere populistico e damagógico del governo del «caudillo radical» (M. I. Barbero y F. Devoto, op. cit., pp. 22-23).

pagine prefatorie del libro come il suo omaggio personale al “romance” dei «genios rústicos» del mondo primigenio dell’“interior”, che annoverava già un’illustre, anche se limitata genealogia di cantori “epici”: Sarmiento, «el Homero de la Barbarie», Echeverría, che «supo el triste romance de los payadores pampeanos», González, «cantor de la cumbre riojana» lo hanno infatti preceduto nell’impresa meritoria di approntare una «geografía espiritual de la República», tutta da farsi, però, per il mondo delle «selvas» del nord-est argentino, in attesa ancora del suo «interprete»248.

In questo senso, come ha analizzato Arias Saravia, stimolata nelle sue riflessioni dalle importanti scritture degli anni ‘40 sulla cultura nazionale di Canal Feijóo249, Rojas avvia un processo di «reterritorialización» del concetto

dell’argentinidad, che reagisce energicamente all’atteggiamento «antitelurista» e «antihistoricista» con cui gli uomini della generazione del ’37, in evidente controtendenza con i canoni di poetica della stagione romantica a cui appartennero, modellarono il «parametro identitario» della cultura nazionale. Nel passo sopra evidenziato Rojas richiamava quei primi contributi delle lettere ottocentesche alla valorizzazione del paesaggio nazionale, dei distinti paesaggi delle anime regionali del paese. Viceversa Feijóo avvertiva che «si hubo un romanticismo argentino, fue un romanticismo sin paisaje», segnalando come in Sarmiento e Alberdi la «estructura constitucional» del paese fosse stata concepita «como plan de destrucción de una estructura natural, y “construcción” en el desierto» di una struttura culturale fondata, come è noto, sull’immissione di capitale umano e tecnologico proveniente dalla colta Europa.

Invertendo questa “idiosincrasia naturalistica” della cultura ottocentesca, Rojas e Gálvez, ha scritto Aras Saravia, prospetteranno una visione nazionalistica in cui «la tierra nativa, en tanto impronta matriz y ámbito de referencia, detentará un rol fundamental como patrón plasmador y preservador de la ontología argentina, que se pretende redefinir y “rescatar”»250.

248 R. Rojas, El país de la selva, Buenos Aires, Editorial Guillermo Kraft Ltda., 1946, p. 69.

Una recensione di Giusti al País de la selva, pubblicata nel 1908 nella rivista “Nosotros”, aggiungeva alla genealogia rintracciata da Rojas i nomi di Obligado e Leguizamón, di Talero, che «ha intentado dar carta de ciudadanía al Neuquén en la república de las letras», e quello effettivamente imprescindibile, almeno nella sfera dei meriti letterari, di Lugones, che «se ha apoderado con La guerra gaucha de las mesetas salteñas y jujeñas, convirtiéndolas en materia de arte en su prosa ruda, abrupta, que bien condice con la épica lucha che “canta”» (R. J. Giusti, El país de la selva, in La obra de Rojas, op. cit., pp. 77-78).

249 B. Canal Feijóo, En Torno al Problema de la Cultura Argentina, Buenos Aires, Editorial

Docencia, 1981.

250 L. Arias Saravia, Desterritorialización/reterritorialización, parámetro identitario de la argentinidad,

in H. E. Biagini y A. A. Roig (directores), El pensamiento alternativo en la Argentina del siglo XX.

Identidad, utopía, integración, vol. I, Buenos Aires, Biblos, 2004, pp. 262, 263, 266. Il saggio

costituisce una circoscritta presentazione di materiali emersi da un ambizioso progetto di ricerca condotto sulle direttrici metaforiche nella saggistica argentina dedicata al tema dell’identità nazionale, oggettivatosi nell’imponente libro La Argentina en clave de metáfora. Un

itinerario a través del ensajo, Buenos Aires, Corregidor, 2000. La fondazione simbolica

Questa ridefinizione identitaria passa innanzitutto attraverso un programma – costitutivo, al di là della parabola intellettuale di Rojas, dell’esperienza complessiva della generazione del Centenario - di «regionalización cultural de la Nación», di riscatto, cioè, delle «provincias come un componente indisoluble de la “Nueva Argentina” actualizada»251. Tale attenzione per la

dimensione della “patria chica” - cellula strutturante dell’organismo complessivo nazionale e polmone d’ossigeno patrio per la capitale esposta alla corrosione degli “effluvi” cosmopoliti - troverà espressione specifica in un’opera piuttosto dimenticata di Rojas, Las provincias, del 1922, ma già affiora, come si è visto, nelle premesse programmatiche annesse alla narrazione “silvestre” dell’opera del 1907.

Si può osservare che qui, ne El país de la selva, ma in generale in tutte le esperienze che si sono richiamate di questa letteratura del “ritorno” alla provincia, il viaggio ricopre un momento centrale nel processo di scoperta ed esplorazione della geografia fisica del paese e delle sue “essenze” telluriche252.

Si danno in ciò dei paralleli significativi con la valorizzazione realizzata da Unamuno, e con lui da tutta la generazione “viajera” – come la si è definita spesso - del ’98, della pratica “escursionistica”, ereditata dall’instancabile attività esplorativa di Giner de los Ríos), come momento di avvicinamento sentimentale e culturale del cittadino al “corpo” fisico della patria, e dunque come strumento primario di edificazione patriottica.

«Cobrar apego a la tierra», coltivare «ternura para con la tierra», noti moniti unamuniani a sollecitare attraverso il viaggio l’esperienza corporea, prima che concettuale, della propria nazione: «la primera honda lección de patriottismo se recibe cuando se logra cobrar conciencia clara y arraigada del paisaje de la

“Reversión del signo axiológico de los campo metafóricos autonegadores de la realidad y la hisoria argentinas: el proceso de legitimización” (pp. 357-478). Apprezzabile per la attenta analisi effettuata sulle strutture simboliche, lo studio, però, per l’impianto esplicitamente dato alla presentazione dei risultati della ricerca, non può sempre approfondire le questioni teoriche e critiche sollecitate dalle opere in questione, peraltro afferenti ad un vasto spaccato della cultura argentina otto-novecentesca.

251 P. Heredia, Diseños regionales y macro-regionales de nación, in El pensamiento alternativo…, cit., p.

290.

252 Heredia ha registrato il carattere polimorfico delle esperienze intellettuali e dei generi di

scrittura attraverso cui si produce il «dicurso regional» di questa stagione, stimolato dall’«entrecruzamiento de los discursos de lo popular, de la tradición gauchesca, de las crónicas de viaje, de los ensayos de interpretación cultural y política, de la pedagogía y del periodismo» (P. Heredia, op. cit., p. 291). In tale eterogeneo sistema discorsivo si impone il punto di vista conoscitivo e retorico aperto dalla pratica del viaggio, come lo studioso riflette nelle pagine “Viajes culturales”, nelle quali si presentano anche delle più specifiche prospettive critiche, non sempre convincenti, sui simbolici “viaggi” culturali intrapresi dalla parabola saggistica di Rojas. Sulla produzione letteraria dell’ambito norteño della cultura argentina si segnala l’accurato studio di A. Poderti, La narrativa del noroeste argentino. Historia

patria, después de haberlo hecho estado de conciencia, reflexionar sobre éste y elevarlo a idea»253.

In molte di queste esperienze, rivendicazioni nostalgiche di un mondo che si percepisce assediato dal processo di secolarizzazione e omologazione della civiltà moderna, la rievocazione della terra nativa coincide con quella del tempo dell’infanzia. Tempo sacro per Unamuno, che considerò i suoi Recuerdos

de niñez y mocedad - uno dei diversi libri di cui fece omaggio a Rojas – come

uno dei frutti più amati della sua produzione, opera in cui aveva tentato di fermare non la sua «alma de niño, sino el alma de la niñez»254.

E così pure in Rojas il recupero della materia “antropologica” si produce a ridosso di un recupero della memoria, suscitata a sua volta dall’atto vivificante del viaggio. Per ottenere «la verdad del detalle» dei paesaggi del Chaco, scriveva Rojas nelle avvertenze preliminari dell’opera, aveva anzitutto dovuto rinnovare «la emoción» dei suoi ricordi di bambino, dandosi a viaggiare «con pasión por la selva descripta». Quindi un ciclo di consultazioni di materiali folclorici avevano dato riscontro teorico a una narrazione che traeva la sua unità dalla linfa sentimentale di memorie, repertori di miti, usanze e credenze che avevano segnato il mondo immaginativo della sua infanzia santiagueña. Omaggio ad una memoria privata e collettiva, segnate entrambe dalla minaccia dell’estinzione, El país de la selva attesta la precoce255 formazione

dell’interesse dell’intellettuale per il mondo delle tradizioni folcloriche e delle espressioni della letteratura popolare, attorno al cui riscatto avrebbe fondato – negli anni della sua longeva docenza universitaria – un’operazione di raccoglimento e istituzionalizzazione del capitale culturale del popolo argentino nel quale si possono rintracciare alcuni dei risultati più peculiari del suo nazionalismo “umanistico”.

Non è un caso che fosse stato Joaquín González, autore de La tradición nacional e di Mis montañas, «precursor de esa sensibilidad atenta a los paisajes y a las viejas costumbres del interior del país que caracterizaba el pensamiento nacionalista»256 dello scrittore tucumano, ad affidargli nel 1909 la docenza,

nell’Università de la Plata da lui diretta, delle cattedre di letteratura spagnola, di letteratura europea e storia dell’arte. È l’inizio di una carriera feconda, che si sarebbe esercitata «sin interrupción y con prescindencia de toda otra actividad, salvo las letras, durante el resto de su vida»257. Nel 1912 gli venne assegnata,

253 M. de Unamuno, Frente a los negrillos, in Obras Completas, Paisajes y ensayos, vol. I, Madrid,

Escelicer, 1966, p. 282.

254 Su questo aspetto insiste l’interessante contributo di M. A. Lozano Marco, Recuerdos de

niñez y de mocedad. Unamuno y «el alma de la niñez», in “Anales de literatura española”, n. 14, 2000-2001, pp. 151-162.

255 Come segnala la nota editoriale dell’edizione alla quale mi sono riferita, l’opera fu data

alle stampe nel 1907 da Garnier, ma a partire dal 1901 “Caras y caretas”, e poi “La Nación”, ne avevano anticipato alcune «primicias».

256E. J. Cárdenas, C. M. Payá, op. cit., p. 84.

257 H. Castillo, Ricardo Rojas, Buenos Aires, Academia Argentina de Letras, 1999, p. 173.

Solo in un frangente, ricorda lo studioso, la serena attività pedagogica e accademica di Rojas è turbata da avvenimenti che si contestualizzano nell’ambito della riforma

per iniziativa di Rafael Obligado – secondo una testimonianza di Giusti – la prima cattedra di letteratura argentina, in mezzo allo scetticismo dei molti che diffidavano dell’esistenza effettiva, postulata dalla creazione di quella istituzione, di una letteratura nazionale.

La scommessa assunta da Rojas, non solo di dimostrare la vitalità di quell’entità storica, ma soprattutto di «explicar a través de ella la conciencia misma de la nacionalidad»258 – si sarebbe coronata nell’impresa imponente

della Historia de la literatura argentina, i cui primi quattro volumi (Los gauchescos,

Los coloniales, Los proscriptos, Los modernos) apparirono tra il 1917 e il 1922259. Nel

1922, assumendo il decanato della Facoltà di “Filosofía y Letras” di Buenos Aires, fonda l’“Instituto de Filología” – che esordì sotto la direzione di figure eccellenti quali Américo Castro ed Augustín Millares - e l’“Instituto de Literatura Argentina”, ancora oggi intestato al nome del suo creatore, la cui attività «se completa con la creación de la Biblioteca Argentina […] creada en 1914 con el apoyo del editor Juan Roldán»260. Grazie al lavoro infaticabile del

decano, ricorda Moya, l’istituto avrebbe raccolto gli ingenti materiali scaturiti