• Non ci sono risultati.

I VIAGGI IN EUROPA DI RICARDO ROJAS

13. Una Spagna non europea

Entro il variegato repertorio di diagnosi e terapie del “problema de España” espresso dalla riflessione degli intellettuali del ’98 le voci di Costa ed Unamuno si possono considerare rappresentative di due estremi, opposti, fronti discorsivi, entrambi segnati da un evidente gusto della provocazione retorica e dell’eccesso iperbolico, in linea generale propri di tutta la fitta produzione attraversata dal motivo generazionale del “dolor de España”. Costa, più di altri, si era mostrato allarmato dal pericolo che la nazione una volta potentissima e gloriosa affondasse definitivamente nella miseria del suo «medio africano», finendo con il figurare nel consorzio europeo come lo strano e pietoso caso di «una tribu medioeval, en estado de fósil, estorbo en el camino de la civilización». Per il “León de Graus”, a procedere in quello stato vergognoso di prostrazione nazionale, non era remota la possibilità che un nuovo Sidi Mohamed fondasse nel Garb marocchino una poderosa nazione

que sienta vergüenza del nombre español y se apiade de nosotros y señale come ideal y como objetivo a su política exterior la resurrección de España, en memoria de aquellos siglos en que fuimos hermanos498.

Con un sovvertimento eclatante della prospettiva “rigenerazionista” di Costa, «la desafricanizacíon y europeización de España», Unamuno avrebbe invece inseguito una via di specificazione della peculiarità iberica proprio entro il solco di quella “primitività” africana della Spagna che in tanta misura concorsero a definire le scritture odeporiche degli scrittori romantici francesi.

In primis di Dumas, che, raccogliendo un’antica affermazione di Feijó, aveva

asserito in una frase destinata a divenire assai celebre che “l’Africa comincia nei Pirenei”499. Come scriveva Menéndez Pidal,

498 J. Costa, Reconstitución y europeización de España. Programa para un partido nacional, Madrid,

Imprenta de San Francisco de Sales, 1900, pp. 160, 116.

499 Cfr. M. de Unamuno, Sobre la independencia patria, in Obras completas, Nuevos ensayos, op. cit.

Questo testo unamuniano spicca per la particolare irruenza polemica con cui, rileggendo l’episodio delle guerre napoleoniche in Spagna come lo scontro tra le forze straniere della tradizione francese e quelle dell’indomito spirito «berberisco» autoctono, si scagliava contro la vicina nazione dall’altra parte dei Prirenei, definendola un «animal condecorado que no sabe Geografía», del tutto impreparato ad esercitare la logica del rispetto delle differenze culturali che pretende di esercitare in virtù della sua tradizione democratica. Il testo concludeva con una calda espressione di solidarietà per «esos nuestros hermanos de África»; la “rigenerazione” di questi ne era auspicata come quella che avrebbe investito la Spagna nel giorno in cui fosse insorta «contra quienes tratan de imponerle una fórmula de cultura que no aprovecha ni puede aprovechar a su alma noble y genuinamente berberisca» . Accettando finalmente la frase di Dumas, scriveva Unamuno, la Spagna potrà guardare tranquillamente cominciare, al di là dei Pirenei, l’Europa alla quale non appartiene. «Para enfrentarnos y rebajarnos se inventó aquella frase de que el África empieza en los Pirineos,

Unamuno (sugestionado por la infeliz historia de Martín Hume) convirtió ese vejamen en afirmación programática, proponiendo el cultivo preferente de aquellas cualidades por las que el pueblo español difiere de sus vecinos de Europa, pues considera la afirmación de africanidad como paso previo de una valorización que pueda algún día permitir el influjo de España sobre los otros pueblos modernos500.

«Poco me importa la civilización de un país; lo que yo busco es la poesía, la naturaleza, las costumbres»: rievocando questa affermazione altrettanto paradigmatica del viaggiatore francese in Spagna, Sarmiento consolidava nei suoi Viajes il parallelismo tra l’«aspecto físico de la España» e quello dell’«África o de las planicies asiáticas»501.

Da una parte, ha analizzato la Colombi, la letteratura odeporica di Sarmiento relativa alla Spagna procedeva ad un lavoro di messa a distanza e sovvertimento dei procedimenti descrittivi e clichés rappresentativi consolidati dai viaggi letterari di Mérimée, Hugo, Dumas e in particolare di Gautier, testi portanti di un processo di trasfigurazione immaginativa del territorio condotto sulle tonalità espressive del “pintoresquismo”, del “color local”, che avevano favorito il progressivo consolidamento dell’immagine stereotipata di una Spagna orientale, africana, barbara e primitiva.

Sarmiento si preoccupava innanzitutto di scardinare, nell’elusione o nel rovesciamento, le fondamentali modalità descrittive che sorreggono quella che – annota la studiosa - egli non mancava di percepire come la finta Spagna scaturita dall’affabulazione descrittiva dei viaggiatori francesi, una Spagna che è «invención de Francia». Non ripudiava però, ma anzi si avvicinava alle posizioni di Dumas, sfruttando retoricamente l’«analogia oriental, como una continuidad de la establecida en el Facundo»: esotismo, orientalismo come barbarie, arretratezza, disagio culturale. La condanna del mondo spagnolo era quindi celebrata su un edificio concettuale che si voleva in ogni modo sgombro dal coacervo di luoghi comuni e stereotipi di cui l’hanno popolato gli y aquí nos hemos pasado los años procurando borrarla y citándola como un bochorno. Día llegará […] en que repitamos con orgullo esa frase y digamos a nuestra vez mirando allende nuestros montes linderos: “Europa empieza en los Pirineos”» (M. de Unamuno, Sobre la

independencia patria, in Obras completas, Nuevos ensayos, op. cit., pp.731- 732). Sull’eredità

africana della Spagna l’Unamuno giovanile aveva mostrato un atteggiamento assai diverso, come è noto, nel dialogo epistolare con Ganivet che sarebbe poi stato annesso con il titolo di El porvenir de España all’Idearium español. Un’edizione italiana di quell’opera è stata recentemente predisposta da G. Scocozza: cfr. A. Ganivet, M. de Unamuno, L’avvenire della

Spagna, Catanzaro, Rubbettino, 2009.

500 R. Menéndez Pidal, “Las dos Españas”, in Mis páginas preferidas. Temas lingüísticos e

históricos, Madrid, Editorial Gredos, 2008, pp. 277-278. Le pagine di “Las dos Españas”

appartengono al “Prólogo” al primo volume della Historia de España diretta dallo studioso, pubblicata da Espasa-Calpe nel 1947. Segnaliamo un’edizione italiana dell’opera curata e tradotta da E. Ruggiero: cfr. Menéndez Pidal, Gli spagnuoli nella storia. Introduzione alla Storia

della Spagna, Bari, Laterza, 1951.

sguardi dei viaggiatori stranieri. Smascherare tale reificazione immaginativa dello spazio spagnolo era il passo necessario alla propria denuncia di incompatibilità, all’espressione di una già esteriorizzata ispanofobia.

Rispetto all’“analogia orientalista” consolidata, in senso dispregiativo, da Sarmiento, Darío procedeva invece nel senso di una rivalutazione positiva degli stessi topoi della «barbarie hispana» (la Spagna della corrida per esempio), richiamandosi all’irriducibilità di una componente irrazionale, primitiva, dell’essere umano, che non sarebbe esclusiva dell’uomo spagnolo, ma anzi propria di ogni uomo (“…en cada hombre hay algo de español en ese sentido”). Su questa strada «argumenta por el rescate de la España mora, las “tierras solares”, reflotando con signo positivo ese “oriente” contenido en la geografia peninsular, lo que arraiga una nueva mirada sobre Andalucía»502.

In linea con Darío, ecco allora Rojas individua, dunque, un’essenza «dionisiaca» del popolo spagnolo. In consonanza con Unamuno dà piena voce ai caratteri peculiari del genio iberico, alla sua «potente originalidad», di quell’Unamuno che aveva esortato a rintracciare nel corpo della cultura spagnola le viscere vitali di uno spirito iberico che non si era mai completamente assorbito entro il processo di latinizzazione imperiale della penisola:

Latina es antes que nada nuestra cultura, pero ni le somos deudores a Roma de las entrañas de nuestro espíritu ni es de creer que hayamos aún convertido en carne y sangre propias esa cultura misma de que estamos revestidos503.

La visione etnico-culturale della Spagna di Rojas fa del tutto sua l’ammonimento di Unamuno. Così come in Blasón de plata e in Eurindia aveva ricostruito sulle matrici ancestrali dell’indio, lo spagnolo, il gaucho, l’immagine nazionale assediata dal processo dissolvente dell’immigrazione, così nel Retablo rinveniva nel «cauce histórico del pueblo español» la matrice caratterizzante dello spirito iberico:

Bajo la variedad física del hombre hispánico, bajo el aluvión de inmumerables invasiones de pueblos extraños, subyace lo ibérico, y de ello proviene el perdurable carácter de lo genuinamente español, que no es latino, ni árabe, ni gótico, aunque hay residuos de todo esto en el accidentado cauce histórico del pueblo español. ¿Trátase de un misterio telúrico? ¿De un misterio racial?¿ De un misterio espiritual?504

502 B. Colombi, op. cit., p. 128.

503 M. de Unamuno, España y los españoles, in Obras completas, Nuevos Ensayos, op. cit., p. 720 504 Id., Los iberos fuera del museo, in Retablo español, op. cit., pp. 46-47. Riprendendo la metafora

organicistica del frutto di Eurindia che si è richiamata sopra Rojas discerneva quindi tre differenti «entidades», livelli, dell’espressione della personalità ispanica nelle sue fluttuazioni tra storia e intrastoria: «España incluye tres entidades diferentes: lo español propiamente dicho concierne al Estado, a la política, a la historia externa en su totalidad; lo hispánico, a la cultura intelectual, especialmente al idioma castellano y a lo que en él ha expresado el genio racial; y lo ibérico, a lo más adentrado y antiguo de la raza, su ser espiritual, que irrumpe y se manifiesta, aquí y allá, en formas evidentes […] la cáscara, la pulpa y la semilla;

Approfondisce un’interpretazione “insulare” della penisola spagnola, che la recide dall’organismo della geografia europea, e allenta i lacci che la legano «por la geografía y por la historia» al continente africano, rifiutando – con una presa di posizione polemica indirettamente rivolta a Sarmiento - la lettura orientalista promossa da Dumas e per via “paradossale” rivalutata da Unamuno:

Europea es España según los mapas, aunque por la geología y por la historia tiene contactos íntimos con África, sin que se haya de aceptar por ello la frase proverbial de que el África empieza por los Pirineos. Ni europea, ni africana, España es una ínsula ibérica, distinta de cuanto lo rodea. Su tierra y su hombre se individualizan en una potente originalidad505.

È proprio dai Pirenei, barriera naturale che ha protetto, appartandola dal resto delle nazioni europee, l’insularità iberica, che deve allora partire l’itinerario ideale del viaggiatore ispanoamericano interessato a cogliere la specificità delle sue manifestazioni geografiche e storico-artistiche. Così ammonisce Rojas negli Avisos para entrar en España, proponendo un breviario di istruzioni a suo avviso indispensabili per orientare il cammino dei pellegrini ispanoamericani, sicuramente irreperibili nel pure «excelente Baedeker», fatto a misura delle più superficiali esigenze dei «viajeros de Cook».

Per non incorrere nell’«error» «de querer interpretar a España como a una nación europea» - sentenzia il primo punto della scaletta di indicazioni fornite da Rojas – il viaggiatore deve evitare quindi di arrivarvi dal fronte marino, passando per i suoi porti, che «a pesar de ser muy españoles», quelli del Mediterraneo così come quelli della costa settentrionale, recano le inevitabili impronte della industriosa modernità europea. È preferibile piuttosto arrivare in Spagna attraverso la frontiera francese, passaggio che – come l’autore del

Retablo chiarisce con la seconda indicazione - «torna más brusco el contraste

de lo francés, racionalmente europeo, frente a lo español, cuya historia es menos racional y ordenada»506.

Per condurre al meglio questo itinerario ideale dalla razionalità europea all’irrazionalità iberica, Rojas consiglia allora di penetrare la corazza pirenaica non dalla commerciale costa bilbaina e nemmeno da quella dei litorali mediterranei, ma di entrare nel suolo ispanico attraverso Hendaya, «para sumirse bruscamente en el misterio prehistórico de los vascos»507. Il percorso

raccomandato si struttura quindi come un vero e proprio salto “iniziatico” dal

logos europeo, dalle forme civilizzate della raffinata nazione francese, alla

primitività preistorica dei paesi baschi, nei quali già Sarmiento aveva tres partes de un solo fruto. La cáscara de España ha sido cobertura impuesta por dinastías extranjeras; el idioma ha sufrido también presiones exteriores, mientras lo ibérico mana de adentro, como la locura del Quijote vestido de armas anacrónicas» (ivi, p. 47).

505 R. Rojas, Avisos para entrar en España, op. cit., pp. 19-20. 506 Ivi, p. 20.

individuato, per essere i loro abitanti i discendedenti «en linea recta y sin mezcla de romanos, godos, o árabes, de los vascos que habitaban los Pirineos ahora tres mil años», il bastione “astorico” della nazione, e, per così dire, il “grado zero” delle sue strutture civili508.

«Sobrevivientes de una raza primitiva», ragiona Rojas, «únicos españoles sin mestizamiento de moro y con lengua no nacida del latín», i loro monti furono «el Ararat ibérico en el diluvio romano y el mahometano»509, e da questi

sarebbero discesi, con il sangue ancora puro degli antichi iberi, per andare a insediarsi, quando si era conclusa la reconquista della Spagna musulmana, nella regione castigliana.

E proprio verso la Castiglia, cuore storico della Spagna, deve proseguire allora, sulla traccia del fiume Ebro, «río ibérico por antonomasia», il percorso del viaggiatore ispanoamericano. Attraversando Miranda del Ebro, ragiona Rojas, è breve il passo per Burgos, «Caput Castellae», città del Cid e roccaforte gloriosa della “reconquista”:

Burgos, ciudad del Cid, fué la más vieja frontera contra los moros; afirmó su hegemonía en las rivalidades con León; el nuevo reino así constituido extendió su poder a Asturias y Galicia, luego a Toledo y Aragón, y lleva la marca de ese origen el Estado que después consuma la reconquista peninsular en Andalucía y realiza la colonización americana. Hay en ese proceso de adentro hacia afuera de la Península una precisión que aclara lo que parecería confuso visto desde la periferia marítima, pintoresca pero fragmentaria. Aconsejo, pues, plantar el árbol por su tronco, antes de verlo por su ramaje510.

Il percorso tratteggiato da Rojas vuole ricalcare così lo stesso processo che aveva sostenuto il consolidamento della nazione spagnola secondo una dinamica di «adentro hacia afuera», una dinamica che si era irradiata cioè dall’iniziativa politica del nucleo centrale castigliano, soggetto storico protagonistico del movimento di unificazione del paese. Rojas, dunque, faceva suo sin dalle premesse programmatiche della sua scrittura di viaggio il criterio “castellanocéntrico” che, promosso da un importante ciclo di opere della storiografia liberale spagnola tra Otto e Novecento, aveva sostenuto il dibattito di idee degli intellettuali del ’98 attorno al problema della decadenza spagnola.

508 «Las provincias vascongadas serían asunto digno de los estudios de un Thierry, si bien

como todos los pueblos primitivos, parecen sustraerse al exámen histórico por la simplicidad misma de la vida desnuda de acontecimientos importantes» (D. F. Sarmiento,

op. cit., p. 132). Trent’anni dopo queste affermazioni sarmientine, Ganivet, nelle pagine di El porvenir de España, rivolgendosi a Unamuno come a un esemplare degli «esforzados y

tenaces vascones», li dipingerà come «puros, aferrados al espíritu racial de la nación» e ancora atavicamente, ferocemente, attaccati alla dimensione primitiva di una vita collettiva immacolata dalle macchie del progresso, «todavía con el fusil al hombro para combatir las libertades modernas» (A. Ganivet, op. cit., p. 154).

509 R. Rojas, Avisos para entrar en España, op. cit., p. 20. 510 Ivi, pp. 20-21.

Il simbolo dell’albero, che delineava in Eurindia il ciclo culturale dell’argentinidad, sorregge qui la visione genealogica del mondo iberico. Conformemente alla sua struttura, il viaggio di Rojas, partendo dal nucleo preistorico, dall’«Ararat ibérico», dei paesi baschi, accede in Castiglia, «tronco» adusto della sua tradizione storica, scritta dall’epopea immortale del Cid. Scende quindi verso sud attraverso la geografia piatta e petrosa della Mancia, teatro di gestazione del Quijote, «biblia de la raza» iberica, per giungere in Andalusia, terra che rivela il lavorio secolare di un fitto processo di ibridazione razziale culturale che non ha comunque snaturato i tratti estremamente peculiari degli uomini andalusi, protagonisti essenziali del processo di colonizzazione delle terre del Río de la Plata.

Sulla traccia letteraria del viaggio africano sarmientino, sbarca in Marocco, a Tangeri, fermandosi brevemente, nel tragitto di ritorno, a Gibilterra. Procede quindi a est, in direzione di Barcellona, i cui densi percorsi si chiudono con una «divagación americana frente al Mediterráneo» che costituisce, come si vedrà, un significativo sunto dell’esperienza del viaggiatore sulla via ormai del ritorno. Passando fugacemente per la Galizia, e quindi per Lisbona, «el peregrino indiano vuelve a su patria». Con una eloquente simmetria alla proposta di “deseuropeización” tracciata negli Avisos para entrar en España, l’autore che si appresta a mettere la parola fine alla sua corposa scrittura di viaggio, guardando al paese travolto dalla faida di una guerra civile nella quale pesa l’intervento vile e predatorio degli interessi delle nazioni europee, vede ratificarsi l’esigenza di curare il male della Spagna attraverso una soluzione che porta nelle stesse matrici identitarie della sua altissima tradizione:

Algunos intelectuales, después de 1898, decían: “España es el problema y Europa la solución”. Pero se equivocaron. Ante lo que ahora ocurre, debemos decir:

ESPAÑA ES EL PROBLEMA Y ESPAÑA ES LA SOLUCIÓN511

14. Paisajes, ciudades, personas, instituciones, costumbres: aspetti tematici