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Paisajes, ciudades, personas, instituciones, costumbres: aspetti tematici e narratologic

I VIAGGI IN EUROPA DI RICARDO ROJAS

14. Paisajes, ciudades, personas, instituciones, costumbres: aspetti tematici e narratologic

Si sono descritte sopra in maniera sommaria le linee essenziali del percorso del viaggio, secondo quella direttrice espansiva da «adentro hacia afuera», dal tronco castigliano verso le sue ramificazioni costiere, tracciato da Rojas nel suo Retablo. Se quell’itinerario costituisce l’indice spaziale, la traccia geografica attorno a cui si forma la dimensione immediatamente referenziale della scrittura di viaggio, una parte abbondantissima dei materiali del libro eccedono dalla piana concatenazione narrativa degli eventi legati al fluire del percorso, presentandosi come sezioni autonome, talora lunghe digressioni riflessive, che

vanno a costituire come nuovi tasselli il pannello figurativo e plastico del

Retablo español.

Rojas lo aveva definito nelle avvertenze preliminari come una “collezione” di «paisajes, ciudades, personas, instituciones, costumbres». Appare opportuno dare conto qui dei criteri gerarchici e delle modalità narrative e stilistiche con cui tali ingredienti tematici si strutturano nell’edificio testuale del libro. E si deve cominciare con l’avvertire che nel Retablo, come già nelle Cartas de Europa, la storia, nelle sue drammatiche opposizioni tra storia e “intrahistoria”, costituisce il filtro dominante attraverso cui Rojas stimola il racconto della sua visione della Spagna. La lettura del mondo spagnolo attraverso la dicotomia interpretativa delle “storie parallele” si traduce in effetti in una biforcazione della stessa struttura narrativa del Retablo sui due percorsi antagonistici, per quanto strettamente annodati, della storia esterna e della storia interna. Si può dire, con qualche rischio di schematizzazione, che a un viaggio nella “storia esterna”, svolto prevalentemente nella prima metà del libro, nel quale si illustra – attraverso un confronto implicito con l’annoso dibattito della cultura nazionale sull’“enfermedad” della Spagna – il processo di decadenza del paese, segue in una seconda parte un viaggio nelle forme “intrahistóricas” delle sue manifestazioni letterarie, architettoniche, figurative e musicali.

Ma al di là di ciò, l’attenzione tanto pervasiva per le manifestazioni storiche fa sì che su di esse rimanga magnetizzato, a tutti i livelli discorsivi del testo, lo sguardo del viaggiatore, che ne rimane per certi versi asciugato nella capacità di recepire e tradurre in effetti verbali l’eterogeneità dei dati che pure dovevano essersi imposti alla sua esperienza di viaggiatore. Si veda per esempio come l’interesse del viaggiatore dinnanzi all’Arco de Santa María a Burgos si volga immediatamente al problema della decifrazione storica del monumento che segna l’accesso della città, senza che si dia il minimo trasporto estetico dinnanzi all’incombenza delle «arcáicas estatuas que lo adornan, adosadas a la puerta famosa». Il viaggiatore si limita ad osservare, compiaciuto della sua sollecita risposta interpretativa:

-Aquel es Fernán González, juez y conde, fundador de Castilla. El otro es Laín Calvo, abuelo del Cid512.

Molti gli esempi che si potrebbero addurre. Spicca quello della cronaca della visita a Toledo, nella quale, già nella visione di insieme della città prevale l’interesse del viaggiatore di discernere le varie anime storiche che ne hanno attraversato lo sviluppo urbano e artistico, distinguendo la «Toletum» menzionata da Tito Livio dai resti delle mura dell’«época visigótica», le tracce dell’«época morisca» da quelle segnate dal passaggio dei «ricos sefardíes del siglo XIII»513. Il rilievo monumentale, piuttosto che come espressione

figurativa e plastica dotata di una sua autonoma ragione espressiva, è letto

512 Id., Burgos, patria del Cid, in Retablo español, op. cit., p. 31.

come traccia della storia, come condensazione materiale di un mondo storico che il visitatore si incarica di decifrare e riportare al presente:

He ahí la iglesia donde se arrodilló el caballo del Cid cuando entró con Alfonso VI en Toledo reconquistada. He ahí el Alcázar […] donde Alfonso el Sabio residió con su corte poliglota. He ahí las cadenas de los cautivos cristianos que Doña Isabel libertó cuando tomó a Granada. He ahí el Cristo de la Vega, cuyo milagro contara Zorrilla. Por aquí anduvieron el Arcipreste de Hita, Fernando de Rojas, Garcilaso, Lope, Tirso, Cervantes514.

La chiesa, l’Alcazar, le catene dei prigionieri cristiani, il Cristo de la Vega compaiono qui, sprovvisti completamente di determinazione fisica, di una qualche aura estetica, come astratte cifre spaziali di correlativi avvenimenti storici. Si tratti di paesaggi naturali o di siti artistici, difficilmente l’autore si lascia andare a interpretazioni soggettive, a digressioni descrittive. È un «paisaje» trasformato in «historia» dallo sguardo avido di testimonianze temporali del pellegrino venuto dal Nuovo Mondo, come mettono esemplarmente in luce le “meditazioni” pronunciate dinanzi al “sincretistico” spettacolo architettonico di Toledo: un’avidità di forme solide, che attestino il dominio razionale dell’azione umana sulla natura, il disciplinarsi della stessa mutevolezza dei processi etnici e culturali nella forma storica compiuta. Come Sarmiento aveva sognato dal deserto africano il ripopolamento della desertica pampa argentina, Rojas dalla stratificata scenografia urbana di Toledo trae l’auspicio di vedere un giorno cristallizzarsi quello spazio geografico di informe «abstracción» in un compiuto “paesaggio storico”, chiuso nella durezza dell’architettura:

-¡Luego, pues, tal suceso era posible! Era posible que el paisaje se convirtiese en historia y que la historia se sedimentara sobre el paisaje, identificándose con él […] Cuánta esperanza da esto a nuestra Argentina, tierra de inmigraciones, y qué lección para los venidos de afuera que aspiran a mantener sus formas de origen!515

Ecco allora che nei percorsi del Retablo il paesaggio naturale quasi scompare entro le scenografie della storia, scenografie, comunque, di “fatti” storici, più che di testimonianze architettoniche materiali.

Certo, poi, questa “rarefazione” del paesaggio nel Retablo è da mettere in relazione con la questione, già più volte richiamata, della significativa cesura temporale intervenuta tra l’esperienza concreta del viaggio e quella del processo compositivo portato a termine, forse sulla base di appunti e note, trent’anni più tardi. È ipotizzabile che in quel 1938 Rojas costruisca il Retablo sulle impronte di ricordi ormai sbiaditi, forse con l’ausilio di rendiconti consegnati ai taccuini dei suoi ormai lontani anni di gioventù, nei quali ha potuto reperire registrazioni magari fedeli delle circostanze esteriori del

514 Id., Meditación argentina frente a Toledo, op. cit., p. 53. 515 Ivi, p. 254.