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3.4 Agenti di modificazione ossea

3.4.2 Frattura delle ossa peri e post-mortem

Un’ultima categoria di alterazione ossea è rappresentata dalla frammentazione che può verificarsi prima della deposizione, a seguito di un trauma peri-mortem o per frattura intenzionale, o dopo la deposizione a causa di vari processi come la pressione sedimentaria, calpestio e altro. L’identificazione del tipo di frattura ossea, peri o post-mortem, è condizione indispensabile per distinguere non solo i tempi ma anche gli agenti che hanno causato la manipolazione. I traumi ante-

mortem, quindi verificatisi durante la vita, possono essere distinti dagli altri tipi

di frattura sulla base del livello di guarigione visibile come formazione ossea. La differenza sostanziale tra fratture peri e post mortali si basa sul principio che nel primo caso l’osso ha una matrice organica intatta55, mentre nell’altro una matrice

49 Le Mort 1988, 2003 50 Shipman 1981 51 Binford 1981 52 Le Mort 1988 53 Olsen – Shipman 1988 54 Giacobini 2006 pp. 177-186

49

organica parziale56. Le fratture su osso fresco sono da considerarsi come alterazioni avvenute in fase perimortale, ovvero prodotte entro 72 ore dalla morte del soggetto e sono riconoscibili dal fatto che si osserva una reazione ossea che tende a consolidarsi mediante la formazione di un callo57. Al contrario se la frattura è su osso secco, dunque senza parti molle, le fratture avranno altre caratteristiche. Anche il colore della superficie può essere diagnostica per capire quando si è realizzata la frammentazione: le fratture peri mortali presentano lo stesso colore del tessuto osseo circostante, mentre quelle molto successive al decesso avranno superfici di frattura con una colorazione più leggera rispetto al resto dell’osso. Danneggiamenti su osso fresco o "verde" hanno una superficie di frattura liscia ad angolo ottuso o acuto rispetto alla superficie ossea e un contorno elicoidale o curvo con margini taglienti. Fratture post-mortali di osso secco, invece, presentano una superficie di frattura ruvida ad angolo retto rispetto alla superficie ossea e sono trasversali con margini frastagliati. Questo genere di frammentazione è interpretato come prova di disturbo o di manipolazione dei resti ossei del passato, e come tale, insieme ad altri fattori è indicatore di pratiche secondarie. Le fratture su ossa secche sono dunque irregolari a differenza di quelle su osso fresco, specialmente sul cranio, che sono lineari e seguono un orientamento regolare. Molti frammenti ossei testimoniano l’uso di strumenti litici, specialmente nel caso di perforazioni craniche il cui orifizio di entrata è minore rispetto a quello nel tavolato interno a causa della differenza di densità del diploe.

Se si avranno vari colpi contigui, si consegue una linea di frattura che sarà sempre rotta e con bordi aguzzi e irregolari. Questa è la tecnica utilizzata durante il Paleolitico e il Neolitico per forare i crani e per fabbricare i cosiddetti crani- coppa58.

56 Tipico dell’osso cosiddetto secco, “dry bone” 57

Op. cit. Botella 2000.

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PARTE SECONDA - PALEOLITICO

IV – IL DEFUNTO COME SIMBOLO

4.1 L’ideologia funeraria

Il simbolismo nasce con l’uomo. Tutta la realtà umana può assumere una pregnanza astratta: il simbolo si dimostra quindi un segno, una realtà materiale, visibile, un significato che rientra in tutti i possibili gesti dell’uomo, specialmente nelle deposizioni di resti umani laddove non ci aspetteremo di trovarne. Secondo Ries1, il simbolo, inteso come aspetto rituale, “è un segno

concreto e sensibile che suggerisce il significato e lo svela in trasparenza”. La

sua funzione è quella dunque di rivelare il messaggio celato attraverso una chiave di lettura che rientra nell’immaginario intrinseco dell’uomo. La simbologia principe è senza dubbio l’attenzione particolare che l’uomo dimostra verso i propri defunti, costituita da una sfera sociale intesa come linguaggio rituale e criptico che coinvolge l’intera comunità, e da una sfera spirituale intesa come manifestazione di un’intelligenza astrattiva non connessa con strategie di sussistenza utilitaristiche2. La pratica funeraria, introdotta nel Paleolitico, testimonia l’insorgere di una risposta sociale al tema della morte e si configura come una tappa culturale molto importante. Stando alla documentazione archeologica, un confronto sicuro con la morte trova il suo stadio iniziale nelle culture neandertaliane, alle quali vengono ascritte le più antiche pratiche funerarie mediante inumazione3. Almeno a partire dal Paleolitico, possiamo supporre che i principali agenti responsabili dei depositi di ossa umane siano dunque costituiti dagli uomini stessi. Resti umani li ritroviamo in connessione, disarticolati e cremati, inoltre sono stati collocati in cimiteri, strutture abitative,

1 Ries 1989

2

Facchini et al. 1991; Facchini 1998

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sotto i pavimenti delle case, in fossati o in sorte di discariche4. Molte di queste variabili sono dovute all’azione dell’uomo ma anche a cambiamenti post deposizionali quali la natura del suolo, il tipo di interramento, l’azione degli animali e la pressione del sedimento. Dal punto di vista archeologico, la questione corrisponde a capire se la rappresentazione ineguale di ossa o di gruppi scheletrici nei depositi umani, sia manifestazione di un comportamento deliberato o il risultato di processi tafonomici naturali.

Secondo Kozlowisky5 è la consapevolezza di sé, legata alla facoltà di previsione, che sta all’origine dell’idea della morte. Dal punto di vista biologico la morte è un evento inevitabile per le diverse specie viventi, il cui destino è nascere, riprodursi e morire alla fine del loro ciclo vitale. L’uomo è la sola specie vivente che dedica grande attenzione nei confronti della morte. Trattiamo i nostri defunti in accordo con i criteri e l’espressione culturale de periodo, andando al di là della mera necessità di occuparsi dello smaltimento del cadavere e manifestando connotazioni rituali e simboliche6. Tra gli esseri viventi siamo gli unici ad aver piena coscienza dell’esaurirsi della propria vita, a differenza degli animali che avvertono solo l’avvicinarsi della morte. L’animale è consapevole della morte ma non sa “viverla” fino in fondo7. Dagli studi sugli scimpanzé di Goodall8, si evince che i primati non umani la comprendono solo in parte e reagiscono alla scomparsa dei loro simili come se questi fossero ancora vivi, seppur passivi. Lo sviluppo dell’ideologia funeraria probabilmente è stato favorito proprio dall’interazione col mondo naturale attraverso la caccia9. Dalla fine del Paleolitico inferiore, i concetti di vita e di morte iniziarono a essere associati a comportamenti simbolici attraverso la ritualizzazione e la manipolazione dei processi naturali10. Il rapporto che l’uomo intrattiene con la morte passa dunque attraverso il suo rapporto con i defunti, vale a dire attraverso la maniera in cui il cadavere viene trattato. Le pratiche funerarie hanno effetto sui resti umani in differenti livelli, così che la manipolazione di un singolo resto scheletrico può essere notato sotto forma di segni di taglio, scarnificazione, alterazione da

4 Andrews – Bello 2006

5

Kozlowisky in Facchini – Magnani 2000

6 Andrews – Bello 2006 pp. 14-29; Bello – Andrews 2006 pp. 1-3 7 Alciati et al. 1979

8 Goodall 1986, 1990, 2010 9

Alciati et al. 1979.

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percussione o frattura come evidenza dell’azione rituale dei viventi o come pratica antropofagica. Dal momento che gli uomini manipolano i loro defunti è come se la morte assumesse un significato nuovo: essa segna la fine dell’esistenza fisica, ma non la fine della persona, irrompendo così nella vita quotidiana per divenire parte di essa11. Durante il Paleolitico si assume una duplice consapevolezza sulla morte: oggettiva in quanto processo naturale che coinvolge inevitabilmente tutti i viventi, e soggettiva per l’instaurarsi di una certa ritualità, vista come una sorta di vittoria contro la scomparsa fisica del corpo. Ci sono ragioni per supporre che l’uomo abbia adottato questo nuovo tipo di comportamento solo dopo aver raggiunto quella consapevolezza tale da sviluppare legami sociali sufficientemente forti e stabili12. Questi legami sono diventati talmente forti da essere successivamente estesi anche ai rituali funerari, creando così l’instaurarsi di una dicotomia tra il mondo dei viventi e quello dei morti. Fondamentale è sottolineare il carattere sociale di queste pratiche che fanno parte di comportamenti di tutta la comunità e non di atteggiamenti individuali.

L’inizio della storia evolutiva umana fonda le sue radici intorno ai 2,5 milioni di anni fa, ma non una sola attività funebre è conosciuta con precisione per questa fase temporale. Ciò non significa però che fino a un certo momento l’umanità abbia ignorato i propri morti. Secondo Vandermeersch13 e Binant14 le prime documentazioni sicure che attestano un’attenzione ideologica verso la morte sono le sepolture in contesto Musteriano di Homo neanderthalensis e Homo

sapiens arcaico, risalenti quindi tra i 100.000 e i 90.000 anni fa in territorio

israeliano (Qafzeh, Skhul e Tabun). Probabilmente però un atteggiamento simbolico è da far risalire ai primordi dell’esistenza umana: secondo Palma di Cesnola15 non nasce nel Paleolitico superiore ma è bensì ipotizzabile ritrovarlo, sebbene in forme più semplici, fin dal Paleolitico inferiore, si sviluppa nel Medio16 per poi assumere nel Paleolitico più recente aspetti ancora più evidenti e

11 Cucchiarini 2013; Facchini 2002; Vandermeersch 1991, 2007 12 Smirnov 1989

13 Vandermeersch et al. 1988, 1991 14

Binant 1991a, 1991b

15 Palma di Cesnola 1988, 1993, 2003

16 Infatti, se le prime sepolture compaiono durante il Paleolitico medio, “la mera assenza di

inumazioni nei periodi precedenti non è un valido motivo per giustificare l’assenza di una cultura del morire e il livello di socialità raggiunta dai gruppi pre-neandertaliani indurrebbe a lasciare aperta questa possibilità”. In Martini (a cura di) 2006

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complessi. La mancanza di attestazioni sicure, come vere sepolture per lunghi periodi della Preistoria, ha indotto quindi a ritenere che l’uomo, in un primo momento, abbandonasse i cadaveri o non si curasse di loro. Non è però da escludersi che non vi fosse qualche attenzione per il defunto sin da Homo habilis, di cui però non si è conservata traccia. Secondo Camps17, le prime manifestazioni sono praticamente irreperibili e tutto concerne alla loro scomparsa.

Negli ultimi decenni, con l’avvento dell’archeologia funeraria e un’analisi più dettagliata dei contesti, si è più propensi a considerare anche altre forme alternative alla sepoltura. L’inumazione non sarebbe che una delle molteplici pratiche socialmente note con cui l’uomo nel Paleolitico ha affrontato il rapporto con l’annullamento del corpo. Dopo la morte fisica dell’individuo, il corpo può essere soggetto a vari rituali intermedi. Tali azioni possono essere sia autonome, e seguite da sepoltura o esposizione del defunto, sia subordinate per la distruzione o la conservazione di corpi interi o parziali. Qualsiasi procedura si prenda in atto, i resti dei morti potevano in seguito essere sottoposti a nuovi trattamenti che influivano su tutto il corpo o solo su alcune parti. Dopo i rituali preliminari, le attività finali costituiscono un altro punto di partenza: una delle vie conduce il corpo all’occultamento e si concludeva con la sepoltura, nell’altra, invece, i resti sono conservati nella società e tale corso termina nell’esposizione o nella conservazione. In ogni caso, secondo Smirnov18, ogni trattamento può essere fermato e modificato, così l’insepolto può venire sotterrato e il sepolto può essere riesumato per l’esposizione o per il trattamento particolare di qualche distretto scheletrico selezionato. Esposizione, manipolazione e sepoltura diventano parte di rituali preliminari che contribuiscono alla presa in coscienza dell’ideologia della morte19.

17 Camps 1982

18

Smirnov 1989 op. cit.

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