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Il più antico caso di attestazione funeraria è da legare al Neanderthal, al quale si collega comportamenti rituali in aggiunta alla necessità di allontanare i cadaveri dall’ambito abitativo20. A partire dal Paleolitico medio, per poi svilupparsi soprattutto nelle ultime fasi del Superiore, le testimonianze dell’attenzione verso i propri defunti assumono due forme particolari: la sepoltura, con scheletro intero o parziale deposto di solito in una fossa scavata intenzionalmente, e la conservazione di resti selezionati quale probabile “reliquia” dei defunti. Per quanto riguarda la sepoltura, Bonifay21 ne evidenzia almeno due tipologie: in fosse scavate e sotto tumulo di terriccio o di pietrame. Il numero di sepolture musteriane finora scoperte supera di poco la trentina; si tratta di un numero molto basso tenuto conto della frequenza dei depositi musteriani, della durata e dell’espansione geografica di questa cultura22. Considerando la durata temporale del Musteriano23, è come se Homo neanderthalensis avesse inumato in media due defunti per millennio24. È comunque possibile che molte testimonianze siano andate distrutte da fenomeni tafonomici. Bonifay25, Ullrich26, Gambier e Le Mort27, Arrizabalaga28 arrivano a formulare quattro diverse ipotesi per ovviare al problema della scarsità di sepolture:

1) Vi sarebbero altre forme di rituale funerario alternative alla sepoltura.

2) L’inumazione probabilmente non è affatto la pratica più comune nel Paleolitico, ma la più conosciuta.

3) Le pratiche funerarie nel Musteriano, ma anche nell’intero Paleolitico, riguarderebbero solo un piccolo numero di individui scelti.

4) E’ possibile che la maggior parte degli individui venisse inumata in siti all’aperto dove le possibilità di conservazione non sono ottimali. Di questo

20 Secondo Gargett 1989 non vi sarebbero prove evidenti di pratiche funerarie presso i

Neanderthal, visione che ormai è ampiamente superata.

21 Bonifay 1988 22 Giacobini – D’Errico 1986 23 Da 120.000 a circa 35.000 anni fa 24 Le Mort 1988 25 Bonifay 1988 26 Ullrich 1995, 2006 27 Gambier – Le Mort 1996 28 Arrizabalaga 2010

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parere è anche Bonè29, secondo il quale le inumazioni all’aperto potrebbero rappresentare la prassi mentre quelle in grotta l’eccezione.

Nel Paleolitico medio l’inumazione risulta infine standardizzata in pratiche molto semplici destinate alla conservazione del corpo senza sovrastrutture simboliche complesse. Durante il Paleolitico superiore invece, non pochi elementi nuovi vengono a integrare e arricchire il rituale funerario del passato: l’acconciatura della salma, il corredo funerario, ocra e presenza di strutture particolari come lastre di pietra sul cranio o su altre parti del corpo.

Per quanto concerne la pratica del trattenere presso il mondo dei vivi singole porzioni dello scheletro dei defunti, sembra presente già presso i neanderthaliani ma la casistica è ampia soprattutto nelle ultime fasi del Paleolitico superiore francese. Per quanto riguarda il Musteriano, nonostante si registrino resti scheletrici incompleti e ossa isolate, le evidenze sarebbero poche e incerte; risulta quindi estremamente difficoltoso poter parlare di reliquie in fasi preistoriche così antiche. Secondo Ullrich30, con l’avvento del Maddaleniano31 europeo e di un atteggiamento più complesso nel trattamento funerario, l’usanza di trattenere presso la società dei vivi una reliquia del defunto testimonierebbe l’insorgere di una presenza voluta, visibile e tangibile all’interno della comunità; una sorta di filo conduttore che unisce indissolubilmente i vivi ai morti.

Risulta interessante costituire alcuni confronti tra le pratiche della sepoltura e della manipolazione di singole ossa:

1) Per quanto riguarda l’inumazione, al momento non sembra essere stato rilevato alcun criterio valido legato al sesso o all’età. Tra i resti umani isolati, invece, sembrerebbe che almeno durante il Paleolitico medio vi sia una predominanza di soggetti giovani; la riserva è però ben lontana dall’essere sciolta.

2) L’inumato è segregato in una fossa restando ai margini della società. La reliquia, anche per definizione, è individuabile in contesti non prettamente funerari ma domestici e rituali. E’ integrata nella quotidianità dei viventi.

3) Specialmente durante il Paleolitico superiore, le sepolture sembrano godere di una prassi codificata e diffusa in tutta Europa. Non siamo a

29 Bonè 1978 30

Ullrich 2004, 2006, op. cit.

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conoscenza di alcuna pratica uniforme quando parliamo invece di reliquie, spesso è oscura anche la chiave di lettura per una possibile interpretazione. Resti umani isolati spesso li ritroviamo all’interno di nicchie nelle pareti delle grotte, all’interno di strutture di pietra, in fosse o ancora dispersi nel piano di calpestio e mescolati o meno con rifiuti faunistici e di altra natura.

4) Il grado di connotato simbolico delle sepolture è ben riconoscibile da una serie di caratteristiche conosciute. Non siamo così fortunati quando ci troviamo di fronte a resti umani selezionati, infatti, non sempre si è in grado non solo di comprendere il significato simbolico ma anche solamente di distinguere una potenziale reliquia da un qualunque osso umano disperso per i più svariati motivi32.

5) Non sappiamo con precisione assoluta se la sepoltura mantenesse il suo status sacrale o se col passare del tempo perdesse ogni riferimento simbolico. Per quanto riguarda la reliquia, si è ancora più incerti se rimanesse tale in maniera duratura o se dopo un certo periodo perdesse il suo valore emotivo e non fosse pertanto, alla fine, gettata via alla stessa stregua di oggetti inservibili.

6) E’ raro che in uno scheletro inumato si distinguano segni rilasciati da strumento litico. In molte delle ossa isolate, invece, spesso sono presenti tracce di intervento umano come segni da percussione, taglio, scarnificazione, scalpo e disarticolazione volontaria. In ogni caso, l’assenza di tracce non implica di per sé l’inesistenza di pratiche di manipolazione intenzionale. Alcune parti ossee, infatti, possono essere asportate senza che di ciò resti traccia sullo scheletro o senza far uso di strumento litico.

Vista la scarsità numerica delle inumazioni rispetto al grande periodo preso in esame, e l’alto numero di ossa isolate disarticolate, Pettitt33 e Formicola34 suggeriscono che forse le sepolture nel Paleolitico potessero rispecchiare individui altamente selezionati magari attraverso la diversità fisica. Ancora, gli autori ipotizzano anche che i resti umani isolati, quando è comprovata la

32 Se poi siamo di fronte a contesti musteriani, l’incertezza è ancora maggiore. 33

Pettitt 2011 op. cit.

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manipolazione intenzionale, essendo più comuni potessero riflettere lo status di “morti buoni” e le sepolture di “morti cattivi”35. Sezionare i corpi, manipolarli e far circolare parti di essi potrebbe essere visto come una volontà di trattenere il defunto presso i vivi, o ancora di mantenerne vivo il ricordo oltra a un senso di legittimazione. Al contrario, potrebbe trattarsi anche di nemici le cui vestigia rimanevano come trofei in seno alla società o come segno di ulteriore umiliazione anche dopo la fine del ciclo vitale: vinti in vita e anche dopo la morte. Sappiamo che l’interramento dei corpi in tutte le società paleolitiche è pratica abbastanza rara e forse non può essere considerata come norma funeraria. Le sepolture potrebbero essere viste come qualcosa di al di fuori dell’ordinario in cui i corpi non venivano esposti ma nascosti nella terra o ricoperti da pietre. Di conseguenza, la scarnificazione del cadavere, attiva o passiva, e la circolazione di alcune parti del corpo come reliquie, potevano essere più vicine alla norma di quanto si sia sempre creduto. Non vi è da escludere nemmeno che sepolture e resti ossei selezionati facessero parte di un insieme più ampio di pratiche, la cui esposizione era solo l’ultima parte di più complesse pratiche rituali. In definitiva, possiamo affermare che durante il Paleolitico i trattamenti sul cadavere seguivano due differenti percorsi: il primo finalizzato alla conservazione ottimale del cadavere, il secondo diretto allo smembramento del corpo con selezione di particolari distretti anatomici.