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I riti funerari fanno parte dell’identità culturale di un gruppo. Le sole testimonianze che possediamo circa i comportamenti sepolcrali durante la preistoria ci derivano dalle ossa dei morti, dal contesto e dal grado di associazione di tutte le componenti. La nostra conoscenza è dunque fortemente limitata dalla rarità delle testimonianze possedute34. L’interpretazione delle caratteristiche attribuibili alla sfera del culto in ambito preistorico è sempre estremamente difficile, e nonostante i progressi delle tecniche di scavo, la documentazione relativa ai particolari del contesto e ai rapporti tra i singoli elementi, non sempre risulta esaustiva ai fini di un’analisi dettagliata dei dati35. La maggior parte del materiale osteologico umano, specialmente quello afferente al Paleolitico, proviene da scavi realizzati dalla fine dell’800 fino agli anni 60’ dello scorso secolo. Nelle prime scoperte, si pose il problema della nozione di sepoltura per i soggetti scheletricamente più completi. Gli aspetti relativi alla presenza di resti umani in contesti non sepolcrali sono stati raramente affrontati nello specifico36, in particolare quando il deposito di riferimento era di ambito domestico o all’interno di fosse considerate di “smaltimento”. L’interpretazione che andava per la maggiore ricadeva all’incirca nel campo delle sepolture sconvolte in antico e non più riconducibili a una deposizione archeologicamente rilevabile. Paradossalmente, quando i dati a disposizione non permettevano nemmeno l’ipotesi della sepoltura perturbata, in ogni caso si legava al deposito un’origine casuale, come l’abbandono del corpo in superficie o l’arrivo detritico dei resti37. Le analisi si fondavano però su una documentazione bibliografica

34 Henry-Gambier 2008

35 Grifoni Cremonei 1986 pag. 266

36 Per molto tempo, infatti, si preferiva concentrarsi soprattutto sulle sepolture canoniche,

dedicando ai resti umani isolati niente di più che una “nota a piè di pagina” o qualche informazione generica. Inoltre tale documentazione è spesso riportata in riviste di difficile reperibilità o addirittura in semplici citazioni.

37 L’arrivo di ossa umane in un deposito può effettivamente essere casuale o risultare la

conseguenza di sepolture andate distrutte, specialmente in riferimento a determinate classi di reperti (falangi, vertebre..), tuttavia non giustifica la presenza di tutti quei resti umani, primi tra tutti crani e ossa lunghe, che hanno sempre rivestito un ruolo speciale in riferimento alla conservazione in senso culturale, e non funzionale, di questo tipo di materiale.

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senza revisione alcuna del materiale osseo o delle datazioni reali. Infine, in ragione dei metodi di scavo obsoleti o del carattere fortuito delle scoperte, l’origine stratigrafica dei resti umani poteva essere molto discutibile. L’altro lato della medaglia consisteva invece nel leggere tutto in chiave cultuale, cercando ad ogni costo un’interpretazione funzionale e andando molto al di là del dato archeologico in sé. Soprattutto quando si analizzano le situazioni di scavo più datate, capita che non solo si debba interpretare la testimonianza archeologica, ma anche lo studio dei ricercatori che talvolta si spinge in ipotesi fin troppo ardite38. Eppure, il potenziale informativo che i resti umani isolati potrebbe offrirci è notevole non solo dal punto di vista della variabilità dei comportamenti legati al trattamento dei defunti, ma anche da quello simbolico per la ricostruzione dell’organizzazione sociale della comunità. Le prime difficoltà riscontrate quando ci si accinge a compiere uno studio del genere, oltre all’antichità di alcuni scavi, alla mancanza di una bibliografia di riferimento e a una pubblicazione non integrale dei dati, ricade nella mancanza di poter porre i resti umani in relazione topografica con le strutture all’interno dell’abitato39. Si tratta di una problematica particolarmente legata ai siti del Neolitico europeo, mentre per quanto concerne il Paleolitico, risulta più difficile applicare il concetto di “dentro o fuori l’abitato” da una parte perché i dati per questa fase preistorica non sono mai così numerosi, dall’altra perché probabilmente non vi dovevano essere quei connotati dell’insediamento propri di quelle civiltà sedentarie come durante il Neolitico. Occorre, inoltre, ricordare che la possibilità di conservazione dei resti umani in abitato all’aperto non sempre è ottimale, allo stesso modo anche i contesti in grotta non sarebbero meno problematici. Da non sottovalutare è anche il rapporto tra le superfici e il volume dello scavo, non di meno la presenza di ossa umane in contesto non sepolcrale e di sepolture nel medesimo sito40. Altra difficoltà riscontrata è l’evidenza di un bilancio documentario tutt’altro che unitario, specialmente durante il Neolitico, periodo in

38 A riguardo potrei citare Leroi-Gourhan 1964: “è praticamente impossibile pensare l’uomo

preistorico obiettivamente, senza giudizi di valore; nel corso del tempo, col variare della mentalità o secondo l’umore e la filosofia dello studioso di preistoria, l’uomo preistorico cambia personalità religiosa, ora stregone sanguinario o devoto collezionista di crani d’antenati, ora danzatore libidinoso o filosofo disincantato a seconda degli autori. Il suo comportamento andrebbe studiato non in base ai fatti che talvolta sono molto esigui, ma in base alle biografie degli storici”

39 Conati Barbaro 2009 40

Le ossa isolate e le sepolture fanno parte di un medesimo atto suddiviso in differenti stadi del rituale? Le tombe appaiono nel medesimo contesto delle ossa isolate? Pariat 2007

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cui le varie comunità hanno affrontato il problema del trattamento dei defunti in numerose modalità a seconda dell’area e del gruppo culturale preso in esame. La rappresentatività del fenomeno delle ossa umane isolate risulta essere un altro problema direttamente successivo al precedente: occorre tenere in considerazione le condizioni ambientali di ogni periodo preso in esame, infatti, a seconda di tali condizioni si favorirà o meno la conservazione del materiale osseo. A causa della frammentarietà dei reperti e della presenza di molte tipologie di materiale domestico in questo tipo di contesti, spesso accadeva che i resti umani non sempre venissero riconosciuti come tali ma fossero individuati solo da parte degli archeozoologi in sede di studi faunistici, creando così non pochi problemi all’interpretazione. Lo stato di conservazione, inoltre, insieme alla non connessione e alla selezione delle singole parti scheletriche, implicano già di per sé varie difficoltà di ordine antropologico in quanto non sempre è possibile determinare il sesso, l’età o addirittura la natura della parte anatomica presa in esame41. La visibilità archeologica di contesti di questo tipo è generalmente piuttosto ridotta, occorre dunque un’attenta analisi del deposito in tutte le sue sfaccettature. Nonostante i problemi riscontrati, quando la documentazione è abbastanza esaustiva, la costante ripetitività di alcuni modelli unita all’analisi del contesto e alla netta differenziazione rispetto ai normali canoni di rituale funerario, ci forniscono gli strumenti iniziale per creare una discriminante tra tutti quei resti umani entrati a far parte del deposito tramite scelta deliberata dei viventi o casualmente per l’opera dei processi post-deposizionali e tafonomici.