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G LI ABUSI DELLA MEMORIA E DELL ’ OBLIO E IL DOVERE DI RICORDARE

1. I L PUNTO SULLA FENOMENOLOGIA DELLA MEMORIA

1.3. G LI ABUSI DELLA MEMORIA E DELL ’ OBLIO E IL DOVERE DI RICORDARE

Quando la memoria è condivisa ed esercitata a livello collettivo, essa rappresenta un collante per i gruppi e per la loro identità che si fonda su di un passato e su una storia comuni: la società e le istituzioni devono reggersi su una memoria collettiva per il loro corretto funzionamento40.

Un qualsiasi cambiamento sociale implica la formazione di una nuova memoria e, di conseguenza, un nuovo riassetto identitario, in particolare se si tiene a mente che i gruppi sociali sono strettamente dipendenti dai sistemi di potere (siano essi democraticamente eletti o rimandino a un’organizzazione autoritaria dello stato), i quali esercitano un controllo sulle masse manipolando, più o meno esplicitamente, i contenuti condivisi. Tra questi, la memoria occupa un ruolo di spicco in particolare nei casi di cambiamento degli assetti politici a conseguenza di pratiche violente, quali i golpe o l’instaurarsi di una dittatura, proprio come avvenuto in

37 Assmann, Jan, La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà

antiche, Torino, Einaudi, 1992, pp. 22-29.

38 Margalit, Avishai, L’etica della memoria, Bologna, Il Mulino, 2006, p.47. 39 Assmann, Aleida, Ricordare, cit., pp. 145.

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Spagna. Ridefinire l’identità di un popolo attraverso un’ideologia di base significa ricostruire in toto una nuova memoria, con l’obiettivo, spesse volte, d’inaugurare una nuova era in cui il passato viene accantonato tramite pratiche di mnemonicidio diffuse. A tale proposito, dunque, parlare di memoria significa parlare dell’esercizio del potere e del rapporto che s’instaura tra governanti e governati in base a precisi pragmatismi della memoria e dell’oblio. Ciò implica una concezione della storia e della memoria per cui esse sono «indivisibilmente cognitive e pratiche»41, come afferma Paul Ricoeur, il quale ha analizzato i meccanismi degli abusi della memoria42 e dell’oblio43 ai quali ci rifaremo ora al fine di completare il nostro rapido excursus sulla fenomenologia e riprendere il discorso sulla Spagna dittatoriale affrontato nel primo capitolo di questo studio.

Secondo la sistematizzazione del filosofo, vi sono tre differenti casi di abusi della memoria a cui corrispondono altrettante manifestazioni di abusi dell’oblio. Il primo riguarda la censura: la memoria censurata è una memoria ferita o malata in cui sono presenti traumi e cicatrici. Avvalendosi della terminologia specialistica della psicanalisi e richiamando la teoria di Freud sulla coazione a ripetere (agire44) e il “lavoro di memoria”, il quale deve essere congiuntamente messo in pratica dal paziente e dall’analista, Ricoeur la applica alla memoria collettiva giacché si può parlare, a ragione, di “traumi” e “ferite” per indicare le perdite che si registrano nella storia di un popolo o di una nazione. In quest’ottica, le pratiche del lutto rappresentano il punto d’incontro tra l’identità personale e l’identità comunitaria. Nelle memorie collettive il rapporto della storia con la violenza è centrale e gli eventi fondatori, spesso, non sono altro che atti violenti legittimati in cui si ha sempre la doppia risultanza di celebrazione del vincitore e umiliazione dello sconfitto. La coazione a ripetere, in particolare, è una diretta conseguenza del “lavoro di oblio”, il quale impedisce la presa di coscienza dell’evento traumatico, sia individualmente, sia in società: in questo modo, il trauma permane

41 Ivi, p. 84. 42 Ivi, pp. 100-131. 43 Ivi, pp. 630-646. 44

Cfr. Pethes, Nicholas - Ruchatz, Jens, “Agire” in Dizionario della memoria e del ricordo, cit., pp. 4-5. Il paziente, senza rendersene conto, agisce riproducendo dei ricordi repressi. L’agire si oppone al lavoro del terapeuta e rappresenta la resistenza opposta al ricordo del rimosso, nonostante sia l’unica via di sfogo per le esperienze traumatiche.

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nell’inconscio e si manifesta in una sintomatologia di sostituzione che attesta il ritorno del represso.

Il secondo caso, la memoria manipolata, è un autentico abuso perpetuato da coloro i quali detengono il potere, essendo la memoria orientata verso la legittimazione dell’identità e trasformata attraverso l’ideologia, con la quale si trasferiscono alla società i valori e le credenze del nuovo status quo. L’ideologia, nello specifico, si regge su un doppio sistema di simboli, con i quali si cambiano i costumi della società, e di racconti ufficiali o miti45, attraverso i quali legittimare il potere e fondare una nuova memoria e identità. La pratica dell’oblio è intrinseca alla selettività del racconto, grazie alla quale le voci ufficiali del sistema possono scegliere gli eventi fondatori della nuova era omettendone altri e accostando, spesso, i racconti di gloria e di vittoria a quelli della sopraffazione e della sconfitta. Da ciò ne consegue che la memoria imposta investa sia la sfera fisica del corpo sociale sia quella intellettuale, contemplando, inoltre, una serie di pratiche celebrative e commemorative a loro volta imposte e in linea con la chiusura della comunità. La selettività narrativa consente di manipolare la storia e offrirne, così, una versione propagandistica: a una storia imposta corrisponde, allora, un oblio semi-attivo e semi-passivo per cui i popoli decidono liberamente di non voler conoscere e d’ignorare ciò che, in realtà, è accaduto. Infine, il terzo abuso si riferisce alla memoria imposta e s’interseca con la problematica del dovere di memoria, considerato da Paul Ricoeur un imperativo di giustizia in cui convergono il lavoro del lutto e il lavoro di memoria. Il dovere di memoria comporta che la giustizia venga esercitata verso un altro al di fuori di sé e che si conservino non solo le tracce materiali del ricordo ma anche il sentimento di debito verso gli altri. Essa è collegata alle pratiche d’amnesia e d’amnistia; già la prossimità semantica tra i due vocaboli indica una sorta di beneplacito per cui la memoria è negata e la verità è taciuta, essendo in particolare l’amnistia una pratica

45 Cfr. Margalit, Avishai, L’etica della memoria, cit., p. 59: «In un certo senso, un mito vive

all’interno di una comunità quando i membri della comunità stessa credono al mito come a una verità letterale, ossia come se si trattasse di un racconto storico puro e semplice […] . Un altro senso in cui un mito può essere vivo è quando una comunità è fortemente impressionata dalla storia mitica, anche se essa è percepita come “nobile bugia”. […] Il terzo senso in cui un mito è vivo è che esso è primordialmente fresco, vitale, pieno di energia, presente all’immaginazione e vivido nelle sue immagini».

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d’urgenza da attuare per porre fine a particolari situazioni di violenza sociale a conseguenza delle quali i reati commessi vengono estinti. Per questo motivo, il filosofo rileva che l’amnistia manchi di giustizia giacché, nella pratica, la pace è imposta e non comunemente raggiunta.

La gestione del ricordo appare in tutte le sue declinazioni particolarmente complessa e, accanto a cosa si può ricordare, è necessario individuare cosa si deve ricordare. Il dovere di memoria, in quest’ottica, implica la trasmissione del ricordo e del sapere di generazione in generazione e gli studiosi che si sono dedicati alla problematica concordano che si debba rimembrare e testimoniare tutto ciò che di più tragico è avvenuto nella storia. È questo il caso dei crimini contro l’umanità, in cui rientra a pieno diritto la vicenda spagnola, ancora lontana dal riconoscimento pubblico della colpa e dalla collaborazione attiva dello Stato a favore della memoria histórica. «Qui l’oblio non è più lecito. Non ci può essere più nemmeno arte dell’oblio, non ci deve essere»46

, afferma Harald Weinrich a proposito della Shoah, evento unico nella sua indicibilità ma, come suggerito da Tzvetan Todorov, da considerarsi esemplare più che unico poiché accomunato ai restanti crimini dal medesimo orrore e dalla medesima condanna senza fine che esso si merita47. Per Jan Assmann, ancora, il ricordo è un obbligo sociale48 e per Paul Ricoeur è necessario rimanere fedeli al passato poiché in esso ha avuto luogo un’inumanità che non può essere compresa49

.

Ricordare il passato equivale a metterlo al servizio del presente per affrontare le sfide che la storia pone e per scongiurare, da una parte, un abuso o un’ossessione della memoria fini a se stessi e, dall’altra, il continuo riaprirsi di ferite e traumi.

46

Weinrich, Harald, Lete, cit., p. 256.

47 Todorov, Tzvetan, Gli abusi della memoria, Napoli, Ipermedium, 2002, p. 54. 48 Assmann, Jan, La memoria culturale, cit., p. 5.

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