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2.2. IGIENE DEL LATTE OVINO

2.2.6. Presenza di stafilococchi nel latte

Gli stafilococchi sono batteri appartenenti al genere Staphylococcus, sono Gram positivi, di forma coccacea, anaerobi facoltativi glucosio fermentanti e caratterizzati da attività enzimatiche lipolitiche e proteolitiche di rilievo, catalasi positivi e ubiquitari (Mucchetti, et al., 2006).

Sono batteri mesofili: la loro temperatura ottimale per lo sviluppo è tra 30 e 37°C, ma non sono tuttavia in grado di sopravvivere ad un corretto trattamento di pastorizzazione. Alzando la temperatura oltre 44-45°C o abbassandola al di sotto dei 10°C la moltiplicazione cessa; alla temperatura limite di 10-11°C la popolazione stafilococcica aumenta in modo estremamente lento. Gli stafilococchi, in particolare quello aureo, crescono a valori di Aw insolitamente bassi per i batteri: in ambiente aerobico (od ossidato, tipo latte che abbia subito una sufficiente agitazione) il valore di Aw minimo per la crescita è di 0,86 a pH 6,8 (latte), mentre a pH 5 (cagliata o pasta di formaggio) la moltiplicazione si arresta prima e precisamente ad Aw di 0,90 in ambiente aerobio (ancora ossidato, tipo la cagliata nelle primissime fasi di lavorazione) e ad Aw di 0,92 in ambiente anaerobio (o ridotto, tipo la pasta di formaggio nelle prime fasi di lavorazione). Ed infatti sono gli unici batteri patogeni

Il “Tenore di germi a 30°C (per ml)” o “Carica Batterica Totale mesofila (CBTm)” è costituito/a sia da microrganismi utili che dannosi per il processo di caseificazione, come enterobatteri e coliformi di origine fecale responsabili della comparsa del gonfiore precoce dei formaggi. capaci di svilupparsi alla temperatura di 30°-32°C in 48-72 ore, quando seminato per inclusione in Plate Count Agar (Salvadori del Prato, 2005).

che possono rinvenirsi nelle gocciole acquose del burro (con alto contenuto in solidi), anche se salato.

Fino a qualche anno fa si riconoscevano solo tre specie di Staphylococcus: aureus,

saprophyticus ed epidermidis. In seguito fu evidenziato che S. saprophyticus e S. epidermidis sono specie genericamente eterogenee, al cui interno sono state definite

24 nuove specie sulla base degli studi di ibridazione degli acidi nucleici. Risultano peculiari le associazioni di alcune specie con animali: S. gallinarum con le ovaiole, S.

hyicus con i suini o S. caprae con la capra. Altrettanto tipica è l’associazione di alcuni

stafilococchi con parti del corpo umano: S. capitis con il cuoio capelluto, S.

auricolaris con le secrezioni auricolari e S. hominis con le pieghe cutanee delle

articolazioni del braccio e della gamba.

Gli stafilococchi si possono classificare in base alla presenza o meno del corredo enzimatico della coagulasi; questa consente al batterio di convertire il fibrinogeno in fibrina, che, accumulandosi intorno alla cellula, fa si che venga eluso il meccanismo di fagocitosi da parte dell’ospite. Si possono così dividere in coagulasi positivi e negativi. Nella prima categoria rientrano le specie patogene per l’uomo e per gli animali (S. aureus, S. intermedius, S. hyicus). Di recente è stato osservato anche l’intervento di stafilococchi coagulasi negativi in episodi di intossicazione.

Tra le specie coagulasi negative che producono entero tossine vi sono: S. cohnii, S.

epidermis, S. xylosus, S. haemolyticus (Mucchetti, et al., 2006).

S. hyicus si rinviene frequentemente nel latte e si sospetta che, in cariche elevate,

possa sostenere assieme a S. chromogenes, simulans e warneri, un certo numero di mastiti sub-cliniche; alcuni suoi stipiti producono enterotossine, al pari degli stafilococchi aurei.

Le altre specie stafilococciche, ampiamente diffuse nell’ambiente e conseguentemente nelle materie prime (latte), mancano di qualsiasi potenziale di rischio per il consumatore, ma possono interferire con l’indagine analitica a causa di comportamenti sovrapponibili a quelli delle colture di S. aureus (Ottaviani, 1991). La specie più nota ed importante dal punto di vista alimentare è S. aureus. La sua tipizzazione ha permesso di evidenziare molteplici sierotipi, che risultano in grado di produrre enterotossine diverse, seppur simili per caratteristiche biochimiche e biologiche.

Il batterio è caratterizzato dalla capacità di insediarsi in particolari distretti umani o animali ove persiste per lunghi periodi e dai quali è difficile eradicare.

In particolare è il responsabile di mastiti bovine, ma può anche sintetizzare metaboliti ad attività tossica, le enterotossine che, ingerite con gli alimenti, causano la malattia definita “intossicazione stafilococcica”. Lo Staphylococcus aureus è responsabile del 25% delle intossicazioni alimentari anche se è suscettibile al calore e ai comuni disinfettanti (Le Loir, et al., 2003). Il problema della presenza stafilococcica può aggravarsi a seguito della permanenza del latte a temperature non idonee (oltre 10°- 15°C), per tempi sufficientemente lunghi da permettere un’apprezzabile moltiplicazione batterica.

La pastorizzazione, ove praticabile, riduce a livelli impercettibili la carica stafilococcica, ma non ha alcun effetto sulle eventuali tossine preformate nel latte crudo. L’insieme delle procedure di caseificazione esercita, tramite l’azione combinata dell’acidità e dell’antagonismo dei fermenti lattici, un nettissimo effetto inibitore sugli stafilococchi.

Enterotossine stafilococciche:

le enterotossine stafilococciche (Se) sono sostanze di natura proteica, a catena singola, con un punto isoelettrico pari a 5,7 con un basso peso molecolare (tra 27 e 28 kDa), resistente al calore e all’azione di diversi enzimi tra cui pepsina, rennina, papaina, tripsina (fattore che consente il permanere delle loro attività anche nel tratto digestivo) e chimotripsina. Lo S. aureus come anche altri patogeni produce una grandissima quantità di fattori tossici che rappresentano dei veri e propri meccanismi di difesa nei confronti del sistema immunitario dell’ospite e anche di attacco nei confronti dei tessuti dello stesso. Le specie patogene sono coagulasi-positive, fosfatasi-positive, DNAasi-positive e producono due gruppi di tossine.

Il primo gruppo comprende le emolisine α e β, la prima caratteristica degli stipiti umani e la seconda di quelli di provenienza bovina.

Il secondo gruppo è composto da enterotossine esocellulari termostabili, resistenti alla proteolisi, di cui attualmente sono state identificate almeno 12 varianti (A, B, C, D, E, F, G, H, I, J, L, M, N, e O) con differenti reattività antigenica. La conservazione a basse temperature è di valido aiuto nel controllare la moltiplicazione batterica (S.

prodotte a temperature inferiori a 12-13°C). Il meccanismo d’azione dell’enterotossina termostabile non è ben noto, ma si pensa che una volta assorbita dall’epitelio intestinale stimoli il centro del vomito attraverso il nervo vago.

La dose ingerita necessaria a provocare i sintomi è molto bassa: inferiore a 1 nanogrammo/grammo di alimento (ma comunque la dose cambia in base al tipo di enterotossina), che generalmente si raggiunge con livelli di contaminazione tra 105 e

106 batteri/grammo di alimento.

Attualmente è nota l’esistenza di 17 diverse classi di enterotossine (da SEA a SEE e da SEE a SEQ) tra cui però solo le prime 6 sono coinvolte nei casi di intossicazione accertate e fino ad ora studiate. La produzione di enterotossine e l’entità della stessa da parte dello S. aureus dipende da una serie di fattori, tra cui il biotipo (risultano produttori di tossina il 30-40% dei ceppi che appartengono al biotipo umano, 10% al biotipo bovino e 8% al biotipo ovino).

Inoltre lo S. aureus è un batterio esigente dal punto di vista nutrizionale, infatti alcuni ceppi utilizzano per la loro crescita e produzione di enterotossina aminoacidi quali arginina e cistina (Le Loir, et al., 2003). I loci di produzione delle enterotossine sono diversi in base alla localizzazione dei geni codificanti che spesso sono rappresentati da elementi genetici mobili: SEA: gene portato da un batteriofago, SEB: gene cromosomiale/plasmide, SEC: gene cromosomiale/plasmide penicillina resistente, SED: plasmide penicillina resistente, SEE: gene portato da un batteriofago (Bergdoll, 1983).

Il glucosio esercita un effetto inibente sulla secrezione di enterotossine, specialmente per SEB e SEC, attribuito alla caduta di pH che si determina in seguito al metabolismo del glucosio. Infatti per un valore di pH inferiore a 5 non avviene alcuna produzione di SES. Alte concentrazioni di NaCl intensificano l’effetto contrastante di bassi valori di pH fino ad inibire la produzione di SES per concentrazioni oltre il 12%. Le enterotossine più frequentemente implicate nei casi di tossinfezione alimentare sono la SEA (75% dei casi) e la SED.

Il monitoraggio dei soli microrganismi non può dare risposte certe rispetto all’idoneità dell’alimento, poiché l’assenza del batterio nel prodotto finale non esclude la presenza di tossine e viceversa.

Nonostante la possibile identificazione del gene dell’enterotossina attraverso tecniche biomolecolari (identificazione DNA), non si può dedurre necessariamente che questa venga prodotta. Inoltre poiché è impossibile poter dedurre la loro produzione da qualche fattore biochimico del batterio (enzimi come coagulasi o termonucleasi), per verificare la loro presenza viene utilizzato un test di screening diretto (metodo immunoenzimatico).

Le enterotossine stafilococciche (ES) quando sono preseni nell’alimento in quantità sufficiente, danno luogo ad una comune forma di intossicazione alimentare il cui nome è “intossicazione da enterotossina stafilococcica” o “intossicazione stafilococcica” (IS). La peculiarità biologica di queste proteine risiede nella loro notevole termostabilità (alcune sono inattivate a 100°C dopo diverso tempo) per cui possono resistere ai trattamenti di cottura ai quali sono sottoposti gli alimenti. Tuttavia, non tutti i ceppi di S. aureus risultano enterotossigeni (cioè in grado di sintetizzare ES); questa capacità è posseduta da circa il 50% degli stipiti. L’intossicazione stafilococcica è molto diffusa nei paesi sviluppati, in cui la popolazione si nutre di alimenti complessi e manipolati. È una malattia poco grave, raramente letale, che richiede ospedalizzazione dei pazienti colpiti in circa il 10% dei casi (normalmente persone molto giovani o anziani). L’IS si sviluppa quando si consumano cibi che contengono l’ES sintetizzata e rilasciata durante la replicazione di S. aureus.

I cibi che con maggior frequenza possono rendersi responsabili di IS, sono soprattutto quelli ricchi di nutrienti (es. zuccheri, proteine, ecc.) e sottoposti a manipolazioni da parte dell’uomo come esempio: prodotti di pasticceria, gelati, latte non pastorizzato, latte conservato in abuso termico, prodotti lattiero-caseari a base di latte crudo o ricontaminati dopo il trattamento termico (es. ricotta, ecc.), prodotti ittici trasformati, carne in particolare di suino e suoi derivati ecc.

La quantità minima necessaria a causare la malattia nell’uomo è di circa 20 ng, valore ricavato da una delle prime epidemie di gastroenterite stafilococcica imputabile a latte al 2% di cioccolato (Jay, et al., 2009).

Particolare attenzione va posta agli alimenti cotti, successivamente ricontaminati, conservati a temperature permissive per la replicazione di S. aureus e serviti dopo

diverse ore dalla preparazione (carni fredde, polpettoni, insalate miste contenenti carne, ecc.).

Altri alimenti spesso coinvolti in casi di IS sono il prosciutto crudo, altre carni salate, baccalà ed altri pesci salati, poiché S. aureus è un microrganismo alofilo.

Affinchè si abbia una manifestazione clinica di IS è necessario ingerire circa 10-20 ng di ES; affinché tale quantità di tossina si accumuli nell’alimento contaminato da S.

aureus, è necessario che il germe si replichi e raggiunga una carica microbica di

circa 500.000-1.000.000 di cellule per grammo di alimento.

Queste cariche microbiche possono essere raggiunte nell’alimento conservato a temperature per la replicazione in 2-4 ore (EFSA, 2010).