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Genere, identità ed incorporazione

Nel documento Università degli Studi di Roma Tre (pagine 113-120)

Il genere come categoria sociologica ha una lunga genesi che, in questa sede, non sarà esaustivamente ripercorsa, ma saranno affrontati gli aspetti performativi e relazionali del “femminile”, al fine di svelare il substrato simbolico utile alla costruzione dell’identità personale. Il genere è una dimensione fondamentale dell’identità che si realizza continuamente nei vari contesti e a seconda dell’organizzazione sociale260. È ormai risaputo, nelle scienze sociali e umane, che il genere racchiude in sé un aspetto eminentemente performativo: esso deve essere agito ed interpretato per essere riconosciuto come tale. In questo senso il genere viene considerato come una componente relazionale del corpo e non meramente costitutivo di esso. Un chiarimento convincente è quello di Ghigi e Sassatelli, che definiscono il genere come l’insieme delle:

relazioni tra soggetti dotati di corpi che si situano in posizione differente nell’organizzazione sociale rispetto alle proprie capacità riproduttive e quindi alla classificazione sessuale, e le relazioni di questi soggetti con il proprio corpo. (…) l’insieme di queste relazioni arriva a definire un “ordine di genere” che fissa una rete di possibilità e corsi di azione261

L’essere uomini o donne contiene in sé la necessità di agire ed interpretare la propria mascolinità o femminilità veicolando i caratteri che gli interlocutori riconoscono come qualità principali, normali e naturali, associate al genere e al sesso262. Negli studi di genere, infatti, l’idea che sia un “fare” è ormai ampiamente consolidata in quanto evidenzia il carattere socialmente costruito e ritualizzato, nonché istituzionalmente sostenuto, delle differenze tra gli uomini e le donne. A questo proposito l’identità si alimenta in primo luogo degli attributi corporei che vengono associati ad una manifestazione “naturale” del femminile e del maschile e che viene codificata in base al genere. Butler considera il genere

260 Ghigi R., Sassatelli R., Corpo, genere e società, op. cit., p. 37.

261 Ivi, pp. 36-37.

262 Sassatelli R. (2014), Introduzione. Fare genere governando le emozioni, in Rassegna Italiana di Sociologia, 4, pp. 633-650.

come un “fare in azione” che resta aperto alla re-interpretazione, laddove questo è agito costantemente e quotidianamente. In sociologia il concetto di identità si lega a quello dell’identità di genere in quanto essa risponde agli attributi di coerenza e continuità, riconosciuti, e alle norme di intelligibilità sociale263. Ciò che accade quando gli elementi che la compongono diventano incoerenti e discontinui resta un problema di ordine sociologico. L’identità che non risponde ai canoni sessualmente definiti non è più un’istanza descrittiva dell’esperienza, ma resta un ideale normativo che soggiace a specifiche pratiche di regolamentazione. Questo aspetto è particolarmente evidente nelle esperienze di ibridazione identitaria, laddove essa non è resa intelligibile secondo gli attributi del sesso e dalle pratiche del desiderio. Le differenze di genere poggiano su una categorizzazione sessuale e quindi su visioni naturalizzate del sesso che emergono da un’idea di identità dominante. La corporeità può essere quindi esaminata sia in “profondità”, cioè attraverso un lavoro sulle emozioni e gli aspetti della soggettività, che in “superficie”, ossia mediante un esame degli aspetti costitutivi del suo “apparire”. In questa logica diventa decisivo osservare il legame tra la cultura e il corpo che risiede nelle rappresentazioni sociali e pone l’attenzione su come i corpi vengono raffigurati e, nel caso del genere, secondo gli aspetti ideali del femminile e del maschile. Il corpo è quindi composto da elementi simbolici, da discorsi e categorie, ma anche da elementi materiali che riguardano le dimensioni, il portamento, gli attributi fisici264 associati ad un sesso invece che ad un altro. La variabilità delle norme estetiche determina differenti modalità di apparire che rivelano i caratteri e i valori intrinseci della società. Gli standard di bellezza, o di aspetto, considerati normalmente accettabili, mutano insieme con le contingenze storiche e con la struttura sociale ed economica.

Questo di fatto determina un adeguamento della propria immagine alle evocazioni ed alle richieste di “normalità”. Tali imperativi, soprattutto per quanto riguarda le donne, sebbene oggi interessino anche gli uomini, risultano particolarmente evidenti dai messaggi promozionali presenti in riviste di settore e messaggi pubblicitari rivolti ad un target prettamente femminile. L’importanza per l’immagine di sé e l’apparenza è stata da sempre appannaggio del pubblico femminile che storicamente ha acquisito diverse tecniche di intervento sul proprio corpo, che vanno dalla cosmesi all’intervento chirurgico all’allenamento e alla cura del corpo a mano a mano che i processi di produzione industriale, del

263 Butler J. (2013), Questioni di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Laterza, Bari, pp. 26-27.

264 Ghigi R., Sassatelli R., Corpo, genere e società, op. cit., p. 41.

secondo Novecento, rendevano accessibile il diritto-divere alla bellezza democratizzando merci e servizi in maniera trasversale265. Anche la malattia è legata a peculiari stereotipi di genere, come la nozione del “corpo promotore della salute”, che ora viene considerato tipicamente femminile. Le donne rappresentate nei discorsi medici o nelle campagne di salute pubblica appaiono sempre più consapevoli della loro salute e del benessere dei loro corpi e pertanto sono disposte a prendere provvedimenti per proteggere la loro salute rispetto agli uomini. Basti pensare alle campagne di prevenzione per il cancro al seno, come è stato ampiamente esposto nel capitolo secondo. Essere attenti al proprio benessere e provare a prevenire la cattiva salute attraverso le modifiche dello stile di vita è considerato molto più dominante per le donne rispetto a un orientamento maschile al corpo266. La preoccupazione del proprio aspetto esteriore, invece, diventa oggi una priorità per entrambi i generi sebbene le modalità di rappresentazione del femminile contengano in sé dei caratteri peculiari ed interessanti per l’indagine in questione. In particolare, da alcune ricerche emerge che la modificazione del proprio corpo-progetto e gli interventi su di esso richiedono maggiore o minore capacità riflessiva a seconda della tipologia di modificazione che introducono nell’immagine di sé e nell’auto-rappresentazione.

Interventi come il rimodellamento del corpo attraverso il fitness, decorazioni temporanee, aggiunte e applicazioni, colorazione dei capelli e piercing sono molto comuni e richiedono uno scarso livello di riflessività in quanto non necessitano di un progetto o una scelta definitiva. Le tecniche d’intervento più significative come il body art o la chirurgia estetica richiedono, invece, una radicale ridefinizione del proprio corpo e una maggiore consapevolezza del proprio progetto biografico267. In questo senso quando intervengono fattori esterni, non prevedibili, che modificano la relazione con il corpo, irrimediabilmente bisogna fare i conti con la soggettività incarnata e con una revisione degli aspetti fondamentali dell’identità personale, come nel caso del genere. Esistono, infatti, molteplici aspetti che definiscono l’identità di genere attraverso il corpo e i significati da sempre associati ad alcune parti specifiche come il seno, il ventre, o legati ad alcuni specifici momenti e fasi della vita come le mestruazioni, la gravidanza, il partorire, la menopausa. Durante queste fasi i

265 Ivi, pp. 105-110.

266 Lupton D., Medicine as culture, op. cit., p. 28.

267 Crossley N. (2005), Mapping Reflexive Body Techniques: On Body Modification and Maintenance, in Body and Society, 11, 1, pp. 1-35.

corpi attraversano delle modificazioni che contribuiscono a distinguere ciò che la donna è mediante un ancoraggio ad eventi “naturali”.

In tal senso, se l’essere donna si definisce rispetto agli attributi corporei, la sua storia non può che essere legata alla storia del suo corpo268. Nella cultura occidentale, il seno è considerato e vissuto come attributo simbolico fondamentale e con diverse accezioni: simbolo di femminilità, di maternità, di fertilità, ma anche emblema di seduzione ed erotismo269. Pertanto, su di esso convergono valori estetici largamente enfatizzati dai mezzi di comunicazione. Il seno femminile è associato a diverse simbologie non soltanto legate alla maternità in sé, ma rappresenta l’emblema della femminilità e, secondo i canoni estetici attuali dovrebbe essere alto, grosso, tonico e talvolta alcune donne per rincorrere questo modello scelgono di sottoporsi a interventi di chirurgia estetica270. Al tempo stesso il seno, in virtù delle più recenti scoperte biomediche, diventa il simbolo di un pericolo potenziale oppure attuale. Come è stato mostrato nel precedente capitolo, il cancro al seno è particolarmente associato ad una problematica di genere, sebbene riguardi anche gli uomini. Questo accade perché la mastectomia essendo tra le misure più drastiche, ma anche più praticate per la cura del cancro a seno, determina una ridefinizione totale dell’immagine di sé per le donne in quanto intacca un aspetto centrale della simbologia di genere271. Sono diverse le strategie che le donne con questo particolare tipo di esperienza adottano al fine di esorcizzare o rimpiazzare la parte mancante, sia in termini pratici che eminentemente simbolici272. Come ampiamente trattato, il cancro è una metafora stigmatizzante ancor più se attacca degli aspetti legati all’immagine di sé e ai simboli fondamentali per la costruzione dell’identità. La politologa Zillah Eisenstein, che ha sviluppato il cancro al seno, sostiene che: «il seno parla del desiderio sessuale, del nutrimento materno e delle mamme e l’oggettivazione delle femmine, riducendole ai loro corpi»273.

268 Cfr. Chesler P. (1987), Le donne e la pazzia, Einaudi, Torino.

269 Failla R. (2000), Quando il seno fa paura., in Il corpo e il suo linguaggio nella storia delle donne, in Rivista di Scienze Sessuologiche, 13, 2, pp.32-35.

270 Ibidem.

271 La problematica dell’immagine di sé è stata ampiamente affrontata ed è riconosciuta all’interno di quella che negli studi di settore viene definita come: ‘Sindrome Psiconeoplastica’ e che fa riferimento alle conseguenze psicologiche legate al processo di stravolgimento del proprio progetto esistenziale in seguito alla malattia. Per approfondire: Guarino A., Ravenna A. (1992), Problematiche psicologiche nel malato oncologico: confronto tra modelli di intervento, in Giornale Italiano di Psiconcologia, 1, 1, pp. 33-39.

272 Questi aspetti troveranno una più ampia trattazione nel capitolo settimo.

273 Eisenstein Z. (2001), Manmade Breast Cancers, Cornell University Press, Ithaca, p. 57.

In psicoanalisi, infatti, il seno incorpora quattro caratteristiche: il seno nutritivo, il seno consistente, il contatto con una membrana calda e tenera e il seno come contenitore attivo e stimolante. Il seno materno costituisce il primo oggetto psicologico, dove i contorni della femminilità risplendono come “intimo sensibile del sé”274. Studi recenti, infatti, confermano che l’esperienza dell’amputazione del seno in seguito al cancro genera uno smarrimento identitario e una necessaria ridefinizione delle relazioni anche in contesti socioculturali non occidentali, in quanto altera il ruolo della donna all’interno degli ambienti familiari e lavorativi275. Se consideriamo che la malattia colpisce il corpo che è il cuore del sé è facile intuire quanto esso rappresenti una risorsa per l’interazione nel mondo. Attraverso il corpo le persone assorbono e trasmettono la conoscenza del mondo, comunicano, eseguono azioni e compiti.

Il corpo sta scomparendo nel mondo sociale, sia al suo interno che all’esterno276. Quando il corpo cambia il sé è instabile e incerto277. Il sé è un concetto sociologico fondamentale le cui definizioni più largamente accettate considerano il “sé” da costruire attraverso l’interazione riflessiva con gli altri. Il sé sarà quindi inteso come un elemento processuale e non statico.

274 Lammer C., Titscher A., Schrögendorfer K., Kropf N., Karle B., Haslik W., Travniczek U., Frey M. (2007), Sociology of Breast Tissues, in European Surgery, 39, 4, pp. 208-215.

275 Adejoh S. O., Esan D. T., Adejayan A. (2018), Social Role Performance and Self-identity among Breast Cancer Patients in Lagos, Nigeria, in Journal of Health and Social Sciences; 3, 2, pp. 171-184.

276 Clarke J. N., James S. (2003) The Radicalized Self: The Impact on the Self of the contested nature of the Diagnosis of Chronic Fatigue Syndrome, in Social Science & Medicine, 57, pp.

1387-1395.

277 Conrad P. (1987), The Experience of Illness: Recent and New Directions, in Research in the Sociology of Health Care, 6, pp. 1-31.

Capitolo Quarto

Illness: La malattia vissuta

Nessuno mi aveva mai detto che il dolore assomiglia tanto alla paura.

Non che io abbia paura: la somiglianza è fisica.

Gli stessi sobbalzi dello stomaco, la stessa irrequietezza, gli sbadigli.

Inghiotto in continuazione.

Altre volte è come un’ubriacatura leggera, o come quando si batte la testa e ci si sente rintronati.

Tra me e il mondo c’è una sorta di coltre invisibile.

Fatico a capire il senso di quello che mi dicono gli altri.

O forse, fatico a trovare la voglia di capire.

È così poco interessante. Però voglio avere gente intorno.

Ho il terrore dei momenti in cui la casa è vuota.

Ma vorrei che parlassero fra loro e non a me.

(C.S. Lewis., 1990, Diario di un dolore)

4.1 Tra la sociologia della salute e della medicina e gli studi su scienza e

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