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Gli ideali del corpo post-moderno tra manipolazione e benessere

Nel documento Università degli Studi di Roma Tre (pagine 102-113)

medicina e del corpo al fine di ottenere informazioni rilevanti circa la propria condotta225. La ricerca del benessere rientra, infatti, tra gli stili di vita post-moderni e registra una forte espansione che assorbe modelli di consumo e stili di vita eterogenei, dove il corpo acquista il ruolo di catalizzatore di nuove pratiche socioculturali. Il corpo post-moderno è, infatti, il segno distintivo dell’individualità, traccia del soggetto e realtà tangibile del suo divenire. La biomedicina, seppure attinge ad un sapere specializzato, si costituisce come la rappresentazione ufficiale del corpo umano226. Tuttavia, l’immagine prevalente che questa scienza suggerisce rimanda ad una cesura profonda tra il corpo, in quanto insieme di parti organiche, e la persona, con la sua soggettività come riportato tra le suggestive pagine di Pennac:

Quanto ai medici (a quando risale la tua ultima visita?), è molto semplice: oggi il corpo non lo toccano più. A loro importa soltanto il puzzle cellulare, il corpo radiografato, ecografato, tomografato, analizzato, il corpo biologico, genetico, molecolare, la fabbrica degli anticorpi. Vuoi che ti dica una cosa? Più lo si analizza, questo corpo moderno, più lo si esibisce, meno esiste. Di un altro corpo ho tenuto il diario quotidiano; del nostro compagno di viaggio, della nostra macchina per essere.227 Questa breve parentesi letteraria lascia bene intendere i caratteri di tale separazione tra le parti dove l’uomo è concepito in astratto come «il simulacro che regna su un arcipelago di organi, metodologicamente separati gli uni dagli altri»228. La malattia, al contrario del benessere, è un’esperienza corporea significativa, in quanto capace di perturbare l’equilibrio silenzioso del corpo.

Sulla scia del post-strutturalismo e del postmodernismo, in cui viene adottata una posizione costruzionista del sociale, il corpo umano non può più essere considerato una realtà data, ma il prodotto di certi tipi di conoscenza e di discorsi che sono soggetti a cambiamenti. Come osserva Haraway, infatti: «i corpi, quindi, non nascono: sono fatti»229. Da questa prospettiva, la biomedicina è una fonte importante di tali discorsi e conoscenze, che riesce ad escludere rappresentazioni alternative di come il corpo e la malattia funzionano.

225 Caccamo R. (2010), Il fascino indiscreto della moda. Sogno, comunicazione, vita quotidiana, eros, Bulzoni editore, Roma, p. 88.

226 Ivi, p. 90-95.

227 Pennac D. (2012), Storia di un corpo, Feltrinelli, Milano, p. 10.

228 Le Breton D., Antropologia del corpo e modernità, op. cit., p. 206.

229 Haraway D. (1989), The Biopolitics of Postmodern Bodies: Determinations of Self in Immune System Discourse, in Differences, 1, 1, pp. 3-44.

Sebbene l’uomo e la sua identità vengano posti in secondo piano nella biomedicina, gli individui presentano un’immagine confusa del proprio corpo utilizzandolo in più modi per forgiare la propria identità attraverso una comparazione con i modelli e le utopie di perfezione dispensate dalla società e dalle varie cerchie alle quali appartiene. Per meglio esemplificare questo concetto, Le Breton utilizza la metafora del vestito di Arlecchino. Secondo l’autore in diversi settori della società occidentale l’individuo si trova a dotarsi di elementi sempre nuovi al fine di comporre una versione molteplice della propria identità, senza curarsi delle contraddizioni e disparità tra i diversi pezzi dell’abito-corpo, proprio come l’abito di Arlecchino che si risolve in una manifestazione perfetta di disordine e riconoscibilità. Nonostante l’eterogeneità delle fonti dalle quali il soggetto attinge, l’immagine appare come una rappresentazione coerente, sebbene fluida, poco definita e fluttuante, ma che richiede tuttavia una cura costante da parte degli individui che lo abitano230. Il corpo postmoderno diventa quindi un progetto, ma anche un ricettore di

“sensazioni” che assorbe e assimila le “esperienze” più diverse, considerato il dispositivo simbolico per eccellenza e il luogo per lo scambio di segni231. Questo eccesso di opportunità rivela talvolta un’illusoria libertà dove il soggetto diventa consumatore di mode apparenti, di “identità provvisorie”232.

Il culto del corpo diventa quindi ricerca di sé, necessità di ridefinizione continua soggetta ai ritmi del post-moderno che impongono innovazioni ricorrenti e modelli basati sulla ricchezza espressiva e la cura delle apparenze. In questo contesto l’ethos della “cultura terapeutica”:

nasce in fondo proprio per rispondere al senso di vuoto della società moderna, ma si tratta di una risposta illusoria, che celebra il culto del sé individuale e ripropone un’idea di status quo piuttosto conservatrice. Questo avviene, come detto, nei campi più disparati dei mondi vitali: si assiste oggi ad una politica sempre più orientata verso la personalizzazione e la spettacolarizzazione, che è stata ben definita da Lasch come

“politica narcisistica”233.

230 Bauman Z. (1999), La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, pp. 55-56.

231 Baudrillard J. (1976), La società dei consumi, Il Mulino, Bologna, p. 207.

232 Esposito M. (2010), L’uomo post-moderno tra deriva psicologista e ‘cultura della scorciatoia’, p.130 in Maturo A. (a cura di), Salute e salvezza. I confini mobili tra sfere della vita, Franco Angeli, Milano.

233 Ivi., p. 129.

Se in passato tale prassi apparteneva alle classi più agiate, oggi democratizza i propri confini rendendo accessibile a chiunque la possibilità di curarsi del proprio corpo rendendo un’imposizione “soffice” l’adesione agli imperativi estetici più disparati, a patto che bandiscano ogni forma di imperfezione. Per tale ragione, nelle società occidentali, è evidente il consumo sempre maggiore di sport, fitness, prodotti estetici e cure mediche volte al perseguimento dell’utopia di un corpo senza tempo in quanto «in una società di individui, dove le collettività di appartenenza non forniscono più modelli decisivi, il culto del corpo diviene un motivo sufficiente in sé e per sé»234. Il corpo quale emblema di immanenza adotta i miti del presente, la lotta ai segni del decadimento e del tempo, l’assenza di imperfezioni e difetti, quali aspetti definitori della propria identità sociale. È proprio a partire dai discorsi ufficiali e mediatici in merito alla promozione della salute e del benessere, e dalle diffuse credenze riguardanti diete ed esercizi miracolosi, che è possibile testimoniare un crescente rilievo conferito alla

«ricostruzione personale grazie all’intervento sul corpo in nome di un benessere al contempo corporeo e psicologico. Esercizio, dieta, vitamine, tatuaggi, piercing, farmaci, chirurgia estetica, riassegnazione del genere, trapianto di organi: l’esistenza corporea e la vitalità del sé sono diventate luogo privilegiato degli esperimenti relativi alla nostra persona»235.

Questo “compito” richiede quindi un investimento e un controllo continui.

Restando soltanto nel panorama nazionale, si assiste a tal proposito ad una costante e progressiva crescita degli italiani per ogni fascia d’età e genere che praticano attività sportiva: dal 1995 ad oggi si passa dal 15,9% al 25,5% nel 2015236. Le attività sportive prevalenti sono legate al fitness e la cultura fisica nel 25,2% degli sportivi, pari a 5 milioni 97 mila persone237. In questo panorama

234 Duret P., Roussel P. (2006), Il corpo e le sue sociologie, Armando, Roma, p. 59.

235 Rose N. (2008), La politica della vita. Biomedicina, potere e soggettività nel XXI secolo, Enaudi, Torino, pp. 37-38.

236 Secondo il rapporto Istat sulle pratiche sportive in Italia, nel 2015 sono stimate oltre 20 milioni le persone che dichiarano di praticare uno o più sport. Tra gli uomini il 29,5% pratica sport con continuità e l’11,7% saltuariamente. Per le donne le percentuali sono più basse, rispettivamente 19,6% e 8,1%. La pratica sportiva continuativa cresce nel tempo per entrambi i generi e in tutte le età: dal 15,9% del 1995 al 22,4% nel 2010 fino al 24,5% nel 2015. Significative sono le differenze rispetto al livello di istruzione: pratica sport il 51,4% dei laureati, il 36,8% dei diplomati, il 21,2% di chi ha un diploma di scuola media inferiore e solo il 7,3% di chi ha conseguito la licenza elementare o non ha titoli di studio. Fra gli sport i più praticati sono da segnalare ginnastica, aerobica, fitness e cultura fisica (25,2% degli sportivi, pari a 5 milioni 97 mila persone), il calcio (23%, 4 milioni 642 mila persone) e gli sport acquatici (21,1%, 4 milioni 265 mila persone). https://www.istat.it/it/files//2017/10/Pratica-sportiva2015.pdf.

237 Ibidem.

storico-culturale le attività come il fitness vengono associate normativamente al

“riscatto personale” «mediante valori tradizionalmente borghesi come l’auto-controllo, la determinazione, il lavoro su se stessi. I partecipanti tuttavia sembrano in grado di appropriarsi di discorsi simili solo nella misura in cui hanno imparato (anche attraverso la propria esperienza fisica) a fare proprie quelle visioni del corpo, dei suoi bisogni, delle sue capacità che la palestra promuove come “naturali” e “normali”»238. I luoghi dell’istituzionalizzazione della pratica sportiva e ludica, le palestre, promuovono un ideale di corpo ben preciso, dove la magrezza e la tonicità diventano le misure positive del successo, sancendo così ciò che è giusto o sbagliato come il sovrappeso o la pigrizia239. Crescono perciò sia i luoghi che i servizi e le terapie del benessere volte ad accompagnare l’individuo verso questa “opera” di rinnovamento continuo240. Prosperano anche le vendite dei dispositivi indossabili volti al tracciamento dei dati personali ed impiegati prevalentemente per la misurazione dei parametri vitali relativi al miglioramento delle abitudini, della salute e della prestanza fisica241. Queste tecnologie fanno parte di un processo più ampio di controllo riflessivo sul corpo che è stato definito come quantified self242 ossia quel fenomeno socioculturale

238 Sassatelli R. (2002), Corpi in pratica: «habitus», interazione e disciplina, in Rassegna Italiana di Sociologia, XLIII, 3, p.453.

239 Ibidem.

240 È bene chiarire che, sebbene la cura del corpo e l’adesione ad imperativi estetici si configurino come un aspetto nevralgico delle attività legate al fitness, non rappresentano però l’unica ragione.

In una ricerca etnografica di Sassatelli, viene evidenziato quanto l’attività ludica in questione sia capace di risvegliare nei partecipanti assidui un senso di riappropriazione del corpo e della mente, operando un distacco con il “mondo esterno” e una sorta di livellamento sociale attraverso la rimozione delle gerarchie e delle barriere relazionali in funzione dei rituali e delle cerimonie che il campo delle palestre richiede ed esercita attraverso uno specifico addestramento del personale interno. Per approfondire: Sassatelli R. (2000), Anatomia della palestra. Cultura commerciale e disciplina del corpo, Il Mulino, Bologna, e Sassatelli R. (2014), Fitness Culture. Gyms and the Commercialisation of Discipline and Fun, 2nd Edition, Palgrave, MacMillan.

241 Nel 2014 sono stati circa 19 milioni i dispositivi di wearable technology venduti nel mondo ed oltre 600 mila in Italia. Secondo l’indagine di mercato condotta da IDC (International Data Corporation), si prevede un aumento che stima 112 milioni di pezzi acquistati nel 2018. Secondo i dati dell’Osservatorio sui Wearable Devices fondato in Italia nel 2014, i settori d’investimento maggiore in Italia sono quello medicale, con il 47% di aziende coinvolte, al quale segue quello del benessere e del fitness (35%), seguito da gaming, sicurezza e domotica.

242 Il quantified-self è un movimento fondato nel 2007 da Gary Wolf e Kevin Kelly, il cui scopo è quello di promuovere l’utilizzo di tecnologie per l’auto-misurazione al fine di produrre conoscenza attraverso i numeri. In un articolo pubblicato sul New York Times viene così spiegata la filosofia del sé quantificato:

“Gli umani fanno errori. Facciamo errori fattuali ed errori di valutazione. Abbiamo punti ciechi nel nostro raggio visivo e vuoti nel nostro flusso di attenzione. A volte non riusciamo neppure a rispondere a domande semplicissime: dov’ero la settimana scorsa a quest’ora? Da quando mi duole il ginocchio? Quanti soldi spendo in media al giorno? Queste debolezze ci creano uno

utile a descrivere le pratiche con cui le persone possono monitorare la loro vita quotidiana, i loro corpi e i loro comportamenti. L’auto-quantificazione o sé quantificato (quantified self) si riferisce esplicitamente all’uso dei numeri come mezzo per monitorare e misurare elementi della vita quotidiana e dell’incorporazione243.

Da una ricerca di Choe e colleghi, emergono tre diversi profili di sé quantificati: coloro che si auto-monitorano per migliorare la propria salute;

coloro che si misurano per migliorare altri aspetti della vita (es. attività produttive, performances); coloro che si misurano per ricercare nuove esperienze di vita244. Diventa possibile quindi, e in alcuni contesti auspicabile, potersi definire attraverso una narrazione aritmetica fatta di percentuali, medie e mediane. Nella filosofia del quantified self il corpo viene costruito come un insieme di istogrammi e visionabili attraverso lo smartphone o il proprio personal computer245. Per quanto riguarda la salute il tracciamento viene utilizzato in diverse fasi che vanno dalla prevenzione, alla diagnosi e la terapia, ma anche più in generale per l’auto-miglioramento, generando di fatto la medicalizzazione di aspetti pratici della vita che vengono inglobati nell’idea di auto-gestione della salute e del benessere attraverso l’auto-monitoraggio246. La pratica dell’auto-monitoraggio porta con sé un desiderio di miglioramento, relativamente sia alle prestazioni fisiche che cognitive. Per miglioramento umano, infatti, si può intendere ogni attività che vada a potenziare una o più delle seguenti dimensioni: il benessere psichico; le capacità cognitive e fisiche;

l’estensione della vita e ogni processo che può essere realizzato attraverso azioni mediche e non247. Alle tecnologie di tracciamento si affiancano quelle di

svantaggio. Prendiamo decisioni basate su informazioni parziali […] Dietro al fascino del quantified self c’è l’idea che molti dei nostri problemi derivano semplicemente dalla mancanza di strumenti che ci facciano capire chi siamo. La nostra memoria è debole; abbiamo un sacco di pregiudizi; possiamo focalizzare la nostra attenzione al massimo su una o due cose contemporaneamente; nei nostri piedi non c’è un pedometro né c’è un monitorizzatore del glucosio installato nelle nostre vene […]. Abbiamo bisogno dell’aiuto delle macchine” tratto da:

Wolf G. (2010), The Data-Driven Life, in The New York Times – Sunday Review, May 2nd.

243 Lupton D. (2016), Quantified-self: a sociology of self-tracking, Polity Press, Cambridge, pp.

3-4.

244 Choe E. K., Lee N. B., Bongshin L., Pratt W., Kientz J. A. (2014), Understanding Quantified-Selfers’ Practices in Collecting and Exploring Personal Data, Proceedings of the SIGCHI Conference on Human Factors in Computing Systems, Toronto, Ontario, Canada, pp. 1143-1152.

245 Maturo A. (2014), "Vite misurate". Il quantified self e la salute digitale in Sociologia della comunicazione, Franco Angeli, Milano, 48, pp. 60-67.

246 Morsello B., Moretti V., Your health in numbers., op. cit., pp. 214-227.

247 Cfr. Maturo A. (2012), La società bionica. Saremo sempre più belli, felici e artificiali?, Franco Angeli, Milano.

visualizzazione del corpo e delle sue funzioni e potenzialità. Di recente, infatti, è stato introdotto il primo scanner per il corpo in 3d chiamato Naked (Nudo) che combina insieme diverse tecnologie, tra questi computer vision, machine learning e algoritmi. Questo scanner, che si compone di un sensore molto simile ad una bilancia ed uno specchio, va molto oltre la misurazione del peso corporeo:

questo dispositivo è infatti capace di implementare veri e propri progetti sul corpo, suggerendo un regime dietetico consigliato ed attività di fitness per il peso che si desidera raggiungere. Inoltre, Naked è in grado di riferire l’intera composizione corporea, percentuale di massa grassa e magra, creare grafici che tengano conto della “storia” di quel corpo e dei suoi mutamenti nel tempo in relazione agli eventi e alle attività. Il responsabile della ricerca, Sam Winter, descrive così l’utilità di Naked per i suoi utilizzatori:

il modello e le metriche del corpo 3D di Naked danno alle persone maggiore comprensione e proprietà sui loro corpi. Sia che tu voglia abbracciare il corpo che hai o apportare modifiche alla tua routine e vedere come si riflettono nel tuo corpo, il modello del corpo obiettivo di Naked ti dà gli strumenti per farlo248.

Alcuni progetti di ricerca nostrani, ma ancora non presenti sul mercato, lasciano emergere proprio questa necessità di pianificazione corporea e di conoscenza approfondita e quanto più obiettiva, come il caso di Specch.io, progettato per incrementare la “consapevolezza individuale”249.

Il ricorso alle tecnologie quali supporti per il potenziamento delle proprie qualità riguarda sia le prestazioni cognitive che comportamentali, nonché fisiche, ed è accompagnato spesso alla ricerca di un perfezionamento di tipo estetico. Il corpo quale prodotto storico-sociale si definisce culturalmente sotto un profilo estetico. Per estetica s’intende, in linea generale, la riflessione critica sulla bellezza250 che trae forza etimologica dal greco aisthesis ossia “sensazione”. La questione estetica muta nelle sue forme e si adatta alle contingenze del gusto nelle diverse stagioni storiche. Insieme con questa, la preoccupazione per l’immagine di sé. Il pensiero del proprio corpo si adatta perciò al perseguimento di alcuni

248 Binlot A. (2018), Introducing Naked, the World’s First 3D Body Scanner, in Forbes, Aug. 15.

249 Marcengo A., Buriano L., Geymonat M. (2014), Specch.io: A personal QS Mirror for Life Patterns Discovery and ‘Self’ Reshaping, in: Stephanidis C., Antona M. (eds), Universal Access in Human-Computer Interaction. Design for all and Accessibility Practice., UAHCI, Lecture Notes in Computer Science, 8516, Springer, Cham.

250 Persichetti P., Russo M. T., Tambone V. (2012), Cosm-etica. Chirurgia estetica, corpo e bellezza, McGraw-Hill, Milano, p. 8.

obiettivi, quasi sempre in sintonia con gli ideali estetici condivisi. Il lavoro sul corpo vive e riproduce in modo ambivalente sia i canoni consacrati come universali che le esigenze di personalizzazione in virtù della pluralità di modelli proposti. Le forme di riconoscimento istituite producono immagini stabili in vari momenti ed attraverso i diversi canali dell’immaginario, ponendo al centro un criterio di bellezza normativo. Travaillot individua tre periodi caratterizzati da modi specifici d’intendere la bellezza nella Francia dagli anni Sessanta agli anni Novanta. Individua nel Sessantotto il proliferare d’immagini che propongono una bellezza femminile legata a canoni estetici fanciulleschi. Da Jane Birkin a Twiggy ritroviamo un inno alla magrezza che accantona le icone del passato in favore di un’immagine esile, fragile e al tempo stesso eternamente giovane.

Verso la fine degli anni Ottanta individua un secondo mutamento che invece accoglie e propone un modello di donna più muscolosa, dalle forme toniche e che s’impegni adeguatamente per il perseguimento dell’obiettivo estetico. Nello stesso periodo aumenta il numero delle palestre e i media dispensano le guide fai da te dove viene promosso il messaggio “no pain, no gain” spingendo verso la presa in carico totale del corpo e un’attenzione sempre maggiore al cibo. Dagli anni Novanta l’autore coglie una sostanziale svolta dei modelli di bellezza e di cura del proprio corpo. In questo senso, in concomitanza con una maggiore fiducia nelle possibilità tecniche e nell’innovazione, il massimo dell’edonismo si raggiunge quando le promesse di una perfezione facilmente perseguibile, ossia priva di “pena” e fatica, può essere raggiunta in cambio di un sacrificio finanziario e non più corporeo. Travaillot evidenzia come, infatti, la pratica chirurgica diventi consueta medicalizzando di fatto la cura di sé attraverso tecniche specialistiche, diete miracolose e collant-lifting251. Il corpo, in questo senso, perde la sua “sacralità” per divenire manipolabile e riproducibile tecnicamente, completamente oppure in modo parziale. Il corpo quale teatro socioculturale diventa materia plastica e mutevole capace di esibire i propri codici. È possibile quindi osservare nel corpo tre dimensioni principali: quella soggettiva, quella oggettiva e infine una dimensione socio-progettuale della corporeità. Il corpo-progetto è orientato dalle pratiche sociali e diventa strumento di creazione di “spazi estetici” dove collocare sé stesso252.

Anche l’esposizione del corpo diventa contingente alla realtà spazio-temporale. Basti pensare alle diverse idee e concezioni di esso, agli atti e

251 Cfr. Travaillot Y. (1998), Sociologie des pratiques d’entretien du corps, Presses Universitaires de France, Paris.

252 Cfr. Fiorani E. (2010), Abitare il corpo. Il corpo di stoffa e la moda, Lupetti, Milano.

comportamenti ammessi entro specifiche situazioni e i significati che esso assume nei differenti contesti. L’esperienza corporea implica di per sé la presenza entro un dominio di realtà empiricamente verificabile: l’autorità del vissuto corporeo s’impone e suggerisce nuove credenze. Pertanto, questa è talvolta mostrata ed esibita proprio nei talk show televisivi al fine di tematizzare le esperienze riguardanti salute e benessere. L’esposizione del corpo offre immagini e lessici peculiari, soprattutto quando riguarda parti anatomiche anche intime, come il seno o condizioni fisiche di tipo patologico. Ponendo al centro il corpo, esso funge da testimone e da elemento di discussione e di giudizio. Così come il contesto clinico autorizza il medico a toccare il corpo del paziente, allo stesso modo questa legittimazione si estende anche alla televisione dove il medico può toccare il corpo e dove si può mostrare il corpo253. In un’indagine sociologica sull’esposizione della scienza nella televisione italiana, Turrini evidenzia l’importanza della dimensione corporale quale elemento imprescindibile per la selezione di partecipanti dei talk show sul tema della salute e del benessere.

Questi infatti venivano selezionati attraverso criteri spersonalizzanti quali i “bio-marcatori” o condizioni fisiche ugualmente misurabili come il sovrappeso o una patologia specifica. La corporeità diventa, in questi casi, parte integrante della discussione introducendo una dimensione di veridicità e robustezza ai fatti scientifici che vengono commentati. La fisicità intesa come esperienza incorporata conferisce una legittimità incontestabile e fornisce una competenza che travalica lo studio televisivo rendendosi spendibile negli ambienti non specializzati254. Così anche nei media, i medici vengono presentati di routine come figure “superumane” e la medicina viene descritta come la via attraverso cui possono essere compiuti i miracoli255.

I media, ma anche la rete, diventano luoghi entro i quali i corpi raggiungono nuove frontiere del mostrarsi e rinnovate modalità comunicative attraverso la trasposizione delle norme e dei codici situazionali, entro nuovi spazi differentemente reali256. Le possibilità tecniche di manipolazione del corpo ed intervento su di esso, fanno capo alle più recenti innovazione scientifiche che costruiscono un’arena di negoziazione e legittimazione del tutto nuova.

253 Cfr. Bucchi M., Neresini F., Sociologia della salute, op. cit.

254 Turrini M. (2011), Il corpo nella rappresentazione della medicina nei Talk Show, pp. 161- 183 in Neresini F., Magaudda P. (a cura di), La scienza sullo schermo. La rappresentazione della tecnoscienza nella televisione italiana, Il Mulino, Bologna.

255 Lupton D. (1998), Doctor in the new media: lay and medical audience responses, in Journal of Sociology, 34, 1, pp. 34-48.

256 Cfr. Castells M. (2009), Comunicazione e potere, trad. it, Università Bocconi, Milano.

Nel documento Università degli Studi di Roma Tre (pagine 102-113)