Un processo senza il quale risulta difficile, dal punto di vista teorico e pratico, discutere delle più recenti istanze in ambito medico e degli studi sociali sulla medicina è quello che oggi definiamo di biomedicalizzazione della società. È importante a tal proposito chiarire le posizioni iniziali e la genesi di questo orientamento critico, partendo da una breve storia del concetto di medicalizzazione. Come già sostenuto in precedenza, la storia della medicina, in particolare della sua epistemologia, comporta non poche conseguenze sul piano sociale e può condurre alla sfiducia sia da parte dei soggetti che degli studiosi stessi. Non a caso, dagli anni Settanta si è prodotta una progressiva erosione della fiducia nei confronti di quelli che venivano visti come i grandi progressi della medicina. La crescente organizzazione professionale dei medici, accompagnata da una burocratizzazione delle pratiche di cura, ha condotto a una revisione del concetto stesso di paziente che, da persona bisognosa di cure, diviene un consumatore di servizi di cura, implicando non soltanto un mutamento nel lessico delle grandi organizzazioni sanitarie45 (managed care, follow up, day hospital,
45 Il lessico delle organizzazioni sanitarie, utilizzato dai dirigenti al personale sanitario, è sempre più spesso associato all’utilizzo di termini in lingua inglese su più livelli, dalla parte gestionale ed organizzativa a quella relativa alla cura del paziente, alla descrizione biologica della malattia stessa. Recenti studi evidenziano che dal 2017 sono stati registrati 8993 acronimi in lingua italiana e inglese utilizzati in medicina. Per maggiori approfondimenti: Acronimi italiani e anglosassoni usati in medicina (a cura di Gilberto Lacchia e Joseph Tein) Acromed:
http://acromed.blogspot.it/ (ultima consultazione 6 febbraio 2018).
ecc.) ma anche delle pratiche di cura e dell’idea stessa di salute. La semplificazione del linguaggio non rientra soltanto entro una globale volontà di uniformare i significati a livello scientifico, ma riguarda la modifica delle pratiche professionali, favorendo la nascita di dispositivi di potere che allontanano spesso il paziente dalla comprensione di ciò che gli capita. Già per Foucault, e prima ancora per Canguilhem, il linguaggio medico sembrava rappresentare un elemento di legittimazione importante per la possibilità stessa di definire e distinguere il normale dal patologico46 in forza di una dialettica sempre più specialistica e ignota, fatta talvolta di termini oscuri, lontani e incomprensibili per i non addetti ai lavori. Per quanto riguarda i meriti della medicina, dal debellamento delle grandi epidemie all’allungamento dell’aspettativa di vita, questi sembrano ridimensionarsi, cedendo il passo alle scoperte secondo le quali questi risultati sono stati raggiunti non soltanto dai progressi medici, ma innanzitutto dal miglioramento delle condizioni igieniche, da una maggiore conoscenza e consapevolezza dei fattori di rischio legati alle disuguaglianze sociali e di accesso alle risorse.
L’analisi delle tendenze della morbosità ha dimostrato, per più di un secolo, che è l’ambiente il primo determinante dello stato di salute generale di qualunque popolazione.
La geografia sanitaria, la storia della patologia, l’antropologia medica e la storia sociale degli atteggiamenti verso la malattia hanno mostrato che il ruolo decisivo nel determinare come si sentono gli adulti e in quale età tendono a morire è svolta dal cibo, dall’acqua e dall’aria, in correlazione con il livello di uguaglianza sociopolitica e con i meccanismi culturali che permettono di mantenere stabile una popolazione47
Ivan Illich già dagli anni Settanta indagava, sulla scorta anche delle teorie e dello sguardo foucaultiano, le conseguenze della spinta alla medicalizzazione della società, definendo la medicina come iatrogena, capace di creare a vari livelli le condizioni del patologico, nella sua matrice clinica, sociale e culturale48. Quella che inizialmente l’autore definisce come epidemia della medicina moderna fa riferimento al carattere pervasivo dello sguardo medico che entra negli ambiti più disparati della vita sociale, ed è da considerare come il punto di partenza per tutte le teorie successive.
46 Cfr. Canguilhem G. (1998), Il normale e il patologico: norme sociali e comportamenti patologici, Einaudi, Torino; Foucault M. (1998), La nascita della clinica: un’archeologia dello sguardo medico, Einaudi, Torino.
47 Illich I. (2005), Nemesi Medica. L’espropriazione della salute, Red!, Cornaredo, p. 21.
48 Ibidem.
In tal senso, se da un lato la medicina spinge i confini della propria conoscenza sempre più nel profondo dell’uomo, scavando tra ricettori, predittori e geni, dall’altro invece estende progressivamente i confini della propria giurisdizione, rendendo patologici sempre più aspetti della vita umana. Per “medicalizzazione”
s’intende quel processo attraverso il quale problemi non medici vengono definiti e trattati invece come tali, solitamente in termini di malattia e di disordini49.
La medicalizzazione è il processo attraverso il quale il sistema medico ha giurisdizione su condizioni ed esperienze umane comuni, incluse malattie e condizioni di salute. Le situazioni che rientrano negli auspici di un quadro medico diventano subordinate alle definizioni, alle pratiche e ai controlli del sistema medico. Per adottare un quadro medico, una condizione deve essere prima definita in termini medici (come malattia, disturbo, deformità, lesione, anormalità, precondizione o stato a rischio). La medicalizzazione dei processi e degli eventi di vita più basilari (es., nascita e morte) estende i quadri medici in paradigmi e stili di vita in grado di offrire agli individui spiegazioni e interventi medici per soddisfare le aspettative sociali e culturali50.
Si sono moltiplicati nel tempo gli esempi di questo intervento a largo raggio su certi aspetti comuni alla vita umana; infatti sono stati medicalizzati: l’ansia, l’umore, la fatica cronica, le mestruazioni, l’infertilità, la disfunzione erettile, il desiderio sessuale, la menopausa, la nascita, la vecchiaia e la morte, soltanto per citarne alcuni. La medicina, nella sua visione parsonsiana, definisce non solo gli ambiti del patologico, ma crea anche, attraverso uno sguardo scientifico, categorie nuove in grado di distinguere la normalità dalla morbosità.
La malattia è uno stato di turbamento del funzionamento “normale” dell’individuo umano nel suo complesso, in quanto comprende sia lo stato dell’organismo come sistema biologico sia i suoi adattamenti personali e sociali. Essa viene così definita in parte biologicamente e in parte socialmente. La partecipazione al sistema sociale è sempre potenzialmente rilevante per lo stato di malattia, per la sua eziologia e per le condizioni di successo nella terapia, nonché per altri suoi aspetti. La professione medica, nel senso prima definito, costituisce un “meccanismo” del sistema sociale per far fronte alle malattie dei suoi membri; essa comprende un complesso di ruoli istituzionalizzati51.
49 Conrad P. (2007), The Medicalization of Society, On the Transformation of Human Conditions into Treatable Disorders, The Johns Hopkins University Press, Baltimore.
50 Zola I. K. (1972), ‘Medicine as an Institution of Social Control’ in Sociological Review 20,4, pp. 487-504.
51 Parsons T. (1996), Il sistema sociale, Edizioni di Comunità, Milano, p. 440.
L’idea di Parsons infatti, sebbene enfatizzi la questione del funzionamento
‘normale’ e ‘desiderato’, non esclude la componente sociale dell’aspetto patologico di una condizione soggettiva, ma anzi evidenzia il ruolo della società nella determinazione delle cause della malattia e della guarigione stessa. La sua analisi, dunque, sembra affermare tendenzialmente, ed è forse l’oggetto della critica a lui rivolta, che la società, organizzata in settori professionali specializzati e legittimati da sistemi di conoscenza complessi, ha un ruolo fondamentale nella distinzione di stati più o meno desiderabili, entro cui la scienza medica può o non può entrare ed averne giurisdizione a seconda del tipo di organizzazione sociale entro la quale si trova. Nell’epoca in cui l’informazione e la conoscenza medica sembrano accessibili a tutti, non gestire adeguatamente la propria vita per restare in salute si carica di un suo portato morale. La visione parsonsiana dell’essere in salute è quindi un compito individuale ma al tempo stesso collettivo. La società ha infatti, secondo Parsons, un interesse funzionale affinché si riduca il livello generale di malattia. La salute infatti, come problema sociale, «viene organizzata in particolare rapporto con i modelli di ruolo e con gli orientamenti di valore distintivi della nostra società»52.
Dal canto suo, Conrad evidenzia tre fattori fondamentali che hanno influenzato la crescente “medicalizzazione della vita”. In primo luogo, l’acquisizione dell’influenza culturale e del prestigio professionale dell'autorità medica e non a caso l’espansione della giurisdizione medica sono stati i movimenti principali per la medicalizzazione. Questa autorevolezza della medicina è evidente nella medicalizzazione di una moltitudine di aspetti legati al normale corso della vita come: l’iperattività infantile, la menopausa, il parto, eccetera. In secondo luogo, per Conrad, il processo di medicalizzazione si è verificato spesso attraverso le attività di alcuni movimenti sociali e di gruppi di interesse e di pressione degli stessi ammalati e familiari. Nei casi in cui si è esercitata una pressione da parte di questi movimenti e gruppi, sono stati fatti sforzi organizzativi, che hanno condotto alla fondazione di associazioni per promuovere una definizione medica di un problema o la veridicità di una diagnosi. È bene specificare che, secondo altri studiosi, invece, il ruolo delle organizzazioni dei pazienti e degli attivisti non è stato soltanto ancillare come lo immaginava Conrad e che non sempre l’attivismo può essere inteso come veicolo di medicalizzazione e quindi depoliticizzazione dei problemi sociali53.
52 Ivi, p. 438.
53 Il caso dell’ Attention Deficit Hyperactivity Disorder (o ADHD) suggerisce il contrario che i gruppi dei genitori considerano l’impegno con le conoscenze mediche un’occasione unica per
L’evoluzione dei movimenti di pressione per quello che viene definito health activism si compone di una lunga storia partecipativa che ne ha visto ristrutturarsi il senso e le modalità di partecipazione. Da movimenti a favore o contro determinate cure, diventano invece stakeholders in grado di incidere nei processi di decision making istituzionale e nella governance. La studiosa Rabeharisoa conia il termine Evidence Based Activism per definire il processo di produzione di conoscenza e mobilitazione delle risorse per la gestione di problemi di salute, da parte di gruppi di attivisti e pazienti54. Questo concetto pone al centro il cambiamento dei ruoli e delle relazioni tra medici, esperti, pazienti, attivisti e familiari, dove i non esperti acquisiscono sempre maggiore importanza e si dotano di nuove competenze e informazioni in merito alla gestione della salute, aprendo a nuove forme di democrazia tecno-scientifica.
Infine, un terzo fattore è legato all’aspetto organizzativo diretto o interprofessionale, dove professioni differenti in ambito sanitario competono per l’autorità nella definizione e nel trattamento dei problemi. Negli ultimi due casi infatti, lontano dall’imperialismo medico, la medicalizzazione diventa una forma di azione collettiva. Mentre la professione medica è stata storicamente centrale per la medicalizzazione, oggi nello stesso modo i pazienti e gli altri lay people possono essere attivi collaboratori e desiderosi di ottenere il riconoscimento della propria condizione come patologica e le terapie farmacologiche per i loro disagi più disparati55. In sostanza, secondo Conrad, i tre processi che spingono alla medicalizzazione nelle società occidentali sono le biotecnologie, i consumatori e le managed care. Le biotecnologie hanno prodotto importanti innovazioni nell’ambito dell’industria farmaceutica e soprattutto nelle questioni concernenti la genetica e le possibilità di miglioramento umano. Nell’era della medicina genomica, seppur c’è stato un ingente investimento nell’ambizioso Progetto
liberarsi della colpa dei genitori cattivi che li stigmatizza e non offre nulla per risolvere i molteplici problemi incontrati dai bambini e dai loro genitori, impedendo di iniziare una valutazione della situazione individuale, compresi tutti gli aspetti del problema, e infine di elaborare un approccio multimodale che associ metodi educativi, psicoterapie, riabilitazione, terapia e assistenza sociale. Per questi gruppi di genitori, il coinvolgimento delle conoscenze mediche è concepito come un modo per aprire un'arena di negoziazione con scienziati, medici, insegnanti e operatori sanitari e per scrutare e infine agire su strutture e processi sociali che potenzialmente portano all’esclusione dei bambini con ADHD. Si veda: Edwards G., Barkley R.
A., Laneri M., Fletcher K., Metevia L. (2001), Parent–adolescent conflict in teenagers with ADHD and ODD in Journal of Abnormal Child Psycholgy, 29, pp. 557-572.
54 Rabeharisoa V., Morerira T., Akrich M. (2014), Evidence-based activism: Patients’ users’ and activists’ groups in knowledge society, in BioSocieties, 9, 2, pp. 111-128.
55 Conrad P. (2007), The Medicalization of Society, On the Transformation of Human Conditions into Treatable Disorders, The Johns Hopkins University Press, Baltimore.
Genoma Umano negli anni 2000, ad oggi i risultati sembrano essere relativamente utili nella pratica clinica perché prevalentemente dedicati alla diagnostica e all’individuazione dei cosiddetti “geni difettosi”. I recenti progressi nella genetica insistono sulla diagnosi, ma non sulla terapia ed escludono tutti quei fattori che in sostanza non possono essere osservati al microscopio.
Nonostante ciò il proliferare di test genetici a disposizione anche online.
contribuisce alla medicalizzazione di stati non patologici e molto spesso asserviti ad un concetto di rischio potenziale o anche soltanto parziale.
Un esito positivo ad un test genetico – scoprire che uno ha un gene per un particolare problema (cancro, alcolismo) – può creare un nuovo status medicale, quello di
“potenzialmente malati”. Questo può avere un impatto sulla propria identità, status sociale, e accesso all’assicurazione sanitaria, e può creare nuove categorie di “pre-cancro”, “pre-alcolismo”, o etichette simili.56
A tal proposito, Adele Clarke e colleghi57 sostengono che la medicalizzazione si sta rapidamente intensificando e trasformando. Suggeriscono infatti che già dal 1985 i cambiamenti nell’organizzazione e nelle pratiche della biomedicina contemporanea, attuate in gran parte attraverso l’integrazione di innovazioni tecnologiche si sono uniti in quel fenomeno in espansione che essi chiamano biomedicalizzazione.
Il suffisso “bio” sta ad indicare che le trasformazioni umane e non umane sono ormai possibili su più livelli, con le innovazioni tecno-scientifiche come la biologia molecolare e le nuove tecnologie. Oltre rendere possibili nuovi tipi di processi burocratici e interventi biomedici, la tecnoscienza altera le definizioni, le pratiche e i controlli della medicina moderna all’interno di un quadro bio-scientifico tecnologico, che dipende da conoscenze altamente specializzate, le quali vanno dalla proliferazione di nuove modalità high-tech alla espansione della salute biomedica, dalla sorveglianza del rischio alla trasformazione di corpi e identità58. È dunque una intensificazione della medicalizzazione ma nella sua veste più complessa. La salute e la sua gestione, specialmente nelle malattie croniche, stanno diventando una “responsabilità morale individuale” da
56 Conrad P. (2009), Le mutevoli spinte della medicalizzazione, in Salute e Società, 2, p. 45.
57 Clarke A., Shim J., Mamo L., Fosket, J., & Fishman J. (2003), Biomedicalization:
Technoscientific Transformations of Health, Illness, and U.S. Biomedicine in American Sociological Review, 68, 2, pp.161-194.
58 Sulik A. G. (2011), ‘Our Diagnoses, Our Selves’: The Rise of the Technoscientific Illness Identity, Sociology Compass 5/6: 463–477.
realizzare attraverso l’accesso alla conoscenza, all’auto-sorveglianza, al dovere della prevenzione dopo un’attenta valutazione e trattamento del rischio, al consumo di auto-aiuti come i device digitali indossabili ed i servizi biomedici a domicilio. Il framework della biomedicina rappresenta, in un certo senso, il passaggio fondamentale dalla modernità alla postmodernità, nel quale la “grande scienza” o le “grandi tecnologie” entrano a far parte non solo della vita quotidiana, ma del corpo dell’uomo, diventando parte degli oggetti ordinari59. La biomedicalizzazione non si limita all’espansione della giurisdizione medica, ma modifica in modo più ampio la nozione di salute, introducendo l’elaborazione del rischio e della sorveglianza attraverso nuove pratiche di applicazione clinica come i test diagnostici (ad esempio i test genetici), trattamenti precoci, ecc.
Le operazioni di screening della popolazione risultano essere, difatti, sempre più in espansione nei paesi occidentali. La nozione stessa di “gruppi a rischio”
determina nuove identità sociali sottoposte non soltanto ad un regime di sorveglianza esterno, bensì ad una inedita forma di auto-sorveglianza grazie alla crescita e alla diffusione senza precedenti di tecnologie per il self-traking (tecnologie del sé), per un maggior governo del sé (self-governance), del proprio stile di vita, volto al monitoraggio costante dei propri parametri di salute. La tecnoscienza biomedica si fa strada nel corso della vita di tutti i giorni in modo tale che gli individui stessi vedano sempre più il proprio corpo, la propria socialità e se stessi attraverso una lente biomedica60.Queste tecnologie sono esponenzialmente pervasive, in quanto diventano utili a monitorare diversi aspetti della vita quotidiana, della salute e della malattia, creando nuove identità biomedicalizzate e nuove forme di biosocialità61. Questo genere di innovazioni non è gestito soltanto dai professionisti ma diventano vere e proprie tecnologie del sé, ossia forme di autogoverno.
Foucault conia il termine “governamentalità” per definire quel particolare tipo di potere che deriva dal possesso di conoscenze esperte, che comporta l’osservazione, la misurazione e normalizzazione degli individui62. Questo tipo di potere non è dispotico, ma rappresenta un meccanismo diffuso che attraverso i discorsi promuove il perseguimento della felicità e del benessere mediante
59 Clarke A., et al., Biomedicalization: Technoscientific Transformations of Health, Illness, and U.S. Biomedicine, op. cit., pp. 161-194.
60 Sulik A. G., ‘Our Diagnoses, Our Selves’: The Rise of the Technoscientific Illness Identity, op.
cit., pp. 463-477.
61 Rabinow P. (1992), ‘Artificiality and Enlightenment: From Sociobiology to Biosociality.’ in Incorporations, edited by J. Crary and S. Kwinter. Zone, New York, pp. 234–52.
62 Cfr. Foucault M., (1972) L’ordine del discorso, Einaudi, Torino.
specifici modelli per la condotta personale e l’autosorveglianza. Oggi possiamo utilizzare il termine governmentality per descrivere uno specifico biopotere che rappresenta l’incorporazione delle strategie di autocontrollo e della sorveglianza attraverso le tecnologie del sé63. Da studi precedenti emerge che per quanto riguarda l’ambito della salute, le tecnologie del self-tracking modificano la relazione del soggetto con la propria salute in diversi stages, inglobando la questione del management della salute e della prevenzione come fattore fondamentale, coinvolgendo, inoltre, anche la diagnosi e la gestione delle terapie64.
Un’altra transizione importante è avvenuta con il passaggio dalla medicina, che attraverso la pratica clinica ha il controllo su particolari condizioni o stati del soggetto, alla biomedicina che invece si avvale di particolari tecnologie capaci non solo di agire su determinati fattori soggettivi e nel soggetto, ma anche di trasformare il corpo umano e la vita. Gli esempi sono i più disparati e vanno dalla capacità di procreare oltre la menopausa, camminare in assenza di gambe, sopravvivere ad un attacco di cuore, comunicare nonostante qualsiasi forma di paralisi, modificare il proprio corpo e la propria vita, umana e post-umana65, attraverso interventi di vario genere dell’ingegneria tecno-scientifica e biomedica. La biomedicalizzazione come processo si costituisce attraverso le trasformazioni nella conoscenza biomedica, esercitando il proprio potere attraverso l’applicazione di questa alla tecnologia. In sintesi, se la medicina si avvaleva della clinica e del linguaggio specialistico per ottenere il dominio conoscitivo di alcune manifestazioni più o meno patologiche, la biomedicina si avvale della tecnologia e delle innovazioni tecno-scientifiche per stabilire ed eludere limiti d’applicazione, per trasformare nel profondo pratiche, corpi, etiche e forme sociali. In sostanza la biomedicalizzazione trasforma l’idea stessa di salute che viene, appunto, biomedicalizzata e diventa merce, un bene privilegiato e acquistabile66. Mantenersi in buona salute è percepito come un obiettivo individuale perseguibile, carico però di una inedita responsabilità sociale. La salute nel paradigma della biomedicalizzazione non è soltanto una condizione di
63 Cfr. Rose N. (2008), La politica della vita, biomedicina, potere e soggettività nel XXI secolo, Enaudi, Torino.
64 Morsello B., Moretti V. (2017), Your health in numbers. A sociological analysis of two Quantified-self Communities, in Salute e Società, XVI, 3, pp. 214-227.
65 Per approfondimenti: Braidotti R. (2014), Il postumano, La vita oltre il sé, oltre la specie, oltre la morte, Derive e Approdi, Roma.
66 Vedi ad esempio il costo per l’adozione di stili alimentari salubri, per l’acquisto di prodotti biologici sempre più costosi, integratori, oppure di devices in grado di aiutarci a monitorare e mantenere costante il nostro livello di salute.
partenza bensì un compito moralmente carico, qualcosa per cui bisogna adoperarsi continuamente in modo individuale.
In quest’ottica concetti di sorveglianza e di rischio assumono le vesti di nuove pratiche pubbliche e private, attraverso un’attenzione individuale e collettiva.
Basti pensare alle grandi campagne di health promotion messe in piedi per la prevenzione del cancro al seno, dove non solo vengono distribuite le “norme di condotta” da assumere per evitare il rischio di contrarre od attivare la malattia, ma anche azioni volte alla decodificazione di segni sul corpo e la sottoposizione a screening periodici:
La giurisdizione medica si estese oltre gli infortuni, le affezioni, le infermità, fino ad abbracciare la malattia cronica e la morte, la gestione della riproduzione, la valutazione e il governo del “rischio”, e il mantenimento e l’ottimizzazione della salute fisica.
Mantenere il corpo sano diventò un obiettivo fondamentale dell’autogestione di individui e famiglie, grazie a pratiche comprendenti diete ed esercizi, consumo di specialità medicinali e ricostituenti, autodiagnosi e autoterapie. (…) i critici sostenevano che si stesse sperimentando una medicalizzazione dei problemi sociali, riflesso di un imperialismo medico aggressivo basato su pretese irrealistiche circa i poteri terapeutici dei medici, e che i medici si stessero intromettendo in campi politici e morali non esattamente di loro spettanza67
Questo aspetto non coinvolge soltanto la malattia, bensì la salute stessa.
Diversi e sempre più numerosi sono infatti gli inviti a tenere ‘sotto controllo’ la propria salute attraverso l’adozione e il monitoraggio, ad esempio, di specifici regimi alimentari. Anche la stigmatizzazione di alcuni alimenti coinvolge questo processo. Dallo sguardo medico (clinical gaze) si passa al disciplinamento dei corpi, non soltanto attraverso l’incontro con il medico, ma in particolare attraverso l’elaborazione di specifici fattori di rischio e l’elaborazione di tecniche di vita quotidiana, rendendone problematici alcuni aspetti che vanno dalla modificazione di specifiche abitudini al monitoraggio costante delle proprie prestazioni. Nelle società occidentali infatti la cultura della paura e del rischio animano costantemente il linguaggio comune ed in particolare il discorso biomedico. I fattori di rischio riguardano molteplici aspetti della vita tra cui processi naturali come l’invecchiamento, particolari scelte di vita (fumo, dieta, sedentarietà) e rischi al di là del proprio controllo e con potenziali effetti a lungo termine (inquinamento ambientale, esposizione a sostanze tossiche).
67 Rose N., La politica della vita, op. cit., p. 16.