Come già accennato nel primo capitolo, una definizione così ampia ed apparentemente lineare del concetto di salute ha spesso favorito l’insorgere di fenomeni quali la medicalizzazione e la farmacologizzazione, delineando prospettive in cui la gestione totale della salute diventa un incarico del singolo, in ogni aspetto della sua sfera intima ed identitaria. Sono state fatte ricerche considerevoli su vari aspetti dell’esperienza della malattia cronica293.
Alcuni, invece, si sono concentrati sui cambiamenti nella biografia o della biografia294, mentre altri hanno guardato ai cambiamenti dei modelli esplicativi295. Corbin e Strauss hanno presentato un modello teorico dell’impatto della malattia cronica sulla persona in cui rilevano il legame fra tre aspetti della persona sofferente: il corpo, la biografia e il sé. A partire dalla fine degli anni
‘50, alcuni sociologi della Scuola di Chicago, inclusi Erving Goffman, Fred Davis e Julius Roth, iniziarono a esaminare la malattia dal punto di vista del paziente. Questo, almeno implicitamente, rappresentava una sfida alla concezione del “ruolo del malato” allora dominante, che presupponeva la centralità della prospettiva medica e la funzionalità e complementarità della relazione medico-paziente. I pazienti erano visti come agenti attivi e la relazione medico-paziente conteneva uno “scontro di prospettive”. Questa prospettiva, infatti, spinse Glaser e Strauss a fare ricerca negli ospedali di San Francisco circa la differente consapevolezza della morte dei malati terminali296. Strauss più di ogni altro autore delinea i rudimenti di ciò che può essere definita la sociologia della malattia, in particolare grazie agli studi sulla malattia cronica e la qualità della vita pubblicato nel 1975297. La sua ricerca ha posto l’attenzione su come le persone riescono a vivere una vita quanto più normale possibile di fronte alla
293Bury M. (1991), The sociology of chronic illness: A review of research and prospects, in Sociology of Health & Illness, 13, 4, pp. 451-468; Bury M. (1982), Chronic illness as biographical description, in Sociology of Health & Illness, 4, pp. 167-182; Corbin J., Strauss A.
(1988), Unending work and care. Jossey-Bass, San Francisco; Conrad P. (1987), The experience of illness: Recent and new directions, in Research in the Sociology of Health Care, 6, pp. 1-31.
294Frank A. (1993), The rhetoric of self-change: Illness experience as narrative, in The Sociological Quarterly, 34, pp. 39-52; Williams G. (1984), The genesis of chronic illness:
Narrative reconstruction, in Sociology of Health & Illness, 6, 2, pp. 175-200.
295 Kleinman A., Becker A. (1998), Sociosomatics: The contributions of anthropology to psychosomatic medicine, in Psychosomatic Medicine, 60, pp. 389-393.
296 Cfr. Glaser B. G., Strauss A. L. (1965), Awareness of dying, Aldine Publishing Company, Chicago.
297 Cfr. Strauss A. L., Glaser B. G. (1975), Chronic Illness and the Quality of Eife, 1stEdition, Mosby, St. Louis.
malattia e quindi sugli aspetti sociali e psicologici del vivere con la malattia cronica. Strauss e i suoi collaboratori sono passati dallo studio dei pazienti allo studio di come le persone hanno vissuto e gestito la loro malattia nella vita di tutti i giorni298. L’idea di fondo era che la gestione della malattia cronica doveva essere compresa nel contesto della vita delle persone. Qui Strauss ha gettato le basi per tutti gli studi futuri sull’ “esperienza della malattia”, indirizzando così la ricerca sia in sociologia che in antropologia. Strauss intuì in modo profondo che la natura della malattia cronica era sociale e che senza esaminarla nel contesto in cui era vissuta le società moderne non sarebbero mai state in grado di sostenere, aiutare e prendersi cura di coloro che soffrono di malattie croniche.
Un altro studioso che ha contribuito a porre l’attenzione sull’esperienza soggettiva di malattia è Mike Bury, forse in maniera meno analitica, seppur di notevole valore teoretico e pratico, concettualizzando l’impatto della malattia cronica sul sé come “interruzione biografica”. La struttura della vita quotidiana, e le forme di conoscenza sottese vengono irrimediabilmente interrotte in quanto:
«La malattia cronica comporta il riconoscimento dei mondi del dolore e della sofferenza, forse anche della morte, che normalmente sono visti solo come possibilità lontane o la condizione degli altri»299. La storia che la persona costruisce, il suo passato, presente e futuro, vengono reinterpretati e modificati in seguito alla malattia. Bury descrive tre aspetti principali che contraddistinguono questa condizione:
1) interruzione delle nozioni e comportamenti “dati per scontato”;
2) interruzioni nei sistemi esplicativi normalmente utilizzati dalle persone, tali da comportare un fondamentale ripensamento della biografia e della persona;
3) mobilitazione di risorse per far fronte all’alterazione della situazione300.
298 Conrad P., Bury M. (1997), Anselm Strauss and the sociological study of chronic illness: a reflection and appreciation, in Sociology of Health & Illness, 19, 3, pp. 373-376.
299 Bury M. (1982), Chronic illness as biographical disruption, in Sociology of Health and Illness, 4, 2, p. 169, traduzione della scrivente.
300 Ivi, p. 170.
In condizioni “normali” la relazione tra sé e gli altri è un’impresa precaria, caratterizzata, in contesti contemporanei, da un alto grado di autoriflessione, individualismo e manipolazione delle apparenze. Questa precarietà è tenuta sotto controllo da una vasta gamma di “pacchetti cognitivi” disponibili per individui e gruppi, ognuno dei quali ha più o meno successo nella strutturazione e nel mantenimento di un senso individuale. Diversi studiosi hanno notato che la malattia comporta uno sforzo notevole per normalizzare l’esperienza e quindi evitare il caos. Nelle aree di esperienza ai “margini” della vita quotidiana come nel caso della malattia, si richiede, infatti, un’espressione simbolica elaborata da parte delle istituzioni (che codificano la conoscenza del corpo e della mente nella gestione pratica dei problemi personali, come la medicina) e, in misura minore, dalle agenzie di assistenza sociale301. Il racconto biografico riflette la nozione contemporanea del sé come “progetto riflessivo” che include la responsabilità personale per il mantenimento di una narrazione coerente e stabile del sé. In questo senso, la malattia può essere quindi intesa come un momento di interruzione di quella coerenza. La teoria di Bury ha contribuito ad avvalorare le tecniche narrative e a dare rilievo in termini teorici, nonché terapeutici, al vissuto del soggetto esperente. Dalle ricerche di Charmaz emerge, inoltre, l’elemento della “perdita del sé” a causa della condizione di sofferenza cronica. I lavori di Charmaz dagli anni Ottanta ai giorni nostri dimostrano il legame indissolubile tra malattia e identità, in quanto gli individui non solo soffrono la condizione di restrizione fisica, ma anzitutto provano l’isolamento sociale, l’essere screditati o l’affaticare gli altri302. Ciò che la studiosa evidenzia è il cambiamento irreversibile dell’immagine di sé e al tempo stesso l’emersione di nuovi bisogni legati alla preoccupazione per se stessi e alla scoperta della propria fragilità. La definizione del nuovo sé, su cui sono centrati i meccanismi di resilienza individuale, risente delle considerazioni degli altri per l’elaborazione della propria biografia.
L’intento del lavoro è stato quello di partire dall’esperienza soggettiva privilegiando un approccio fenomenologico ermeneutico al fine di valorizzare
301 Ivi, p. 179.
302 Charmaz K. (1983), Loss of self: a fundamental form of suffering in the chronically ill in Sociology of health and illness, 5, 2, p. 169.
l’attenzione verso l’empatia, la corporeità e il mondo della vita303 ed in sintesi al mondo del paziente e le sue istanze. Un modello, che ha dimostrato il suo notevole valore euristico al fine di interpretare la condizione di malattia nella sua complessità, è quello di Andrew Twaddle che dal 1968 divulga la triade concettuale disease, illness, sickness, che non assume il carattere di una tricotomia, ma rappresenta l’interazione degli aspetti che caratterizzano l’esperienza di malattia nella sua qualità bio-psico-sociale. Per disease s’intende il guasto organico, il malfunzionamento fisiologico che riduce le capacità fisiche e/o cognitive del soggetto, compromettendo le sue aspettative di vita in termini quantitativi. In contrasto con l’illness, il termine “disease” è definito come denotazione di un malfunzionamento tecnico o deviazione dalla norma biologica che viene diagnosticata “scientificamente”. Questa definizione, però, non implica necessariamente che la malattia sia uno stato oggettivo, poiché, come sostengono gli studiosi dalla prospettiva socio-costruzionista, la categorizzazione della malattia è influenzata dal contesto sociale, storico e politico. Il modello biomedico della malattia non è una realtà scientifica razionale che è internamente coerente; piuttosto, è aperto a diverse interpretazioni anche tra gli operatori sanitari. Le malattie, lungi dall’essere omogenee, sono definizioni che variano a seconda della specialità del medico, del contesto, del pubblico, del tipo di condizione, nonché delle caratteristiche personali del medico e della sua posizione in una gerarchia professionale304.
L’illness, invece, rappresenta il senso di sofferenza individuale che si manifesta attraverso una pluralità di sintomi “narrati” dal paziente. Per Twaddle è uno stato di salute soggettivamente interpretato come indesiderabile. Essa consiste di feeling soggettivi (dolore, debolezza, etc.), di percezioni riguardanti l’adeguatezza delle funzioni del corpo, e/o sentimenti di [in]competenza305. L’interpretazione soggettiva del proprio stato di salute determina una serie di atteggiamenti e comportamenti atti ad “autodiagnosticare” il malessere, condizionando la percezione cognitiva del soggetto e di conseguenza restituendo
303 Maturo A., La sociologia della malattia in Achille Ardigò e nei classici della sociologia, op.
cit., p. 64.
304 Lupton D., Medicine as culture., op. cit., p. 86.
305 Twaddle A. (1994), Disease, illness and Sickness revisited, in Twaddle A., Nordenfeld L., (eds), Disease, illness, sickness: Three central concepts in the theory of health, in Studies on Health and Society, 18, Linköping, Sweden.
al medico, nel momento del colloquio, una trama diagnostica fitta di commenti, interrogativi e conclusioni. Nella società odierna, questo aspetto evidenzia una complessità ulteriore incrementata dai più recenti mutamenti della relazione medico-paziente, a fronte dell’erosione dei principi di autorevolezza che da sempre caratterizzavano la professione medica-specialistica. Tra le molteplici cause, la diffusione massiccia di informazioni medico-sanitarie e la democratizzazione di saperi, talvolta parziali, incompleti o addirittura fraudolenti, ha garantito una maggiore informazione riguardo la propria esperienza che viene sottratta così al dominio esclusivo della medicina allineando, di fatto, una relazione che si fondava sull’asimmetria di potere.
Internet con le sue possibilità di E-Health diventa, infatti, il crocevia di nuove istanze e possibilità di restituzione degli strumenti di autonomia al paziente e ai suoi familiari. L’ultima dimensione coniata da Twaddle fa invece riferimento alla sickness che definisce il modo attraverso cui “gli altri” interpretano la malattia dell’individuo, ossia l’etichetta sociale del “non-sano”, del malato, che genera diritti ed obblighi diversi dai “sani” e rappresenta “una cittadinanza più onerosa”306. L’aspetto centrale per Twaddle tra queste dimensioni è quello della sickness, che dà rilievo alle rappresentazioni sociali e culturali che compartecipano alla definizione di malattia e alla pratica di etichettamento, co-costruendo il ruolo e le attese nell’individuo. Per l’autore, le tre dimensioni della malattia si manifestano secondo un preciso ordine temporale per cui al disease, ossia al guasto organico, segue la comparsa dei sintomi interpretati come spiacevoli e anomali, ossia l’illness, ed infine il riconoscimento e l’etichettamento sociale e istituzionale (sickness).
Come sarà visto più avanti, nella parte relativa alla ricerca empirica, non sempre è possibile una scansione temporale delle diverse fasi che in realtà talvolta si alternano, come nel caso della predisposizione genetica o del cancro, dove è soltanto in seguito ad un etichettamento istituzionale che il soggetto riesce ad esperire la propria condizione come patologica. A tal proposito è utile la rilettura di Maturo, secondo il quale è possibile avanzare una combinazione più articolata delle diverse dimensioni che meglio rappresentano la complessità del concetto di malattia e delle nuove possibilità biomediche, in relazione alla
306 Cfr. Sontag S. (2002), Malattia come metafora. Cancro e Aids, Mondadori, Milano.
caratterizzazione intrinseca delle diverse malattie. È possibile sintetizzare la combinatoria come segue:
1. disease e sickness senza illness: fa riferimento alle malattie riconosciute scientificamente e socialmente, che però sono asintomatiche e non vengono quindi esperite come tali dalla persona;
2. disease e illness senza sickness: riguardano malattie o malanni che il soggetto esperisce e la medicina certifica, ma non sono riconosciute socialmente;
3. illness e sickness senza disease: in questi casi il soggetto avverte il malessere, la società gli riconosce la malattia, ma la medicina non può dimostrarla scientificamente. Maturo identifica come esempio tipico il “colpo di frusta”;
4. disease senza illness e senza sickness: alterazioni fisiologiche che non sono percepite soggettivamente né danno diritto a un mutamento di status sociale;
5. illness senza disease e senza sickness: casi in cui non è presente il riconoscimento medico e sociale della malattia, ma soltanto soggettivo, come ad esempio gran parte dei disturbi psicologici legati a sensazioni quali ansia, insoddisfazione, disagio;
6. sickness senza disease e senza illness: situazioni in cui la malattia non è legittimata scientificamente né esperita soggettivamente come tale, ma viene costruita soltanto socialmente e quindi culturalmente. Hoffman cita l’esempio dell’omosessualità che viene percepita in alcune culture come una malattia da curare. Cipolla invece riporta l’esempio della stigmatizzazione della masturbazione femminile in alcune società307.
Nonostante la proposta di Twaddle abbia prodotto largo consenso e sia ormai considerato un sofisticato strumento di raccolta di dati empirici e di produzione di classificazioni è importante sottolineare che tale modello si fonda soprattutto sul concetto chiave di sickness. Per Twaddle è il processo di etichettamento ad essere fondamentale per gli studiosi delle scienze sociali, al fine di indagare non soltanto la dimensione del riconoscimento sociale ed istituzionale della malattia, ma per analizzare l’immaginario e le rappresentazioni sociali che condizionano
307 Cfr. Maturo A. (2007), Sociologia della malattia, Franco Angeli, Milano.
in qualche misura il soggetto. Per Hoffman i casi più preoccupanti e controversi sono quelli in cui scompare la dimensione dell’illness, cioè l’esperienza dolorosa.
L’autore critica inoltre la medicina moderna in quanto sostiene che venga del tutto ignorata l’esperienza soggettiva e propone una revisione dei fondamenti epistemici e normativi della medicina in sé, rivendicando così il primato dell’individuo che sta male308. Maturo giunge, inoltre, ad un’ulteriore specificazione del modello proposto. Lo studioso propone un’integrazione epistemologica e non sostitutiva del modello proposto da Twaddle, ampliando il ventaglio di dimensioni attraverso un’analisi critica, in particolare dell’illness e della sickness. Maturo, in sostanza, lascia invariato il concetto di disease, ma apre la dimensione dell’illness a due ulteriori specificazioni, ossia illness esperita e semantica dell’illness. La prima definizione attiene ad «ogni percezione di dolore, sofferenza o ansia da parte del soggetto indipendentemente dalla presenza o meno di alterazioni organiche rilevabili attraverso strumentazioni bio-mediche»309, dunque evidenzia il contenuto soggettivo dell’illness, la percezione individuale che travalica il dato clinico ponendo al centro il disagio individuale non misurabile attraverso strumentazioni convenzionali.
Per semantica dell’illness intende, invece, l’interpretazione che l’individuo dà alla propria condizione, la mappa di senso che l’individuo costruisce per orientarsi nell’esperienza di malattia. Questa interpretazione può essere legata, secondo l’autore, alla condizione oggettiva (disease) oppure all’illness esperita, ma anche ad entrambe. La semantica dell’illness non sempre assume una valenza negativa. Il senso che un individuo dà alla propria condizione dipende da una pluralità di fattori.
Anche la sickness viene ampliata ulteriormente nell’approfondimento di Maturo, che definisce come sickness istituzionale l’ingresso nel sick role parsonsiano con le conseguenti modifiche al ruolo sociale del soggetto, portatore quindi di una devianza involontaria che lo costringe nell’assunzione del ruolo di malato a discapito dei ruoli sociali generalmente sostenuti. Un approfondimento vantaggioso dal punto di vista operativo è quello che riguarda l’immaginario di sickness che si riferisce all’insieme delle rappresentazioni sociali della malattia,
308 Hoffmann B. J. (2002), On the triad Disease, Illness and Sickness, in Journal of Medicine and Philosophy, 6, pp. 651-673.
309 Maturo A., Sociologia della malattia, op. cit., p. 122.
ossia come la malattia viene interpretata e giudicata dalla società o dal gruppo sociale di riferimento; come i media e quindi l’opinione pubblica definiscono l’evento costruito come patologico.
Un sinonimo di tale definizione è sickscape che meglio configura l’accezione di “scenario di malattia”. Il modello presentato prende il nome di Modello-P dove “P” sta per penta, traducendo il numero cinque dal greco310. L’autore non punta a sostituire l’impianto triadico teorizzato da Twaddle, ma a delineare un ulteriore tentativo analitico di approfondimento del classico modello DIS attraverso specificazioni che possano aiutare lo studioso nella lettura della complessità dell’esperienza di malattia. Nel Modello-P inoltre una linea tratteggiata congiunge i concetti di immaginario di sickness (sickscape) e semantica dell’illness, sostenendo una continuità tra le rappresentazioni sociali ed individuali della malattia. Questo modello illustra nuove opportunità analitiche capaci di superare la dicotomia del modello di Twaddle, al fine di individuare nuove connessioni attraverso una prospettiva graduale e che non si configuri soltanto come assenza o presenza di un determinato carattere.
Il Modello-P sacrifica la possibilità di combinazioni indifferenziate (possibili invece per il modello originale in cui le variabili sono dicotomiche) a favore di un chiarimento maggiore per quanto riguarda ambiguità terminologiche e limiti esplicativi, intervenendo sull’opacità dei fenomeni e le possibili
310 Ivi, p. 121.
Immaginario di sickness
Disease
Semantica dell’illness
Sickness istituzionale Illness esperita
Fig. 12. Modello P di Maturo
interpretazioni311. In quest’ottica è possibile leggere la malattia sotto un profilo sociologico, cogliendone le sfaccettature più profonde. Lo strumento ideale per riuscire a scandagliare le dimensioni peculiari di questa esperienza è quello della narrazione. La conoscenza delle storie di malattia rappresenta un’esperienza di individuazione delle componenti di significato soggettive, non prive però della riflessione sociologica volta a contemplare la dimensione sociale e culturale in cui si situa la produzione delle narrazioni.
311 Morsello B., Cilona C., Misale F. (2017), Medicina Narrativa. Temi, Esperienze e Riflessioni, Roma Tre Press, pp. 42-43.
4.3 Narrazioni di malattia e medicina narrativa, verso l’umanizzazione delle