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Narrazioni di malattia e medicina narrativa, verso l’umanizzazione delle pratiche di ricerca e di cura

Nel documento Università degli Studi di Roma Tre (pagine 137-147)

4.3 Narrazioni di malattia e medicina narrativa, verso l’umanizzazione delle

presuppone un sé riflessivo in cui la cognizione genera specifici stati emotivi.

Una narrazione è un racconto coerente creato dal pensiero riflessivo che cerca di dare struttura e significato all’esperienza. Questa visione non può trascurare l’esame dei modi in cui le emozioni e le sensazioni incorporate influenzano il pensiero e possono effettivamente implementare la struttura narrativa in un’esperienza traumatica. Da alcuni studi che hanno preso in esame le narrazioni di pazienti con diagnosi di cancro terminale, ad esempio, emerge che questi hanno lavorato duramente per gestire eventi dirompenti e raggiungere un senso di benessere. I pazienti coinvolti nello studio hanno intrapreso un duro lavoro emotivo per gestire le crisi causate dal cancro acuto. La loro angoscia non era articolata nella forma di una narrazione, ma piuttosto come una serie di sfide e turbolenze “incarnate” causate dalla loro malattia, in cui gli intervistati cercavano di mantenere il flusso delle loro vite quotidiane. I contesti emotivi incorporati in cui si formano le narrazioni sono fondamentali per la comprensione e l’articolazione dell’esperienza di malattia313. L’uso delle narrazioni consente alle persone malate di dare voce alla loro sofferenza in un modo che trascende i racconti biomedici della malattia. Da questa premessa nasce il filone delle medical humanities, dove guadagna spazio l’approccio della narrative based medicine, definito come «una medicina praticata con la competenza narrativa per riconoscere, interpretare ed esser spinti all’azione dalle difficoltà degli altri»314

Dal punto di vista formale, la medicina narrativa nasce e si sviluppa verso la fine degli anni Novanta alla Columbia University di New York grazie a Rachel Naomi Remen e Rita Charon, il cui scopo principale è stato quello di sensibilizzare il mondo medico ad utilizzare un approccio narrativo nella relazione con il paziente. La medicina narrativa è, infatti, un modello empatico in grado di favorire un’elevata compliance al trattamento del paziente. La narrative based medicine si pone in integrazione alla evidence based medicine in quanto la narrazione del paziente del suo vissuto di malattia diventa centrale, al pari dei sintomi fisici della malattia. È in questa prospettiva che la medicina basata sulla narrazione trova spazio alla Harvard Medical School entro il

313 Reeve J., Lloyd-Williams M., Payne S., Dowrick C. (2010), Revisiting biographical disruption: exploring individual embodied illness experience in people with terminal cancer, in Health, 14, 2, pp. 178-95.

314 Cfr. Charon R. (2001), Narrative medicine: Form, function, and ethics, in Annals of Internal Medicine, 134, 1, pp. 83-87, p.85.

paradigma fenomenologico-ermeneutico, i cui punti di riferimento sono Arthur Kleinman e Byron J. Good315, entrambi docenti di antropologia medica.

Kleinman distingue la malattia in due costrutti teorici, ossia illness e disease, che si integrano a vicenda secondo gli assunti biomedici, in cui la malattia viene intesa come aggressione, come danno subìto (disease) ed esperienza soggettiva (illness). La medicina narrativa si interessa secondo questa prospettiva all’illness del paziente e alla sua elaborazione personale, dialogica, che contribuisce a costruire una visione più ampia della malattia316. Dagli anni Duemila è possibile assistere ad una proliferazione di studi in ambito medico e sociosanitario che utilizzano la narrazione del paziente per il miglioramento dei servizi di assistenza sanitaria, non soltanto in termini di customer satisfaction. In Italia il contributo di maggior valore scientifico viene dal Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, che dal 2009 riconosce l’importanza della medicina narrativa nei contesti sanitari promuovendo iniziative volte al monitoraggio nazionale dei servizi che adottano tale impostazione teorico-empirica favorendo momenti di incontro nazionale ed internazionale sul tema.

La nascita di un laboratorio sperimentale all’interno del Centro Nazionale Malattie Rare vede quindi la maturazione di un forte impegno di carattere scientifico e divulgativo volto alla promozione di pratiche sperimentali di medicina narrativa, di elaborazione di un apparato teorico-metodologico condiviso e di sensibilizzazione verso il tema. Nel 2014 questo impegno s i esplicita nella Consensus Conference che vede la partecipazione delle più autorevoli voci del panorama multidisciplinare italiano in tema di salute, medicina, etica e narrazione, impegnate a delineare e stabilire le linee guida della medicina narrativa italiana317. La capillarità di questo approccio è riscontrabile anche nei contesti di formazione del personale medico e sanitario che vede la nascita di corsi di formazione e scuole di medicina narrativa in tutto il mondo.

Nel 2000 alla facoltà di medicina e chirurgia della Columbia University nasce

315 La sua opera più importante tradotta in italiano è Good J. Byron, (1999), Narrare la malattia, Edizioni Comunità, Torino.

316 Kleinmann A. (1988), The Illness Narratives, suffering, healing & the human condition, Basic Book, New York.

317 Istituto Superiore di Sanità, Linee di indirizzo per l’utilizzo della medicina narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative, CNMR, Il Sole 24 ore, Sanità, I quaderni di medicina, all. 7, marzo 2015, pp.3-24.

l’International Network of Narrative Medicine, che consta di una fitta rete di collaborazione tra America, Regno Unito, Europa, Asia, Africa e quella del Pacifico, contestualmente al Master in Narrative Medicine di matrice multidisciplinare, che vede la collaborazione tra studi umanistici, artistici e medici rispettivamente del College of Physicians and Surgeons e della School of Arts & Sciences318. In Italia è la Fondazione Istud di Baveno ad occuparsi di formazione nell’ambito della medicina narrativa. Nel 2014 si è svolta la terza edizione del Master di II livello in Medicina Narrativa Applicata, rivolta ad un pubblico multidisciplinare. Oggi numerosi sono i workshops intensivi organizzati dalla fondazione stessa. Nel 2009 viene fondata la Società Italiana di Medicina Narrativa (SiMeN) che ha lo scopo di promuovere il dibattito scientifico in Italia costituendosi come un polo nazionale capace di raccogliere i professionisti e gli attori coinvolti. In tempi recenti assistiamo invece alla nascita di un’esperienza multidisciplinare di professionisti della salute che vede la collaborazione tra medici, sociologi ed antropologi i quali insieme fondano l’Osservatorio di Medicina Narrativa Italia (OMNI) che grazie a diverse iniziative di divulgazione costituiscono una rete tra le varie esperienze territoriali. La narrative medicine può offrire uno spaccato su una riflessione interdisciplinare ponendosi come un approccio dalle molteplici peculiarità teoriche e pratiche, ma anche e soprattutto in un’ottica di ricerca-azione, che mira a favorire processi di empowerment dell’individuo e della comunità. L’incontro clinico, secondo questa prospettiva teorica, assume un valore ermeneutico e dialogico circolare, nel quale diviene fondamentale la sospensione del giudizio, l’umiltà gnoseologica, dove le capacità comunicative del personale sanitario definiscono la qualità e l’utilità dell’incontro stesso319. Glaser e Strauss, nella loro intensa esperienza di ricerca presso le case di cura per malati terminali di San Francisco, descrivono così le competenze dei sanitari:

il training che medici e infermieri ricevono a scuola di medicina li prepara principalmente agli aspetti tecnici per trattare con il paziente. Gli studenti di medicina

318 Alla Columbia University è stato attivato dal 2010 il primo master in Medicina Narrativa diretto ai professionisti sanitari e clinici. Per approfondimenti: http://sps.columbia.edu/narrative-medicine (ultimo accesso: 9/06/2018).

319 Morsello B., Cilona C., Misale F. (2017), Medicina Narrativa. Temi, Esperienze e Riflessioni, Roma Tre Press, Roma, pp. 42-43.

imparano a non uccidere commettendo errori e a salvare la vita ai pazienti attraverso la diagnosi e il trattamento, ma i loro insegnanti enfatizzano davvero poco o per niente come parlare con i pazienti terminali (…) solo di recente gli aspetti psicologici delle cure infermieristiche sono state incluse nei loro training320.

L’attenzione alla malattia intesa come esperienza umana e sociale segna un cambio di paradigma che, entro un contesto in cui mutano le pratiche di ricerca e si avvalgono di strumentazioni tecniche, si oppone alla distinzione tra mondo della realtà oggettiva e mondo dell'esperienza soggettiva321 al fine di ritrovare una corrispondenza necessaria tra le politiche sanitarie e i bisogni del cittadino assistito. Inoltre, l’introduzione delle istanze soggettive lascia spazio ad un’esplorazione più approfondita dei fattori socio-culturali e soggettivi che concorrono nella pratica di interpretazione della malattia dal punto di vista del soggetto conoscente e del soggetto-oggetto di conoscenza. «L’interesse per la forma narrativa sta tutto qua: nella sua possibilità di offrirci una strada per comprendere l’incomprensibile, spiegare l’inspiegabile al di là del pensiero razionale322». Il sapere medico fonda la sua legittimazione scientifica su un sapere tecnico-scientifico tout court derivante da studi e considerazioni su popolazioni statistiche i cui risultati vengono di volta in volta applicati a casi singoli. Lo studio dei campioni statistici comporta inevitabilmente l’esclusione di alcune variabili, ma l’approccio della medicina narrativa pone la narrazione come elemento utile a superare i vuoti semantici dei dati quantitativi, fortificando così l’evidence based. La narrazione, sotto un profilo fenomenologico, può essere intesa come quel momento di ricostruzione dei mondi vitali, quell’attività di ordinamento dell’esperienza utile a collegare immaginativamente eventi e significati. Tale operazione di senso può orientare il ricercatore ed il medico verso la comprensione di ciò che la codificazione oggettiva della realtà toglie all’ermeneutica clinica: la possibilità di comprendere l’altro nel suo malessere bio-psico-sociale. La sfida della biomedicina oggi sta nella possibilità di

320 Glaser B. G., Strauss A. L. (1965), Awareness of dying, Aldine Publishing Company, Chicago, p. 4.

321 Cfr. Popper K. (1983), Conoscenza oggettiva: un punto di vista evoluzionistico, Armando, Roma.

322 Giarelli G. (2010), Narrare la pratica medica: una prospettiva fenomenologica -ermeneutica, in Cipriani R. (ed.), Narrative Based Medicine: una critica, in Salute e Società, IX. 2, Franco Angeli, Milano, p. 53.

adoperare metodologie volte al superamento della distanza cognitiva nella relazione medico-paziente in cui è possibile pervenire ad una individuazione delle categorie di senso che intervengono nell’interpretazione dei sintomi o nella genesi della malattia stessa, senza rinunciare alla sua progressiva marcia tecno-scientifica. La possibilità di implementare tecnologie “umanizzate” non significa rinunciare alle possibilità che l’evoluzione tecno-scientifica offre, bensì fondarlo su basi più vantaggiose per la specie, utile a superare le disuguaglianze di salute che ancora oggi determinano alti tassi di mortalità in aree economicamente e culturalmente più svantaggiate323. La narrative medicine che è concepita in modo da accompagnare la evidence based medicine diventa un momento di riflessione in cui malattia, salute e medicina sono sistemi simbolici costituiti da un insieme di significati, valori e norme comportamentali in relazione reciproca e che strutturano nella società l’esperienza di malattia. La narrazione s’inserisce come esigenza conoscitiva e di ricomposizione delle trame di significato che strutturano l’esperienza di malattia, al fine di comprenderla in termini non più assolutistici, bensì tenendo conto delle istanze soggettive che intervengono nella modulazione del vissuto, con lo scopo di raggiungere livelli maggiori di benessere. La narrazione costituisce l’elemento ordinatore e strutturante della propria esperienza di malattia, utile per il soggetto in quanto favorisce una visione ordinata ed unitaria del sé e al tempo stesso permette di comprendere l’esperienza altrui attraverso una rappresentazione culturalmente mediata e comprensibile al di là dell’incomunicabilità dei vissuti individuali di dolore e di sofferenza324. Se la finalità terapeutica del modello clinico biomedico empirista è quella di intervenire sui processi organici della malattia, considerati all’origine della patologia, il modello ermeneutico interviene sull’esperienza del paziente attraverso la ristrutturazione dell’incontro clinico.

È dunque a questo livello che si percepisce la differenza sostanziale tra una terapia intesa come mera “tecnica terapeutica” della disease (cure), propria del modello clinico

323 Secondo dati World Bank a partire dal 1960 e fino al 2016 l’Italia ha visto crescere il dato sull’aspettativa di vita alla nascita, in conformità con le tendenze mondiali, da 69,12 agli 83,49 anni attuali. Nello specifico, secondo gli ultimi rapporti Istat del 2018, in riferimento al triennio 2012-2014, si conferma il divario di sopravvivenza per livello di istruzione. L’aspettativa di vita media varia da 82,3 anni per gli uomini con livello d’istruzione alto a 79,2 anni per i meno istruiti (+3,1 anni per gli uomini e +1,5 per le donne).

324 Cfr. Maturo A., Sociologia della malattia, op. cit.

biomedico, e una intesa come “relazione di cura” (care) dell’esperienza del malessere (illness) del paziente, propria del modello ermeneutico325

La narrazione in ambito medico fornisce un’opportunità ulteriore per l’interpretazione dei sintomi e del caso clinico, soprattutto in situazioni complesse in cui i test diagnostici non sembrano essere abbastanza esaustivi per l’esegesi della malattia stessa. L’obiettivo che si pone questa corrente teorica è quello di ridurre la distanza cognitiva tra medico e paziente, al fine di costruire comuni categorie interpretative e riuscire a stabilire un dialogo efficace. A tale scopo è di fondamentale importanza la formazione del personale medico in termini di acquisizione di competenze comunicative ed ermeneutiche, volte a ridurre questa distanza e socializzare il professionista ad un nuovo modo d’intendere l’incontro clinico alla luce dei più recenti mutamenti della medicina, della malattia, ma soprattutto in considerazione del nuovo attore sociale contemporaneo che acquista lo status di malato326. Al tempo stesso diversi studiosi hanno sollevato questioni irrisolte e problematiche, riguardo i rischi e le questioni irrisolte che questo approccio propone. Tra i rischi infatti si possono annoverare alcune conseguenze non intenzionali quali la scarsa preparazione del personale all’uso delle narrazioni, con una conseguente effrazione della privacy del paziente, l’attribuzione di un’enfasi eccessiva e di un’errata oggettività nel racconto personale, o di favorire un racconto stereotipato del paziente327.

La medicina narrativa introduce infatti in un mondo dominato dall’Ebm e dalla sua logica fondamentalmente di tipo positivistico, una modalità di conoscenza alquanto diversa che questo approccio non consente di tematizzare adeguatamente, dal momento che non possiede gli strumenti per poterlo fare: la narratologia si limita infatti a leggere l’incontro clinico come trama narrativa e ad analizzarla in quanto tale, mentre questa operazione diviene invece possibile grazie all’apporto dell’approccio fenomenologico- ermeneutico328.

325 Giarelli G., Narrare la pratica medica: una prospettiva fenomenologica-ermeneutica, op. cit., p. 62

326 Cfr. Masini V. (2016), Medicina narrativa. Comunicazione empatica ed interazione dinamica nella relazione medico-paziente, Franco Angeli, Milano.

327 Giarelli G. (2017), Medicina narrativa o Narrazioni in medicina? Un excursus critico, p. 9-33 in Corposanto C. (a cura di), Narrazioni di salute nella web society, Rubbettino, Soveria Mannelli, p. 21.

328 Ivi, p. 22

In questo senso l’incontro clinico viene considerato interamente come un campo di interpretazioni e di legittimazioni dei saperi, in cui è opportuno quello che Husserl come epoché, ossia sospensione del giudizio, che contempla una visione più complessa delle interazioni in campo e del proprio contributo nell’interpretazione della realtà e costruzione dell’oggettività scientifica. «La prassi o l’arte medica è il frutto di una delicata sintesi tra scienza e tecnologia tra loro speculari a cui si aggiungono l’esperienza sapiente e l’identità personale del medico»329. Sotto il profilo delle scienze umane e sociali, invece, ci si è interrogati sull’utilizzo delle narrazioni quale metodo d’indagine peculiare, il cui oggetto di studio consiste in modo prioritario nell’attenzione all’esperienza soggettiva di malattia quale fonte di conoscenza di un particolare spaccato di società. A tal proposito è bene chiarire le radici epistemologiche che, come sarà anche approfondito nella nota metodologica al presente lavoro, trovano spazio negli approcci qualitativi e dunque induttivi ed empirici. Da un punto di vista analitico è necessario distinguere innanzitutto la narrative based medicine dallo studio delle illness narratives quali oggetto d’indagine sociologica. Se la narrative medicine è una metodologia d’intervento nella pratica medica grazie alla messa in campo di specifiche competenze narrative e di una attenzione all’esperienza del paziente in merito alla propria malattia, le illness narrative invece sono, per la sociologia, oggetti di studio attraverso i quali è possibile venire a conoscenza di una realtà, fenomenologicamente intesa, attraverso la prospettiva del “natio” ossia di chi esperisce la malattia in prima persona. È possibile risalire alla genesi del campo di studi delle illness narratives all’inizio degli anni ’80, agli studi degli esponenti della scuola antropologica e psichiatrica di Harvard, in primo luogo alle opere di Arthur Kleinman e Byron Good che influenzarono anche i primi approcci di narrative medicine. In merito alle narrazioni di malattia, un rinnovato interesse si sviluppa nella scuola sociologica inglese, ad opera di Mike Bury, dell’Università di Londra, e nei suoi studi sulle malattie croniche. Negli anni successivi, emergono altri importanti contributi come quello di Cheryl Mattingly dell’Università della California in campo antropologico e Catherine Kohler Riessman dell’Università di Boston, in

329 Gadamer G. (1994), Dove si nasconde la salute, in Polivani S. Sarti A. (a cura di) (2013), Medicina Narrativa in Terapia Intensiva, Franco Angeli, Milano, p. 11.

sociologia. A questi nomi si affiancano altri come Kathy Charmaz, Arthur Frank, Michael Kelly, ossia autori che hanno fatto ricerca e riflettuto sulla natura dell’esperienza di malattia. Secondo questa prospettiva al centro dell’interazione si pone l’intervistato, il soggetto esperiente assunto come testimone privilegiato.

Bury, che si configura tra i maggiori studiosi del settore, definisce la illness narrative come «il termine che designa le pratiche di narrazione e resoconto che insorgono di fronte alla malattia. L’analisi narrativa cerca di comprendere la

“trama” del resoconto fornito, e le sue dimensioni sociali e motivazionali»330. È chiaro che mettere al centro l’esperienza narrata, ossia interamente soggettiva, pone numerose problematiche di ordine metodologico laddove si voglia interagire con i clinici e proporre soluzioni valide sotto un profilo sociologico che parta dalle narrazioni come fonti di legittimazione del dato, come spiega Bury:

dal punto di vista del clinico, infatti, l’illness è l’indimostrabile, proprio perché è, radicalmente, “il soggettivo”. Qui è lecito sospettare un fraintendimento, e diviene necessario disambiguare tra due diverse accezioni di “oggettività”. Per la scienza medica l’unica oggettività possibile, e cioè l’unica che permette di rispondere ai suoi stessi presupposti e al suo mandato sociale in maniera corretta, è quella dell’evidenza – direttamente o indirettamente – osservabile. Quest’evidenza osservabile non può ricomprendere in sé la soggettività della persona, semplicemente perché processi infettivi, neoplasie e ossa spezzate appartengono ad un diverso ordine di realtà rispetto alla cognizione esperienziale che ne facciamo: si tratta di stati esterni al soggetto, pur

“accadendo” dentro il suo corpo, sono datità non suscettibili di modifica ad opera del puro atto di volontà. In questo senso ciò che è “oggettivo” per un medico è un dominio epistemologico profondamente sensato, e non implica in sé una dismissione dell’importanza del vissuto soggettivo della persona malata.331

La deriva scientista si ha, invece, laddove il corpo non viene considerato come sede della persona, ma soltanto in quanto insieme di processi patologici che il medico studia e nei quali interviene. Considerare la narrazione dei pazienti

330 Bury M. (2004), Illness narratives, in Gabe J., Bury M., Elston M. A. (eds.), Key concepts in medical sociology, Sage, London-Thousand Oaks, New Delhi, p. 82. (traduzione della scrivente).

331 Nigris D., Epistemologia delle narrazioni di malattia, un frame concettuale per l’analisi della illness, p. 138-39, in Lanzetti C., Marzulli M., Lombi L. (a cura di) (2008), Metodi qualitativi e quantitativi per la ricerca sociale in sanità, Franco Angeli, Milano, pp. 130- 153.

come un oggetto di studio per le scienze sociali, nonché per la pratica clinica e sanitaria, rappresenta un ottimo spunto di riflessione sui mutamenti sociali ed epistemologici in corso, in particolare per quanto riguarda l’evoluzione paradigmatica della scienza medica. Questa visione pone un freno all’autopoiesi scientifica a favore di una maggiore apertura verso l’abisso che l’essere umano rappresenta in un momento storico-sociale che sembra avere una vocazione di tipo post-razionale, in cui «l’idea di progresso non si correla necessariamente con il disincanto»332. L’individuo in quest’ottica diventa sede di una nuova ermeneutica dalla quale attingere al fine di migliorare sia gli strumenti conoscitivi che le strutture di senso che regolano il sapere. L’esperienza di malattia intesa come narrazione si mescola con le istanze sociali e culturali di cui il soggetto è portatore, fornendo uno scenario complesso ed inedito al personale medico e sanitario che si appresta a questa esplorazione. Le opportunità di ricerca e studio delle pratiche narrative adoperate dagli operatori, o dai pazienti stessi, implicano uno sguardo capace di cogliere l’insieme dei meccanismi che muovono sia i contesti d’interazione che le dinamiche intercorrenti nella costruzione del senso della malattia. Leggere la malattia può essere in questo caso un’opportunità per entrare nel mondo dell’altro attraverso l’immaginazione sociologica necessaria alla comprensione dei contesti umani, dell’agire individuale e dell’interazione collettiva. A tal proposito non è possibile ignorare come anche le innovazioni tecnologiche e la complessità dei mondi digitali orientino l’agire individuale e le esperienze collettive. Internet con la sua estensione globale ha prodotto un nuovo attore sociale informato e capace di negoziare la definizione della propria salute durante l’incontro clinico e di stabilire i limiti della propria adesione. L’esigenza narrativa, quasi confessionale, che si manifesta attraverso le piattaforme digitali, non può essere trascurata in quanto esprime sia un’urgenza esistenziale che un nido di ragno carico di rischi e ambiguità.

332 Costa C. (2012), La società post-razionale, Armando, Roma, p. 36.

Nel documento Università degli Studi di Roma Tre (pagine 137-147)