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DAGLI ENTI PORTUALI ALLE AUTORITA’ PORTUAL

1. Genesi e funzioni degli Enti Portual

La legislazione italiana, dal momento in cui è stata integrata dal codice della navigazione del 1942, si caratterizza per una forte impronta pubblicistica dei beni destinati o funzionali alla navigazione. A causa di tale caratteristica anche gli interessi privati che orbitano attorno al fenomeno della navigazione marittima risultano sempre, anche se con diversa intensità, in qualche modo collegabili ad un interesse pubblico con la conseguenza che la loro piena realizzazione sarà sempre condizionata e limitata dall’esigenza prioritaria della soddisfazione del prioritario ed inscindibile interesse pubblico relativo alla navigazione marittima.

Il codice della navigazione pertanto realizza la massima funzionalizzazione verso l’interesse pubblico delle attività

dei soggetti privati che operano in ambito portuale, confermando e strutturando in un sistema giuridico un alto livello di ingerenza del potere amministrativo sui soggetti interessati alla navigazione marittima e sui beni ad essa pertinenti. La presenza della Pubblica amministrazione nella titolarità e/o nella utilizzazione dei beni e delle risorse relative alla navigazione marittima o ad essa funzionali, rappresenta un dato costante e peculiare dell’ ordinamento italiano.

Il codice della navigazione interviene quindi nella precedente farraginosa e complessa normativa risalente al R.D. 3095/1885 accentuando sia la caratteristica del porto come bene del demanio marittimo sia la necessaria inerenza di tale bene al pubblico uso. Il carattere della demanialità inerisce pertanto sia alla funzione cui sono destinati gli spazi del porto sia alla titolarità del bene porto da parte della Pubblica Amministrazione. Le attività economiche che vengono svolte in ambito portuale risultano per questi motivi regolamentate in maniera molto rigida e capillare, anche mediante

l’imposizione di vincoli e modelli organizzativi ai soggetti privati che operano sulla base di concessioni.

La PA inizialmente persegue le suddette finalità attraverso gli stessi organi ministeriali. Questi inizialmente sono il Ministero della marina mercantile e altri Ministeri per quanto di competenza, come il Ministero dei lavori pubblici per la realizzazione delle opere portuali.

Sino al 1861 il Regno di Sardegna non ha un Ministero per la marina e tutti i servizi relativi all’ impiego della flotta e della difesa vengono svolti dal Ministero della guerra. La creazione del Regno d’Italia e la fusione delle diverse marine militari degli Stati preunitari spingono alla creazione di un Ministero della marina con competenze in materia di flotte, di difesa marittima e di naviglio mercantile.

Tuttavia, soprattutto nei porti più importanti, viene ben presto avvertita l’esigenza di costituire speciali enti con la funzione di concentrare le varie competenze ministeriali. La creazione di tali enti consente di avvicinare il momento decisionale relativo alle scelte in materia portuale agli Enti

locali a vario titolo interessati allo sviluppo del porto e consente altresì di tener conto delle specifiche realtà ed esigenze legate alla situazione locale, esigenze sia di natura economica che territoriale. Con L.1 febbraio 1903 n.50 viene creato il primo Consorzio autonomo per il porto di Genova. Tale ente è composto dallo Stato, dalle Province, dai Comuni e dal Consiglio provinciale dell’economia corporativa di Genova (l’attuale Camera di Commercio) e gli vengono posti cinque obiettivi prioritari:

a) il miglioramento degli impianti interni; b) il riordinamento dei servizi ferroviari; c) la creazione di un’attività di direzione;

d ) la creazione di un‘amministrazione autonoma;

e) la previsione di strumenti di finanziamento fondati sulla tassazione locale.

La forte presenza del potere centrale all’interno del Consorzio- dieci rappresentanti dell’amministrazione statale su ventisei componenti totali- lascia trasparire il timore dello Stato che i suoi interessi economici e militari possano essere

sacrificati in funzione di interessi economici settoriali e territoriali.

La creazione del Consorzio ha prevalentemente lo scopo di sollevare lo Stato dal compito della costruzione e manutenzione delle opere portuali. La legge istitutiva attribuisce cospicui finanziamenti al Consorzio per lavori di manutenzione e realizzazione di nuove strutture portuali. Il numero di enti portuali cresce notevolmente dopo la prima guerra mondiale, venendo però sciolti tutti con l’avvento del fascismo. Intorno alla seconda metà degli anni quaranta e durante gli anni cinquanta tali enti riacquistano nuova vitalità e ampliano l’ambito delle loro funzioni. Il prototipo di tutti questi organismi è costituito dallo Statuto del Consorzio del porto di Genova, pur presentando ciascuno di essi alcune caratteristiche peculiari. I Consorzi si qualificano come enti pubblici soggetti agli obblighi di cui alla legge sulla contabilità di Stato e sono dotati della legittimazione ad adottare provvedimenti amministrativi in conformità ed in posizione di sotto ordinazione alle direttive dei competenti

Ministeri, cui restano assoggettati anche per quanto riguarda i controlli. Sulla base del codice della navigazione gli enti pubblici portuali vengono configurati come soggetti competenti a disciplinare e controllare attività ed imprese esercitate da altri soggetti in ambito portuale, ma nello stesso tempo anche e come soggetti destinati a esercitare attività economiche in generale.

In realtà le specifiche leggi istitutive di tali enti, che conservano la loro efficacia anche dopo l’entrata in vigore del codice della navigazione, ricomprendono tra le loro facoltà anche l’esercizio di gestione diretta di alcune attività e operazioni portuali.

Fondamentalmente e sostanzialmente gli statuti affidano agli enti portuali i seguenti compiti:

- gestione diretta o indiretta della superficie demaniale che è affidata loro;

- programmazione, progettazione ed esecuzione di opere portuali;

commerciali o industriali che giovino al movimento economico del porto.

Si evince chiaramente come i suddetti enti abbiano la facoltà di assumere iniziative commerciali aventi come unico scopo quello di favorire lo sviluppo economico del porto.

Le leggi istitutive e la giurisprudenza qualificano tali enti come enti pubblici economici, organismi cioè che oltre ad essere dotati di potere amministrativo ed autoritativo svolgono direttamente attività economica secondo la logica e i criteri tipicamente imprenditoriali.

L’ente pubblico economico è un ente pubblico che ha per oggetto esclusivo o principale un’attività economica (art.2201 c.c.). E’ un ente che rappresenta un particolare connubio tra attività economica , cioè un tipo di attività priva del carattere di autoritarietà che contraddistingue generalmente gli enti pubblici, e di finalità pubblicistiche. Il fine pubblico dell’ente viene conseguito attraverso una attività di tipo imprenditoriale costituita essenzialmente da contratti anziché da provvedimenti amministrativi. Dal

normale ente pubblico l’ente pubblico economico si distingue perché agisce in modo non autoritativo e dal normale imprenditore si distingue perché non persegue fini di lucro o comunque, persegue un lucro da devolvere a fini pubblici. Si ricorda che secondo il nostro ordinamento non è essenziale per l’esistenza dell’impresa un fine di lucro, fine che invece è richiesto per le società (art.2247 c.c.). E’quindi possibile che esista un ente pubblico imprenditore.

L’assetto organizzativo di tali enti prevede un Presidente, un Consiglio di amministrazione e un Comitato direttivo, che esercita funzioni deliberative in via esclusiva o congiuntamente al Consiglio di amministrazione. Il Presidente presiede il Consiglio di amministrazione. La funzione di controllo viene invece esercitata dai Revisori dei conti.