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Musica e giardini, artificio e natura nello Stato Rustico di Gio. Vincenzo Imperiale e interessi musicali della famiglia

Capitolo 2. Le arti in villa: musica e arti figurative per le residenze fuori le mura

2.4. Musica e giardini, artificio e natura nello Stato Rustico di Gio. Vincenzo Imperiale e interessi musicali della famiglia

Benché possediamo forse meno notizie relative agli interessi musicali degli Imperiale, è opportuno dedicare una breve analisi a ciò che possiamo ricavare dalle fonti a nostra disposizione per questa famiglia. Come riporta Maria Rosa Moretti, il musicista napoletano Pompeo Stabile (1564 ca. –

155 Ivi, p. 73.

156 Cfr. D. Sarà, Antonio Rivani (25/09/2010) in «Archivio Multimediale Attori Italiani», Firenze, Firenze University Press, 2012, http://pistoiesi.amati.unifi.it/S100?idattore=6429&idmenu=8 (ultima consultazione: 23/07/2021)

157 Ibidem.

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1613) dedicò il suo Primo Libro de Madrigali a Sei Voci a Michele Imperiale, marchese d’Oria158: la dedica, datata 27 agosto 1585, mostra tutta la gratitudine del compositore per essere stato accolto presso la dimora dell’aristocratico musicofilo:

[…] ma essendo poi da lei stato ricevuto, favorito & accarezato in casa sua, niuna cosa ho con maggior istanza procurato, che farle con qualche chiaro segno manifesto, quant’io le mi tenga obligato. Il che non potendo hora più comodamente fare, mi sono risoluto di donarle le presenti mie compositioni, le quali a V. S. Illustriss. (quando si degnerà di cantarle) aporteranno honesto, e piacevole diporto, e saranno al mondo perpetuo testimonio dell’affettione & osservanza mia verso di lei, alla quale bacio la mano.159

Una curiosa coincidenza, pur esulando dal territorio genovese, è per noi d’interesse dal momento che ancora una volta sembra intessere una fitta trama di relazioni fra musica e arti figurative: il primo madrigale della raccolta di Stabile, Ben può di sua ruina, affiora dal libro parte che tiene in mano uno dei giovani protagonisti de I musici (Concerto di giovani) di Caravaggio160. Il dipinto, datato 1597 e oggi conservato al Metropolitan Museum di New York, faceva parte della collezione del Cardinale Del Monte, anch’egli noto cultore della musica e promotore di serate a cui prendeva parte l’amico Cardinal Montalto, ricordato da Vincenzo Giustiniani nel suo Discorso sopra la musica come virtuoso del cembalo e abile cantante161. Del resto, lo stesso Michele Imperiale doveva dilettarsi nel canto, come sembra suggerire Pompeo Stabile nella dedica dei Madrigali.

Il Marchese, figlio di David Imperiale, primo detentore del titolo, appartiene al ramo della famiglia discendente da Andrea Imperiale (1504-1569), figlio di quel Michele capostipite della dinastia e fratello di Vincenzo (1518 ca-1567). Il ramo discendente da quest’ultimo ci conduce invece alla figura di Gio. Vincenzo, forse l’esponente più illustre della famiglia, uomo politico di grande ingegno, poeta, letterato e raffinato collezionista162. Proprio a suo nonno Vincenzo si deve la

158 Cfr. Moretti, 1990, p. 49.

159 P. Stabile, All’Illustriss. Sig. et Patron mio Osservandiss. Il Signor Michele Imperiale, Venezia, 1585. Il testo intero della dedica, insieme alla Tavola delli Madrigali è riportato da Moretti, 1990, pp. 296-297.

160 Cfr. D. A. D’Alessandro, Un madrigale napoletano per Caravaggio. Novità sui Musici Del Monte, in Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna. Saggi e documenti 2017-2018, Napoli, arte’m, 2018, pp. 50-85 e in particolare pp.58-60 per l’identificazione del madrigale.

161 Ivi, pp. 54-57.

162 Il ramo discendente da Vincenzo è quello degli Imperiale di Sant’Angelo dei Lombardi, denominazione invalsa a partire dall’acquisto dell’omonimo feudo, nel Regno di Napoli, effettuato nel 1631 dal nipote Gio. Vincenzo. Il padre di

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Fig. 57

Palazzo Imperiale, Genova, Piazza Campetto, dal 1555.

Facciata

costruzione tanto del Palazzo di Campetto (fig. 57) quanto della villa di Sampierdarena (fig. 58):

entrambi le fabbriche vennero erette tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XVI secolo163.

Gio. Vincenzo fu abile politico, raffinato poeta e amico di Torquato Tasso; collezionista, protettore e confidente di diversi artisti, fra cui Giovanni Battista Paggi e Bernardo Castello164. Fra i primi aristocratici genovesi a comprendere il genio di Rubens, del quale vantava ben due importanti tele nella collezione, Gio. Vincenzo dedicò all’imponente quadreria il palazzo di Campetto, per altro

questi, Gian Giacomo Imperiale, fu doge nel biennio 1617-1619. Cfr. al riguardo R. Martinoni, Gian Vincenzo Imperiale. Politico, letterato e collezionista genovese del Seicento, Padova, Antenore, 1983, pp.5-11; 38-41; 78-81. Cfr.

anche G. Montanari, Palazzo Imperiale di Campetto in Genova, Perugia, Aguaplano, 2017, pp. 17-21.

163 Cfr. Montanari, 2017, pp. 17-19. Il Palazzo Imperiale di Campetto venne costruito a partire dal 1555, probabilmente su progetto di Giovanni Battista Castello il Bergamasco, mentre la villa di Sampierdarena fu eretta tra il 1560 e il 1563 su progetto di Domenico e Giovanni Ponzello. Anche Vincenzo fu collezionista, cultore delle arti e delle lettere e promotore delle prime fasi decorative del palazzo di Campetto, dove la serie di Uomini Illustri dell’antichità mostra scelte piuttosto originali, facendo riferimento soprattutto a personalità della Grecia classica come Talete e Lisimaco.

164 Cfr. G. Montanari, Libri, dipinti, statue. Rapporti e relazioni tra le raccolte librarie, il collezionismo e la produzione artistica a Genova tra XVI e XVII secolo, Genova, GUP, 2015, p. 85.

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Fig. 58

Villa Imperiale Scassi, 1560-63 ca, Genova Sampierdarena.

Facciata

decorato dagli splendidi affreschi di Luca Cambiaso e Bernardo Castello con soggetti di storia antica che gli studi di Giacomo Montanari hanno ricondotto alla fonte letteraria di Plutarco165. Tuttavia, fra le proprietà immobiliari della famiglia, è alla villa di Sampierdarena che Gio.

Vincenzo rimase particolarmente legato per tutta la vita: lì molto probabilmente nacque, nella primavera del 1582166 e vi trascorse lunghi periodi soprattutto nel corso della sua vecchiaia, fino alla morte avvenuta nel 1648167.

Lo splendore della proprietà, tanto sotto il profilo architettonico e decorativo quanto per la ricchezza dei rigogliosi giardini, valse ben presto alla villa Imperiale il titolo distintivo di “La

165 Per un’accurata analisi degli affreschi, cfr. Montanari, 2015, pp. 87-107. Per quanto riguarda i dipinti di Rubens nella collezione di Gio. Vincenzo, si tratta della tela con Ercole e Onfale, e di quella con La morte di Adone. Entrambi i quadri compaiono in diversi documenti: li troviamo nell’inventario steso nel 1647, un anno prima della morte di Gio.

Vincenzo; compaiono nella lista dei 37 dipinti stilata dai fratelli Salvatore e Gio. Benedetto Castiglione (il Grechetto) all’altezza del 1661, in occasione delle trattative fra Francesco Maria Imperiale e i Gonzaga per la vendita della collezione del padre. Cfr. Martinoni, 1983, pp. 215-216; 234. Martinoni, sulla base di precedente bibliografia, attribuisce poi con certezza a Van Dyck ben due ritratti dell’Imperiale (più un terzo in via ipotetica) che tuttavia la critica più recente ha ritenuto di espungere dal catalogo dell’artista per dei caratteri di rigidezza e scarsa vitalità non compatibili con l’abilità del maestro fiammingo. Cfr. a tal proposito: Barnes, Boccardo, Di Fabio, Tagliaferro, 1997, scheda 90, p. 378.

166 Cfr. Martinoni, 1983, p. 3. L’atto di battesimo è tuttora conservato presso la chiesa di Santa Maria della Cella. Cfr.

Montanari, 2017, p. 21.

167 Cfr. Martinoni, 1983, pp. 108-118.

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Fig. 59

Lo Stato Rustico di Gio. Vincenzo Imperiale, Genova, 1611. Antiporta su invenzione di Giovanni Battista Paggi, incisa da Philippe Thomassin

Bellezza”, oggi tuttavia solo in minima parte visibile a causa delle condizioni urbanistiche profondamente mutate rispetto all’originario contesto in cui la costruzione sorse168. Se dunque possiamo osservare direttamente solo una piccola parte dell’estensione originaria del parco, il suo ricordo ci è stato tramandato da Gio. Vincenzo Imperiale, che ambientò il suo poema Dello Stato Rustico (fig. 59) proprio nei giardini della proprietà169.

168 L’apertura dell’attuale asse viario di Via Cantore infatti determinò un netto taglio dell’area del parco della villa, che perse così la sua continuità e organicità; le recenti opere edilizie, residenziali e sociali (due scuole ai lati dell’edificio e i padiglioni ospedalieri in parte del parco) benché indubbiamente necessarie alla cittadinanza, contribuirono a depauperare il sito. Per la collocazione urbanistica e la drastica riduzione dei giardini cfr: B. Ciliento, Villa Imperiale-Scassi, Genova, Sagep, 1978, pp. 2-3. Cfr. anche De Negri, Fera, Grossi Bianchi, Poleggi, 1981, pp. 160-171; Le ville di Genova, 1986, pp. 41-42. Per la struttura, la decorazione e i giardini della villa, cfr. Magnani, 1987, pp. 125-140.

169 Cfr. Montanari, 2015, p. 86; idem, 2017, p. 21.

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Fig. 60

Domenico Fiasella, La famiglia Imperiale, olio su tela, 1642, Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco

Al di là iperboli e metafore verbali la descrizione del giardino è puntuale e restituisce l’ormai perduta articolazione originale del complesso, oggi mutilato e ridotto nelle dimensioni, compromesso da un radicale mutamento delle colture del primo Novecento, depauperato del suo arredo statuario. […].

L’artificio poetico esalta le meraviglie del giardino: restituisce con il suo sforzo creativo la realtà in continuo movimento e trasformazione di quella artificiosa natura. 170

L’altra testimonianza che ci permette di ricostruire visivamente l’aspetto del giardino perduto nel suo insieme, è la grande tela di Domenico Fiasella (fig. 60), precedentemente attribuita a Gio.

Bernardo Carbone, con il ritratto della famiglia Imperiale171. Dietro ai numerosi protagonisti schierati in primo piano (Gio. Vincenzo è l’anziano personaggio dalla lunga barba; accanto a lui, alla nostra destra, Brigida Spinola-Doria, sposata in seconde nozze) si staglia la visuale aperta sui giardini che digradano verso l’orizzonte in successivi livelli di terrazzamenti. Molto chiari risaltano i due ninfei, che l’Imperiale descrisse con vividezza nel suo poema.

170 Magnani, 1987, pp. 134-135.

171 Cfr. Martinoni, 1983, p. 202.

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Lo Stato Rustico fu edito per la prima volta a Genova, per i tipi di Giuseppe Pavoni, nel 1607, quando l’Imperiale aveva solo venticinque anni: nonostante i giudizi positivi e incoraggianti da parte di illustri personaggi come il letterato e giurista Claudio Achillini, il poema ebbe scarsa risonanza, ma ciò, insieme ai sinceri elogi ricevuti, spinse il giovane Imperiale a proseguire il lavoro, conducendo a due successive ristampe. Lo Stato Rustico venne infatti riedito nel 1611, ancora per Giuseppe Pavoni, e nel 1613 a Venezia, da Evangelista Deuchino172.

La cornice narrativa del poema fa riferimento a quella tradizione letteraria del viaggio iniziatico-edificante in cui il protagonista, sotto l’esperta guida di un’entità sovrannaturale, apprende quelli che sono i valori fondanti della vera vita: nel nostro caso il pastore Clizio, sotto le cui vesti si cela lo stesso Gio. Vincenzo173, viene condotto dalla musa Euterpe alla conoscenza dello Stato Rustico, appunto, ossia la vita agreste di cui l’intero poema è una sorta di visione apologetica e idealizzata174.

Nella descrizione del giardino dell’Imperiale emerge un «vitalismo cosmico» nella tradizione di una letteratura pampsichistica della natura che permette all’autore di trascorrere i diversi stadi, la scala delle creature della natura stessa nei due sensi opposti. Ogni albero è già stato una creatura umana come Dafne-Alloro […] ogni fiore un essere vivente come Narciso che ancor vive nel giardino […].

Esseri inanimati, vegetali, uomo, sono legati in un universo animato da un unico impulso vitale.175 È nella Decima Parte che incontriamo la descrizione della «bellissima villa che sontuoso palagio accompagna»176: amplissima per estensione, l’ekphrasis di Gio. Vincenzo si sofferma a descrivere

172 Ivi, p. 26; 31-32. Per le diverse edizioni del poema, cfr. G. Ruffini, Note su Giuseppe Pavoni stampatore a Genova dal 1598 al 1641, in «La Bibliofilía», settembre-dicembre 1989, Vol. 91, No. 3, pp. 267-285; O. Besomi, A. Bernasocchi, G. Sopranzi, Premessa, in G.V. Imperiale, Lo stato rustico, edizione a cura di O. Besomi, A. Lopez-Bernasocchi, G. Sopranzi, Roma, Storia e Letteratura, 2015, p. 13.

173 Lo nota esplicitamente proprio Giovanni Battista Marino, il cui Adone ha molte consonanze col poema dell’Imperiale. Come fa notare Marco Corradini nel suo studio sulla poesia genovese del Seicento, proprio nell’allegoria del primo canto Marino scrive «sotto la persona di Clizio s’intende il signor Giovan Vincenzo Imperiali, gentiluomo genovese di belle lettere, che questo nome si ha appropriato nelle sue poesie. Nelle lodi della vita pastorale si adombra il poema dello Stato rustico, dal medesimo leggiadramente composto». Cfr. M. Corradini, Genova e il Barocco. Studi su Angelo Grillo, Ansaldo Cebà, Anton Giulio Brignole Sale, Milano, Vita e Pensiero, 1994, pp. 29-30 e nota 51. La figura di Clizio-Imperiale è presente anche nel poema di Marino come personaggio che interviene in alcuni momenti della narrazione, come il racconto, particolarmente diffuso, della vicenda di Paride e del pomo della discordia. Cfr. al riguardo Besomi, Lopez-Bernasocchi, Sopranzi, Gli istituti del testo letterario, in G.V. Imperiale, Lo stato rustico…2015, p. 36.

174 Cfr. Martinoni, 1983, p. 26 e Magnani, 1987, pp. 133-134.

175 Magnani, 1987, p. 138.

176 G. V. Imperiale, Lo Stato Rustico…2015p. 319. Da ricordare che in questo passo per “villa” s’intende il parco e in generale la parte di natura entro cui sorge il palazzo.

109 Figg. 61-62

Villa Imperiale Scassi, dettagli della facciata con le lesene doriche del piano terra e quelle corinzie scanalate del primo piano

l’architettura del palazzo, l’interno con la fastosa decorazione ad affresco, le collezioni di statue di marmo e di bronzo, i bassorilievi e gli arazzi; si passa poi a una dettagliata analisi dei giardini, delle statue, delle fontane e della peschiera che impreziosiscono lo sterminato parco, senza rinunciare alla minuta presentazione delle specie arboree e vegetali, con un certo sfoggio di cultura enciclopedica177.

La facciata della villa (vv. 222-285) è descritta nei minimi particolari: riconosciamo le lesene corinzie scanalate che scandiscono il registro superiore, le colonne doriche di quello inferiore, il fregio che alterna rosette e bucrani, le finestre balaustrate e la volta centrale (figg. 61-64)178.

177Besomi, Lopez-Bernasocchi, Sopranzi, Guida alla lettura, in G.V. Imperiale, Lo stato rustico…2015, pp. 147-149.

178 Ibidem.

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Figg. 63-64 Villa Imperiale Scassi, dettagli della facciata e delle lesene corinzie

Con un paragone di gusto barocco (e di senso moraleggiante) fra lo splendore tanto maggiore dell’anima rispetto al sembiante del corpo, l’Imperiale ci guida poi all’osservazione dell’interno179. Qui la descrizione si sposta sull’apparato decorativo, partendo dai rilievi metallici della porta d’ingresso, con scene di amori e battaglie tratte dal mito e dalla storia antica (vv. 317-332); seguono

179 «Ma se tale è ’l di fuor, qual fia ’l di dentro?

Dicasi pur che de l’esterno è tanto il bello interno vincitor possente,

quanto più bella di sua salma è l’alma.» vv. 306-309.

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Fig. 65 Bernardo Castello, David con la testa di Golia, affresco, 1602 ca, Genova, Villa Imperiale Scassi, piano terreno, sala, volta

versi dedicati agli affreschi fra cui riconosciamo: Davide con la testa di Golia (vv. 356-381) che fa parte del ciclo di Bernardo Castello dedicato interamente all’eroe biblico; Giuditta con la testa di Oloferne (vv. 382-397) e al centro della volta Davide che abbatte il leone (vv. 398-422), opera quest’ultima di Giovanni Carlone (figg. 65-66)180.

Precedentemente identificato da Alizeri come Sansone che uccide la fiera, in realtà il quadro centrale della volta è appunto la rappresentazione di una scena legata alle storie di David181. La critica contemporanea ha infatti sottolineato come, benché la somiglianza dei due soggetti sia tale da potersi quasi sovrapporre, nella specifica pittura della Villa Imperiale vi siano dei dettagli che conducano in maniera inequivocabile all’identificazione con David: la corporatura meno muscolosa rispetto a Sansone, la giovane età e, soprattutto, la cetra poggiata a terra182.

180 Al soggetto di Davide con la testa di Golia è dedicata anche una delle figure a stucco di Marcello Sparzo. Cfr.

Ciliento, 1978, p. 11 e Besomi, Lopez-Bernasocchi, Sopranzi, 2015, p. 147.

181 Cfr. V. Borniotto, Il ciclo di David in Villa Imperiale Scassi: elementi per una nuova lettura iconografica, 2021, in cds.

182 Ibidem.

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Fig. 66

Giovanni Carlone, Davide abbatte il leone, affresco, 1602 ca, Genova, Villa Imperiale Scassi, piano terreno, atrio, volta

Valentina Borniotto ha sottolineato poi come un’ulteriore prova a favore della lettura dell’affresco come episodio di vita di David ci sia fornita dai versi dell’Imperiale in persona, che nel descrivere il dipinto definisce il protagonista “Hebreo garzon” e indica lo strumento musicale (“lasciata là su ‘l Zaino suo distesa / de le glorie di Dio l’arpa canora)183.

Tornando al poema, l’autore passa poi a descrivere con vividezza il parco della villa: è qui che il l’opera letteraria diventa per noi una fonte imprescindibile per avere un’idea della vastità, del fasto e dell’eleganza dei giardini che oggi sono in larga parte andati persi.

Nei versi dedicati ad essi si concentrano inoltre i riferimenti sensoriali legati all’esaltazione delle delizie della natura: tutti i sensi vengono risvegliati dalla descrizione, e c’è spazio per molteplici riferimenti sonori e talvolta musicali, che rivestono un duplice ruolo nell’architettura del poema: da un lato, essi vengono ricondotti entro la sfera della metafora per intessere legami fra musica e poesia; dall’altro assistiamo a momenti di effettivi interventi musicali all’interno della finzione narrativa. Fin dall’inizio dell’opera infatti, risalta il legame fra musica e poesia:

Musa della poesia lirica e dell’aulodia, Euterpe ha tradizionalmente per distintivo il flauto. E così all’inizio la vediamo offrire proprio questo strumento musicale a Clizio, in un eloquente gesto simbolico (I 178-98). Nella dichiarata parentela fra musica e poesia si iscrive, nel passo, il motivo

183 Ibidem.

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dell’iniziazione poetica, e dello stato rustico quale fonte di ispirazione. Euterpe musica non mancherà di esibirsi in due momenti del poema: nella Parte IV tiene un concerto di cetra (1032-75), nella Parte XVI – che segna il trionfo dell’armonia tra le Muse, unite ad Apollo e ai poeti di Elicona – torna a dare suono al flauto (468-493).184

In questo stesso senso potremmo interpretare anche le figure di ninfe e pastori, appunto, uomini di natura, che incontreremo alla conclusione della visita del parco, intenti in un concerto di cetre e flauti sulle acque di un lago (cfr. infra).

La prima meraviglia in cui Clizio-Imperiale s’imbatte è l’aiuola fiorita e potata in guisa tale da riprodurre le fattezze di un bel volto femminile (vv. 475-490)185 che conduce il protagonista al topos tipicamente barocco della domanda su quale, fra arte e natura, sia fonte di maggior stupore per il riguardante186. Quindi il protagonista attraversa il labirinto vegetale, di cui elenca tutte le specie (vv.

499-513) e, dopo un’ardita perifrasi per indicare la netta e precisa potatura delle siepi, descrive i sentieri lastricati con mosaici che raffigurano animali selvatici (vv. 523-540)187. Al centro del labirinto troneggia la fontana ai cui lati sono scolpite le figure di Diana e Atteone, già parzialmente tramutato in cervo (vv. 540-589): un soggetto questo che abbiamo visto essere comune nei luoghi dei giardini dove l’acqua è centrale, ossia grotte e fonti, in cui l’artificio umano s’intreccia e si fonde con gli elementi naturali (cfr. § 2.1). Dalla falce di luna della dea Diana così come dai palchi di Atteone-cervo zampilla l’acqua in rivoli argentei che scorrono verso la vasca della fontana188. Lauro Magnani ha sottolineato il sottile legame che intercorre fra gli elementi del giardino, naturali e artificiali (ma in fondo naturali anch’essi sia per i materiali, sia perché parte di un più ampio e metamorfico disegno). L’acqua che sgorga dalle fontane e che vivifica le statue col suo movimento e il suo suono apre a una visione alchemica dove tutto si trasforma189:

184 Besomi, Lopez-Bernasocchi, Sopranzi, 2015, p. 30.

185 Ivi, pp. 147-149.

186 Cfr. Magnani, 1987, p. 134.

187 Besomi, Lopez-Bernasocchi, Sopranzi, 2015, pp. 147-149.

188 Ibidem.

189 Cfr. Magnani, 1987, p. 134.

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Il collegamento tra l’elemento acqueo, il labirinto e la metamorfosi non è posto a caso all’inizio del percorso del giardino e, in continuità con la tradizione culturale cinquecentesca, invita a trovare nella miracolosa trasformazione degli elementi la chiave di lettura del disegno del giardino.

L’acqua, alla sua prima apparizione, viene presentata come l’elemento conduttore del giardino, asse reale che guida l’ascesa verso la collina e unifica col suo potere vivificante e trasformatore tutte le componenti del giardino stesso.190

Superato questo primo punto nevralgico, la Musa guida il suo discepolo alla scoperta di nuove meraviglie. In un ampio prato cinto da alloro (circostanza che consente al poeta una digressione sul mito di Apollo e Dafne, vv. 590-640) Clizio scorge una fanciulla che gioca con un giovane toro cingendone di ghirlande le corna e le zampe: qui si innesta un doppio excursus sulla costellazione del Toro e sul ratto di Europa (vv. 641-714)191. Il poeta e la sua guida attraversano il prato, giungono nei pressi di un’altra fontana, decorata con elementi naturali di origine marina, conchiglie, coralli, concrezioni rocciose (vv. 715-730):

Nel più sublime poi – là dove altero termina il prato, al prato lunge tanto quant’è di larga via lo spazio angusto – ad erto in mezo et a polito muro, in prospettiva grazïosa, appare da termini marmorei arco di marmo ad alto nicchio eretto: il cui gran cerchio – di roze pietre, di sassosa terra

e lievi e vacue viscere e spugnose, con maestria meravigliosa intesto – t’offre in picciolo sen conche lucenti di preziose perle arche pregiate,

e chiocciole e coralli e quante ha il mare co ’l suo scarpel, co ’l suo pennello ondoso dentro al suo vasto sen scolpite e pinte di forma e di color pietre distinte.

I versi successivi (731-783) descrivono le sculture di fanciulli in lotta che adornano la fontana, insistendo nuovamente sulla straordinaria abilità degli artefici che hanno realizzato statue tanto

190 Ibidem.

191 Besomi, Lopez-Bernasocchi, Sopranzi, 2015, pp. 147-149.

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realistiche da far sembrare a chi guarda di assistere a una scena che si sta realmente svolgendo192. Il suono cristallino dell’acqua che zampilla nella fontana viene ricostruito poeticamente con figure che lo paragonano a un dolcissimo concerto (vv. 763-767):

Se non che poi rimiri e ne stupisci, del fiato in vece, in strana mostra, uscirne del chiaro suo, dolce sudor, già sparso ne lo scherzar, con più gentil concento, canoro, armonïoso il molle argento.

Poco più avanti si arriva oltre e la piacevolezza del suono supera perfino l’armonia dei concerti eseguiti dai più esperti musicisti193 (vv. 784-793):

Meraviglia a vedere, a udir stupore:

misto a quel dolce, a quel sonoro argento stridolo, lamentevole il cristallo,

cadendo in doppio spumeggiante umore per larga vena a breve conca in grembo, formar tal melodia, che men soave, con dissonante consonanza, suole formarla in scola sua musico accorto;

cantando a dure et aspere dolcezze miste le dolci e placide durezze.

C’è da parte del poeta in questi passi una certa attenzione al versante auditivo della sfera sensoriale:

se il giardino è il luogo delle delizie, tanto per gli occhi quanto per l’olfatto, anche l’udito viene stimolato, soprattutto dalla musicalità cristallina dell’acqua. Oltre la fonte, una doppia scalinata, di cui Euterpe sceglie di salire il braccio destro, conduce i due personaggi a un frutteto: alberi e fiori, piante aromatiche, siepi e orti vengono descritti vividamente (vv. 867-1198) e “gli elementi architettonici «estranei» cominciano a cedere alla viva materia vegetale”194. Giungiamo quindi a un’ultima fonte rustica, composta di tre grotte animate dal mormorio dell’acqua, dalle sculture di creature fantastiche e mostruose e di divinità classiche.

192 Cfr. Magnani, 1987, p. 135. Il gruppo scultoreo, che probabilmente si trovava in corrispondenza del ninfeo posto lungo il secondo terrazzamento, non esiste più.

193 Besomi, Lopez-Bernasocchi, Sopranzi, 2015, pp. 147-149.

194 Cfr. Magnani, 1987, p. 135.

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Figg. 67-68-69-70

Ninfeo superiore, giardini di Villa Imperiale Scassi, Genova Sampierdarena, visione d’insieme e dettagli della decorazione musiva polimaterica e dell’interno della grotta

117

È forse questo il ninfeo superiore ancora oggi visibile in ciò che resta dei giardini (figg. 67-70), benché profondamente mutato dal contesto urbano sorto nei dintorni e depauperato di molti degli elementi scultorei che l’Imperiale descrive minuziosamente.

Anche in questo passo notiamo l’attenzione nel delineare precisamente gli elementi decorativi tipici delle grotte artificiali; ai versi 1211-1230 leggiamo:

Sorge l’alta fontana in tre spelunche ripartita egualmente, a cui di dentro formano le pareti intorno intorno e rozi et aspri et incomposti i sassi, ma industremente palesanti altrui ruvidezza gentil, leggiadra asprezza:

e a cui, con le sue foglie e co’ i suoi rami, tien strette l’edra folta et abbracciate l’estremità de le sue volte arcate;

ove fra ricchi, corallini bronchi e fra conche imperlate, anzi fra quale di marino liquor pietra più fina

l’aria congela, o qual indura e impetra presso l’Indo remoto o ’l ricco Persa, più celebrata, prezïosa gemma, da gli spessi e da i piccoli pertugi de le vene del piombo il vivo argento, liquefatto spumoso e mormorante, a l’aere senza forza uscir si vede con purità che l’aere ancor n’eccede.

Vengono descritti i suoni, le intensità, i movimenti, diversi per ogni getto d’acqua, in una mossa scenografia di giochi e zampilli fra cui si scorgono le sculture dei mostri e delle divinità: l’«alata serpe/ che ’l cor ti sparge di soave orrore», efficacissimo ossimoro per sottolineare la duplicità di sensazioni, l’immediato spavento per la visione della creatura, il sollievo derivato dalla constatazione che si tratta pur sempre di una finzione, la meraviglia per la bravura degli artisti. E ancora, Apollo e Amore che inscenano una giocosa battaglia nelle grotte più esterne, sono sculture che paiono prendere vita, fra le cortine semitrasparenti di flutti e cascate. Tutto si risolve in un