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Un hospitaggio al di fuori della famiglia Asburgo: la visita di Cristina di Lorena

Capitolo 3. Genova e gli hospitaggi: feste, cerimonie ed emblemi del potere per gli ospiti della Repubblica

3.5. Un hospitaggio al di fuori della famiglia Asburgo: la visita di Cristina di Lorena

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Nel medesimo 1574, Don Giovanni d’Austria fu a Genova per tre volte, sempre ospitato da Giovanni Andrea Doria a Fassolo: dei soggiorni liguri l’Asburgo ebbe piacevolissimi ricordi, e in una lettera al Principe Doria, con cui era in assiduo rapporto epistolare, egli espresse tutto il suo apprezzamento per il trattamento d’onore ricevuto235.

Maria, ormai vedova di Massimiliano, tornò ancora a Genova con i figli nel 1581: gli ospiti furono nuovamente alloggiati nel palazzo Doria, che per l’ultima volta si mostrava, eccezion fatta per il continuo rinnovamento degli arredi e l’arricchimento della collezione di arazzi e argenti, nella struttura originariamente progettata: di lì a pochi anni infatti Giovanni Andrea dette avvio a un grande cantiere volto ad espandere il palazzo aggiungendo alcune stanze e, soprattutto, la galleria aurea, nuovo ambiente di rappresentanza e di massimo prestigio che farà il suo debutto come sala delle udienze per l’arrivo di Margherita d’Austria (cfr. § 3.6).

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Fig. 25

Anonimo, Ritratto di Cristina di Lorena, 1588, olio su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi

sua nuova dimora, fra ostacoli e lentezze dovuti a diverse cause: alcune complicazioni nella stesura del contratto stesso, la guerra che per lungo tempo impedì il viaggio e il periodo di lutto che Cristina dovette rispettare in onore della nonna Caterina, morta il 5 gennaio del 1589, trascorso il quale, la giovane poté finalmente partire239.

Un dettagliato racconto dell’arrivo e del soggiorno di Cristina di Lorena a Genova ci è stato tramandato dall’Ordinanza di tutto quello che si preparò per ricevere Madama Christina Duchessa di Lorena, moglie del Serenissimo Ferdinando di Medici Gran Duca di Toscana, parte dei Libri dei Cerimoniali della Repubblica, conservati presso l’Archivio di Stato di Genova240. Poiché si tratta di avvenimenti relativi all’anno 1589, dovette essere Gerolamo Bordoni a curare la stesura di tale

239 Ibidem.

240 Cfr. ASG, Ceremoniarum I, c. 41 r-47 v. Il titolo completo di questa sezione è Ordinanza di tutto quello che si preparò per ricevere Madama Christina Duchessa di Lorena, moglie del Serenissimo Ferdinando di Medici Gran Duca di Toscana, per ordine del Serenissimo Senato, nel passar che fece da Genova l’anno 1589 adì 18 Aprile per andare a Fiorenza, et contenuto in esso mentre si fermò qui. Per il presente studio, ci rifacciamo alla trascrizione di questa parte del testo contenuta in Mulryne, Watanabe-O'Kelly, Goldring, Knight, 2004, pp. 298-308

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Fig. 26 Jacques Callot,

Matrimonio di Cristina di Lorena e Ferdinando I De’

Medici, 1614-1620 ca, stampa su carta da incisione a bulino, Napoli, Museo di Capodimonte

narrazione (cfr. § 3.1). I preparativi per ospitare una persona così illustre infatti incominciarono con largo anticipo e il Senato dovette occuparsi di studiare un’organizzazione tale da consentire l’alloggiamento del numeroso seguito della Duchessa e progettare le manifestazioni e le attività che si sarebbero svolte in suo onore durante tutto il periodo del soggiorno241.

Come ricordano i Libri, Ferdinando chiese infatti formalmente alla Repubblica di poter usufruire delle galee per scortare la moglie da Marsiglia a Livorno: Genova rispose prontamente alla richiesta

Et se gli offersero con molta prontezza, et trascorsi alcuni giorni da mezzo, nel passar che fece di qua l’eccellentissimo Signor Don Pietro suo fratello per andare a condurre essa Madama, con quattro galere di Toscana et altre quattro della Religion di Malta, si misero subbito a ordine altre quattro della Repubblica et se ne andorono poco appresso alla volta di Savona, dove erano dalle altre aspettate.242

Una notizia al riguardo ci è pervenuta anche tramite l’Inventione di Giulio Pallavicino: l’autore riporta alla data del 20 gennaio che il Gran Duca di Toscana aveva appunto richiesto quattro navi alla Repubblica di Genova, da aggiungersi alle galee fiorentine già partite per raggiungere la novella sposa a Marsiglia243. Alla data del 16 febbraio, Giulio Pallavicino riferisce poi che alcune

241 Cfr. Moretti, 1990, p. 54

242 Cfr. ASG, Ceremoniarum I, c. 41 r.

243 Cfr. G. Pallavicino, Inventione di Giulio Pallavicino di scriver tutte le cose accadute ai tempi suoi (1583-1589), ed. a cura di E. Grendi, Genova, Sagep, 1975, p. 212. Pallavicino scrive che le galee avrebbero dovuto condurre Cristina da

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Fig. 27

Palazzo Doria-Spinola nell’incisione contenuta all’interno de I Palazzi di Genova di P. P. Rubens, Anversa, 1622

galee spedite in Corsica sarebbero poi state inviate anch’esse a Marsiglia per consentire l’imbarco di Cristina e del suo seguito244.

A Genova intanto i preparativi, affidati come abbiamo visto al Senato, proseguivano già da tempo:

sempre il Pallavicino ricorda che si era deciso di alloggiare la futura Granduchessa di Toscana nel palazzo di Gio. Battista Doria di Antonio, dell’Acquasola (figg. 27-28), «non essendovi casa né più comoda, né più grande» (venerdì 17 febbraio)245.

Il palazzo era infatti considerato all’epoca fra i più prestigiosi, trovandosi nel I bussolo del sistema dei Rolli, e venne ulteriormente abbellito al fine di accogliere degnamente Cristina e parte del suo seguito. Il Marchese Doria provvide presto a far preparare una bellissima camera dall’elegante arredo ricoperto di «velluti e damaschi cremisi» e broccati dorati, e le operazioni di allestimento coinvolsero l’intero palazzo, con drappi di velluto e seta che ricoprivano il mobilio e impreziosivano le stanze insieme a quadri, cuscini e altri oggetti simboli di lusso e magnificenza246.

Marsiglia a Ligorna, ma è probabile che si tratti di un errore, indicando la località ligure al posto della città toscana di Livorno, dove effettivamente sappiamo che fosse diretta la flotta che conduceva la Gran Duchessa nelle sue nuove terre.

244 Ivi, p. 216.

245 Ibidem.

246 ASG, Ceremoniarum I, c. 41v.

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Fig. 28

Palazzo Doria-Spinola, oggi Prefettura. Parte della facciata

Alla medesima data del 17 febbraio il Pallavicino annota che il Senato designò quattro illustri gentiluomini che si occupassero degli ulteriori preparativi per l’accoglienza della Duchessa:

quest’informazione è presente anche nella relazione di Bordoni, ed entrambi i testi riportano i nomi dei prescelti, ossia Sinibaldo Doria, Marco Antonio Giudice, Arigo Salvago e Alessandro Giustiniano, quest’ultimo in realtà assente nell’Inventione, in cui viene citato al suo posto Gregorio Garbarino247.

Nell’Ordinanza, Bordoni si sofferma poi a descrivere nel dettaglio il grande bucintoro da parata costruito per l’occasione: si trattava di una sorta di palco galleggiante, ottenuto unendo insieme tre barche su cui era stato disposto un tavolato di legno al fine di ottenere «una piazza in quadro, longa palmi 40 et 30 larga». Questa base era poi circondata da balaustri di legno oltre i quali erano disposte file di bandiere di taffettà bianche e rosse. In maniera non dissimile dai pontili preparati per le entrate di Carlo V e di Don Felipe (cfr.§ 3.2, 3.3) la “piazza”, era stata ricoperta di stoffa rossa e, al fine di nascondere la struttura sottostante, erano stati disposti dei teli dipinti a simulare un

247 Cfr. Pallavicino, 1975, p. 216 e ASG, Ceremoniarum I, c. 41v.

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basamento in bugnato e a punte di diamante, come tipico dei palazzi signorili248. Sul bucintoro erano state posizionate, al di sotto di un baldacchino aureo, tre sedie, l’una di tela dorata e le altre di velluto, che avrebbero ospitato la Duchessa di Lorena e le sue dame di compagnia; altri quaranta sedili occupavano lo spazio rimanente. Tutt’intorno erano disposti soldati tedeschi in arme, al fine di proteggere l’edificio galleggiante da eventuali incursioni: il maestro di cerimonie annota infatti come non fosse infrequente che i marinari delle galee si rendessero protagonisti di atti di saccheggio249. Come ancora racconta Bordoni, il bucintoro veniva mosso da un ingegnoso sistema di corde e carrucole disposto al di sotto dello “scafo”, che consentiva alla struttura di scivolare sull’acqua apparentemente senza l’ausilio di alcuna forza motrice, nascosta in realtà sotto di esso.

Giovedì 23 marzo arrivarono nel porto le galee fiorentine e quelle maltesi, le prime magnificamente ornate di bandiere rosse e bianche e di broccati. A bordo di una di esse vi era Don Pietro, fratello di Ferdinando De’ Medici, da questi inviato al fine di accompagnare la sua novella sposa durante il lungo viaggio per mare fino a Livorno250. Pallavicino afferma che, benché un alloggio fosse stato predisposto nel palazzo di Arigo Salvago (uno dei quattro cittadini designati dal Senato per curare le cerimonie in onore di Cristina di Lorena) Don Pietro preferì restare a bordo della sua galea, dal momento che era accompagnato da un certo numero di gentiluomini, per i quali non erano state apparecchiate sistemazioni251.

Il giorno seguente, riporta sempre l’Inventione, Don Pietro si recò a far visita al Senato in Palazzo Ducale, e in veste di ambasciatore del Gran Ducato di Toscana espose ufficialmente il comunicato delle nozze fra la Duchessa di Lorena e Ferdinando. Quindi il medesimo giorno si stabilì che le galee genovesi sarebbero partite alla volta di Marsiglia, insieme a quelle di Firenze e Malta giunte poche ore prima: risolto un contenzioso sulla precedenza nello schieramento, che si diceva Malta volesse avere senza ragioni sufficienti, si decise di imbarcare un contingente di quattrocento uomini

248 Cfr. ASG, Ceremoniarum I, c. 42r-42v.

249 Ibidem.

250 Cfr. Pallavicino, 1975, p. 220.

251 Ibidem.

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Fig. 29

Bernardino Cantone (?) Palazzo di Angelo Gioanni Spinola, 1558-1564, Genova. Facciata con affreschi dei fratelli Calvi, fine XVI sec.

armati al fine di prevenire ogni altro atto di ingerenza da parte dei maltesi252. A tal proposito, nell’Ordinanza dei Libri dei Cerimoniali leggiamo che

Per far prova dell’insolenza di esso generale di Malta, si fecero ben armar dette galere di fantarie thedesche et soldati còrsi; et inoltre molti cittadini et gentilhuomini se gli imbarcorono per combattere bisognando et per mostrargli il zuffo, come fecero; però fu così savio che mai per viaggio fece segno alcuno, né di forza, né di volere, ma per tutti gli luoghi et porti del viaggio se ne andò alla larga […].253

Pochi giorni dopo le galee salparono e ad esse si aggiunsero anche quattro navi del Papa254.

Venerdì 7 aprile, durante la notte, arrivò la figlia del re di Danimarca, zia di Cristina: Giulio Pallavicino si sofferma a spiegare i motivi della scelta di tale orario sulla base di un inconveniente legato al cerimoniale. La nobildonna, «tanto piena di vanità», si ostinava a farsi chiamare Maestà e poiché secondo quanto stabilito dal cerimoniale il Doge era tenuto a far visita di persona alle regine giunte nel territorio della Repubblica, si trovò il modo di evitare tale circostanza, invisa al Doge, programmando l’arrivo della “Reina” a notte fonda, senza cerimonie. In questa sede Pallavicini dà l’informazione che la zia di Cristina di Lorena avrebbe poi alloggiato nel medesimo palazzo della nipote, mentre venne successivamente ospitata nel palazzo di Giulio Spinola in Strada Nuova (figg.

252 Ibidem.

253 ASG, Ceremoniarum I, c. 41r.

254 Cfr. Pallavicino, 1975, pp. 220-221.

183 Fig. 30

Lazzaro Tavarone (prec. Attr. Andrea Semino), Facciata nord del Palazzo di Angelo Giovanni Spinola vista dal giardino, Genova, Palazzo Angelo Giovanni Spinola, Sala di Sofonisba, affresco, fine XVI sec., particolare.

Fig. 31

Bernardino Cantone (?) Galleria di accesso allo scalone, 1558-1564, Genova, Palazzo Angelo Gioanni Spinola. Affreschi dei fratelli Calvi, fine XVI sec.

29-30-31), come viene riportato nel testo, pochi giorni più avanti255. Sontuosissima dimora fatta edificare da Angelo Giovanni Spinola, il padre di Giulio, il palazzo era stato da quest’ultimo già ampliato e dal 1576 figurava nel I bussolo dei Rolli256. Qui venne il Senato a far visita alla nobile signora, il 15 aprile, e alla stessa data si dice che Cristina era nel frattempo bloccata a Monaco per il maltempo e da un vento di scirocco contrario alla navigazione257.

Per l’arrivo della Granduchessa era stato disposto che il popolo, che naturalmente sarebbe accorso numeroso a salutare l’arrivo della nobile ospite, non potesse occupare la zona del porto dove era previsto che attraccassero le galee, ossia il Ponte Calvi, compreso ovviamente il bucintoro: perciò,

255 Ivi, pp. 221-222. Cfr. inoltre Moretti, 1990, p. 54.

256 Per il palazzo di Giulio Spinola cfr. P. Torriti, Tesori di Strada Nuova. La via aurea dei genovesi, Genova, Sagep, 1970, pp. 105-123; S. B. Cantoni, G. Bozzo, Palazzo Angelo Giovanni Spinola, in AA.VV, Il restauro dei Palazzi dei Rolli: Genova, Firenze, Nardini, 2004, pp. 140-145; E. Poleggi, I. Croce, G. Zibordi, A. De Naeyer, C. Hind, Genova:

una civiltà di palazzi, Milano, Silvana Editoriale Editoriale (Cinisello Balsamo), 2002, pp. 68-71.

257 Cfr. Pallavicino, 1975, p. 222.

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oltre agli ufficiali di polizia (i «bargelli» o «barigelli») trenta soldati tedeschi armati erano stati posti di guardia e si proibì perfino il passaggio di navigli di ogni genere in tutta l’area258.

Ormai si attendeva a giorni l’arrivo di Madama Cristina: sempre in suo onore, il poeta e religioso genovese Angelo Grillo aveva composto una canzone, da lui stesso definita «veramente piena di gravità, e di spiriti d’eloquenza, e di poesia»259. Il componimento inizia con un riferimento al connubio di Cristina e Ferdinando, esaltando l’unione delle casate di Lorena e di Toscana, quindi il poeta, con un artificio retorico di gusto barocco, immagina Genova quasi come la mano destra dell’Italia, tesa in amicizia a Cristina e al suo casato260. La città, «patria altera», prende vita e parola mentre si orna per risultare sufficientemente degna di ospitare con onore una tale figura: nonostante le galee offerte (divenute nei versi «alati pini» di cui è stato sparso il mare), ancora non si sente pronta a offrire alla sua illustre ospite l’accoglienza che merita, e si lamenta di non poter erigere

«archi e colossi», né di poter trasformare l’erba in smeraldi, i fiori in preziose gemme261. E ancora, la personificazione di Genova vorrebbe che i monti, i palazzi e le strade, l’intero territorio potesse muoversi per incontrare Cristina e salutarla con umiltà, mentre la natura tutta si duole di non possedere aria più pura, stelle più splendide, uccelli dal canto più melodioso262. Seguono poi numerosi versi dedicati a rimembrare le gloriose imprese della stirpe di Cristina, della quale poi l’autore, ricusando di celebrare la bellezza, già cantata da altri, traccia un ritratto spirituale263. La Granduchessa viene dipinta come una donna di salda e devota fede, tanto che Cristo stesso, di cui porta il nome, se ne compiace, e il bel sembiante di tanto nobile signora è tutto risplendente della castità, dell’onore, delle virtù che la animano:

Ma quanto in lor [le antenate di Cristina] rifulse In te tutto si scorge e vi risplende

E novi pregi à i pregi antichi aggiungi;

258 Cfr. ASG, Ceremoniarum I, c. 42v.

259 Cfr. A. Grillo, Parte Prima delle Rime del Signor Don Angelo Grillo nuovamente date in luce, Bergamo, 1589. La citazione è tratta dalla Tavola delle Rime Morali, una sezione del testo che non ha paginazione.

260 Ivi, c. 86r.

261 Ivi, c. 86r-86v.

262 Ivi, c. 86v.

263 Ivi, cc. 87r-88r.

185 Che nel tuo sen sculse

Il Fabro eterno ogni virtù che rende L’anime à lui: quindi è, ch’à lui ti giungi, Ch’altro intendi, molt’opri, e vedi lungi;

E col suo nome proprio ei si compiacque, Gran Semidea, che tu fusti nomata CHRISTINA à CHRISTO grata;

Né mai tanto donna al mondo piacque.

Nel tuo sembiante imperial si vede Casta beltà di maestade adorna

A la cui guardia armato Honor soggiorna;

E v’han le Gratie eterna e nobil fede:

En tanta altezza, quasi un chiaro nume, Splende si bel costume

Ch’ogni altra forza e violenza eccede Ch’il trionfar d’humani cori, e d’alme, È la gran palma d’eccelse palme.264

Al fine di avere tutto pronto per l’imminente arrivo di Cristina, era stato ordinato al Generale delle galee che inviasse comunicazione nel momento in cui la flotta fosse giunta a Savona. Finalmente, la mattina del 18 aprile, giunse l’avviso al Senato: vennero inviati, a bordo di due barche a vela ben ordinate e armate, sei cittadini in funzione di ambasciatori, che avrebbero incontrato le galee e, secondo il cerimoniale, questa delegazione doveva formalmente rivolgere a Sua Altezza l’invito a sbarcare in città, al fine di riposarsi dal viaggio. Alle quattro del pomeriggio le galee vennero avvistate al largo di Arenzano, e il messaggio di benvenuto, con il relativo invito a risiedere in città, venne rivolto a Madama Cristina così come a Don Pietro De’ Medici e alla Duchessa di Bransuich (Brunswick?) giunta come dama di compagnia265. Giunte nel porto le galee, rimbombarono i colpi di artiglieria che annunciavano con fragorosa allegria l’arrivo della Granduchessa: si sparava, come di consueto, dalle galee, e si rispondeva dal Molo, dai bastioni di San Tommaso, dalla Lanterna e dalla Darsena, «infine da cento vinti pezzi d’artiglieria la quale fu sparata con tal ordine che diede

264 Ivi, c. 88r-88v.

265 Cfr. ASG, Ceremoniarum I, c. 43r e Pallavicino, 1975, p. 223.

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una maravigliosa vista ai riguardanti»266. I quattro cittadini designati come ambasciatori, e che abbiamo già visto occuparsi dei preparativi, accolsero Cristina nel momento dello sbarco dalla galea per condurla sul bucintoro che a sua volta l’avrebbe portata fino al Ponte Calvi, all’estremità del quale quattro Procuratori la attendevano, in compagnia di dodici gentiluomini a cavallo, assecondando un altro rituale deciso dal Senato per conferire maggiore gravità e magnificenza alla cerimonia di benvenuto267. Il popolo genovese s’era riunito nelle strade, mentre le fanciulle e le dame dalle finestre lanciavano fiori e frasche di mortella in segno di gioiosa accoglienza per la Granduchessa, che ricevette l’orazione di benvenuto per bocca di Pier Battista Cattaneo, designato in quanto più anziano fra i gentiluomini della delegazione:

Serenissima Madama, il Doge et Signori della Repubblica hanno ricevuto molto contento della venuta di Vostra Altezza et che habbi voluto favorire, et honorar la nostra città, con la sua presentia;

ne hanno per ciò mandati a riceverla et a prender scusa con lei se non gli faranno quelli honori che merita, perché troppo gran cose bisogneriano per honorar come conviene una Principessa de così gran lenaggio et sposa di così Gran Duca, tanto amico et amorevol nostro; sarà dunque contenta Vostra Altezza di accettare il buono animo nostro, et se così le piace venirsene al suo alloggiamento.268

Cristina aveva risposto, tramite il suo Maggiordomo Orazio Ruccellai, mostrando tutta la propria gratitudine per gli onori tributategli, che non avrebbe mancato di riferire al suo sposo appena giunta presso di lui. Dopodiché, stando ai racconti dei cronisti, ebbe inizio il corteo che avrebbe condotto la Granduchessa alla dimora del Marchese Doria. Secondo il racconto di Bordoni, erano state predisposte una lettiga (una sedia a braccia scoperta) e una portantina (coperta) al fine di non incomodare l’illustre ospite durante il suo passaggio in città: se Cristina dapprima preferì procedere a piedi, ben presto la calca di folla fu tale che per maggiore sicurezza la giovane dovette sedere sulla lettiga, offerta dal Magnifico Cesare Gentile269.

266 Cfr. Pallavicino, 1975, p. 223.

267 Cfr. ASG, Ceremoniarum I, c. 43r-43v e Pallavicino, 1975, pp. 222-223.

268 Cfr. ASG, Ceremoniarum I, c. 44r.

269 Cfr. ASG, Ceremoniarum I, c. 42r-43v. Nella relazione si dice inoltre che erano stati scelti quattro camalli della Caravana, fra i più belli e prestanti, abbigliati in una livrea di velluto e rasi alla maniera degli schiavi.

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Lo sbarco sul ponte Calvi era stato salutato inoltre da una squillante musica di tromboni, cornetti e traverse, strumenti a fiato tipici delle occasioni celebrative270. In particolare, ci interessa sottolineare la menzione che la cronaca di Bordoni fa della traversa, uno strumento a fiato che in un certo senso potremmo definire antenato dell’odierno flauto traverso. La traversa ha una storia che si estende tra il XV e il XVII secolo e una diffusione europea: numerosi trattati di musica pubblicati dall’inizio del Cinquecento fino alla metà del secolo successivo ne mostrano l’uso piuttosto frequente sia per repertorio puramente strumentale che per esecuzioni vocali271. A differenza del flauto traverso attuale, quello rinascimentale era realizzato in legno (di susino, ciliegio, melo, pero o altri) e ne esistevano di diverse estensioni, che potevano anche suonare insieme, come spesso accadeva, in un ensemble definito consort272. Oltre ad alcuni esemplari antichi conservatisi, ne abbiamo testimonianza da dipinti dell’epoca, preziose fonti iconografiche, come già abbiamo notato in altre occasioni, per osservare complessi musicali, strumenti e musicisti all’opera, qualora gli artisti siano stati scrupolosamente attenti al realismo della rappresentazione (cfr. § 2.3). Ancora cornetti e tromboni furono protagonisti di un piacevole concerto offerto a Cristina durante il suo ingresso nel cortile del palazzo di Gio. Battista Doria, coi suonatori disposti lungo il loggiato interno del palazzo (fig. 32)273. Stanca e accaldata dal viaggio, non appena fu giunta nel suo alloggio, Cristina venne lasciata riposare, ma i festeggiamenti ripresero il giorno successivo. Il Marchese Doria aveva infatti organizzato una grande festa da ballo, cui presero parte ben settantasei dame di incomparabile bellezza, oltre a numerosi gentiluomini, che per l’occasione potevano portare le armi. Benché la Granduchessa, che ancora accusava la stanchezza del viaggio, si fosse ritirata piuttosto presto, il

270 Cfr. ASG, Ceremoniarum I, c. 42v.

271 Cfr. L. Verzulli, Il flauto traverso rinascimentale. La diffusione, le caratteristiche il repertorio dello strumento in uso tra I'XI e il XVII secolo, in “Syrinx” trimestrale di informazione e cultura musicale: bollettino ufficiale Accademia italiana del flauto”, n. 24, 1995, pp. 18-21

272 Ivi, pp. 18-21. Il primo a citare il consort è Martin Agricola nel suo trattato Musica Instrumentalis Deudsch (1529, riedito poi nel 1545)

273 Cfr. ASG, Ceremoniarum I, c. 44v.

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Fig. 32

Palazzo Doria Spinola, Genova. Loggiato

sontuoso ballo si protrasse fino al tardo pomeriggio e risultò particolarmente gradito ai tanti aristocratici stranieri, soprattutto francesi, giunti al seguito di Cristina274.

Nei giorni successivi la giovane Granduchessa potè approfittare del vento contrario che continuava a spirare, ritardando la partenza, per visitare Genova: trascorse il suo soggiorno «hora in Chiese, in balli e in canti»; si recò in San Francesco, e assistette ad alcune messe con musica275. Maria Rosa Moretti ricorda della funzione in Santa Caterina, vicina al palazzo Doria, occasione in cui Cristina ascoltò un’esecuzione vocale accompagnata da organi, tromboni e cornetti276. Fu quindi nel Duomo, per ascoltare la messa e per poter ammirare e rendere devoto omaggio alle importanti reliquie ivi conservate, il Sacro Catino, il frammento della Vera Croce e l’Arca delle ceneri del Battista. Per l’occasione la cattedrale era stata provvista di cuscini di broccato per far accomodare Don Pietro e

274 Cfr. Pallavicino, 1975, p. 223.

275 Ivi, pp. 223-224.

276 Cfr. Moretti, 1990, p. 55. La chiesa e il convento di Santa Caterina, da cui erano già stati allontanati i Padri nel 1798, vennero progressivamente spartiti e demoliti nel corso dell’800. Resta la cappella absidale della chiesa, incorporata entro il Palazzo Doria Spinola. Cfr. I. Croce, «In questi giorni ciascuno si diletti di edificare largo, e con cortile, se possibile». Palazzo Doria Spinola, architettura e contesto urbano, in R. Santamaria (a cura di) Palazzo Doria Spinola.

Architettura e arredi di una dimora aristocratica genovese da un inventario del 1727, Genova, Le Mani, 2011, p. 93.