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Le visite di Carlo V: classicismo, apparati effimeri e intrattenimenti per l’Imperatore

Capitolo 3. Genova e gli hospitaggi: feste, cerimonie ed emblemi del potere per gli ospiti della Repubblica

3.2. Le visite di Carlo V: classicismo, apparati effimeri e intrattenimenti per l’Imperatore

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e ci consente di comprendere a fondo il ruolo non solo decorativo che rivestivano le arti tutte nel corso delle entrate regali di imperatori e sovrani a Genova. Ne vedremo di seguito alcuni esempi.

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Carlo V si imbarcò il 28 luglio da Barcellona sulla galea capitana appartenente alla flotta di Andrea Doria e giunse a Genova il 12 agosto del 1529, dopo quindici faticosi giorni di viaggio per mare29. Da Barcellona, l’Ammiraglio aveva precedentemente dato disposizioni specifiche alla Repubblica affinché i preparativi per la venuta del sovrano incominciassero col giusto anticipo. Dalla lettera del 21 giugno del 1529 leggiamo:

mi occorre ricordarli che faccino far maggior provisione de biade et strame che sarà possibile, giudicando anchora esser in proposito che incomincieno a far lavorar il ponte de legnami dove Sua Maestà si haverà da sbarcar. Et quanto alli alloggiamenti per la persona di Sua Maestà et della sua corte venirà costì in tempo il suo foriero con alcuno de questi gentilhomini, dali quali Vostre Signorie intenderano più a compimento tutto quello che per tale effetto sarà necessario. Mi è parso raccordar a Vostre Signorie esser bene che le ordinassero cento o ducento homini ben parescenti et vestili, li quali si trovassero ad accompagnare Sua Maestà quando arrivarà costì fino allo allogiamento di quella. […] Et poi che non haverano salvo da accompagnarla a piedi da la Marina fino a la casa, penso che tutto consista in far che siano ben vestiti, perchè 1’arme in tal caso mi pareriano superflue havendo la solita sua guardia.30

Dopo una breve sosta a Savona31, la flotta di Andrea Doria giunse quindi nei pressi del porto di Genova: la Cronaca del soggiorno di Carlo V in Italia, attribuita a Luigi Gonzaga da Giacinto Romano, afferma che all’arrivo delle galee il mare si riempì di moltissime altre imbarcazioni, tanto numerose da rendere quasi impossibile scorgere l’acqua32, e un coro di giovani riempì l’aria inneggiando all’Imperatore33. La Cronaca si sofferma anche a descrivere le variopinte uniformi dei rematori (per i quali Andrea Doria volle assicurarsi che venissero liberati) e la galea capitana: lo scafo era dipinto e in parte dorato, così come i remi; le vele erano «di dalmasco giallo berretino et morello alla devisa della Maestà Cesarea, con tutte le corde di seta», e infine il castello di poppa, dove si trovava l’Imperatore, era stato rivestito di broccato dorato34.

29 Cfr. B. Varchi, Storia fiorentina, Le Monnier, 1858, p. 15. Cfr. anche G.L. Gorse, Between Empire and Republic:

Triumphal Entries into Genoa During the Sixteenth Century, in B. Wisch, S. Munshower, Art and pageantry in the Renaissance and Baroque, Pennsylvania State University, 1990, pp. 193-194.

30 R. Renier (a cura di), Lettere inedite di Andrea Doria, Lettera I, in “Giornale Ligustico”, 1883, pp. 276-278.

31 Cfr. Gorse, 1990, p. 194.

32 Cfr. G. Romano (a cura di) Cronaca del soggiorno di Carlo V in Italia, Milano, Hoepli, 1892, pp. 79-80. Cfr. anche Stagno, 2002, pp. 74-75.

33 Cfr. Gorse, 1990, p. 194.

34 Cfr. Romano, 1892, p. 80.

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Ad accogliere Carlo V era stato predisposto sul molo, nella zona dell’attuale Mandraccio, un pontile di legno decorato, rivestito di tappeti e culminante in un baldacchino35: Andrea Doria, in veste di ammiraglio, con una medaglia d’oro al collo e la spada sguainata, precedette l’Imperatore, che, sbarcato sul pontile, fu accolto da una numerosissima delegazione della Repubblica36. Oltre il Doge, ben quattrocento gentiluomini genovesi attendevano il sovrano, vestendo gli abiti cerimoniali adatti a ricevere tale ospite37: benché come abbiamo visto il Trattato delle Cerimonie fosse stato codificato nella sua forma definitiva solo negli anni ’70 del Cinquecento38, sappiamo che le norme in esso contenute venivano già ampiamente applicate, soprattutto per quanto riguardava il modo di vestire, uno dei più evidenti simboli politici dell’età moderna. Carlo V vestiva di bianco e argento, recando la propria impresa sul berretto39.

Poco oltre il pontile si ergeva un arco trionfale che apriva così l’itinerario ideato per l’entrata del sovrano, un percorso innovativo anche sotto il profilo ideologico perché, come fa notare George L.

Gorse, l’itinerario avrebbe rotto «i confini tradizionali dei quartieri medioevali e del potere delle singole famiglie nobili ad essi associato per unire la città sotto una nuova immagine.»40. L’arco, il primo di una lunga serie di apparati effimeri approntati per le occasioni di entrate regali, era stato disegnato e progettato da Pietro Buonaccorsi, ovvero Perin Del Vaga, l’artista che era stato chiamato un anno prima da Andrea Doria per la decorazione della villa di Fassolo (cfr. § 1.2) e alla sua invenzione si deve anche il secondo apparato trionfale realizzato per l’entrata di Carlo V e posizionato in Piazza dei Giustiniani41. Decorazioni del tipo progettato da Perino erano

35 Cfr. Stagno, 2002, pp. 75-76. nella Cronaca del soggiorno di Carlo V in Italia leggiamo: «Prima li Signori genovesi heaveano fatto fare uno superbissimo ponte di legnami sopra il Muolo che entrava più di docento passi in mare, fortissimo, il quale ponte tutto di sopra era ricoperto di broccati d’oro et tele d’oro alla divisa di Sua Maestà et dalle bande tutto era appartato di veluti e damaschi fino a terra, et dove mettevano li piedi tutto era salicato di finissimi tapeti dalmaschini con festoni bellissimi et archi triumphali magnificentissimi con tutte le arme di Sua Maestà e di Genova, et così tutta la Signoria di Genova gli andorno contra a piedi insino al capo del ponte […].». Cfr. Romano, 1892, pp. 81-82. Una descrizione più sintetica del pontile e delle decorazioni è contenuta anche in Varchi, 1858, p. 17.

36 Cfr. Gorse, 1990, p. 195.

37 Ibidem. Per l’abito cerimoniale del Doge, cfr. Trattato delle Cerimonie… in Volpicella, 1921, pp. 102-105.

38 Per i problemi di datazione del Trattato cfr. Volpicella, 1921, pp. 7-8.

39 Cfr. Romano, 1892, p. 82. Diverso invece in parte l’abbigliamento dell’Imperatore descritto dal Varchi, che parla di abiti in parte rossi. Cfr. Varchi, 1858, pp. 16-17

40 Cfr. Gorse, 1992, p. 11

41 Ivi, pp. 9-10. Sul ruolo di Perino del Vaga a Fassolo, cfr. L. Stagno, Palazzo del Principe. Villa di Andrea Doria.

Genova, Genova, Sagep, 2005, pp. 13-54.

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completamente inedite per Genova e l’arrivo di Carlo V rappresentò infatti per la città anche una rivoluzione dal punto di vista delle scelte artistico-figurative. L’apprendistato romano del Buonaccorsi, allievo di Raffaello, consentì all’artista di progettare, in continuità con la decorazione pittorica del palazzo del Doria, degli elementi architettonici temporanei che si rifacevano, tanto nella struttura quanto nelle scelte iconografiche e nelle modalità di rappresentazione, all’antichità classica42. Il vastissimo repertorio del mito e della storia antica faceva per la prima volta il suo ingresso in una città dal tessuto urbano ancora tutto medievale e il contrasto era evidente43.

I precedenti genovesi di primo Cinquecento erano ancora connotati da aspetti sostanzialmente tardomedievali. le decorazioni per l’entrata di luigi XII nel 1502 erano costituite prevalentemente da ornamenti di verzure e drappi esposti alle finestre: […]. La città attraversata dal sovrano francese era una versione fiorita e festiva, ma ben riconoscibile, di Genova; laddove gli apparati approntati per Carlo V miravano a trasformare lo spazio urbano reale in città ideale, attraverso l’uso di un vocabolario figurativo di ispirazione classica che appunto in questa occasione fu per la prima volta utilizzato in città.44

La svolta classicista resa possibile dalla sapienza del Buonaccorsi costituì la base del rinnovamento artistico e figurativo che, partendo dall’effimero, raggiunse poi lo stadio duraturo dell’affresco, nel palazzo di Andrea Doria, espandendosi poi per imitazione verso le nuove residenze che via via andavano moltiplicandosi in città a partire dagli anni centrali del Cinquecento45. È stato inoltre notato dalla critica come il linguaggio classico venne applicato da Perino con sapienza archeologica, al fine di costruire una vera e propria “via sacra” per l’Imperatore, che riproponesse visivamente e ideologicamente il concetto della processione in trionfo di cui erano protagonisti nell’antica Roma i generali vittoriosi46.

Il dispiegamento in grande di apparati decorativi, effimeri ma straordinariamente preziosi e imponenti, acquisì inoltre un duplice significato per Genova: esaltare la maestà dell’Imperatore e al

42 Cfr. Stagno, 2002, p. 73.

43 Cfr. Stagno, 2012 a, pp. 62-63.

44 Ivi, p. 62.

45 Cfr. L. Magnani, Apparati festivi e immagine della città tra Seicento e Settecento, M. Fagiolo (a cura di) Atlante Tematico del Barocco in Italia – Le capitali della festa, Roma, De Luca Editore, 2008, p. 116 (d’ora in avanti

“Magnani, 2008 c”). Come esempio dell’acquisizione dei nuovi caratteri e contenuti della decorazione pittorica l’autore riporta il palazzo Grimaldi in Salita S. Francesco.

46 Cfr. Stagno, 2002, p. 73. Cfr. anche Gorse, 1990, p. 195.

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tempo stesso mostrare la magnificenza di una città il cui posizionamento politico a livello europeo risultava piuttosto singolare. Repubblica oligarchica che pure aveva nel Doge la figura di massimo rilievo istituzionale, alleata (ma non suddita) della Spagna, Genova trovò nell’ostentazione degli apparati festivi un primo grande strumento di legittimazione della propria classe dirigente, un’aristocrazia dedita ai traffici mercantili e all’attività finanziaria, condizione anomala rispetto alla nobiltà degli altri stati europei47.

L’antico arrivò a Genova e si diffuse come linguaggio della retorica del potere: comparso negli apparati effimeri, si eternò nella decorazione permanente ad affresco delle dimore aristocratiche, a partire dalla villa di Andrea Doria, per poi diffondersi a partire dalla metà del Cinquecento nei palazzi delle altre famiglie genovesi48. Ciascuna di esse trovò nel grande repertorio di miti e storia classica uno strumento perfetto di autocelebrazione e il processo iniziato da Buonaccorsi venne proseguito dagli artisti della scuola locale, i Calvi, Luca Cambiaso, Andrea Semino, Lazzaro Tavarone, che agirono all’interno di dimore già influenzate dal rinnovamento architettonico portato da Galeazzo Alessi (cfr. § 2.1)49. Entrambi gli apparati effimeri progettati da Perino per l’entrata del 1529 (fig. 1) sono visibili in un foglio conservato alla Kunstbibliothek di Berlino (Staatliche Museum)50.

Situato probabilmente nei pressi dell’attuale Porta Siberia51 (fig. 2), l’arco al molo era pensato come una struttura a un solo fornice, elevato su un alto basamento e con due coppie di colonne doriche ai lati52. L’aquila bicipite asburgica sovrastava l’apparato, affiancata da due geni53.

47 Cfr. Magnani, 2008 c, p. 116. Cfr. anche L. Magnani, Temporary architecture and public decoration: the development of images, in Mulryne, Watanabe-O'Kelly, Goldring, Knight, 2004, p. 250.

48 Cfr. Magnani, 2004, pp. 251-253.

49 Ibidem.

50 Un’approfondita analisi del foglio, che presenta anche il verso disegnato, con il progetto di una volta, è contenuta in E. Parma (a cura di) Perino del Vaga tra Raffaello e Michelangelo, catalogo della mostra (Mantova, Palazzo Te, 18 marzo – 10 giugno 2001), Milano, Electa, 2001, scheda 94, pp. 200-201.

51 Per lo studio della collocazione dell’arco cfr. E. Gavazza, Gli apparati per le entrate di Carlo V a Genova, in L.

Fagioli, G. Rotondi Terminiello, E. Gavazza (a cura di) Il polittico di Sant’Erasmo di Perino del Vaga. Rilevamento:

una proposta didattica, problemi di restauro e di interpretazione. Catalogo della mostra (Genova, Museo dell’Accademia Ligustica, 12 maggio – 30 agosto 1982), Avegno, Stringa, 1982.

52 Cfr. Gorse, 1992, p. 11.

53 Ibidem.

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Fig. 1

Perin del Vaga, Due archi trionfali per l’entrata di Carlo V d’Asburgo a Genova nel 1529 (recto), penna, inchiostro marrone,

acquerello grigio e azzurro su carta; 407x290 mm. Berlino, Staatliche Museum

Preussischer Kulturbesitz, Kunstbibliotek, inv. Hdz 2131

Come è stato notato da Gorse, l’insieme di questi elementi è una trasposizione in sole immagini dell’emblema di Carlo Plus Oultre: l’aquila bicefala sopra le Colonne d’Ercole (fig. 3)54.

Dal disegno di Perino, per l’arco al molo non risultano esserci altri elementi iconografici; tuttavia da alcune fonti contemporanee all’evento possiamo ricavare delle informazioni aggiuntive: come riporta Ezia Gavazza, gli Annali di Giacomo Bonfadio riferiscono che l’aquila bicipite imperiale aveva il significato di ricordare il ruolo di pacificatore dell’Italia rivestito da Carlo V; sempre la studiosa recupera dalla biografia di Andrea Doria scritta da Francesco Domenico Guerrazzi che sull’arco vi erano numerose raffigurazioni «dimostranti il buon animo dei Genovesi verso gli

54 Ibidem. Cfr. anche idem, Committenza e ambiente alla “corte” di Andrea Doria a Genova, in A. Esch, C. L.

Frommel, Arte, committenza ed economia a Roma e nelle corti del Rinascimento (1420-1530), atti del convegno (Roma, 24-27 ottobre 1990), Torino, Einaudi, 1995, pp. 257-258.

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Fig. 2

Schizzo prospettico su fotografia dell’arco trionfale costruito al molo per l’entrata di Carlo V nel 1529 (tratta da AA.VV, Il politico di Sant’Erasmo di Perin del Vaga, Genova, Stringa, 1982)

Spagnuoli55». Anche Benedetto Varchi ci offre altri dettagli: secondo la sua descrizione, l’arco trionfale era

pieno di varie e vaghe storie dimostranti per lo più il buon animo de’ Genovesi; quasi avessono posto in oblio l’ultima presura di Genova ed il sacco datole dagli Spagnuoli: in una delle quali storie era raffigurato Andrea d’Oria, il quale con la sinistra mano reggeva la città di Genova e nella destra teneva una spada ignuda arrancata, e l’imperadore con ambe le mani incoronava Genova.56

Prima di lasciare il porto, Carlo V assistette a un’altra sorprendente meraviglia preparata in suo onore: una grande sfera decorata in modo tale da rappresentare il mondo si aprì cospargendo il corteo di acqua profumata; quindi ne uscì fuori un giovane che impersonava la figura allegorica

55 Cfr. Gavazza, 1982.

56 Varchi, 1858, p. 17. La descrizione di questa scena è contenuta anche nell’opera di Guerrazzi citata da Gavazza (vedi nota 51).

136 Fig. 3

Impresa di Carlo V, da Girolamo Ruscelli, Le imprese illustri, Venezia, 1566

della Giustizia e che, dopo aver pronunciato parole di benvenuto e di reverenza verso l’Imperatore, gli offrì le chiavi della città57.

Il secondo apparato effimero progettato da Perin del Vaga per il 1529 si trovava invece in Piazza Giustiniani, sulla strada che l’Imperatore avrebbe percorso per recarsi dapprima in cattedrale, dove avrebbe assistito alla messa, e poi nel Palazzo Pubblico, dove, solo per questa visita, sarebbe stato alloggiato. Lo spazio ristretto, in declivio e prevalentemente sviluppato in direzione longitudinale di Piazza Giustiniani determinò un certo sforzo di progettazione per questo secondo arco trionfale, a tre fornici, e dunque ben più monumentale di quello al molo: il Buonaccorsi ideò infatti un basamento a gradoni il cui scopo, oltre naturalmente a rendere ancora più monumentale la struttura, era quello di colmare il dislivello del terreno58. Sono state fatte delle ricostruzioni ipotetiche della posizione precisa dell’arco, che, per le sue misure, doveva probabilmente essere sistemato in modo tale che l’apertura del fornice fosse parallela a Via Giustiniani. L’insieme sarebbe stato visibile

57 Cfr. Stagno, 2002, p. 77.

58 Cfr. Gavazza,1982.

137 Fig. 4

Schizzo prospettico su fotografia dell’arco trionfale di Piazza Giustiniani del 1529 ((tratto da AA.VV, Il politico di Sant’Erasmo di Perin del Vaga, Genova, Stringa, 1982)

Fig. 5

Schizzo prospettico su fotografia dell’arco trionfale di Piazza Giustiniani da Via Chiabrera ((tratto da AA.VV, Il politico di Sant’Erasmo di Perin del Vaga, Genova, Stringa, 1982)

dall’attuale Via Chiabrera, creando così un effetto di cannocchiale prospettico di grande impatto59 (figg.4-5). Dal punto di vista iconografico, il disegno di Berlino ci permette di ricavare più informazioni, e ancora una volta possiamo fare inoltre affidamento sulle descrizioni contemporanee dell’arco trionfale: esso era sormontato dalla figura della Giustizia con la bilancia e la spada, secondo l’iconografia che ritroviamo nei testi di Ripa e Cartari60. Le quattro colonne di ordine ionico incorniciavano le tre aperture, di cui le due laterali erano sormontate da riquadri a basso rilievo con immagini tratte dal repertorio dell’antico: dall’osservazione del disegno scorgiamo, a destra, un personaggio sul carro che fa pensare a una scena di trionfo; a sinistra, un episodio di omaggio o di udienza presso un sovrano61.

59 Ibidem.

60 Cfr. C. Ripa, Iconologia, Roma, 1603, pp. 187-189; V. Cartari, Le imagini degli dei degli antichi, Venezia, 1624, pp.

380-381.

61 Cfr. Gavazza, 1982. Cfr. anche Gorse, 1992, p. 11.

138 Fig. 6

Perin del Vaga, Allegoria della Liguria e Allegoria della Vigilanza,

monocromo a tempera in vari toni ocra, resti di colore (rosso, verde, grigio) carta applicata su tela, 214x90,5 cm, Genova, Museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti

Dei pannelli interni alle aperture percepiamo appena i soggetti che, dalla presenza di personaggi a cavallo (di cui uno sembra atterrare un nemico) deduciamo fossero relativi a una scena di vittoria, con diretto riferimento alla missione di Carlo V in Italia62.

Gavazza propose (1981) anche un’affascinante ipotesi interpretativa dei due cartoni giunti fino a noi e rappresentanti a monocromo le figure della Liguria e della Vigilanza (fig. 6): poiché i disegni sono realizzati sui toni bruni con tracce di verde e rosso scuro, dunque in sintonia con la cromia scelta per fingere il rilievo bronzeo dell’apparato, la studiosa avanzò l’ipotesi che si potesse trattare non di cartoni preparatori, bensì di due realizzazioni compiute da inserire nell’arco63. Non possiamo tuttavia affermare con sicurezza che il cartone con la figura rivolta verso destra rappresenti la personificazione della Liguria: nel suo studio dedicato all’argomento, Valentina Borniotto ha riportato come nell’Iconologia di Cesare Ripa esista anche una diversa figura, l’allegoria del

62 Cfr. Gavazza, 1982.

63 Ibidem.

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Fig. 7

Liguria, da Cesare Ripa, Iconologia, Roma, 1603

Governo della Repubblica64, i cui attributi sembrerebbero coincidere con quelli che scorgiamo nel disegno: un ramo d’ulivo, uno scudo e un dardo, oltre che il morione sul capo65. Inoltre, nel cartone periniano mancherebbe proprio quell’attributo, conferito alla Liguria dal Ripa (fig. 7), che risulta essere una costante nella definizione della personificazione nel corso dei secoli, ossia la mano

“occhiuta” che presenta appunto il palmo aperto al fine di mostrare l’occhio al suo interno, simbolo di quella prudenza che si attribuiva ai liguri e ai genovesi come qualità caratteristica66.

64 Cfr. Ripa,1603, p. 194

65 Cfr. V. Borniotto, L’identità di Genova. Immagini di glorificazione civica in età moderna, Genova, GUP, 2016, p. 36

66 Cfr. Ripa, 1603, pp. 249-251. Cfr. inoltre Borniotto, 2016, pp. 29-36

140 Fig. 8

Pianta di Piazza Giustiniani e dell’arco trionfale del 1529 (tratta da AA.VV, Il politico di Sant’Erasmo di Perin del Vaga, Genova, Stringa, 1982)

L’apparato per Piazza Giustiniani inoltre comprendeva anche un altro spazio, costruito sul raddoppio del quadrato di 42 palmi (circa 10,40 metri) forse coperto da una cupola e culminante in un nicchione dove doveva essere collocata una statua (fig. 8)67.

Dalle fonti antiche sappiamo che l’Imperatore volle fermarsi a lungo di fronte a ciascuno dei due archi al fine di poterne ammirare l’ingegnosità e di leggerne l’apparato iconografico, decifrato anche attraverso le spiegazioni di Andrea Doria68.

Gli apparati effimeri del 1529, con la loro capacità di ridisegnare temporaneamente una città e di renderla un aulico teatro per la rappresentazione della maestà e del potere, fecero di Genova un modello ben presto seguito per tutte le altre entrate di sovrani in Italia e in Europa, non solo in relazione al viaggio di Carlo V (occasione per la quale Bologna seguì appunto l’esempio genovese) ma anche per accogliere i suoi successori e altri importanti membri della dinastia asburgica69.

67 Cfr. Gavazza, 1982.

68 Marino Sanuto nei suoi Diari riporta che l’Imperatore «volse intenderlo ben minutamente» riferendosi all’arco di Piazza Giustiniani, come già aveva fatto per quello al molo. Cfr. I Diari di Marino Sanuto, Venezia, 1898, p. 400

69 Cfr. Gorse, 1992, p. 12. Cfr. anche idem, 1990, pp. 195-196

141 Fig. 9

Perin del Vaga, La Caduta dei Giganti, affresco, Genova, Palazzo del Principe, 1533 ca

Carlo V tornò a Genova nel 1533, e diversi furono i cambiamenti rispetto al suo precedente soggiorno nella città alleata: prima di tutto, l’Imperatore, che ne veniva dalla vittoria sui turchi alle porte di Vienna, giunse da nord, e si fermò a Genova lungo il viaggio di ritorno in Spagna. La città stessa era cambiata, e, in particolare, era stata completata la decorazione della fastosa villa di Andrea Doria a Fassolo (fig. 9), dove Carlo V fu invitato ad alloggiare, iniziando così la lunga tradizione degli hospitaggi in casa Doria70. Il sovrano vincitore fu accolto a Genova presso la Lanterna il 28 marzo 1533: secondo il cerimoniale si presentò a lui e alla sua corte una delegazione composta dal Doge, dalla Signoria, dal Cardinale Gerolamo Doria (cugino di Andrea e suo alleato) e da due legati pontifici, mentre i forti spararono colpi a salve e le galee si disposero nel porto affiancando il corteo da mare71. Anche per questa solenne entrata dell’Imperatore vennero commissionati a Perino due apparati effimeri che ricalcavano le forme, la struttura e le tipologie iconografiche dell’arco di trionfo romano (figg. 10-11).

70 Cfr. Stagno, 2002, p. 77.

71 Cfr. Gorse, 1990, p. 197

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Fig. 10

Perin del Vaga, Progetto per un arco trionfale per il passaggio di Carlo V a Genova nel 1533, (recto) penna, inchiostro marrone, acquerello grigio e marrone su carta; tagliato diagonalmente sugli angoli superiori 429x303 mm, Londra, Courtlaud Institute of Art, collezione Blunt, inv. 21

Il primo (fig. 11) venne eretto a San Lazzaro, vicino al luogo in cui l’Asburgo era stato accolto dalla Signoria; il secondo (fig. 10) invece fu posizionato proprio nella piccola piazza di San Benedetto, antistante la chiesa che confina tutt’ora col Palazzo del Principe72. Ancora una volta possediamo i disegni del Buonaccorsi per entrambi i progetti, che compaiono sullo stesso foglio (recto e verso) conservato al Courtlaud Institute di Londra (collezione di Anthony Blunt).

Dall’osservazione dei disegni possiamo notare come la struttura, pur ispirandosi all’arco trionfale romano, ne rimodelli le forme: anziché uno o tre fornici, Perino scelse due aperture ai lati di un pannello centrale figurato, una modalità che Gorse definì come una «pala d’altare con portali ai

72 Cfr. Stagno, 2002, p. 77.

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Fig. 11

Perin del Vaga, Progetto per un arco trionfale per il passaggio di Carlo V a Genova nel 1533, (verso) penna, inchiostro marrone, acquerello grigio e marrone su carta; tagliato diagonalmente sugli angoli superiori 429x303 mm, Londra, Courtlaud Institute of Art, collezione Blunt, inv. 21

lati»73. Poco possiamo ricavare per l’iconografia dell’apparato di San Lazzaro (verso), di cui il disegno è appena accennato, uno schizzo preliminare che doveva servire all’artista per avere un’idea generale della struttura e studiare il posizionamento delle figure entro le scene narrative74.

Tuttavia, possediamo altre informazioni relative alla cerimonia che si svolse in prossimità di tale arco: gli Annali di Paolo Francesco Partenopeo (1536) raccontano dell’orazione dai toni religiosi pronunciata in onore dell’Imperatore vittorioso sui nemici infedeli e riportano il bellissimo episodio dell’entrata della piccola Simonetta, fanciulla di quasi dieci anni figlia dell’annalista, che travestita da Vittoria o Pace, recando un ramo d’ulivo in mano, «salutò il nuovo Cesare reduce dal suo trionfo in Austria dove aveva difeso l’“intera cristianità”»75. Considerando tale momento, Gorse ipotizzò per l’arco di San Lazzaro raffigurazioni che riprendessero il medesimo tema e registro linguistico,

73 Cfr. Gorse, 1992, p. 12.

74 Cfr. Stagno, 2002, p. 77; Gorse, 1992, p. 12.

75 Cfr. Gorse, 1992, p. 12.

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immaginando una scena centrale in cui Carlo V sarebbe stato rappresentato incoronato da una Vittoria, e altre scene di battaglia sull’attico76.

Il tema della vittoria sul turco doveva essere il filo conduttore delle decorazioni approntate per la visita imperiale del 1533, come risulta tanto dal più dettagliato disegno sul recto del foglio di Londra, che riporta l’immagine dell’arco eretto presso San Benedetto, quanto dal programma iconografico ideato per la villa del Principe Doria. È stata notata dalla critica la continuità di temi, soggetti e linguaggio figurativo fra gli apparati effimeri e la decorazione permanente del palazzo di Fassolo, che le fonti antiche presentano quasi come parte integrante dei festeggiamenti:77 «Nel contesto dell’entrata cerimoniale la villa e la strada diventavano un’immagine di Roma, parte del classico trionfo romano nell’unione di nobiltà, repubblica e impero»78.

Per il secondo arco, Perin del Vaga propose una complessa decorazione che prevedeva nuovamente l’aquila bicipite asburgica, sulla sommità di un plinto posto in cima all’attico, questa volta incoronata a simboleggiare l’investitura consacrata dal Pontefice quattro anni prima79. L’aquila era affiancata dalle due figure di Nettuno e Anfitrite, Gavazza ha proposto di identificare in esse una duplice allegoria di Andrea Doria e di Genova, distese nella classica posa delle divinità fluviali antiche e recanti ciascuna una cornucopia80. Secondo Gorse ancora all’incoronazione ricevuta a Roma da Carlo V alluderebbe il pannello centrale dell’attico, con una figura di donna che porta sul capo la tiara papale circondata da personaggi in atto di preghiera81: una personificazione della Roma cristiana che potrebbe avere contatti con la tipica raffigurazione della Caritas per il suo atteggiamento benevolo nei confronti dei fedeli che la attorniano. Il legame simbolico e ideologico fra il Sacro Romano Impero retto dagli Asburgo e la Roma antica era ulteriormente ribadito nel riquadro centrale posto fra le due aperture, in cui scorgiamo una figura che viene incoronata dalla Vittoria, ricalcando forse le modalità con cui la piccola Simonetta aveva accolto e reso onore a

76 Cfr. Gorse, 1990, p. 197.

77 Cfr. Stagno, 2002, pp. 77-78; Gorse, 1990, p. 198; Gorse, 1992, pp. 12-13.

78 Cfr. Gorse, 1995, p. 262.

79 Cfr. Gorse, 1992, p. 13.

80 Cfr. Gavazza, 1982.

81 Cfr. Gorse, 1992, p. 13.