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Oneri e onori di una Repubblica al servizio dell’Impero. I Libri dei Cerimoniali

Capitolo 3. Genova e gli hospitaggi: feste, cerimonie ed emblemi del potere per gli ospiti della Repubblica

3.1. Oneri e onori di una Repubblica al servizio dell’Impero. I Libri dei Cerimoniali

“Un paradosso sta alla base della storia delle istituzioni genovesi in età moderna”: una Repubblica indipendente ma al tempo stesso legata a doppio filo all’Impero asburgico da un’alleanza che influenzava anche la vita politico-amministrativa interna di Genova1. Se da un lato Carlo V aveva posto sotto la propria protezione la città e i suoi interessi, in virtù dell’enorme supporto militare fornito dalle galee del Doria (cfr. § 1.1), dall’altro la Repubblica doveva dimostrare ripetutamente la sua incorruttibile fedeltà all’Impero e difendere la sua condizione di sovranità “nel contesto delle ricorrenti pretese formali dell’Impero e della Francia”.2 Ad esempio, non era consentito ricevere alcun ambasciatore eccetto quelli di Carlo V e poi dei suoi successori sul trono spagnolo, e quest’obbligo rimase in vigore fino alla seconda metà del Seicento: solo nel 1682 François Pidou de Saint-Olon potè essere ricevuto come inviato francese nella Repubblica3. Abbiamo visto come il legame con la Spagna e con gli Asburgo avesse determinato per Genova un ruolo fondamentale di collegamento territoriale fra i domini iberici, mediterranei e settentrionali dell’Impero: la sua posizione ne faceva un punto di passaggio indispensabile durante i lunghi (e frequenti) viaggi che i membri del casato asburgico dovevano compiere per assolvere ai loro ruoli istituzionali4. E in tale ambito potremmo considerare anche i matrimoni, organizzati naturalmente per scopi politici e non certo per corrispondenza di affetti fra i promessi. Citiamo alcuni esempi: nel 1548 Massimiliano d’Ungheria, nipote di Carlo V, sostò a Genova prima di raggiungere la sposa, l’Infanta Maria, figlia

1 Cfr. C. Bitossi, A Republic in search of legitimation, in J. R. Mulryne, H. Watanabe-O'Kelly, M. E. Goldring, S.

Knight (a cura di) Europa Triumphans: Court And Civic Festivals In Early Modern Europe, Londra, Ashgate Pub Ltd, 2004, p. 236.

2 Cfr. L. Stagno, La forza dell’effimero: apparati e rappresentazioni del potere a Genova, in F. Boggero, A. Sista (a cura di) ll Teatro dei Cartelami. Effimeri per la devozione in area mediterranea, Genova, Sagep, 2012, p. 62. (d’ora in avanti “Stagno, 2012 a”)

3 Cfr. Bitossi, 2004, p. 237. Cfr. anche C. Costantini, La Repubblica di Genova nell’età moderna, Torino, Utet, 1978, pp. 51-52. Sullo scorcio del Cinquecento risultava chiara l’insofferenza da parte delle istituzioni genovesi verso le restrizioni imposte dall’alleanza-protettorato della Spagna, come risulta evidente dai tentativi di stringere regolari rapporti diplomatici con la Santa Sede e il rifiuto di divieto di attracco per imbarcazioni inglesi nel porto. Cfr. C.

Bitossi, Il governo dei magnifici. Patriziato e politica a Genova fra Cinque e Seicento, Genova, ECIG, 1990, pp. 59-60.

4 M. I. Aliverti, Visits to Genoa, in Mulryne, Watanabe-O'Kelly, Goldring, Knight, 2004, pp. 225-227.

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dell’Imperatore, in Spagna. Un anno più tardi, in occasione del celebre “doppio matrimonio” dei due figli di Filippo II, l’Infanta Isabella e Filippo III, passarono per Genova l’Arciduca d’Austria Albrecht e Margherita d’Austria, cugini, per congiungersi ai loro rispettivi promessi rimasti in Spagna5. In tutti questi casi, così come per le entrate ufficiali dell’Imperatore, Genova s’impreziosiva di fastosi apparati effimeri atti a celebrare l’arrivo di ospiti tanto importanti; si erigevano archi di trionfo sul modello dell’antichità classica, si preparavano festeggiamenti e ricevimenti che coinvolgevano trasversalmente tutti gli artisti: architetti, pittori e plasticatori, musicisti, cantori e compositori. Talvolta, le occasioni richiedevano organici tanto ampi da dover far riferimento anche a musicisti che non appartenevano alle cappelle, e che normalmente svolgevano altri mestieri (garzoni, barbieri, servitori…)6.

A differenza dei soggiorni del Duca di Mantova, di carattere privato, precedentemente analizzati (cfr. § 2.2) gli hospitaggi erano veri e propri eventi pubblici, dal chiaro scopo politico, attraverso cui i sovrani e i membri della Casa reale manifestavano il proprio potere e rappresentavano la

“maestà dello stato”, di cui erano diretta emanazione7. In tal senso, capiamo i motivi dell’importanza attribuita al cerimoniale, ossia l’insieme di norme atte a regolamentare i comportamenti da seguire scrupolosamente nel corso di questi solenni eventi.

In occasione del principale incontro pubblico, che tra il Doge e i suoi illustri ospiti ecclesiastici o laici (il Papa, l’Imperatore, un re, un magnus princeps, un cardinale, una regina o una dama reale) i rispettivi simbolismi dovevano combinarsi perfettamente senza provocare spiacevoli malintesi, come esempi di quel delicato gioco di equilibri tra apparente uguaglianza e effettiva disuguaglianza che sembrava caratterizzare sempre le occasioni più importanti.8

In un’epoca in cui ogni segno esteriore era riflesso di un preciso significato politico e simbolo di uno specifico grado entro le gerarchie del potere, era fondamentale avere una normativa di

5 Ivi, p. 228.

6 Cfr. M. R. Moretti, Ruolo degli archivi genovesi nella ricostruzione della vita musicale della città tra Cinque e Seicento, in L. Sirch (a cura di) Canoni bibliografici. Contributi italiani al Convegno Internazionale IAML/IASA, Perugia, 1-7- settembre 1996, Lim, 2001, p. 346.

7 Cfr. L. Stagno, Sovrani spagnoli a Genova: entrate trionfali e “hospitaggi” in casa Doria, in P. Boccardo, J. L.

Colomer, C. Di Fabio, G. Airaldi (a cura di) Genova e la Spagna. Opere, artisti, committenti, collezionisti, Genova, Carige, 2002, p. 73.

8 Aliverti, 2004, p. 230.

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riferimento al fine di evitare incresciosi incidenti diplomatici che potevano condurre a risvolti di seria gravità (non da ultimo, conflitti armati).

Come fece notare a suo tempo Luigi Volpicella, un ordinamento repubblicano aveva forse ancor più di una monarchia necessità di regolamentare il cerimoniale, a causa dei frequenti cambi delle personalità in carica, rispetto appunto alla continuità di una dinastia in cui, chiaramente, ci si atteneva agli ordini di un sovrano9. Nelle Repubbliche, al contrario, “manca la continuità della tradizione e meno s’intendono le prerogative aristocratiche di principi e di magnati stranieri.”10 La Repubblica di Genova si era dotata in realtà relativamente tardi di un apparato legislativo specificamente rivolto a stabilire in modo univoco le sue forme di cerimoniali: il primo statuto del cerimoniale risale al 1587 e solo dall’anno successivo iniziò la compilazione rigorosa di quello che divenne poi il primo Liber Cerimoniarum, ad opera di Gerolamo Bordoni11. Prima di allora a Genova le cerimonie erano trattate caso per caso; tuttavia si seguivano alcune norme di precedenza nel momento in cui si dovevano accogliere ambasciatori e messi provenienti da altri Stati: si conferiva maggiore importanza al tipo di Stato e non al grado del rappresentante; i legati pontifici avevano precedenza sugli inviati da altri Stati d’Italia e lo stesso privilegio era dovuto agli ambasciatori degli Stati Imperiali rispetto a quelli nazionali12.

Solo nella seconda metà del XVI secolo, il Senato della Repubblica aveva emanato due leggi atte a disciplinare la materia dei cerimoniali, stabilendo che la precedenza di parola spettasse ai più anziani, i seniores (1564) e ribadendo la sovranità e l’indipendenza del Doge, cui non era concesso far visita ad altri principi di stati esteri13. La norma venne infranta solo nel 1685, quando il Doge

9 Cfr. L. Volpicella, I Libri dei Cerimoniali della Repubblica di Genova, Genova, ASLP, 1921, p. 5.

10 Ibidem.

11 Ivi, pp. 14-16.

12 Ivi, p. 5.

13 Ivi, p. 7.

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Francesco Maria Imperiale-Lercari fu costretto a recarsi a Versailles per supplicare il re Luigi XIV di concedere la pace alla città, dopo il drammatico bombardamento del 168414.

Agli anni Settanta del Cinquecento, in particolare al biennio 1574-75, risale anche la decisione del Senato di costituire una Giunta del Cerimoniale e di designare i Deputati delle Cerimonie, col compito di redigere un testo di regolamentazione che divenne appunto il Trattato delle cerimonie laiche appartenenti alla Signoria di Genova15. Articolato in tre sezioni, il Trattato tocca i nodi fondamentali dello svolgimento dei cerimoniali: le questioni di precedenza, i luoghi e le modalità di ricevimento a Palazzo, l’abbigliamento del Doge e quello dei cittadini nel corso delle cerimonie ufficiali16.

Il Primo Capitolo della Sezione Prima consiste in una definizione delle cerimonie stesse, che ci illumina sul preciso senso attribuito a questo insieme di pratiche e comportamenti, dovuti come onori e dimostrazioni di rispetto verso coloro che giungevano in città:

Sono le cerimonie (lasciando quelle che per culto di religione debitamente si rendono a Dio, ma di quelle ora solo parlando che fra gli uomini si usano) un segno di riverenza, di onore, di cortesia, che per debito o civiltà si dimostra verso o superiori o pari o inferiori, richieste e proprie per necessità ed inveterata consuetudine cosi nel farle come nel riceverle più a principi ed uomini grandi che a privati, denotandosi e conservandosi per quelle in molta parte il grado e lo splendore tanto dei minori quanto dei maggiori. Nel modo ed uso delle quali eziandio non meno è necessario il non pregiudicare, ma ritenere la dignità propria, che sia il rendere a ciascuno ciò che per obbligo o civile usanza si conviene.17

L’11 marzo 1587 venne approvata dal Senato una proposta di cerimoniale elaborata dai tre senatori designati, Giovanni Battista Pallavicino, Giorgio Doria e Marco Antonio Sauli18. L’anno successivo Gerolamo Bordoni iniziò a compilare il suo Diurnale, che divenne poi appunto il primo dei nove Libri dei Cerimoniali compilati dai suoi successori, con maggiore o minore regolarità, fino al

14 Cfr. al riguardo S. Rotta, Genova e il Re Sole, in P. Boccardo, C. Di Fabio (a cura di) El Siglo de los Genoveses e una lunga storia di arte e splendori nel Palazzo dei Dogi, catalogo della mostra (Genova, Palazzo Ducale, 4 dicembre 1999- 28 maggio 2000), Milano, Electa, 1999, pp. 286-291.

15 Cfr. Volpicella, 1921, p. 7.

16 Ivi, p. 8.

17 Trattato delle cerimonie laiche appartenenti alla Signoria di Genova, Sezione Prima, Capitolo 1, trascritto in L.

Volpicella, 1921, pp. 55-56.

18 Cfr. Volpicella, 1921, pp. 16-17.

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179719. In realtà l’istituzione dei Libri non fu sancita dalla proposta del 1587, ma nacque probabilmente per iniziativa individuale del Bordoni: questi, sacerdote originario di Sermoneta, nella campagna romana, era giunto a Genova nel 1564, anno in cui aveva assunto l’ufficio di maestro delle cerimonie20. Il fatto che tuttavia la compilazione dei Libri abbia avuto inizio ventiquattro anni più tardi, secondo Volpicella, fu proprio dovuto alla mancanza di una regolamentazione statutaria unica in materia delle cerimonie fino appunto al 1587. Infatti, Bordoni, pur ricoprendo l’incarico, venne investito del titolo e del grado di Maestro delle Cerimonie solo nel 1588:

Già dapprima venne talora preso notizia di alcune cerimonie sopra carte sciolte, scritte o dal Bordoni stesso o da altri: reso poi stabile l’ufficio, l’investito volle dargli importanza fondando la serie de’

libri, che ne dovevano eternare il ricordo.21

I successori di Bordoni, morto nel 1615 si attennero alla prassi compilatoria del primo maestro di cerimonie, raccontando tutte le visite di principi, ambasciatori, sovrani, vescovi. Secondo alcune norme stabilite nel corso del Seicento, il Libro doveva essere consegnato al Segretario del Senato e pertanto non poteva lasciare il Palazzo, dove veniva conservato: se nel 1603 si era stabilito che tuttavia il cerimoniere potesse copiare il testo per agevolare il proprio compito, un ulteriore decreto del 1668, che faceva espresso divieto di copia, ribadiva ancora una volta che il Libro non dovesse uscire dal Palazzo22. A rimarcare quanto fosse sentita la necessità di rendere effettive le regole del decreto, la notazione ad esso relativa venne fatta trascrivere sulla prima pagina di tutti i volumi dal IV, contemporaneo appunto alle nuove disposizioni, fino all’ultimo (ad eccezione dell’VIII, che non la riporta)23.

Nel corso del XVII secolo le istituzioni repubblicane genovesi continuarono ad apportare modifiche ai cerimoniali, sancite da leggi successive: nel 1613, sotto il dogato di Pietro Durazzo, si stabilirono nuovi termini di ricevimento del Pontefice, dell’Imperatore, dei sovrani, delle regine e delle

19 Ivi, p. 41.

20 Cfr. M. Cavanna Ciappina, Bordoni, Gerolamo, in Dizionario Biografico degli italiani, vol. 12, 1971, ad vocem.

21 Cfr. Volpicella, 1921, p. 41.

22 Ivi, pp. 41-43.

23 Ivi, p. 43.

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Imperatrici24. Nel 1639 una legge dello stato (detta Cerimoniale Nuovo) venne emanata in revisione e aggiornamento del cerimoniale del 158725. Leggendo i documenti, notiamo come le modifiche alle disposizioni precedentemente istituite fossero prevalentemente relative al numero di ambasciatori della Repubblica inviati ad accogliere gli ospiti al loro arrivo, così come al numero di alabardieri e di guardie armate che li avrebbero scortati in città. Troviamo indicazioni diverse sulle modalità di benvenuto a seconda dei luoghi e dei momenti dell’entrata, così come cambiano i

“complimenti” in relazione al grado e al prestigio dell’ospite ricevuto. A titolo di esempio, riportiamo alcune disposizioni dal Cerimoniale Nuovo del 1639. In occasione di visita da parte del Papa, dell’Imperatore, di un re o di una regina, dovevano essere mandati loro incontro due ambasciatori fuori dal territorio genovese, i quali, espresso ufficialmente l’invito in città e fatti i debiti “complimenti”, tornavano indietro per lasciare adito ad altri sei messi col compito di accompagnare gli ospiti fino in città, provvedendo all’alloggio durante il tragitto. Si stabiliscono poi i punti di incontro con il Doge e i Serenissimi Collegi: il ponte di Sant’Agata a levante, San Pier d’Arena a ponente. Vengono specificate le precise distanze a cui le autorità genovesi devono sostare di fronte al Papa e all’Imperatore,

ed accostandosi a 25 passi ai detti personaggi, cioè papa ed imperatore, scenderanno a piedi, passando con essi loro gli offici d’allegrezza per la sua venuta, offerendoli tutto quello che dalla Repubblica potrà venire in loro servigio, con quella riverenza ch’alia maestà de’ personaggi si conviene e come si concerterà col maestro di cerimonie delle loro corti; poi li accompagneranno all’alloggiamento, ed anco sino alle stanze, mentre però non vi sia impedimento che Sua Serenità abbia il dovuto suo luogo immediatamente appresso il personaggio, perchè, quando ciò non seguisse, dovranno li Ser.mi Collegi partirsi, fatto il complimento, per andare ad aspettarli nella casa dell’alloggiamento.26

Una materia tutt’altro che superficiale dunque, quella delle cerimonie, che se analizzata approfonditamente ci rivela il volto della Repubblica ligure nelle sue relazioni internazionali, nei suoi contatti privilegiati con la Spagna (benché divenuti critici a partire dagli anni ’20 del Seicento)

24 Cfr. Relazione (13 maggio 1613), in Volpicella, 1921, pp. 129-133.

25 Cfr. Cerimoniale Nuovo del 1639, in Volpicella, 1921, pp. 134-140.

26 Ivi, pp. 134-135.

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e ci consente di comprendere a fondo il ruolo non solo decorativo che rivestivano le arti tutte nel corso delle entrate regali di imperatori e sovrani a Genova. Ne vedremo di seguito alcuni esempi.