3. Misure a favore di soggetti che svolgono attività di tutela dei beni culturali
3.1 La compatibilità con la Costituzione e con il diritto dell’Unione Europea . 112
3.2.1 La riforma del Terzo Settore
3.2.1.1 Gli enti del Terzo settore fiscalmente non commerciali
I benefici fiscali concessi agli enti del Terzo settore fiscalmente qualificati come “non commerciali” si sostanziano nel riconoscimento della natura non commerciale di determinate attività, nell’introduzione di un regime forfetario di determinazione del reddito di impresa eventualmente posseduto, nel riconoscimento di una serie di
349 Del resto, come rileva E.TUCCARI, “La disciplina “democratica” delle associazioni non riconosciute tra Codice del Terzo settore e Codice civile”, in Resp. civ. prev., n. 2 del 2019, parte I, pag. 449, la riduzione dell’onere fiscale rappresenta la ragione principale che induce gli enti ad iscriversi nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore.
Tesi di dottorato di Valentina Di Marcantonio discussa presso l’Università Luiss nell’Anno Accademico 2020/2021. Non riproducibile, in tutto od in parte, se non con il consenso scritto dell’autore. Sono comunque fatti salvi i diritti dell’Università Luiss di riproduzione per scopi di ricerca e didattici, cin citazione della fonte.
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agevolazioni concesse in relazione ai tributi indiretti ed ai tributi locali e nella deducibilità o detraibilità delle erogazioni liberali effettuate in favore di tali enti.
Prima di analizzare le singole agevolazioni sopra indicate, occorre soffermarsi sulla definizione di “ente del Terzo settore fiscalmente non commerciale”.
Secondo quanto stabilito dall’art. 79, comma 5, del D.lgs. n. 117/2017, gli enti del Terzo settore si considerano “fiscalmente non commerciali” qualora svolgano le attività di interesse generale previste dall’art. 5 del medesimo Decreto “in via esclusiva o prevalente” e “con le modalità specificate dai commi 2 e 3” del suddetto art. 79.
Quest’ultimo comma esclude la natura commerciale di talune specifiche attività, tra le quali non rientrano, però, quelle attinenti al settore culturale350.
Di maggiore interesse è, invece, il secondo comma dell’art. 79, che esclude il carattere commerciale delle attività di interesse generale qualora esse siano svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi.
Più precisamente, affinché un ente del Terzo settore che opera nel settore della cultura possa assumere la qualifica di “ente fiscalmente non commerciale” è dunque necessario che esso svolga le attività di interesse culturale di cui al comma 5 del D.lgs. n. 117 del 2017 “in via esclusiva e prevalente” e che tali attività siano esercitate “a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi”.
Il quinto comma dell’art. 79 contempla altresì l’eventualità che l’ente perda la qualifica di “ente non commerciale” ed assuma quella di “ente commerciale”; ciò si verifica, in particolare, quando i proventi delle attività di interesse generale che siano esercitate in forma di impresa e senza le modalità sopra descritte superino, nel medesimo periodo di imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali351.
350 Più precisamente il terzo comma dell’art. 79 esclude la natura commerciale delle seguenti attività: a) le attività di cui all'articolo 5, comma 1, lettera h), se svolte direttamente dagli enti di cui al comma 1 la cui finalità principale consiste nello svolgere attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale e purché tutti gli utili siano interamente reinvestiti nelle attività di ricerca e nella diffusione gratuita dei loro risultati e non vi sia alcun accesso preferenziale da parte di altri soggetti privati alle capacità di ricerca dell'ente medesimo nonché ai risultati prodotti; b) le attività di cui all'articolo 5, comma 1, lettera h), affidate dagli enti di cui al comma 1 ad università e altri organismi di ricerca che la svolgono direttamente in ambiti e secondo modalità definite dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2003, n. 135; b-bis) le attività di cui all'articolo 5, comma 1, lettere a), b) e c), se svolte da fondazioni delle ex istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a condizione che gli utili siano interamente reinvestiti nelle attività di natura sanitaria o socio-sanitaria e che non sia deliberato alcun compenso a favore degli organi amministrativi.
351 La norma specifica che tra le “entrate derivanti da attività non commerciali” rientrano anche i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell’ente e ogni altra entrata assimilabile a queste.
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Affinché l’ente perda la qualifica di ente fiscalmente non commerciale è dunque necessario che si verifichino due condizioni: lo svolgimento dell’attività di interesse generale in modo non conforme ai criteri stabiliti dai suddetti commi 2 e 3 dell’art. 79 ed il conseguimento di proventi in misura superiore rispetto alle entrate istituzionali.
Peraltro, come si vedrà meglio nel paragrafo successivo, il Codice del Terzo settore prevede talune agevolazioni fiscali anche a favore degli enti commerciali. Coerentemente con tale circostanza, è stata prevista la disapplicabilità dell’art. 149 del DPR n. 917/1986, rubricato “Perdita della qualifica di ente non commerciale”, agli enti che assumono la qualifica di ente del Terzo settore iscrivendosi nel Registro unico.
Ciò posto in ordine all’assunzione ed alla perdita della qualifica di ente del Terzo settore fiscalmente non commerciale, occorre ora soffermarsi sulle singole agevolazioni riconosciute agli enti appartenenti a tale categoria.
Un primo beneficio, che si desume dalle medesime disposizioni richiamate ai fini della definizione di “ente fiscalmente non commerciale”, consiste nella decommercializzazione delle attività di interesse generale svolte a titolo gratuito o dietro corrispettivi non eccedenti i costi effettivi, con la precisazione, contenuta nel comma 2-bis352, che tali attività di interesse generale si considerano “non commerciali” quando i ricavi non superano di oltre il 5% i relativi costi per ciascun periodo di imposta e per non oltre due periodi di imposta consecutivi.
Sul piano pratico, tale beneficio si sostanzia nella inidoneità delle suddette attività di interesse generale a produrre reddito di impresa, con conseguente irrilevanza delle stesse ai fini IRES e non assoggettabilità a IVA delle operazioni (cessioni di beni e prestazione di servizi) compiute nell’ambito delle suddette attività353.
Ai fini della suddetta decommercializzazione, sembrano assumere rilevanza le modalità di esercizio delle attività svolte dall’ente, più che le finalità perseguite da quest’ultimo, e che tali modalità non possano consistere in un modello gestionale tale da garantire quantomeno la remunerazione dei fattori produttivi con i ricavi conseguiti.
Tale previsione sembra trovare spiegazione nella incompatibilità di un modello di gestione improntato alla sistematica remunerazione dei fattori produttivi con le logiche
352 Il comma 2-bis è stato introdotto dal DL del 17 dicembre 2018, n. 136.
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proprie degli enti no profit, che sono soliti reperire le risorse finanziarie necessarie per i propri fini istituzionali attraverso liberalità e contributi pubblici e privati.
Più precisamente, secondo quanto si legge nella Relazione illustrativa al D.lgs. n. 117/2017, affinché le attività svolte dagli enti del Terzo settore possano considerarsi “non commerciali” è necessario che la somma tra il corrispettivo (proveniente dall’utente o da un terzo) ed i contributi pubblici non superi i costi effettivi, laddove per “costi effettivi” si intendono i costi sia diretti che indiretti afferenti alla specifica attività.
Dal testo della Relazione sembra dunque potersi desumere che l’eventuale differenziale positivo tra i componenti positivi e quelli negativi osti al riconoscimento della decommercializzazione dell’attività svolta, dal momento che tale differenziale sarebbe indicativo dell’esercizio di un’attività economica con modalità commerciali.
In merito a tale aspetto si è osservato che il regime fiscale delineato dall’art. 79 e dalla Relazione illustrativa non sembra favorire una gestione efficiente degli enti no profit, che per ottenere il beneficio della decommercializzazione dovrebbero adottare un modello gestionale improntato al pareggio (se non alla perdita) di bilancio, con conseguente impossibilità da parte di tali enti di ricorrere a forme di autofinanziamento354. Accanto alla decommercializzazione delle attività di interesse generale, è prevista anche l’esclusione di determinate entrate dalla determinazione del reddito degli enti del Terzo settore fiscalmente non commerciali. Più in particolare, il quarto comma dell’art. 79 stabilisce che non concorrono alla formazione del reddito dei suddetti enti:
a) i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione;
b) i contributi e gli apporti erogati da parte delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del D.lgs. del 30 marzo 2001, n. 165, per lo svolgimento, anche convenzionato o in regime di accreditamento di cui all'articolo 9, comma 1, lettera g), del D.lgs. del 7 dicembre 1993, n. 517, delle attività di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 79.
Come già evidenziato in precedenza, gli enti del Terzo settore possono svolgere anche attività diverse da quelle istituzionali, a condizione che esse siano secondarie e strumentali allo svolgimento delle attività di interesse generale. Lo svolgimento di tali
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attività consente infatti all’ente di reperire risorse finanziarie da destinare all’espletamento delle finalità istituzionalmente perseguite dall’ente.
Considerato che lo svolgimento di attività strumentali produce solitamente reddito di impresa, l’art. 80 del D.lgs. n. 117/2017 prevede un regime forfetario di determinazione di tale tipologia reddituale, da adottare su base opzionale in via alternativa rispetto a quello ordinario. Tale regime forfetario consente agli enti del Terzo settore fiscalmente non commerciali di determinare il reddito di impresa eventualmente posseduto applicando ai ricavi derivanti dall’esercizio delle attività di cui agli artt. 5 e 6 del D.lgs. n. 117/2017 in forma non commerciale taluni coefficienti di redditività, differenziati a seconda del tipo di attività e dello scaglione di reddito355, ed aggiungendo l’ammontare dei componenti reddituali positivi di cui agli artt. 86, 88, 89 e 90 del DPR n. 917/1986.
Il quinto comma della medesima disposizione precisa che i componenti positivi e negativi di reddito riferiti ad anni precedenti quello da cui ha effetto il regime forfetario, la cui imposizione o deduzione è stata rinviata in conformità alle disposizioni del DPR n. 917/1986 che dispongono o consentono il rinvio, partecipano per le quote residue alla formazione del reddito dell'esercizio precedente a quello di efficacia del suddetto regime. Le perdite fiscali generatesi nei periodi d'imposta anteriori a quello da cui decorre il regime forfetario possono essere computate in diminuzione del reddito determinato ai sensi dei commi 1 e 2 secondo le regole ordinarie stabilite dal DPR n. 917/1986.
L'opzione per il regime forfetario è esercitata nella dichiarazione annuale dei redditi ed ha effetto dall'inizio del periodo d'imposta nel corso del quale è esercitata fino a quando non è revocata e comunque per un triennio. La revoca dell'opzione è effettuata nella dichiarazione annuale dei redditi ed ha effetto dall'inizio del periodo d'imposta nel corso
355 In particolare, il primo comma dell’art. 80 del D.lgs. n. 117/2017 stabilisce che “gli enti del Terzo settore non commerciali di cui all'articolo 79, comma 5, possono optare per la determinazione forfetaria del reddito d'impresa applicando all'ammontare dei ricavi conseguiti nell'esercizio delle attività di cui agli articoli 5 e 6, quando svolte con modalità commerciali, il coefficiente di redditività nella misura indicata nelle lettere a) e b) e aggiungendo l'ammontare dei componenti positivi di reddito di cui agli articoli 86, 88, 89 e 90 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917: a) attività di prestazioni di servizi: 1) ricavi fino a 130.000 euro, coefficiente 7 per cento; 2) ricavi da 130.001 euro a 300.000 euro, coefficiente 10 per cento; 3) ricavi oltre 300.000 euro, coefficiente 17 per cento; b) altre attività: 1) ricavi fino a 130.000 euro, coefficiente 5 per cento; 2) ricavi da 130.001 euro a 300.000 euro, coefficiente 7 per cento; 3) ricavi oltre 300.000 euro, coefficiente 14 per cento”. Il secondo comma della medesima disposizione specifica che “per gli enti che esercitano contemporaneamente prestazioni di servizi ed altre attività il coefficiente si determina con riferimento all'ammontare dei ricavi relativi all'attività prevalente. In mancanza della distinta annotazione dei ricavi si considerano prevalenti le attività di prestazioni di servizi”.
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del quale la dichiarazione stessa è presentata. Gli enti che intraprendono l'esercizio d'impresa commerciale esercitano l'opzione nella dichiarazione da presentare ai sensi dell'articolo 35 del DPR n. 633/1972.
Gli enti che optano per la determinazione forfetaria del reddito di impresa sono esclusi dall'applicazione degli studi di settore di cui all'articolo 62-bis del D.L. del 30 agosto 1993, n. 331, e dei parametri di cui all'articolo 3, comma 184, della L. del 28 dicembre 1995, n. 549, nonché degli indici sintetici di affidabilità di cui all'art. 9-bis del D.L. del 24 aprile 2017, n. 50.
Il regime forfetario di cui all’art. 80 del D.lgs. n. 117/2017 è destinato ad operare indipendentemente dalla dimensione dell’ente, non essendo previsti né limiti in termini di fatturato o attivo patrimoniale né limiti di altro genere.
Anche l’art. 145 del DPR n. 917/1986 prevede un regime forfetario di determinazione del reddito di impresa di taluni enti non commerciali, basato sull’applicazione ai ricavi conseguiti da tali enti di una serie di coefficienti. Tale regime è attualmente applicabile agli enti qualificati come “non commerciali” sulla base delle disposizioni dettate dal DPR n. 917/1986 ma non appena entrerà in vigore la nuova disciplina dettata dall’art. 80 del D.lgs. 117/2017, il regime di cui al suddetto art. 145 troverà applicazione limitatamente ai seguenti enti ed alle seguenti attività:
enti che non possono iscriversi al Registro unico nazionale del Terzo settore e non possono dunque assumere la qualifica di enti del Terzo settore (formazioni e associazioni politiche, sindacati, associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, associazioni di datori di lavoro, enti sottoposti ad attività di direzione e coordinamento o controllati da suddetti enti);
agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti ed agli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato che non sono iscritti al Registro unico nazionale del Terzo settore;
alle attività diverse da quelle di cui all’art. 5 del D.lgs. n. 117/2017 esercitate dai suddetti enti religiosi che sono iscritti nel Registro unico.
Ulteriori agevolazioni fiscali concernenti gli enti del Terzo settore fiscalmente non commerciali sono quelle che si sostanziano nella deducibilità ai fini IRES o detraibilità ai fini IRPEF delle erogazioni liberali effettuate a favore di tali enti.
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Più in particolare, il primo comma dell’art. 83 del D.lgs. n. 117/2017 prevede la detraibilità dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche di un importo pari al 30%356 delle erogazioni liberali in denaro o in natura357, per un ammontare complessivo non superiore a 30.000 euro annui.
Qualora la liberalità consista nell’erogazione di una somma di denaro, l’agevolazione viene riconosciuta a condizione che il versamento di tale somma sia effettuato mediante banche, uffici postali o tramite gli altri sistemi di pagamento previsti dall’art. 23 del D.lgs. n. 241/1997.
Il secondo comma del suddetto art. 83 prevede invece la deducibilità dal reddito complessivo netto delle liberalità in denaro o in natura358 effettuate a favore degli enti fiscalmente non commerciali da persone fisiche, enti e società, nel limite del 10% del reddito complessivo dichiarato. Qualora la deduzione sia di ammontare superiore al reddito complessivo dichiarato, diminuito di tutte le deduzioni, l'eccedenza può essere computata in aumento dell'importo deducibile dal reddito complessivo dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quarto, fino a concorrenza del suo ammontare.
Le agevolazioni previste dai due commi dell’art. 83 non sono cumulabili.
Esse non sono inoltre cumulabili con le altre agevolazioni previste a titolo di deduzione o di detrazione di imposta da altre disposizioni di legge a fronte delle medesime erogazioni liberali. Sotto questo secondo profilo, l’art. 89 del D.lgs. n. 117/2017 contiene talune disposizioni volte a coordinare le agevolazioni previste dal medesimo decreto con quelle previste dal DPR n. 917/1986, di cui si è trattato nel capitolo relativo alle misure fiscali a favore dei soggetti che effettuano liberalità.
Secondo quanto disposto da tale norma, ai soggetti che effettuano erogazioni liberali agli enti del Terzo settore non commerciali ed alle cooperative sociali, non si
356 Tale percentuale è elevata al 35% qualora l’erogazione sia effettuata a favore di organizzazioni di volontariato.
357 L’art. 83 del D.lgs. n. 117/2017 demanda ad un apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, l’individuazione delle tipologie di beni in natura che danno diritto alle deduzioni o detrazioni. A tale disposizione ha dato attuazione il D.M. del 28 novembre 2019, “Erogazioni liberali in natura a favore degli enti del Terzo settore”, che specifica che l’ammontare della deduzione o detrazione spettante nelle ipotesi di erogazioni liberali in natura è quantificato sulla base del valore normale del bene oggetto dell’erogazione determinato ai sensi dell’art. 9 del DPR n. 917/1986; se l’erogazione ha ad oggetto un bene strumentale, l’ammontare della detrazione o della deduzione è determinato con riferimento al residuo valore fiscale all’atto del trasferimento.
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applicano, per le medesime erogazioni liberali, le disposizioni di cui all'articolo 15, comma 1.1. ed all'articolo 100, comma 2, lettera h), del DPR n. 917/1986.
Quanto alla deducibilità dal reddito imponibile delle erogazioni liberali previste dall'articolo 10, comma 1, lettera g), del DPR n. 917/1986, essa è consentita a condizione che per le medesime erogazioni il soggetto erogante non usufruisca delle detrazioni d'imposta di cui all'articolo 15, comma 1.1, del suddetto decreto presidenziale.
Analogamente, la deducibilità dal reddito imponibile delle erogazioni liberali previste dall'articolo 100, comma 2, lettere a) e b), del DPR n. 917/1986 è ammessa a condizione che per le medesime erogazioni liberali il soggetto erogante non usufruisca delle deduzioni previste dalla lettera h) del medesimo articolo 100, comma 2.
Da ultimo, il suddetto art. 89 stabilisce che la deducibilità dal reddito imponibile delle erogazioni liberali previste all'art. 153, comma 6, lettere a) e b) del DPR n. 917/1986, è consentita qualora per le medesime liberalità il soggetto erogante non usufruisca delle detrazioni d'imposta previste dal comma 3 del medesimo articolo 153.
Le agevolazioni sopra descritte sono riconosciute a condizione che l’ente dichiari la propria natura non commerciale al momento dell’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore359. Peraltro, come si vedrà meglio nel prossimo paragrafo, i medesimi benefici possono essere riconosciuti anche agli enti del Terzo settore di natura commerciale, comprese le cooperative sociali ed escluse le imprese sociali costituite in forma di società, qualora sussistano le condizioni prescritte dalla legge360.
3.2.1.1.2 Le agevolazioni in materia di tributi indiretti e di tributi locali
Gli enti del Terzo settore considerati fiscalmente non commerciali, al pari di quelli fiscalmente commerciali, sono destinatari di una serie di agevolazioni previste in relazione ai tributi indiretti ed ai tributi locali dall’art. 82 del D.lgs. n. 117/2017.
359 La perdita della natura non commerciale va comunicata dal rappresentante legale dell'ente all'Ufficio