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Gli interessi protetti alla prova della modernità

Nel documento Il dolo nella bancarotta (pagine 56-58)

Si è detto in premessa che il fenomeno della gestione dell’insolvenza è ancora lungi dall’aver trovato un assestamento giuridico-sociale, al netto dei profili tecni- ci dei molteplici interventi normativi che si sono succeduti nel tempo. Come si è avuto modo di vedere, pur sommariamente, nonostante il fatto che il diritto dell’economia sia estremamente sensibile ai mutamenti economico-sociali, cer- cando di raggiungerli con ripetuti adattamenti, la tradizione continentale continua ad essere legata a doppio filo all’origine medievale del fallimento come procedura di soddisfazione dei debiti.

Certamente, è indiscutibile che l’interesse dei creditori rivesta un ruolo primario soprattutto in relazione alle fattispecie incriminatrici; occorre però chiedersi se la ‘comunità di pericolo’ tutelata non debba aprirsi anche ulteriori valori, di rango equivalente se non paritario135. Alle origini del fallimento la frammentazione politi-

ca ha condotto ad una pari frammentazione delle fonti, che espressero i sentimenti della società dell’epoca, senza il condizionamento della normazione statuale136; suc-

cessivamente, la codificazione ha sottratto il diritto ai singoli, aggiungendo all’interesse privatistico quello, tutto pubblicistico, della punizione del fallito, che non di rado ha finito con l’essere lo scopo prevalente. La modernità, come si è visto, comincia a imporre la considerazione del valore della continuità dell’impresa, in tut- to o in parte: la decisione sul punto, tuttavia, è rimessa a coloro i quali dispongono della stessa, ovverosia gli stessi creditori137. In tal modo, si crea solo un’apparente

pluralità di interessi, atteso che la gestione di entrambi è riconducibile ai medesimi soggetti; sorge quindi la domanda se la ristrutturazione e la riorganizzazione non debbano essere orientate anche in ragione di ulteriori valori.

Le questioni poste dall’economia moderna sembrano infatti coinvolgere ne- cessariamente altri interessi, i quali non sono e non possono essere affidati ad un puro controllo creditorio; la ‘comunità di pericolo’ dell’insolvenza dell’impresa, com’è stato persuasivamente affermato, si deve estendere ai lavoratori, ai consu- matori dei beni e dei servizi, ai partner commerciali e al c.d. indotto, all’Erario e alla previdenza sociale, ugualmente ‘vittimizzati’ dalla condotta dell’imprenditore insolvente. In breve: si deve passare dal piano dell’obbligazione insoluta al piano, assai più complesso, della valutazione dell’attività, consentendo così di sovrappor- re l’ottica giuridica a quella effettuale-fenomenica138. Mentre l’insolvenza è im-

pensabile al di fuori del rapporto obbligatorio, la crisi economica ne è concettual- mente indipendente, anche se effettualmente connessa, legandosi al malfunziona- mento dell’impresa. In questo senso, sul versante penale, va ulteriormente detto che i crimini commessi dai ‘colletti bianchi’ sono spesso complessi ed i relativi

135 R. Goode, Principles of Corporate Insolvency Law, London 20114, 74 ss. 136 P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit., 41 ss.

137 Amplius cfr. U. Pioletti, Lex mercatoria e diritto penale, in Ind. pen., 2017, 488 ss.

138 F. Di Marzio, Fallimento, cit., 16 e 225; per un punto di vista penalistico cfr. G. De Francesco, “In- terpersonalità” dell’illecito penale: un “cuore antico” per le moderne prospettive della tutela, in Cass. pen., 2015, in part. 864.

effetti si producono non con riguardo ai singoli, ma si diffondono su molteplici soggetti, distendendosi nel tempo e nello spazio139.

La riprova si ha nel fatto che sarebbe impossibile oggi darsi alla fuga, come nel medioevo, per sottrarsi all’insolvenza: in un mercato di dimensioni planetarie, che vede imprese disciolte in una rete organizzativa di enorme complessità (si pensi, ad esempio, ai gruppi di imprese multinazionali), la crisi economica di una grande im- presa, come ha dimostrato la storia, può diventare la crisi della stessa economia mondiale. A ciò si aggiunga che la globalizzazione neo-liberista ha generato una pressione notevolissima sugli stessi Stati, i quali non di rado hanno dovuto ridimen- sionare le proprie ambizioni sociali e di welfare per rendersi ‘competitivi’ rispetto alle scelte economiche di enti multinazionali che, tramite un’eventuale delocalizza- zione, possono mettere in crisi altre realtà imprenditoriali minori140. Questa profonda

mutazione degli assetti economici, nella quale il ‘rischio’ non è più un effetto ester- no al processo produttivo, ma anzi intrinseco allo stesso sviluppo economico e della

governance sociale, comporta il ridimensionamento della capacità orientatrice del

diritto, in favore di una risoluzione casistica del potenziale conflitto sociale tendente a tutelare ogni singola situazione produttrice di un rischio141.

L’efficienza selettiva del mercato è forse dunque un mito da ridimensionare, in uno con l’idea che le procedure concorsuali ‘ripuliscano’ un mercato che non è più del tutto sotto il loro diretto ed effettivo controllo. La pretesa economica insoddisfat- ta, quindi, costituisce uno dei poli concettuali del diritto (anche penale) dell’insolvenza, ma non certo l’unico.

Quale che sarà l’approdo definitivo della regolazione della gestione della crisi d’impresa e della definizione dei suoi scopi ultimi, sta di fatto che la chiarificazione di tutti gli effettivi interessi coinvolti dalla crisi costituisce un presupposto essenzia- le per definire i contorni di una rinnovata tutela penale, anche nel senso del suo ne- cessario arretramento. Le finitime vicissitudini dei reati di omesso versamento delle imposte, con le finzioni di dolo introdotte dalla Suprema Corte e gli imbarazzi della giurisprudenza di merito che si confronta con la necessità imprenditoriale di far fronte ad altre rilevanti uscite – quali, su tutte, quelle relative ai salari dei dipendenti –, dimostrano quanto l’ottundimento della ricognizione di altri interessi concorrenti annienti il proprium dell’intervento penalistico, finendo col trasformare la pena in una sanzione per la formale disobbedienza del precetto142.

139 Così già E. H. Sutherland, Il crimine dei colletti bianchi, a cura di G. Forti, Milano 1987, in part. 29

ss., 77 ss. e 119 ss.

140 A. Cavaliere, Diritto penale massimo e diversion discrezionale? Un’ipotesi su neoliberismo e politica criminale, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2017, 433 ss. e in part. 436 ss.

141 M. Ronco, Il reato come rischio sociale, in Arch. pen., 2015, 717 ss.

142 Sul tema, da ultimo, G. Flora, Crisi di “liquidità” ed omesso versamento di ritenute e di IVA: una que- stione davvero chiusa?, in Rass. trib., 2014, 915 ss.; P. Aldrovandi, Crisi aziendale e reati di omesso ver- samento dei contributi, tra inadeguatezza del dato normativo e “creatività” giurisprudenziale: una para- digmatica esemplificazione del difficile rapporto tra “law in the book” e “law in action”, in Ind. pen.,

2014, 505 ss.; G. Amarelli, Crisi di liquidità e omesso versamento di imposte: tra prova del dolo e tenuità

del fatto si allargano gli spazi per la non punibilità, in Le soc., 2015, 1159 ss. Sulla questione specifica del

rapporto dei reati di omesso versamento con le procedure concorsuali cfr. G. Chiaraviglio, Omesso versa-

3. Gli interessi protetti alla prova della modernità

Si è detto in premessa che il fenomeno della gestione dell’insolvenza è ancora lungi dall’aver trovato un assestamento giuridico-sociale, al netto dei profili tecni- ci dei molteplici interventi normativi che si sono succeduti nel tempo. Come si è avuto modo di vedere, pur sommariamente, nonostante il fatto che il diritto dell’economia sia estremamente sensibile ai mutamenti economico-sociali, cer- cando di raggiungerli con ripetuti adattamenti, la tradizione continentale continua ad essere legata a doppio filo all’origine medievale del fallimento come procedura di soddisfazione dei debiti.

Certamente, è indiscutibile che l’interesse dei creditori rivesta un ruolo primario soprattutto in relazione alle fattispecie incriminatrici; occorre però chiedersi se la ‘comunità di pericolo’ tutelata non debba aprirsi anche ulteriori valori, di rango equivalente se non paritario135. Alle origini del fallimento la frammentazione politi-

ca ha condotto ad una pari frammentazione delle fonti, che espressero i sentimenti della società dell’epoca, senza il condizionamento della normazione statuale136; suc-

cessivamente, la codificazione ha sottratto il diritto ai singoli, aggiungendo all’interesse privatistico quello, tutto pubblicistico, della punizione del fallito, che non di rado ha finito con l’essere lo scopo prevalente. La modernità, come si è visto, comincia a imporre la considerazione del valore della continuità dell’impresa, in tut- to o in parte: la decisione sul punto, tuttavia, è rimessa a coloro i quali dispongono della stessa, ovverosia gli stessi creditori137. In tal modo, si crea solo un’apparente

pluralità di interessi, atteso che la gestione di entrambi è riconducibile ai medesimi soggetti; sorge quindi la domanda se la ristrutturazione e la riorganizzazione non debbano essere orientate anche in ragione di ulteriori valori.

Le questioni poste dall’economia moderna sembrano infatti coinvolgere ne- cessariamente altri interessi, i quali non sono e non possono essere affidati ad un puro controllo creditorio; la ‘comunità di pericolo’ dell’insolvenza dell’impresa, com’è stato persuasivamente affermato, si deve estendere ai lavoratori, ai consu- matori dei beni e dei servizi, ai partner commerciali e al c.d. indotto, all’Erario e alla previdenza sociale, ugualmente ‘vittimizzati’ dalla condotta dell’imprenditore insolvente. In breve: si deve passare dal piano dell’obbligazione insoluta al piano, assai più complesso, della valutazione dell’attività, consentendo così di sovrappor- re l’ottica giuridica a quella effettuale-fenomenica138. Mentre l’insolvenza è im-

pensabile al di fuori del rapporto obbligatorio, la crisi economica ne è concettual- mente indipendente, anche se effettualmente connessa, legandosi al malfunziona- mento dell’impresa. In questo senso, sul versante penale, va ulteriormente detto che i crimini commessi dai ‘colletti bianchi’ sono spesso complessi ed i relativi

135 R. Goode, Principles of Corporate Insolvency Law, London 20114, 74 ss. 136 P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit., 41 ss.

137 Amplius cfr. U. Pioletti, Lex mercatoria e diritto penale, in Ind. pen., 2017, 488 ss.

138 F. Di Marzio, Fallimento, cit., 16 e 225; per un punto di vista penalistico cfr. G. De Francesco, “In- terpersonalità” dell’illecito penale: un “cuore antico” per le moderne prospettive della tutela, in Cass. pen., 2015, in part. 864.

effetti si producono non con riguardo ai singoli, ma si diffondono su molteplici soggetti, distendendosi nel tempo e nello spazio139.

La riprova si ha nel fatto che sarebbe impossibile oggi darsi alla fuga, come nel medioevo, per sottrarsi all’insolvenza: in un mercato di dimensioni planetarie, che vede imprese disciolte in una rete organizzativa di enorme complessità (si pensi, ad esempio, ai gruppi di imprese multinazionali), la crisi economica di una grande im- presa, come ha dimostrato la storia, può diventare la crisi della stessa economia mondiale. A ciò si aggiunga che la globalizzazione neo-liberista ha generato una pressione notevolissima sugli stessi Stati, i quali non di rado hanno dovuto ridimen- sionare le proprie ambizioni sociali e di welfare per rendersi ‘competitivi’ rispetto alle scelte economiche di enti multinazionali che, tramite un’eventuale delocalizza- zione, possono mettere in crisi altre realtà imprenditoriali minori140. Questa profonda

mutazione degli assetti economici, nella quale il ‘rischio’ non è più un effetto ester- no al processo produttivo, ma anzi intrinseco allo stesso sviluppo economico e della

governance sociale, comporta il ridimensionamento della capacità orientatrice del

diritto, in favore di una risoluzione casistica del potenziale conflitto sociale tendente a tutelare ogni singola situazione produttrice di un rischio141.

L’efficienza selettiva del mercato è forse dunque un mito da ridimensionare, in uno con l’idea che le procedure concorsuali ‘ripuliscano’ un mercato che non è più del tutto sotto il loro diretto ed effettivo controllo. La pretesa economica insoddisfat- ta, quindi, costituisce uno dei poli concettuali del diritto (anche penale) dell’insolvenza, ma non certo l’unico.

Quale che sarà l’approdo definitivo della regolazione della gestione della crisi d’impresa e della definizione dei suoi scopi ultimi, sta di fatto che la chiarificazione di tutti gli effettivi interessi coinvolti dalla crisi costituisce un presupposto essenzia- le per definire i contorni di una rinnovata tutela penale, anche nel senso del suo ne- cessario arretramento. Le finitime vicissitudini dei reati di omesso versamento delle imposte, con le finzioni di dolo introdotte dalla Suprema Corte e gli imbarazzi della giurisprudenza di merito che si confronta con la necessità imprenditoriale di far fronte ad altre rilevanti uscite – quali, su tutte, quelle relative ai salari dei dipendenti –, dimostrano quanto l’ottundimento della ricognizione di altri interessi concorrenti annienti il proprium dell’intervento penalistico, finendo col trasformare la pena in una sanzione per la formale disobbedienza del precetto142.

139 Così già E. H. Sutherland, Il crimine dei colletti bianchi, a cura di G. Forti, Milano 1987, in part. 29

ss., 77 ss. e 119 ss.

140 A. Cavaliere, Diritto penale massimo e diversion discrezionale? Un’ipotesi su neoliberismo e politica criminale, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2017, 433 ss. e in part. 436 ss.

141 M. Ronco, Il reato come rischio sociale, in Arch. pen., 2015, 717 ss.

142 Sul tema, da ultimo, G. Flora, Crisi di “liquidità” ed omesso versamento di ritenute e di IVA: una que- stione davvero chiusa?, in Rass. trib., 2014, 915 ss.; P. Aldrovandi, Crisi aziendale e reati di omesso ver- samento dei contributi, tra inadeguatezza del dato normativo e “creatività” giurisprudenziale: una para- digmatica esemplificazione del difficile rapporto tra “law in the book” e “law in action”, in Ind. pen.,

2014, 505 ss.; G. Amarelli, Crisi di liquidità e omesso versamento di imposte: tra prova del dolo e tenuità

del fatto si allargano gli spazi per la non punibilità, in Le soc., 2015, 1159 ss. Sulla questione specifica del

rapporto dei reati di omesso versamento con le procedure concorsuali cfr. G. Chiaraviglio, Omesso versa-

La bancarotta è oggi ferma alla concettualizzazione delle prime codificazioni, ancora sospese tra il fallimento-reato e il fallimento-insolvenza, e certamente ispira- te alla vicenda del debito insoluto, non certo dell’impresa complessivamente intesa. Manca del tutto, salve rarissime eccezioni (si pensi all’art. 217-bis), la prospettiva policentrica di cui si è provato a dar conto, e che nel diritto contemporaneo costitui- sce riferimento assolutamente ineludibile, cui la fissità della legislazione non può più fare da schermo.

Capitolo II

La ‘pregiudizialità fallimentare’: il ruolo e le vicende della

Nel documento Il dolo nella bancarotta (pagine 56-58)