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Il superamento della tesi giurisprudenziale del fallimento quale ‘condizione di esistenza del reato’

Nel documento Il dolo nella bancarotta (pagine 80-88)

La ‘pregiudizialità fallimentare’: il ruolo e le vicende della sentenza dichiarativa

2. Il superamento della tesi giurisprudenziale del fallimento quale ‘condizione di esistenza del reato’

L’ultimo orientamento da prendere in esame è frutto dell’elaborazione giurispruden- ziale, pur avendo radici in alcune posizioni dottrinali94, e tende a considerare il fal-

limento una ‘condizione di esistenza’ del reato. La denominazione indicata, invero, è stata oggetto di plurime mutazioni lessicali, che tuttavia ne hanno lasciato del tutto inalterato il contenuto sostanziale: così, da ‘condizione di esistenza del reato’95, si è

passati alla qualificazione come ‘elemento al cui concorso è collegata l’esistenza del reato’ o ‘elemento normativo interno alla fattispecie’96, ovvero come ‘elemento indi-

spensabile per attribuire la qualifica di reati a condotte altrimenti lecite o penalmente indifferenti’97, ovvero ancora come ‘elemento costitutivo del reato in senso impro-

prio’98. L’elencazione nominalistica potrebbe continuare, senza tuttavia essere in al-

cun modo dirimente: come si vedrà, alla varietà terminologica si associa l’assoluta identità della disciplina, peraltro confermata anche dal recente revirement che ha vi- sto la Suprema Corte sposare la tesi della bancarotta condizionata.

Le ragioni dell’orientamento giurisprudenziale, soprattutto alla luce dell’esame storico delle fattispecie, si palesano con evidenza: nella scelta per l’inclusione del fallimento all’interno del fatto tipico, pur in un’ambigua veste, si coglie senza meno l’intima commistione dei profili civilistici e penalistici del fallimento. Così, la giuri- bancarotta fraudolenta, ivi), nonché sui rapporti intercorrenti tra le pronunce anzidette e la sentenza Corvetta, cfr. D. Falcinelli, I delitti di bancarotta, cit., 469 ss. e A. Nisco, Recenti evoluzioni (e involuzioni) in tema di bancarotta: ruolo dell’insolvenza e adeguatezza economica delle operazioni precedenti, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2015, 851 ss.

94 M. Punzo, Il delitto di bancarotta, cit., 92 ss., e, in senso parzialmente analogo, I. Scalera, Teoria ge- nerale, cit., 71

95 Cass. pen., Sez. Un., 25 gennaio 1958, n. 2, in Giust. pen., 1958, II, 513 ss. 96 Cass. pen., Sez. Un., 26 febbraio 2009, n. 24468, cit., 4113 ss.

97 Cass. pen., Sez. V, 15 dicembre 1988, n. 2234, in Cass. pen., 1990, 1165.

98 Cass. pen., Sez. V, 17 luglio 2014, n. 47616, in Cass. pen., 2015, 3720 ss., con nota di A. Pantanella, La Corte di Cassazione e la damnatio memoriae della “sentenza Corvetta” in tema di bancarotta frau- dolenta propria e nesso di causalità, ivi, 3727 ss.

presunto, atteso che l’evento dannoso risulterebbe essere già presente in re ipsa87 e

per di più eventualmente correlato a cause del tutto imprevedibili88.

Ancora, pur facendone il suo tratto distintivo, l’orientamento in esame non si avventura apertamente sul tema della definizione del nesso di causa tra insolven- za-fallimento e condotta dell’agente, affidando il profilo selettivo della punibilità al solo elemento soggettivo (in parziale assonanza con la tesi dell’estensione del dolo specifico)89.

Da ultimo, la critica più pregnante investe il fatto che non si riuscirebbe a giusti- ficare l’omogeneità della bancarotta fraudolenta documentale, in relazione alla qua- le, proprio in ossequio al principio di uguaglianza, dovrebbe richiedersi la deriva- zione causale del dissesto, che appare difficilmente concepibile90. La sentenza Cor-

vetta, peraltro, si occupa esplicitamente della questione, affermando che nulla oste-

rebbe a che la dichiarazione di fallimento assuma una diversa funzione in ragione dell’incriminazione evocata, correlandosi alla consapevolezza della prossimità della dichiarazione, ricavabile dal dolo specifico (che esprime un’attività decettiva nei confronti dei creditori) e dalla stessa fenomenologia dell’illecito (da sempre inscin- dibilmente legato, nei fatti, alle ipotesi patrimoniali).

Si aggiunga, poi, che in relazione alle ipotesi di bancarotta ‘extra-fallimentare’, dovute all’instaurazione di altre procedure concorsuali, la tesi in esame sembra pec- care per eccesso, laddove pretende di equiparare lo stato di crisi all’insolvenza con- clamata quali eventi delle rispettive ipotesi, e ciò sia dal punto di vista dell’offesa che sul piano sanzionatorio; al contrario, dal punto di vista sistematico peccherebbe per difetto, laddove volesse distinguere i fatti di frode, assegnando loro una distinta disciplina, in considerazione della qualità della procedura attivata91. A ben vedere –

ma sul punto si tornerà più avanti92 – le altre procedure concorsuali tendono ad evi-

tare la liquidazione del patrimonio del debitore in favore del risanamento e, dunque, proprio dell’elisione del pregiudizio rappresentato dall’insolvenza.

Buona parte delle critiche suddette sono state successivamente formalizzate in una delle più significative pronunce di legittimità in tema di bancarotta (la c.d. sen- tenza Parmalat 201593) – nella quale si è osservato che le condotte indicate all’art.

87 N. Pisani, Attualità dell’offesa, cit., 17.

88 Così già T. Padovani, Bancarotta semplice documentale del socio occulto e amnistia, in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, 691.

89 A. Nisco, Il nesso oggettivo, cit., 378.

90 Nel senso di una possibile concordanza anche in relazione alla bancarotta documentale, in ragione

dell’effetto prodotto sulla garanzia dei creditori, cfr. M. Zanchetti, Diritto penale fallimentare, cit., 395 ss.; in senso analogo G. Cocco, Nota introduttiva agli artt. 216-237, cit., 1189, che sottolinea la necessità di oggettivare il dolo specifico della fattispecie.

91 N. Pisani, Crisi di impresa, cit., 18. 92 V. Cap. III, § 2.2 e § 2.3.

93 Cass. pen., Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 15613, in CED, rv. 263804, con nota di C. Bray, La Cassazione sul caso Parmalat-Capitalia (e sul ruolo del fallimento nel delitto di bancarotta), in Dir. pen. cont., 13 maggio 2015; Al. Rossi, Causazione del fallimento della società “con dolo o per effetto di operazioni dolose”: peculiarità, anomalie testuali e controversie esegetiche alla luce della sentenza sul caso Parmalat-Capitalia, in Dir. pen. cont., 13 ottobre 2015. Sulla sentenza Parmalat 2015 e sulla

precedente sentenza Parmalat 2014 (Cass. pen., Sez. V, 7 marzo 2014, n. 32352, in Dir. pen. cont., 16 febbraio 2015, con nota di F. Balato, Sentenze Parmalat Vs. Corvetta: il dilemma della struttura della

216 l.f. avrebbero in sé una sufficiente carica di offensività, resa attuale dal venire ad esistenza giuridica del fallimento, che sarebbe però estraneo al fuoco dell’offesa. La sentenza citata pare così riprendere le premesse della teoria della bancarotta ‘condizionata’, tuttavia traendone conseguenze incongrue, soprattutto in punto di qualificazione del fallimento, che continua a restare un ‘elemento essenzia- le/condizione di esistenza’ del reato. Assai significativo, tuttavia, è il recepimento della distinzione tra le nozioni di ‘dichiarazione di fallimento’, ‘fallimen- to’(/insolvenza) e ‘dissesto’: la Corte, rilevando il dato per cui la dichiarazione di fallimento è richiamata nelle fattispecie penal-fallimentari nella sua veste di provve- dimento giurisdizionale, e che l’insolvenza null’altro è se non il presupposto ‘so- stanziale’ del fallimento, disegna un’ulteriore partizione con riferimento al dissesto, il quale sarebbe un concetto non qualitativo, bensì quantitativo, misurabile e finan- che suscettibile di essere causato dalla condotta del soggetto agente.

2. Il superamento della tesi giurisprudenziale del fallimento quale ‘condizione di esistenza del reato’

L’ultimo orientamento da prendere in esame è frutto dell’elaborazione giurispruden- ziale, pur avendo radici in alcune posizioni dottrinali94, e tende a considerare il fal-

limento una ‘condizione di esistenza’ del reato. La denominazione indicata, invero, è stata oggetto di plurime mutazioni lessicali, che tuttavia ne hanno lasciato del tutto inalterato il contenuto sostanziale: così, da ‘condizione di esistenza del reato’95, si è

passati alla qualificazione come ‘elemento al cui concorso è collegata l’esistenza del reato’ o ‘elemento normativo interno alla fattispecie’96, ovvero come ‘elemento indi-

spensabile per attribuire la qualifica di reati a condotte altrimenti lecite o penalmente indifferenti’97, ovvero ancora come ‘elemento costitutivo del reato in senso impro-

prio’98. L’elencazione nominalistica potrebbe continuare, senza tuttavia essere in al-

cun modo dirimente: come si vedrà, alla varietà terminologica si associa l’assoluta identità della disciplina, peraltro confermata anche dal recente revirement che ha vi- sto la Suprema Corte sposare la tesi della bancarotta condizionata.

Le ragioni dell’orientamento giurisprudenziale, soprattutto alla luce dell’esame storico delle fattispecie, si palesano con evidenza: nella scelta per l’inclusione del fallimento all’interno del fatto tipico, pur in un’ambigua veste, si coglie senza meno l’intima commistione dei profili civilistici e penalistici del fallimento. Così, la giuri- bancarotta fraudolenta, ivi), nonché sui rapporti intercorrenti tra le pronunce anzidette e la sentenza Corvetta, cfr. D. Falcinelli, I delitti di bancarotta, cit., 469 ss. e A. Nisco, Recenti evoluzioni (e involuzioni) in tema di bancarotta: ruolo dell’insolvenza e adeguatezza economica delle operazioni precedenti, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2015, 851 ss.

94 M. Punzo, Il delitto di bancarotta, cit., 92 ss., e, in senso parzialmente analogo, I. Scalera, Teoria ge- nerale, cit., 71

95 Cass. pen., Sez. Un., 25 gennaio 1958, n. 2, in Giust. pen., 1958, II, 513 ss. 96 Cass. pen., Sez. Un., 26 febbraio 2009, n. 24468, cit., 4113 ss.

97 Cass. pen., Sez. V, 15 dicembre 1988, n. 2234, in Cass. pen., 1990, 1165.

98 Cass. pen., Sez. V, 17 luglio 2014, n. 47616, in Cass. pen., 2015, 3720 ss., con nota di A. Pantanella, La Corte di Cassazione e la damnatio memoriae della “sentenza Corvetta” in tema di bancarotta frau- dolenta propria e nesso di causalità, ivi, 3727 ss.

sprudenza è giunta ad affermare, ad esempio, che «i reati previsti dalla legge falli- mentare, siccome connessi con la struttura del fallimento, sono sottratti alla discipli- na comune del codice penale e sono regolati dalla legge fallimentare sia per quanto riguarda l’identificazione degli elementi costitutivi dei reati, sotto il profilo oggetti- vo e soggettivo, sia per quanto riguarda le circostanze aggravanti ed attenuanti»99.

Quale che si voglia ritenere la causa e qual che si voglia come effetto, si può certa- mente affermare che l’orientamento storico della Cassazione è coessenziale all’idea che il diritto penale fallimentare costituisca un’isola separata dal continente del co- dice e dei principî costituzionali.

La considerazione è avvalorata dall’analisi delle argomentazioni – avallate an- che dalla Corte costituzionale100 – proposte nella sentenza Mezzo delle Sezioni Uni-

te, vero e proprio leading case rimasto indiscusso – con l’eccezione della sentenza

Corvetta – sino ai più recenti sviluppi della giurisprudenza di legittimità. In partico-

lare, le Sezioni Unite erano chiamate a dirimere il contrasto tra l’allora maggioritario orientamento che considerava il fallimento una condizione obiettiva e una seconda posizione che, invece, considerava il fallimento come elemento interno al reato, sen- za tuttavia che esso dovesse essere legato causalmente alla condotta o coperto da un nesso psicologico. Le ragioni che sostenevano questo secondo gruppo di pronunce erano di marca essenzialmente processuale: difatti, ritenere la dichiarazione di falli- mento una mera condizione obiettiva di punibilità avrebbe parimenti escluso l’imputazione soggettiva e il nesso di causa, ma avrebbe imposto l’individuazione del tempo e del luogo della consumazione in quello della realizzazione dell’azione (non necessariamente coincidente, quanto al locus, con quello della sede dell’impresa e del tribunale competente ad emettere la sentenza dichiarativa)101.

La Sezioni Unite, principalmente allo scopo di impedire l’applicazione dell’amnistia, spostando ‘in avanti’ il tempus commissi delicti, sostennero che «la di- chiarazione di fallimento, pur costituendo un elemento imprescindibile per la punibili- tà dei reati di bancarotta, si differenzia concettualmente dalle condizioni obbiettive di punibilità vere e proprie, perché, mentre queste presuppongono un reato già struttu- ralmente perfetto, sotto l’aspetto oggettivo e soggettivo, essa, invece, costituisce, addi- rittura, una condizione di esistenza del reato o, per meglio dire, un elemento al cui concorso è collegata la esistenza del reato, relativamente a quei fatti commissivi od

99 Cass. pen., Sez. V, 26 febbraio 1986, n. 5637, in CED, rv. 173143.

100 Cfr. Corte cost., 20 giugno 1972, n. 110, in Giust. pen., 1972, I, 459 ss.: «[…] appare quindi razionale

che solo alcuni dei comportamenti che quella attività integrano siano penalmente riprovati e che lo siano se ed in quanto si presentino con una certa gravità. Il legislatore avrebbe potuto considerare la dichiara- zione di fallimento tra l’altro come semplice condizione di procedibilità o di punibilità, ma ha invece voluto – come è riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione – richiedere l’emissione del- la sentenza per l’esistenza stessa del reato. E ciò perché, intervenendo la sentenza dichiarativa del falli- mento, la messa in pericolo di lesione del bene protetto si presenta come effettiva ed attuale». Inoltre, cfr. Corte cost., 27 luglio 1982, n. 145, in Giur. cost., 1982, 1272, e Corte cost., 27 luglio 1982, n. 146, in Giur. cost., 1982, 1277, nelle quali si afferma che il fallimento è elemento costitutivo del delitto di bancarotta semplice.

101 Su tutti, G. Flora, Il ruolo della sentenza dichiarativa, cit., 328. Cfr. A. Pagliaro, Problemi attuali,

cit., 538 ss., e C. F. Grosso, Osservazioni, cit., 573 ss., per tutti i rilievi mossi sotto l’impero del codice di procedura penale del 1930, nel quale l’orientamento in esame si afferma e prende corpo.

omissivi anteriori alla sua pronunzia, e ciò in quanto attiene così strettamente alla inte- grazione giuridica della fattispecie penale, da qualificare i fatti medesimi, i quali, fuori del fallimento, sarebbero, come fatti di bancarotta, penalmente irrilevanti», e che ac- cedendo, al contrario, alla tesi della condizione obiettiva, «la bancarotta dovrebbe rite- nersi, conseguentemente, un reato alla cui struttura il fallimento è del tutto estraneo, la qual cosa urta contro la realtà storica e giuridica»102.

Pur con notevoli somiglianze, quantomeno in premessa, rispetto al modello dell’insolvenza-evento, la tesi in esame si connota per una generale lontananza dal principio di personalità della responsabilità, dovuta alle conseguenze che si traggono in punto di disciplina: difatti, la peculiarità sta nel sottrarre proprio l’‘elemento di esistenza’ alle regole dell’imputazione delineate dagli artt. 40 e 42, 43, 44 c.p. e im- poste dall’art. 27 Cost., non ritenendosi necessaria né la sussistenza del nesso ezio- logico tra la condotta e l’‘elemento’, né che esso sia incluso nell’oggetto del dolo.

La critica dottrinale alle asserzioni della giurisprudenza è l’unica vera costante lungo la quale si snoda lo studio del diritto penale fallimentare post-costituzionale: in particolare, ci si è chiesti «come mai un fatto futuro e incerto, estraneo alla con- dotta, in linea oggettiva e in linea soggettiva, possa considerarsi elemento costitutivo del reato»103, definendolo «un requisito anomalo che non trova riscontro nella teoria

del reato»104. Si è posto l’accento sulla «insanabile contraddizione etica» della posi-

zione descritta, accedendo alla quale si può affermare che «si possa restare impuniti per anni per fatti che, se poi invece segue un evento non imputabile – perché non imputiamo l’evento –, comportano pene di grande rilevanza, come quelle previste per la bancarotta dolosa»105, avvertendo anche che «sostenere che – fino a quando

non è pronunziato il fallimento – non esisterebbe nulla di penalmente rilevante signi- fica ripudiare tutta la storia della bancarotta»106.

Meno marcata, invece, è la critica di chi, pur negando che il fallimento sia l’evento del reato, lo colloca comunque nell’alveo degli elementi costitutivi del rea- to, richiedendone l’imputazione soggettiva ai sensi degli artt. 42 e 43 c.p., ed evi- denziando la necessità di una previsione dell’insolvenza quale prodromo dell’apertura di una procedura concorsuale107. In breve, sotto il profilo oggettivo, le

condotte dovrebbero contribuire ad incrementare il dissesto e, sul piano soggettivo, «la sentenza dichiarativa di fallimento (o l’insolvenza o il dissesto, se si preferisce)» dovrebbe(ro) ricomprendersi nella sfera soggettiva dell’agente: in questa prospetti- va, pertanto, i delitti di bancarotta non sarebbero di pericolo, ma di lesione108.

102 Cass. pen., Sez. Un., 25 gennaio 1958, n. 2, cit., 513 ss.

103 P. Nuvolone, Problemi legislativi e giurisprudenziali in tema di bancarotta, in Id., Il diritto penale degli anni settanta, Padova 1982, 291.

104 G. Flora, Verso una “nuova stagione”, cit., 896. 105 M. Donini, Per uno statuto, cit., 54.

106 U. Giuliani Balestrino, Un mutamento epocale, cit., 173.

107 Così G. Cocco, Il ruolo delle procedure concorsuali, cit., 78 ss. Contra, per tutti, C. Pedrazzi, Inco- stituzionali le fattispecie di bancarotta?, cit., 898, che rileva come il fallimento non dipenda sempre e

comunque dall’azione del reo, che quindi, in questa prospettiva, vedrebbe addossarsi un elemento del reato in violazione dell’art. 27, comma 1, Cost.

sprudenza è giunta ad affermare, ad esempio, che «i reati previsti dalla legge falli- mentare, siccome connessi con la struttura del fallimento, sono sottratti alla discipli- na comune del codice penale e sono regolati dalla legge fallimentare sia per quanto riguarda l’identificazione degli elementi costitutivi dei reati, sotto il profilo oggetti- vo e soggettivo, sia per quanto riguarda le circostanze aggravanti ed attenuanti»99.

Quale che si voglia ritenere la causa e qual che si voglia come effetto, si può certa- mente affermare che l’orientamento storico della Cassazione è coessenziale all’idea che il diritto penale fallimentare costituisca un’isola separata dal continente del co- dice e dei principî costituzionali.

La considerazione è avvalorata dall’analisi delle argomentazioni – avallate an- che dalla Corte costituzionale100 – proposte nella sentenza Mezzo delle Sezioni Uni-

te, vero e proprio leading case rimasto indiscusso – con l’eccezione della sentenza

Corvetta – sino ai più recenti sviluppi della giurisprudenza di legittimità. In partico-

lare, le Sezioni Unite erano chiamate a dirimere il contrasto tra l’allora maggioritario orientamento che considerava il fallimento una condizione obiettiva e una seconda posizione che, invece, considerava il fallimento come elemento interno al reato, sen- za tuttavia che esso dovesse essere legato causalmente alla condotta o coperto da un nesso psicologico. Le ragioni che sostenevano questo secondo gruppo di pronunce erano di marca essenzialmente processuale: difatti, ritenere la dichiarazione di falli- mento una mera condizione obiettiva di punibilità avrebbe parimenti escluso l’imputazione soggettiva e il nesso di causa, ma avrebbe imposto l’individuazione del tempo e del luogo della consumazione in quello della realizzazione dell’azione (non necessariamente coincidente, quanto al locus, con quello della sede dell’impresa e del tribunale competente ad emettere la sentenza dichiarativa)101.

La Sezioni Unite, principalmente allo scopo di impedire l’applicazione dell’amnistia, spostando ‘in avanti’ il tempus commissi delicti, sostennero che «la di- chiarazione di fallimento, pur costituendo un elemento imprescindibile per la punibili- tà dei reati di bancarotta, si differenzia concettualmente dalle condizioni obbiettive di punibilità vere e proprie, perché, mentre queste presuppongono un reato già struttu- ralmente perfetto, sotto l’aspetto oggettivo e soggettivo, essa, invece, costituisce, addi- rittura, una condizione di esistenza del reato o, per meglio dire, un elemento al cui concorso è collegata la esistenza del reato, relativamente a quei fatti commissivi od

99 Cass. pen., Sez. V, 26 febbraio 1986, n. 5637, in CED, rv. 173143.

100 Cfr. Corte cost., 20 giugno 1972, n. 110, in Giust. pen., 1972, I, 459 ss.: «[…] appare quindi razionale

che solo alcuni dei comportamenti che quella attività integrano siano penalmente riprovati e che lo siano se ed in quanto si presentino con una certa gravità. Il legislatore avrebbe potuto considerare la dichiara- zione di fallimento tra l’altro come semplice condizione di procedibilità o di punibilità, ma ha invece voluto – come è riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione – richiedere l’emissione del- la sentenza per l’esistenza stessa del reato. E ciò perché, intervenendo la sentenza dichiarativa del falli- mento, la messa in pericolo di lesione del bene protetto si presenta come effettiva ed attuale». Inoltre, cfr. Corte cost., 27 luglio 1982, n. 145, in Giur. cost., 1982, 1272, e Corte cost., 27 luglio 1982, n. 146, in Giur. cost., 1982, 1277, nelle quali si afferma che il fallimento è elemento costitutivo del delitto di bancarotta semplice.

101 Su tutti, G. Flora, Il ruolo della sentenza dichiarativa, cit., 328. Cfr. A. Pagliaro, Problemi attuali,

cit., 538 ss., e C. F. Grosso, Osservazioni, cit., 573 ss., per tutti i rilievi mossi sotto l’impero del codice di procedura penale del 1930, nel quale l’orientamento in esame si afferma e prende corpo.

omissivi anteriori alla sua pronunzia, e ciò in quanto attiene così strettamente alla inte- grazione giuridica della fattispecie penale, da qualificare i fatti medesimi, i quali, fuori del fallimento, sarebbero, come fatti di bancarotta, penalmente irrilevanti», e che ac- cedendo, al contrario, alla tesi della condizione obiettiva, «la bancarotta dovrebbe rite- nersi, conseguentemente, un reato alla cui struttura il fallimento è del tutto estraneo, la qual cosa urta contro la realtà storica e giuridica»102.

Pur con notevoli somiglianze, quantomeno in premessa, rispetto al modello dell’insolvenza-evento, la tesi in esame si connota per una generale lontananza dal principio di personalità della responsabilità, dovuta alle conseguenze che si traggono in punto di disciplina: difatti, la peculiarità sta nel sottrarre proprio l’‘elemento di esistenza’ alle regole dell’imputazione delineate dagli artt. 40 e 42, 43, 44 c.p. e im- poste dall’art. 27 Cost., non ritenendosi necessaria né la sussistenza del nesso ezio- logico tra la condotta e l’‘elemento’, né che esso sia incluso nell’oggetto del dolo.

La critica dottrinale alle asserzioni della giurisprudenza è l’unica vera costante lungo la quale si snoda lo studio del diritto penale fallimentare post-costituzionale:

Nel documento Il dolo nella bancarotta (pagine 80-88)