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Il dissesto-evento e l’insolvenza-evento nella bancarotta impropria

Nel documento Il dolo nella bancarotta (pagine 176-200)

L’efficacia selettiva del dolo della bancarotta fraudolenta

4. Il dissesto-evento e l’insolvenza-evento nella bancarotta impropria

La distinzione tra bancarotta ‘propria’ e ‘impropria’ trae le sue origini nelle elabora- zioni della dottrina ottocentesca: la bancarotta era considerata appunto un reato ‘proprio’ dell’imprenditore, poiché avente come oggetto materiale il suo patrimonio- impresa ed essendo diretto a danno dei suoi creditori. In effetti, è evidente che i sog- getti diversi dall’imprenditore possono commettere fatti del tutto analoghi, ma su un patrimonio che sicuramente non è a loro direttamente riconducibile, né su un’impresa necessariamente di loro proprietà98. Si spezza, in sostanza, il legame –

anche personale – tra l’autore del reato e i creditori, che sono gli interlocutori di un soggetto di diritto nel quale la persona fisica assume rilievo unicamente come com- ponente degli organi di gestione e controllo.

Si sono già trattati i temi legati alla soggettività attiva, così come le questioni implicate dalla configurazione delle cc.dd. figure di fatto, nonché i riverberi in ordi- ne alla configurazione di posizioni di garanzia o di obblighi di sorveglianza; a tali considerazioni non si può fare a meno di rinviare99. Il passaggio ulteriore che occor-

re compiere comporta l’analisi delle fattispecie previste nell’art. 223, il quale, da un lato, estende i fatti previsti dall’art. 216 agli organi sociali, e, dall’altro, aggiunge altre due fattispecie d’evento.

4.1 – La clausola di estensione della bancarotta propria alla dinamica societaria

L’art. 223, comma 1, sanziona per gli stessi fatti – e con le stesse pene – gli ammini- stratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite che abbiano commesso i fatti previsti nell’art. 216; per l’effetto, tutte le fattispecie di bancarotta patrimoniale, documentale e preferenziale sono integralmente trasposte nei contesti societari, con identità di interesse tutelato e, soprattutto, con analoga ri- levanza della declaratoria fallimentare e dell’insolvenza.

97 C. Pedrazzi, Il fine dell’azione delittuosa, cit., 261. 98 M. Zanchetti, Diritto penale fallimentare, cit., 416. 99 V. Cap. III, § 1.4 e § 1.6.

tà che valgono a distinguerlo chiaramente dalla bancarotta fraudolenta. Infatti, nell’alterazione della par condicio creditorum non si ravvede, se non in minima mi- sura, quella attitudine ingannatoria e lesiva propria delle altre ipotesi di cui all’art. 216, e, non certo per caso, l’elemento soggettivo è quello che è sembrato più ‘biso- gnoso’ di oggettivazione, sino all’inclusione del requisito del danno nel fatto tipico come evento di fattispecie. A differenza delle altre due ipotesi esaminate, la descri- zione della condotta – sprovvista a livello testuale di un (comunque recuperabile e recuperato) aggancio all’insolvenza – non consente di pervenire ad una soddisfacen- te limitazione e identificazione della fattispecie, in ragione di un ovvio presupposto normativo: all’art. 216, comma 3, pur con una ratio di tutela chiara e individuabile, è infatti tipizzata una condotta normalmente doverosa per l’imprenditore (il riferimen- to è, ovviamente, alle sole indebite preferenze).

Con una duplice conseguenza logica: posto che in tale fattispecie l’insolvenza costituisce pacificamente il presupposto della condotta e considerato altresì che essa enuclea un disvalore sensibilmente inferiore rispetto alle ipotesi fraudolente, deve ritenersi che: a) l’insolvenza è un presupposto della condotta degli illeciti fallimen- tari che non dipende necessariamente dalla sua positiva formalizzazione in un prov- vedimento giurisdizionale; b) se essa è inequivocabilmente richiesta per la fattispe- cie in esame, a fortiori ratione deve esserlo per la bancarotta fraudolenta, la quale, nella forma post-fallimentare, già la trova scolpita (e formalizzata) nel suo presup- posto (il fallimento).

L’efficacia conformativa del dolo, in questo frangente, si palesa con notevole chiarezza e incidenza: senza l’apporto tipicizzante dell’elemento soggettivo in veste di componente del fatto, la bancarotta preferenziale costituirebbe un illecito dai chia- ri profili di incostituzionalità.

Quanto alla bancarotta fraudolenta da esposizione o riconoscimento di passività inesistenti e alla bancarotta documentale (prima ipotesi), il dolo specifico assume una funzione diversa, ma ugualmente significativa.

Nel primo caso, esso si rivolge a supplire alla marcata assenza di univocità of- fensiva, soprattutto con riferimento all’illecito dell’art. 220 l.f., primo periodo (pu- nibile anche a titolo di colpa, ai sensi del comma 2); la distinzione si accentra, dun- que, nello scopo tipizzato dall’art. 216, nel quale si concentra il disvalore giustifi- cante la sproporzione sanzionatoria, in qualità di dolo specifico differenziale.

Nelle fattispecie documentali, diversamente, l’alternatività tra dolo generico e specifico è manifesta in entrambi i sensi, sia entro la fattispecie pre-fallimentare che tra quest’ultima e la previsione dell’art. 216, comma 2, dando piena conferma della funzione selettiva del dolo di bancarotta. Più in generale, occorre ribadire che le fat- tispecie in rapporto di alternatività modale (nn. 1 e 2 al loro interno) o temporale- cronologica (ipotesi pre- e post-fallimentari), anche se divergenti sul piano del dolo riferimento, devono essere analoghe dal punto di vista disvaloriale, humus nel quale si evidenzia il ruolo del dolo specifico, rivolto all’irrobustimento delle fattispecie dalla minor pregnanza.

Si conferma, pertanto, l’assunto dal quale si è partiti: le fattispecie a dolo speci- fico, a differenza di quelle a dolo generico, costituiscono esempi di una tecnica nor- mativa oggettivamente (artt. 216, comma 1, n. 1, secondo periodo, e comma 3) e soggettivamente (art. 216, comma 1, n. 2, primo periodo) non univoca, che talora si

pone in tensione con i principî costituzionali di offensività e di materialità dell’illecito penale. Nei casi di dolo specifico l’intenzione è rivolta ad una attività che tende a realizzare l’evento temuto, ma non tipizzato, dal legislatore; tende, in altre parole, ad una consumazione sostanziale che non coincide con quella formaliz- zata nella norma, con evidenti e necessari riverberi in punto di manifestazione este- riore della condotta delittuosa97. Il dolo generico, nelle fattispecie ove è previsto, è

dunque stato ritenuto sufficiente a incarnare le esigenze di tutela faticosamente e far- raginosamente tipizzate nelle norme esaminate. Occorre dunque cominciare a verifi- carne la tenuta, l’interpretazione e l’efficacia limitante-conformante, così da perve- nire, infine, alla ricostruzione sistematica della tipicità soggettiva della bancarotta fraudolenta pre-fallimentare.

4. Il dissesto-evento e l’insolvenza-evento nella bancarotta impropria

La distinzione tra bancarotta ‘propria’ e ‘impropria’ trae le sue origini nelle elabora- zioni della dottrina ottocentesca: la bancarotta era considerata appunto un reato ‘proprio’ dell’imprenditore, poiché avente come oggetto materiale il suo patrimonio- impresa ed essendo diretto a danno dei suoi creditori. In effetti, è evidente che i sog- getti diversi dall’imprenditore possono commettere fatti del tutto analoghi, ma su un patrimonio che sicuramente non è a loro direttamente riconducibile, né su un’impresa necessariamente di loro proprietà98. Si spezza, in sostanza, il legame –

anche personale – tra l’autore del reato e i creditori, che sono gli interlocutori di un soggetto di diritto nel quale la persona fisica assume rilievo unicamente come com- ponente degli organi di gestione e controllo.

Si sono già trattati i temi legati alla soggettività attiva, così come le questioni implicate dalla configurazione delle cc.dd. figure di fatto, nonché i riverberi in ordi- ne alla configurazione di posizioni di garanzia o di obblighi di sorveglianza; a tali considerazioni non si può fare a meno di rinviare99. Il passaggio ulteriore che occor-

re compiere comporta l’analisi delle fattispecie previste nell’art. 223, il quale, da un lato, estende i fatti previsti dall’art. 216 agli organi sociali, e, dall’altro, aggiunge altre due fattispecie d’evento.

4.1 – La clausola di estensione della bancarotta propria alla dinamica societaria

L’art. 223, comma 1, sanziona per gli stessi fatti – e con le stesse pene – gli ammini- stratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite che abbiano commesso i fatti previsti nell’art. 216; per l’effetto, tutte le fattispecie di bancarotta patrimoniale, documentale e preferenziale sono integralmente trasposte nei contesti societari, con identità di interesse tutelato e, soprattutto, con analoga ri- levanza della declaratoria fallimentare e dell’insolvenza.

97 C. Pedrazzi, Il fine dell’azione delittuosa, cit., 261. 98 M. Zanchetti, Diritto penale fallimentare, cit., 416. 99 V. Cap. III, § 1.4 e § 1.6.

La scelta della tipizzazione per rinvio, al di là delle sue connaturate criticità, si espone in questo contesto a notevoli rilievi. Anzitutto, si può notare che non vi è al- cuna specularità tra le fattispecie, che ne potrebbe altrimenti giustificare il mero ri- chiamo: l’art. 223, al contrario, mostra una conformazione offensiva assai più mar- cata, poiché è rivolto alla manomissione di un oggetto materiale di proprietà altrui, e sul quale si esercita unicamente la gestione o il controllo100. Correlativamente, deve

osservarsi che le condotte descritte nei nn. 1 e 2 nella norma appena menzionata non possono mai ascriversi all’imprenditore individuale, costituendo esse reati propri degli organi sociali, salva ovviamente l’applicazione della disciplina del concorso dell’extraneus. Infine, il difetto della tecnica impiegata è rivelato anche dalla struttu- rale sovrapposizione delle ipotesi richiamate rispetto a quelle autonomamente tipiz- zate nel comma 2 dell’art. 223: è del tutto chiaro che una distrazione o un occulta- mento possano, in queste ipotesi, concorrere a costituire delle ‘operazioni dolose’ idonee a cagionare il fallimento-insolvenza.

La derivazione storica della bancarotta ‘impropria’ dal fatto dell’imprenditore è certamente un importante retaggio, ma la complessità giuridica di talune realtà im- prenditoriali oggi reclamerebbe scelte di diverso segno, rivolte alla chiara definizio- ne di un perimetro effettivamente autonomo per i fatti di bancarotta in contesto so- cietario, anche in considerazione del fatto che – anche grazie al ridimensionamento dei requisiti necessari a costituire società con autonomia patrimoniale perfetta – que- sti ultimi costituiscono l’assoluta maggioranza della casistica giurisprudenziale.

De iure condito, tuttavia, si deve rilevare che l’art. 223 e l’art. 216 condividono il

medesimo disvalore: nell’impianto della legge fallimentare, le suindicate differenze non sono ritenute determinanti rispetto ad una modificazione dell’ubi consistam ogget- tivo-soggettivo della bancarotta fraudolenta, che continua ad essere caratterizzata per una gestione non iure del rapporto debito-credito diretta all’offesa alla garanzia patri- moniale101. Il maggior rigore nei confronti della bancarotta ‘impropria’ è invece testi-

moniato dalla tipizzazione delle fattispecie previste al comma 2, nelle quali si mostra- no chiaramente intuibili considerazioni politico-criminali connesse alla maggiore gra- vità del fatto e delle sue propaggini lesive102, derivanti dalla flessione degli standard di

gestione che possono emergere nel confronto con l’imprenditore individuale, che co- munque rischia sempre ‘in proprio’ con tutti i suoi averi.

4.2 – La bancarotta da reato societario: dal pericolo presunto alla lesione

L’art. 223, comma 2, n. 1, l.f. punisce gli organi sociali che hanno cagionato o concor- so a cagionare il dissesto della società mediante la commissione di illeciti societari: si tratta, in particolare, dei reati di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622 c.c.), di indebita restituzione di conferimenti (art. 2626 c.c.), di illegale ripartizione degli utili o delle riserve (art. 2627 c.c.), di illecite operazioni sulle azioni o sulle quote sociali (art.

100 C. Pedrazzi, Reati fallimentari, cit., 159.

101 In termini analoghi cfr. A. Fiorella, M. Masucci, I delitti di bancarotta, cit., 975.

102 V. Napoleoni, Le mariage qui a mal tourné: lo strano caso dell’infedeltà patrimoniale e della banca- rotta “da reato societario”, in Cass. pen., 2009, 297.

2628 c.c.), di operazioni in pregiudizio dei creditori (art. 2629 c.c.), di formazione fit- tizia del capitale (art. 2632 c.c.), di indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633 c.c.) e di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.).

Val la pena di sottolineare che, per dottrina e giurisprudenza unanimi, il rinvio alle disposizioni penali summenzionate ha natura non recettizia – e, pertanto, gli ar- ticoli del codice civile devono intendersi richiamati nella loro attuale formulazio- ne103 – e che, atteso che la maggior parte dei reati societari elenca come soggetti at-

tivi i soli amministratori e liquidatori, non pare possibile estendere la responsabilità

ex art. 223, comma 2, n. 1 a diversi soggetti, salvi ovviamente i casi concorso

dell’extraneus nel reato proprio104.

Si tratta dell’unica fattispecie di bancarotta oggetto di un intervento riformatore relativamente recente, avvenuto contestualmente alla novella del diritto penale so- cietario recata dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61. È importante tracciare un breve qua- dro riassuntivo dell’evoluzione normativa, poiché essa segna, almeno in parte, il ri- conoscimento di una necessaria dimensione lesiva nel sistema penal-fallimentare, facendo transitare la fattispecie dall’alveo dei reati di pericolo presunto a quello dei delitti di danno.

Nella previgente formulazione – «Si applica alle persone suddette la pena pre- vista dal primo comma dell’art. 216, se: 1) hanno commesso alcuno dei fatti pre- veduti dagli articoli 2621, 2622, 2623, 2628, 2630, comma primo, del codice civi- le […]» – se da un lato erano richiamati altri reati societari, dall’altro lato la più significativa distinzione afferiva alla mancanza del requisito della causazione del dissesto: l’aggravio di pena, in alcuni casi vicino al raddoppio, scattava al ricorrere della semplice dichiarazione di fallimento, nella sua veste di elemento specializ- zante elevante slegato eziologicamente e psicologicamente dal reato-base, con conseguente violazione del principio costituzionale di personalità della responsa- bilità e della pena105. La bancarotta da reato societario costituiva dunque un delitto

di pericolo presunto, per di più caratterizzato dalla tutela dei medesimi beni giuri- dici protetti dai reati societari106, e suscettivo di colpire anche l’amministratore che

avesse commesso un reato societario in epoca molto remota e sconnesso dalla suc- cessiva crisi dell’impresa.

È forse superfluo sottolineare che, anche nella vigenza dell’enunciato in com- mento, era ben possibile addivenire ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie, se non altro richiedendo almeno il nesso di causa rispet- to all’evento fallimentare. Tuttavia, la giurisprudenza si è sempre assestata

103 Per tutti, rispettivamente, C. Pedrazzi, Sub art. 223, cit., 311, e Cass. pen., Sez. V, 24 settembre 1987,

n. 2943/1988, in Giust. pen., 1990, II, 285 ss.

104 R. Bricchetti, Sub art. 223, in Leggi penali complementari, a cura di T. Padovani, Milano 2007, 2190

ss.; Al. Rossi, I reati fallimentari, cit., 216 ss. Contra C. Santoriello, La bancarotta fraudolenta impro-

pria, in Le soc., 2015, 629.

105 P. Nuvolone, Il diritto penale del fallimento, cit., 349; S. Prosdocimi, Tutela del credito, cit., 148 ss.;

N. Mazzacuva, False comunicazioni sociali e fallimento: un rapporto controverso fra normativa vigen-

te, interpretazione e prospettive di riforma, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2001, 660 ss.

106 Così C. Pedrazzi, Sub art. 223, cit., 308; M. Donini, Per uno statuto, cit., 46; G. Cocco, Sub art. 223,

in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di F. Palazzo, C. E. Paliero, Padova 20072, 1268 ss.; A. Manna, La riforma della bancarotta impropria societaria, cit., 494.

La scelta della tipizzazione per rinvio, al di là delle sue connaturate criticità, si espone in questo contesto a notevoli rilievi. Anzitutto, si può notare che non vi è al- cuna specularità tra le fattispecie, che ne potrebbe altrimenti giustificare il mero ri- chiamo: l’art. 223, al contrario, mostra una conformazione offensiva assai più mar- cata, poiché è rivolto alla manomissione di un oggetto materiale di proprietà altrui, e sul quale si esercita unicamente la gestione o il controllo100. Correlativamente, deve

osservarsi che le condotte descritte nei nn. 1 e 2 nella norma appena menzionata non possono mai ascriversi all’imprenditore individuale, costituendo esse reati propri degli organi sociali, salva ovviamente l’applicazione della disciplina del concorso dell’extraneus. Infine, il difetto della tecnica impiegata è rivelato anche dalla struttu- rale sovrapposizione delle ipotesi richiamate rispetto a quelle autonomamente tipiz- zate nel comma 2 dell’art. 223: è del tutto chiaro che una distrazione o un occulta- mento possano, in queste ipotesi, concorrere a costituire delle ‘operazioni dolose’ idonee a cagionare il fallimento-insolvenza.

La derivazione storica della bancarotta ‘impropria’ dal fatto dell’imprenditore è certamente un importante retaggio, ma la complessità giuridica di talune realtà im- prenditoriali oggi reclamerebbe scelte di diverso segno, rivolte alla chiara definizio- ne di un perimetro effettivamente autonomo per i fatti di bancarotta in contesto so- cietario, anche in considerazione del fatto che – anche grazie al ridimensionamento dei requisiti necessari a costituire società con autonomia patrimoniale perfetta – que- sti ultimi costituiscono l’assoluta maggioranza della casistica giurisprudenziale.

De iure condito, tuttavia, si deve rilevare che l’art. 223 e l’art. 216 condividono il

medesimo disvalore: nell’impianto della legge fallimentare, le suindicate differenze non sono ritenute determinanti rispetto ad una modificazione dell’ubi consistam ogget- tivo-soggettivo della bancarotta fraudolenta, che continua ad essere caratterizzata per una gestione non iure del rapporto debito-credito diretta all’offesa alla garanzia patri- moniale101. Il maggior rigore nei confronti della bancarotta ‘impropria’ è invece testi-

moniato dalla tipizzazione delle fattispecie previste al comma 2, nelle quali si mostra- no chiaramente intuibili considerazioni politico-criminali connesse alla maggiore gra- vità del fatto e delle sue propaggini lesive102, derivanti dalla flessione degli standard di

gestione che possono emergere nel confronto con l’imprenditore individuale, che co- munque rischia sempre ‘in proprio’ con tutti i suoi averi.

4.2 – La bancarotta da reato societario: dal pericolo presunto alla lesione

L’art. 223, comma 2, n. 1, l.f. punisce gli organi sociali che hanno cagionato o concor- so a cagionare il dissesto della società mediante la commissione di illeciti societari: si tratta, in particolare, dei reati di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622 c.c.), di indebita restituzione di conferimenti (art. 2626 c.c.), di illegale ripartizione degli utili o delle riserve (art. 2627 c.c.), di illecite operazioni sulle azioni o sulle quote sociali (art.

100 C. Pedrazzi, Reati fallimentari, cit., 159.

101 In termini analoghi cfr. A. Fiorella, M. Masucci, I delitti di bancarotta, cit., 975.

102 V. Napoleoni, Le mariage qui a mal tourné: lo strano caso dell’infedeltà patrimoniale e della banca- rotta “da reato societario”, in Cass. pen., 2009, 297.

2628 c.c.), di operazioni in pregiudizio dei creditori (art. 2629 c.c.), di formazione fit- tizia del capitale (art. 2632 c.c.), di indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633 c.c.) e di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.).

Val la pena di sottolineare che, per dottrina e giurisprudenza unanimi, il rinvio alle disposizioni penali summenzionate ha natura non recettizia – e, pertanto, gli ar- ticoli del codice civile devono intendersi richiamati nella loro attuale formulazio- ne103 – e che, atteso che la maggior parte dei reati societari elenca come soggetti at-

tivi i soli amministratori e liquidatori, non pare possibile estendere la responsabilità

ex art. 223, comma 2, n. 1 a diversi soggetti, salvi ovviamente i casi concorso

dell’extraneus nel reato proprio104.

Si tratta dell’unica fattispecie di bancarotta oggetto di un intervento riformatore relativamente recente, avvenuto contestualmente alla novella del diritto penale so- cietario recata dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61. È importante tracciare un breve qua- dro riassuntivo dell’evoluzione normativa, poiché essa segna, almeno in parte, il ri- conoscimento di una necessaria dimensione lesiva nel sistema penal-fallimentare, facendo transitare la fattispecie dall’alveo dei reati di pericolo presunto a quello dei delitti di danno.

Nella previgente formulazione – «Si applica alle persone suddette la pena pre- vista dal primo comma dell’art. 216, se: 1) hanno commesso alcuno dei fatti pre- veduti dagli articoli 2621, 2622, 2623, 2628, 2630, comma primo, del codice civi- le […]» – se da un lato erano richiamati altri reati societari, dall’altro lato la più significativa distinzione afferiva alla mancanza del requisito della causazione del dissesto: l’aggravio di pena, in alcuni casi vicino al raddoppio, scattava al ricorrere della semplice dichiarazione di fallimento, nella sua veste di elemento specializ- zante elevante slegato eziologicamente e psicologicamente dal reato-base, con conseguente violazione del principio costituzionale di personalità della responsa- bilità e della pena105. La bancarotta da reato societario costituiva dunque un delitto

di pericolo presunto, per di più caratterizzato dalla tutela dei medesimi beni giuri- dici protetti dai reati societari106, e suscettivo di colpire anche l’amministratore che

avesse commesso un reato societario in epoca molto remota e sconnesso dalla suc- cessiva crisi dell’impresa.

È forse superfluo sottolineare che, anche nella vigenza dell’enunciato in com- mento, era ben possibile addivenire ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie, se non altro richiedendo almeno il nesso di causa rispet- to all’evento fallimentare. Tuttavia, la giurisprudenza si è sempre assestata

103 Per tutti, rispettivamente, C. Pedrazzi, Sub art. 223, cit., 311, e Cass. pen., Sez. V, 24 settembre 1987,

n. 2943/1988, in Giust. pen., 1990, II, 285 ss.

104 R. Bricchetti, Sub art. 223, in Leggi penali complementari, a cura di T. Padovani, Milano 2007, 2190

ss.; Al. Rossi, I reati fallimentari, cit., 216 ss. Contra C. Santoriello, La bancarotta fraudolenta impro-

pria, in Le soc., 2015, 629.

105 P. Nuvolone, Il diritto penale del fallimento, cit., 349; S. Prosdocimi, Tutela del credito, cit., 148 ss.;

N. Mazzacuva, False comunicazioni sociali e fallimento: un rapporto controverso fra normativa vigen-

te, interpretazione e prospettive di riforma, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2001, 660 ss.

106 Così C. Pedrazzi, Sub art. 223, cit., 308; M. Donini, Per uno statuto, cit., 46; G. Cocco, Sub art. 223,

in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di F. Palazzo, C. E. Paliero, Padova 20072, 1268 ss.; A. Manna, La riforma della bancarotta impropria societaria, cit., 494.

all’estremo opposto, spendendosi addirittura nel sostenerne la compatibilità costi- tuzionale, affermando che il trattamento sanzionatorio fosse giustificato

Nel documento Il dolo nella bancarotta (pagine 176-200)