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La consumazione dei delitti di bancarotta

Nel documento Il dolo nella bancarotta (pagine 100-110)

La ‘pregiudizialità fallimentare’: il ruolo e le vicende della sentenza dichiarativa

4. La consumazione dei delitti di bancarotta

Il tema della consumazione del reato si pone in continuità con larga parte delle con- siderazioni già svolte e schiude ulteriori profili problematici, afferenti alla revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, alla configurabilità del tentativo e, infine, al fenomeno della c.d. bancarotta riparata. Occorrono dunque alcune premesse gene- rali sul momento consumativo, che peraltro debbono diversificarsi in ragione delle ipotesi coinvolte: mentre la sua individuazione non pone alcun problema con riguar- do ai delitti di bancarotta post-fallimentare – ove è legato alla commissione della condotta – né con riguardo alle ipotesi di evento degli artt. 223 e 224, il tema si complica notevolmente in relazione alle fattispecie pre-fallimentari, anche in ragione dell’ampia gamma delle opzioni teoriche sopra esposte.

Il primo punto di partenza vede convergere la dottrina maggioritaria, pur con percorsi argomentativi diversi, e riguarda il dies a quo del termine prescrizionale, in ogni caso ricondotto alla data della dichiarazione, sia essa intesa come elemento co- stitutivo o come condizione obiettiva (art. 158, comma 2, c.p.).

Quanto all’individuazione del momento consumativo, la giurisprudenza, secon- do l’orientamento tradizionale, ritiene che la bancarotta si consumerebbe al momen- to della dichiarazione fallimentare e nel luogo della sede dell’organo giudiziario competente; nel rinnovato orientamento offerto dalla sentenza Santoro, come si è visto supra, si ripropongono le medesime conclusioni pratiche, non senza intime contraddizioni.

Non è così unita la dottrina: un orientamento minoritario, ma assai autorevole, osserva che il concetto di consumazione – inteso come massimo approfondimento concreto dell’offesa – non può arbitrariamente porsi in un momento diverso rispetto alla commissione del fatto, in ragione della natura di per sé inoffensiva dell’intervenuto fallimento (che pure caratterizza i delitti di bancarotta)180. In senso

analogo, poi, si esprime chi vede nelle condizioni obiettive degli accadimenti esterni al reato, e non già soltanto al fatto, legate esclusivamente all’irrogazione della pena e supponenti un illecito già perfetto in ogni sua parte181.

La dottrina maggioritaria, dal canto suo, ritiene che il momento consumativo si individui in corrispondenza della declaratoria civile, rilevando che la condizione obiettiva del fallimento svolge una vera e propria funzione di unificazione normativa anche di eventuali diversi episodi delittuosi, così come imposto dall’istituto della c.d. ‘continuazione fallimentare’ (art. 219, comma 2, n. 1)182. Peraltro, appare assai

significativo il disposto dell’art. 238, comma 2, l.f., al momento in cui consacra il valore del fallimento come attualizzatore dell’offesa tipizzata, consentendo l’anticipazione dell’esercizio dell’azione penale laddove siano presenti indici ogget-

180 Così A. Pagliaro, Il delitto di bancarotta, cit., 141 ss.; Id., Problemi attuali, cit., 537 ss.; U. Giuliani

Balestrino, La bancarotta, cit., 6, 26 e 99 ss.

181 F. Alimena, La dichiarazione di fallimento, cit., 47; F. Antonioni, La bancarotta semplice, cit., 376

ss.; L. Conti, I reati fallimentari, cit., 136; P. Mangano, Disciplina penale del fallimento, cit., 145 ss.

182 Per tutti C. Pedrazzi, Sub art. 216, cit., 34 ss.; sul tema dell’offesa ai creditori cfr. V. Zagrebelsky, Osservazioni sul danno patrimoniale di cui all’art. 219 l.f. e sulla sua valutazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1972, 798 ss.

tivi che comprovino l’insolvenza, in attesa della ‘formalizzazione’ rappresentata dal- la sentenza dichiarativa183. In altre parole, pur vero che l’offesa potenziale si collega

al momento della commissione della condotta, essa deve mantenersi inalterata sino al momento della dichiarazione giudiziale, laddove si realizza compiutamente l’esposizione al pericolo delle pretese creditorie. Circostanza, quest’ultima, che tro- va espresso riconoscimento normativo nel caso della bancarotta semplice documen- tale (art. 217, comma 2), ove si fissa al momento della declaratoria fallimentare il

dies ad quem per la rilevanza penale della condotta, non operando dunque sul piano

della modalità della condotta, bensì unicamente sul piano cronologico.

Ammettere il contrario significherebbe consentire un esito paradossale: si faccia il caso di chi commette una grave distrazione consapevole dello stato di insolvenza, e poi provveda a sanare la situazione, pur con esiti concorsuali. Se davvero si doves- se prescindere da ciò che segue la condotta, condannando il soggetto agente, si do- vrebbe contestualmente ammettere la natura di pericolo presunto delle fattispecie di bancarotta e disconoscere il fenomeno della c.d. ‘riparazione’184. Diversamente, la

valutazione del pericolo deve necessariamente rapportarsi alla data del fallimento, in cui si palesa l’offesa per i creditori derivante dal reato. Si noti: ciò non vale a resti- tuire al fallimento-condizione quel contenuto disvaloriale che gli è stato in prece- denza sottratto, costituendo invece la semplice ricognizione di un dato (ancora una volta) procedural-processuale, che nasce e vive in ragione del fisiologico iato tempo- rale tra la condotta e il fallimento, il quale consente attività di ‘recesso’ capaci di in- fluire nettamente sull’offesa in concreto185.

Oltre ad un ruolo condizionante, quindi, può dirsi che la sentenza dichiarativa di fallimento ha una seconda funzione, relativa alla contestualizzazione e alla cristal- lizzazione del pericolo ingenerato con la condotta: non costituisce, né tantomeno ap- profondisce l’offesa, ma semplicemente la certifica, appunto ‘dichiarandola’.

Alla locuzione «se è dichiarato fallito», quindi, si deve assegnare un triplice ruo- lo: a) condizionante della punibilità, in relazione all’emissione della sentenza civile, quale filtro selettivo per il ricorso alla sanzione di fatti astrattamente meritevoli di pena; b) integratore del fatto, con riferimento alla necessaria rappresentazione sog- gettiva dell’insolvenza, in atto o incipiente, che si riverbera nella messa in atto della condotta tipizzata; c) attualizzatore del pericolo, sottendendo che il giudizio di peri- colo concreto, pur normalmente incarnato da altre formule legislative, si debba rap- portare anche alla sede concorsuale. Se, pertanto, ancorare la condotta al requisito dell’insolvenza è necessario per operare una prima selezione delle azioni in ragione del tipo criminoso della bancarotta, questo secondo scrutinio afferisce direttamente all’esame delle conseguenze concrete delle medesime. Il risultato è dunque quello di punire unicamente le condotte connotate da un forte disvalore d’azione, rapportate al momento del fallimento in funzione dell’esclusione di ogni possibile ‘fortuito’ e/o

183 M. N. Masullo, La sentenza dichiarativa di fallimento, cit., 1159.

184 Nel senso della negazione della bancarotta riparata, per tutti, cfr. A. Pagliaro, Oggetto della tutela e consumazione nei delitti di bancarotta, in La legge fallimentare. Bilancio e prospettive dopo trenta anni di applicazione, a cura di A. Crespi, Milano 1975, 1179.

185 C. Pedrazzi, Reati fallimentari, in C. Pedrazzi, A. Alessandri, L. Foffani, S. Seminara, G. Spagnolo, Manuale di diritto penale dell’impresa, Bologna 20002, 112.

4. La consumazione dei delitti di bancarotta

Il tema della consumazione del reato si pone in continuità con larga parte delle con- siderazioni già svolte e schiude ulteriori profili problematici, afferenti alla revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, alla configurabilità del tentativo e, infine, al fenomeno della c.d. bancarotta riparata. Occorrono dunque alcune premesse gene- rali sul momento consumativo, che peraltro debbono diversificarsi in ragione delle ipotesi coinvolte: mentre la sua individuazione non pone alcun problema con riguar- do ai delitti di bancarotta post-fallimentare – ove è legato alla commissione della condotta – né con riguardo alle ipotesi di evento degli artt. 223 e 224, il tema si complica notevolmente in relazione alle fattispecie pre-fallimentari, anche in ragione dell’ampia gamma delle opzioni teoriche sopra esposte.

Il primo punto di partenza vede convergere la dottrina maggioritaria, pur con percorsi argomentativi diversi, e riguarda il dies a quo del termine prescrizionale, in ogni caso ricondotto alla data della dichiarazione, sia essa intesa come elemento co- stitutivo o come condizione obiettiva (art. 158, comma 2, c.p.).

Quanto all’individuazione del momento consumativo, la giurisprudenza, secon- do l’orientamento tradizionale, ritiene che la bancarotta si consumerebbe al momen- to della dichiarazione fallimentare e nel luogo della sede dell’organo giudiziario competente; nel rinnovato orientamento offerto dalla sentenza Santoro, come si è visto supra, si ripropongono le medesime conclusioni pratiche, non senza intime contraddizioni.

Non è così unita la dottrina: un orientamento minoritario, ma assai autorevole, osserva che il concetto di consumazione – inteso come massimo approfondimento concreto dell’offesa – non può arbitrariamente porsi in un momento diverso rispetto alla commissione del fatto, in ragione della natura di per sé inoffensiva dell’intervenuto fallimento (che pure caratterizza i delitti di bancarotta)180. In senso

analogo, poi, si esprime chi vede nelle condizioni obiettive degli accadimenti esterni al reato, e non già soltanto al fatto, legate esclusivamente all’irrogazione della pena e supponenti un illecito già perfetto in ogni sua parte181.

La dottrina maggioritaria, dal canto suo, ritiene che il momento consumativo si individui in corrispondenza della declaratoria civile, rilevando che la condizione obiettiva del fallimento svolge una vera e propria funzione di unificazione normativa anche di eventuali diversi episodi delittuosi, così come imposto dall’istituto della c.d. ‘continuazione fallimentare’ (art. 219, comma 2, n. 1)182. Peraltro, appare assai

significativo il disposto dell’art. 238, comma 2, l.f., al momento in cui consacra il valore del fallimento come attualizzatore dell’offesa tipizzata, consentendo l’anticipazione dell’esercizio dell’azione penale laddove siano presenti indici ogget-

180 Così A. Pagliaro, Il delitto di bancarotta, cit., 141 ss.; Id., Problemi attuali, cit., 537 ss.; U. Giuliani

Balestrino, La bancarotta, cit., 6, 26 e 99 ss.

181 F. Alimena, La dichiarazione di fallimento, cit., 47; F. Antonioni, La bancarotta semplice, cit., 376

ss.; L. Conti, I reati fallimentari, cit., 136; P. Mangano, Disciplina penale del fallimento, cit., 145 ss.

182 Per tutti C. Pedrazzi, Sub art. 216, cit., 34 ss.; sul tema dell’offesa ai creditori cfr. V. Zagrebelsky, Osservazioni sul danno patrimoniale di cui all’art. 219 l.f. e sulla sua valutazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1972, 798 ss.

tivi che comprovino l’insolvenza, in attesa della ‘formalizzazione’ rappresentata dal- la sentenza dichiarativa183. In altre parole, pur vero che l’offesa potenziale si collega

al momento della commissione della condotta, essa deve mantenersi inalterata sino al momento della dichiarazione giudiziale, laddove si realizza compiutamente l’esposizione al pericolo delle pretese creditorie. Circostanza, quest’ultima, che tro- va espresso riconoscimento normativo nel caso della bancarotta semplice documen- tale (art. 217, comma 2), ove si fissa al momento della declaratoria fallimentare il

dies ad quem per la rilevanza penale della condotta, non operando dunque sul piano

della modalità della condotta, bensì unicamente sul piano cronologico.

Ammettere il contrario significherebbe consentire un esito paradossale: si faccia il caso di chi commette una grave distrazione consapevole dello stato di insolvenza, e poi provveda a sanare la situazione, pur con esiti concorsuali. Se davvero si doves- se prescindere da ciò che segue la condotta, condannando il soggetto agente, si do- vrebbe contestualmente ammettere la natura di pericolo presunto delle fattispecie di bancarotta e disconoscere il fenomeno della c.d. ‘riparazione’184. Diversamente, la

valutazione del pericolo deve necessariamente rapportarsi alla data del fallimento, in cui si palesa l’offesa per i creditori derivante dal reato. Si noti: ciò non vale a resti- tuire al fallimento-condizione quel contenuto disvaloriale che gli è stato in prece- denza sottratto, costituendo invece la semplice ricognizione di un dato (ancora una volta) procedural-processuale, che nasce e vive in ragione del fisiologico iato tempo- rale tra la condotta e il fallimento, il quale consente attività di ‘recesso’ capaci di in- fluire nettamente sull’offesa in concreto185.

Oltre ad un ruolo condizionante, quindi, può dirsi che la sentenza dichiarativa di fallimento ha una seconda funzione, relativa alla contestualizzazione e alla cristal- lizzazione del pericolo ingenerato con la condotta: non costituisce, né tantomeno ap- profondisce l’offesa, ma semplicemente la certifica, appunto ‘dichiarandola’.

Alla locuzione «se è dichiarato fallito», quindi, si deve assegnare un triplice ruo- lo: a) condizionante della punibilità, in relazione all’emissione della sentenza civile, quale filtro selettivo per il ricorso alla sanzione di fatti astrattamente meritevoli di pena; b) integratore del fatto, con riferimento alla necessaria rappresentazione sog- gettiva dell’insolvenza, in atto o incipiente, che si riverbera nella messa in atto della condotta tipizzata; c) attualizzatore del pericolo, sottendendo che il giudizio di peri- colo concreto, pur normalmente incarnato da altre formule legislative, si debba rap- portare anche alla sede concorsuale. Se, pertanto, ancorare la condotta al requisito dell’insolvenza è necessario per operare una prima selezione delle azioni in ragione del tipo criminoso della bancarotta, questo secondo scrutinio afferisce direttamente all’esame delle conseguenze concrete delle medesime. Il risultato è dunque quello di punire unicamente le condotte connotate da un forte disvalore d’azione, rapportate al momento del fallimento in funzione dell’esclusione di ogni possibile ‘fortuito’ e/o

183 M. N. Masullo, La sentenza dichiarativa di fallimento, cit., 1159.

184 Nel senso della negazione della bancarotta riparata, per tutti, cfr. A. Pagliaro, Oggetto della tutela e consumazione nei delitti di bancarotta, in La legge fallimentare. Bilancio e prospettive dopo trenta anni di applicazione, a cura di A. Crespi, Milano 1975, 1179.

185 C. Pedrazzi, Reati fallimentari, in C. Pedrazzi, A. Alessandri, L. Foffani, S. Seminara, G. Spagnolo, Manuale di diritto penale dell’impresa, Bologna 20002, 112.

della verifica di eventuali ‘riparazioni’, così stabilendosi in via inequivoca l’offensività della condotta e dei suoi portati, in termini di pericolo o di danno, in ragione della fattispecie coinvolta.

4.1 – La questione della revoca della sentenza dichiarativa e della sua influenza sul processo penale

Si è detto che il tema della consumazione è influenzato dalle vicende extra-penali che coinvolgono la sentenza dichiarativa, ed in particolare dalle ipotesi di opposi- zione al fallimento e di revoca della relativa pronuncia; diverso, e ininfluente, è in- vece il caso in cui la procedura termini mediante un concordato fallimentare, che ne determina la chiusura secondo un particolare meccanismo, ma certamente non ne implica la revoca186. Giova subito ricordare che la dichiarazione fallimentare è im-

mediatamente esecutiva (art. 16, comma 2), salva la possibilità di sospendere la li- quidazione dell’attivo (art. 19, comma 1); tuttavia, va del pari osservato che la revo- ca della dichiarazione di fallimento, in esito al reclamo ex art. 18 l.f., sembrerebbe doverne risolvere ogni ripercussione penalistica, con effetto ex tunc187.

La questione della caducazione della dichiarazione può essere affrontata secon- do due diverse, e parallele, direttrici: l’una, fondata sulla prospettiva processuale in senso stretto; l’altra, invece, focalizzata sulla disciplina penale sostanziale.

Dal primo punto di vista, avendo riguardo agli artt. 2 e 3 c.p.p., non appare in- congruente l’idea che il giudice penale possa accertare in via autonoma l’insolvenza, ovvero disattendere l’attività del tribunale fallimentare, ovvero anco- ra condannare l’imputato pur in presenza di un giudizio di opposizione alla sen- tenza dichiarativa, avendo il codice del 1988 chiaramente optato per l’indipendenza, l’autosufficienza e la piena cognizione del giudice su tutte le que- stioni strumentali alla pronuncia (salvi alcuni limiti tassativi)188. Ancora, l’art. 479

c.p.p. attribuisce al giudice penale la facoltà di sospendere il processo sino al mo- mento in cui passi in giudicato una controversia civile o amministrativa già in cor- so dinanzi all’autorità giudiziaria da cui dipenda l’integrazione della fattispecie di reato, a patto che sia particolarmente complessa189.

Nella seconda prospettiva, al contrario, si può osservare che l’espressione «se è dichiarato fallito», al netto della disciplina esposta, implicherebbe in ogni caso la preventiva pronuncia del competente organo giudiziario, che si inserisce nel precetto in quanto tale: al giudice penale si imporrebbe, quindi, unicamente di accertarne

186 Così, ex multis, Cass. pen., Sez. V, 25 febbraio 2011, n. 7468, in Cass. pen., 2012, 245. 187 C. Pedrazzi, Reati fallimentari, cit., 113.

188 Così M. La Monica, Sentenza dichiarativa di fallimento e processo penale per bancarotta: un pro- blema antico in una prospettiva nuova, in Il fall., 1990, 1086; G. Allegri, Processo penale e reati falli- mentari, in Riv. pen., 1996, 825; V. Spinosa, Giudizio civile per la dichiarazione di fallimento e proces- so per bancarotta: un nuovo banco di prova per l’autonomia del diritto penale fallimentare, in Ind. pen., 2015, 59.

189 Sul tema specifico cfr. G. De Amicis, La pregiudiziale fallimentare: essere o non essere?, in Cass. pen., 2001, 186 ss.; G. L. Perdonò, Opposizione alla sentenza di fallimento e sospensione del processo per bancarotta: si apre una breccia nella giurisprudenza di merito in conseguenza della mutata qualifi- cazione della sentenza di fallimento, in Cass. pen., 2005, 199 ss.

l’esistenza e la tipicità, anche in considerazione di quanto statuito dall’art. 238 l.f., laddove – con quella che sembra essere una forma di pregiudizialità ‘speciale’ – di- spone che «l’azione penale è esercitata dopo la comunicazione della sentenza dichia- rativa di fallimento». Peraltro, anche auspicando un autonomo scrutinio del giudice penale rispetto all’insolvenza, certamente non sembra infatti concepibile assegnargli il compito di dichiarare formalmente lo stato di fallimento dell’impresa. La lettura della legge fallimentare deve completarsi col riferimento al codice di rito coevo, ri- spetto al quale era perfettamente allineata, atteso che quest’ultimo prescriveva, in ossequio al principio di unità della giurisdizione, la sospensione obbligatoria del processo e l’efficacia vincolante della decisione extra-penale in relazione allo ‘stato’ delle persone (artt. 19, 20, 21 c.p.p. 1930)190.

Si tratta di un ennesimo disallineamento della disciplina penal-fallimentare, sta- volta con riferimento alle rinnovate disposizioni in tema di pregiudizialità introdotte col codice di procedura penale del 1988. Tale conflitto, tuttavia, porta a prevalere il diritto sostanziale, in considerazione delle argomentazioni appena svolte: a ben ve- dere, infatti, il giudice penale non può ignorare le decisioni del tribunale fallimenta- re, ma deve prenderne atto, da un lato, come condizione di punibilità del fatto posto al suo giudizio (pur suscettibile di annullamento), e, dall’altro, come pregiudiziale ‘sostanziale’ sull’accertamento dell’insolvenza191.

In questi termini si è pronunciata anche la giurisprudenza delle Sezioni Unite, escludendo che l’accertamento fallimentare rientri nei casi di pregiudizialità di cui all’art. 3 c.p.p., non trattandosi di una questione concernente lo status di fallito, il quale è diretto effetto della sentenza dichiarativa192.

Pur vero che la pregiudizialità fallimentare sembra accentuare il carattere acces- sorio-sanzionatorio dei delitti di bancarotta, è altrettanto vero che una completa se- parazione di questi dal contesto extra-penale non è né praticabile, né auspicabile, ed è al contrario una delle peggiori patologie che affligge già oggi il sistema di tutela penale di questo settore, come si vedrà chiaramente in relazione al suo atteggiarsi nell’ambito delle soluzioni alternative alla crisi dell’impresa193.

Ciò posto, si può osservare che l’unica strada realmente percorribile, sotto la lente del principio di uguaglianza-ragionevolezza, è quella di ritenere che il giudice possa – o, meglio, debba – sospendere il processo in pendenza del reclamo avverso

190 Coerentemente, la dottrina maggioritaria non intravedeva limiti alla pregiudizialità fallimentare: cfr.

P. Nuvolone, Opposizione al fallimento, bancarotta fraudolenta e mandato di cattura, in Ind. pen., 1981, 410 ss.; A. Lanzi, Riflessi penali delle procedure concorsuali vecchie e nuove, in Ind. pen., 1982, 223 ss.; V. Proto, La bancarotta prefallimentare: problema della pregiudizialità prima e dopo la rifor-

ma del codice di procedura penale, in Cass. pen., 1989, 299 ss.

191 A. Pagliaro, Riflessioni sulla riforma, cit., 857; A. Lanzi, Il nuovo processo penale e i reati fallimen- tari, in Il fall., 1991, 224 ss.; C. Carreri, Pregiudizialità fallimentare: rivisitazione e semplificazione di una vecchia questione, in Cass. pen., 1991, 643 ss.; Id., Ancora sulla pregiudiziale fallimentare e sui rapporti tra processo penale e sentenza dichiarativa di fallimento opposta, in Cass. pen., 1992, 191 ss.;

E. Aprile, Sentenza dichiarativa di fallimento nel giudizio per reati di bancarotta, in Il fall., 1999, 1135 ss.

192 Cass. pen., Sez. Un., 28 febbraio 2008, n. 19601, in Cass. pen., 2008, 3592 ss. Per una completa

panoramica, anche giurisprudenziale, degli orientamenti antecedenti alla pronuncia anzidetta, cfr. R. Bricchetti, Sub art. 216, in Leggi penali complementari, a cura di T. Padovani, Milano 2007, 1899 ss.

della verifica di eventuali ‘riparazioni’, così stabilendosi in via inequivoca l’offensività della condotta e dei suoi portati, in termini di pericolo o di danno, in ragione della fattispecie coinvolta.

4.1 – La questione della revoca della sentenza dichiarativa e della sua influenza sul processo penale

Si è detto che il tema della consumazione è influenzato dalle vicende extra-penali che coinvolgono la sentenza dichiarativa, ed in particolare dalle ipotesi di opposi- zione al fallimento e di revoca della relativa pronuncia; diverso, e ininfluente, è in- vece il caso in cui la procedura termini mediante un concordato fallimentare, che ne determina la chiusura secondo un particolare meccanismo, ma certamente non ne implica la revoca186. Giova subito ricordare che la dichiarazione fallimentare è im-

mediatamente esecutiva (art. 16, comma 2), salva la possibilità di sospendere la li- quidazione dell’attivo (art. 19, comma 1); tuttavia, va del pari osservato che la revo-

Nel documento Il dolo nella bancarotta (pagine 100-110)