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Il dolo delle fattispecie post-fallimentar

Nel documento Il dolo nella bancarotta (pagine 152-160)

L’efficacia selettiva del dolo della bancarotta fraudolenta

2. Il dolo delle fattispecie post-fallimentar

Prima di procedere alla descrizione dei connotati del dolo delle fattispecie di ban- carotta post-fallimentare, occorre delimitare chiaramente il campo dei delitti ipo- tizzabili, al netto dell’ampia formulazione prevista dall’art. 216, comma 2, che ri- chiama tutti i fatti di bancarotta fraudolenta ed è a sua volta richiamata dall’art. 223, comma 1, in chiave di estensione della soggettività attiva. A ben vedere, in- fatti, la circostanza dell’intervenuto fallimento (o di una delle altre condizioni pre- viste all’art. 236) influisce notevolmente sull’assetto dei delitti in esame, compor- tando un ampio spettro di conseguenze.

In primo luogo, devono escludersi tutte le ipotesi di bancarotta semplice, le quali non solo non prevedono una clausola estensiva analoga a quella disposta dall’art. 216, comma 2, l.f., ma sono anche tipizzate secondo modalità che ne rive- lano l’intrinseca natura pre-fallimentare. La considerazione è resa evidente in rela- zione alle fattispecie enucleate ai nn. 3 e 4, ove il riferimento al «ritardare il falli- mento» e al «richiedere la dichiarazione di fallimento» è un indice inequivoco, ma è del pari ampiamente dimostrabile con riferimento ai nn. 1 e 2 dell’art. 217, posto che l’effettuazione di spese personali eccessive, ovvero il compimento di «opera- zioni di pura sorte» non sono affatto concepibili una volta avuto luogo lo sposses- samento, se non ammettendo la sussistenza di una precedente distrazione rilevante

ex art. 216, comma 21.

Sembra apparentemente fare eccezione, in una logica del tutto distinta, la previ- sione dell’art. 217, n. 5, laddove incrimina l’imprenditore dichiarato fallito che «non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fal- limentare»: tali obbligazioni, per dottrina e giurisprudenza unanimi, devono tuttavia essere riferibili ad una diversa procedura, atteso che la ‘precedenza’ non avrebbe al- cun senso se non con riferimento ad una distinta – e già chiusa – procedura concor- suale2. Così, sembra possibile sostenere che quest’ultima ipotesi non costituisca una

forma di illecito post-fallimentare – o, meglio, post-concordatario – bensì un titolo di reato che si inserisce in un momento cronologicamente antecedente alla seconda epifania dell’insolvenza, nella cui valutazione penale risulta inevitabilmente attratto. Merita ancora sottolineare che l’art. 217, n. 5 risulta del tutto eccentrico rispetto alla tutela patrimoniale, in considerazione del fatto che il mancato rispetto di una prece- dente obbligazione, quale che ne sia il fatto genetico, ha l’effetto non di depauperare

1 Così P. Nuvolone, Il diritto penale del fallimento, cit., 216 ss.

2 Per tutti cfr. C. Pedrazzi, Sub art. 217, in C. Pedrazzi, F. Sgubbi, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito. Artt. 216 - 227, parte del Commentario Scialoja - Branca. Leg- ge fallimentare, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma 1995, 167 ss.

il patrimonio, bensì di renderlo più capiente (ferma restando l’insinuazione dei cre- ditori insoddisfatti). Si tratta, quindi, di una fattispecie ad altissimo rischio di inco- stituzionalità, attesa la malcelata presunzione di colpa relativa alla continuazione dell’impresa, secondo un giudizio ex post3. Ma un’ulteriore, e più generale, conside-

razione pare chiudere il ragionamento: avendo cognizione della sentenza dichiarati- va, ogni fatto previsto all’art. 217 si connoterebbe, di per sé, di una fraudolenza ca- pace di attrarlo in seno alle fattispecie post-fallimentari4.

In secondo luogo, posto che con la sentenza civile viene fisiologicamente meno l’obbligo della tenuta delle scritture contabili, non potranno configurarsi neanche i reati che lo contemplino tra i propri elementi costitutivi5; in particolare, non è certa-

mente configurabile in forma post-fallimentare la bancarotta fraudolenta documenta- le derivata dall’«aver tenuto i libri e le scritture contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari»6. Sempre con

riferimento agli illeciti documentali, mentre resta pressoché immutato l’ambito con- cettuale e applicativo della ‘falsificazione’, trovano invece una specifica delimita- zione i concetti di ‘sottrazione’ e ‘occultamento’: il secondo, in effetti, sembra ridi- mensionarsi in favore del primo, sino quasi a scomparire, posto che con l’imposizione dell’obbligo di consegna delle scritture si opera una fisiologica esten- sione della prima nozione, la quale può immaginarsi anche senza un materiale spos- sessamento (specie in ragione del fatto che il concetto in esame è meramente fun- zionale e dunque da non confondere col significato che assume nell’art. 624 c.p.)7.

Con riferimento all’esposizione o al riconoscimento di passività inesistenti, ipotesi a cavallo tra il ‘documentale’ e il ‘patrimoniale’, la fattispecie pare concepibile in forma post-fallimentare con riguardo ai casi di acquiescenza, in sede di formazione del passivo, all’ammissione di domande per crediti simulati.

In terzo luogo, non pare concepibile la punizione di una dissipazione post- fallimentare, in considerazione del fatto che la stessa postula necessariamente il compimento di un atto distrattivo che re-immetta il fallito nel possesso dei beni, au- tonomamente punibile per se stesso.

Infine, con riferimento alla bancarotta preferenziale, la sua realizzazione a di- chiarazione intervenuta è ammissibile, con la precisazione che essa non può configu- rarsi nel caso in cui il fallito paghi un creditore privilegiato che avrebbe comunque trovato capienza nell’attivo fallimentare.

2.1 – I limiti cronologici e il fallimento-presupposto

Diversamente da quanto accade in relazione alle ipotesi pre-fallimentari, l’arco tem- porale nel quale si possono collocare i fatti di bancarotta post-fallimentare è inequi-

3 Ancora C. Pedrazzi, Sub art. 217, cit., 168.

4 In questi termini C. Pedrazzi, Reati fallimentari, cit., 148. 5 Così A. Fiorella, M. Masucci, I delitti di bancarotta, cit., 908.

6 Ex multis cfr. Cass. pen., Sez. V, 1° dicembre 2000, n. 12531/2001, in Dir. prat. soc., 2001, 84. 7 Sul tema del rapporto tra omesso deposito delle scritture e bancarotta documentale post-fallimentare,

cfr. S. Cavallini, Bancarotta documentale e omesso deposito delle scritture contabili: nel più sta (sem-

talune asserzioni dottrinali e giurisprudenziali, tentando un’opera di definitiva emarginazione della responsabilità da posizione o del dolo ‘colposo’ emergente dall’impiego della teoria dei cc.dd. segnali di allarme, a sua volta frutto della con- cezione della bancarotta come ‘delitto contravvenzionale’.

2. Il dolo delle fattispecie post-fallimentari

Prima di procedere alla descrizione dei connotati del dolo delle fattispecie di ban- carotta post-fallimentare, occorre delimitare chiaramente il campo dei delitti ipo- tizzabili, al netto dell’ampia formulazione prevista dall’art. 216, comma 2, che ri- chiama tutti i fatti di bancarotta fraudolenta ed è a sua volta richiamata dall’art. 223, comma 1, in chiave di estensione della soggettività attiva. A ben vedere, in- fatti, la circostanza dell’intervenuto fallimento (o di una delle altre condizioni pre- viste all’art. 236) influisce notevolmente sull’assetto dei delitti in esame, compor- tando un ampio spettro di conseguenze.

In primo luogo, devono escludersi tutte le ipotesi di bancarotta semplice, le quali non solo non prevedono una clausola estensiva analoga a quella disposta dall’art. 216, comma 2, l.f., ma sono anche tipizzate secondo modalità che ne rive- lano l’intrinseca natura pre-fallimentare. La considerazione è resa evidente in rela- zione alle fattispecie enucleate ai nn. 3 e 4, ove il riferimento al «ritardare il falli- mento» e al «richiedere la dichiarazione di fallimento» è un indice inequivoco, ma è del pari ampiamente dimostrabile con riferimento ai nn. 1 e 2 dell’art. 217, posto che l’effettuazione di spese personali eccessive, ovvero il compimento di «opera- zioni di pura sorte» non sono affatto concepibili una volta avuto luogo lo sposses- samento, se non ammettendo la sussistenza di una precedente distrazione rilevante

ex art. 216, comma 21.

Sembra apparentemente fare eccezione, in una logica del tutto distinta, la previ- sione dell’art. 217, n. 5, laddove incrimina l’imprenditore dichiarato fallito che «non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fal- limentare»: tali obbligazioni, per dottrina e giurisprudenza unanimi, devono tuttavia essere riferibili ad una diversa procedura, atteso che la ‘precedenza’ non avrebbe al- cun senso se non con riferimento ad una distinta – e già chiusa – procedura concor- suale2. Così, sembra possibile sostenere che quest’ultima ipotesi non costituisca una

forma di illecito post-fallimentare – o, meglio, post-concordatario – bensì un titolo di reato che si inserisce in un momento cronologicamente antecedente alla seconda epifania dell’insolvenza, nella cui valutazione penale risulta inevitabilmente attratto. Merita ancora sottolineare che l’art. 217, n. 5 risulta del tutto eccentrico rispetto alla tutela patrimoniale, in considerazione del fatto che il mancato rispetto di una prece- dente obbligazione, quale che ne sia il fatto genetico, ha l’effetto non di depauperare

1 Così P. Nuvolone, Il diritto penale del fallimento, cit., 216 ss.

2 Per tutti cfr. C. Pedrazzi, Sub art. 217, in C. Pedrazzi, F. Sgubbi, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito. Artt. 216 - 227, parte del Commentario Scialoja - Branca. Leg- ge fallimentare, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma 1995, 167 ss.

il patrimonio, bensì di renderlo più capiente (ferma restando l’insinuazione dei cre- ditori insoddisfatti). Si tratta, quindi, di una fattispecie ad altissimo rischio di inco- stituzionalità, attesa la malcelata presunzione di colpa relativa alla continuazione dell’impresa, secondo un giudizio ex post3. Ma un’ulteriore, e più generale, conside-

razione pare chiudere il ragionamento: avendo cognizione della sentenza dichiarati- va, ogni fatto previsto all’art. 217 si connoterebbe, di per sé, di una fraudolenza ca- pace di attrarlo in seno alle fattispecie post-fallimentari4.

In secondo luogo, posto che con la sentenza civile viene fisiologicamente meno l’obbligo della tenuta delle scritture contabili, non potranno configurarsi neanche i reati che lo contemplino tra i propri elementi costitutivi5; in particolare, non è certa-

mente configurabile in forma post-fallimentare la bancarotta fraudolenta documenta- le derivata dall’«aver tenuto i libri e le scritture contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari»6. Sempre con

riferimento agli illeciti documentali, mentre resta pressoché immutato l’ambito con- cettuale e applicativo della ‘falsificazione’, trovano invece una specifica delimita- zione i concetti di ‘sottrazione’ e ‘occultamento’: il secondo, in effetti, sembra ridi- mensionarsi in favore del primo, sino quasi a scomparire, posto che con l’imposizione dell’obbligo di consegna delle scritture si opera una fisiologica esten- sione della prima nozione, la quale può immaginarsi anche senza un materiale spos- sessamento (specie in ragione del fatto che il concetto in esame è meramente fun- zionale e dunque da non confondere col significato che assume nell’art. 624 c.p.)7.

Con riferimento all’esposizione o al riconoscimento di passività inesistenti, ipotesi a cavallo tra il ‘documentale’ e il ‘patrimoniale’, la fattispecie pare concepibile in forma post-fallimentare con riguardo ai casi di acquiescenza, in sede di formazione del passivo, all’ammissione di domande per crediti simulati.

In terzo luogo, non pare concepibile la punizione di una dissipazione post- fallimentare, in considerazione del fatto che la stessa postula necessariamente il compimento di un atto distrattivo che re-immetta il fallito nel possesso dei beni, au- tonomamente punibile per se stesso.

Infine, con riferimento alla bancarotta preferenziale, la sua realizzazione a di- chiarazione intervenuta è ammissibile, con la precisazione che essa non può configu- rarsi nel caso in cui il fallito paghi un creditore privilegiato che avrebbe comunque trovato capienza nell’attivo fallimentare.

2.1 – I limiti cronologici e il fallimento-presupposto

Diversamente da quanto accade in relazione alle ipotesi pre-fallimentari, l’arco tem- porale nel quale si possono collocare i fatti di bancarotta post-fallimentare è inequi-

3 Ancora C. Pedrazzi, Sub art. 217, cit., 168.

4 In questi termini C. Pedrazzi, Reati fallimentari, cit., 148. 5 Così A. Fiorella, M. Masucci, I delitti di bancarotta, cit., 908.

6 Ex multis cfr. Cass. pen., Sez. V, 1° dicembre 2000, n. 12531/2001, in Dir. prat. soc., 2001, 84. 7 Sul tema del rapporto tra omesso deposito delle scritture e bancarotta documentale post-fallimentare,

cfr. S. Cavallini, Bancarotta documentale e omesso deposito delle scritture contabili: nel più sta (sem-

vocabilmente delimitato dal rinvio alle norme fallimentari sostanziali. Infatti, il dies

a quo è costituito dalla data della dichiarazione fallimentare (che comporta lo spos-

sessamento ex art. 42 l.f.), il quale si determina avendo riguardo alla data del deposi- to della sentenza in cancelleria (art. 133 c.p.c.), senza la necessità che il provvedi- mento passi in giudicato, stante la sua provvisoria esecutività. Ai sensi dell’art. 120 l.f., poi, con la chiusura del fallimento cessano gli effetti sul patrimonio del decoctor e decadono gli organi preposti alla gestione coattiva: pertanto, il termine cronologico ultimo per la commissione di fatti di bancarotta post-fallimentare è segnato dalla ir- revocabilità del decreto di chiusura (art. 119 l.f.).

V’è, tuttavia, la possibilità che il fallimento sia riaperto nei casi e modi previsti dall’art. 121 l.f., e comunque entro cinque anni: in questa ipotesi, ovviamente, si ri- presenterà il presupposto per la commissione di fatti di bancarotta post-fallimentare. Nondimeno, sarà penalmente irrilevante quanto occorso nelle more della riapertura, almeno con riguardo alle norme in tema di bancarotta8: da un lato, poiché la senten-

za di riapertura non è affatto assimilabile alla sentenza dichiarativa, e dunque non può integrare validamente la condizione di punibilità; dall’altro, poiché una nuova incriminazione per bancarotta pre-fallimentare deve logicamente legarsi ad una ‘nuova’ e ‘diversa’ insolvenza.

A considerazioni analoghe, mutatis mutandis, si può pervenire con riferimento alla disciplina in tema di concordato preventivo, pur con tutte le notevoli criticità rilevate supra, sia con riferimento alla necessità dell’accertamento dell’insolvenza, sia, soprattutto, con riguardo all’estensione del rinvio previsto dall’art. 236 anche agli accordi di ristrutturazione dei debiti e alle convenzioni di moratoria9.

Senza eccezioni di sorta, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza assegnano al fallimento il ruolo di presupposto della condotta della bancarotta post-fallimentare, essendo logicamente antecedente a quest’ultima10; altrettanto concordemente, si af-

ferma che il momento consumativo coincide con la commissione della condotta in- tegratrice del fatto tipico e che il termine prescrizionale del reato deve ovviamente posticiparsi in coincidenza con la consumazione11.

Pur così giuridicamente delimitato l’arco cronologico, la realtà fattuale vede un’ulteriore riduzione del medesimo, concentrandosi nel momento in cui il curatore non abbia ancora effettuato la presa in consegna dei beni del fallito, ovvero abbia (posteriormente ad essa) lasciato i beni in custodia a quest’ultimo. Il fallito, in que- sta prospettiva, li possiede tanto nomine proprio, in quanto di sua proprietà, quanto

nomine alieno, atteso che di essi ha perso la disponibilità, transitata verso gli organi

fallimentari12: lo spossessamento conseguente alla dichiarazione di fallimento, per-

tanto, costituisce la vera e propria matrice della bancarotta post-fallimentare, della quale contrassegna inequivocabilmente la tipicità. In proposito, come è già stato magistralmente rilevato, lungi dall’essere unicamente un fatto storico, la dichiara-

8 C. Pedrazzi, Sub art. 216, cit., 105. 9 V. Cap. III, § 2.3.

10 Per tutti cfr. A. Fiorella, M. Masucci, I delitti di bancarotta, cit., 887.

11 Ex multis cfr. Cass. pen., Sez. V, 21 gennaio 2011, n. 18565, in CED, rv. 250082. 12 P. Nuvolone, Il diritto penale del fallimento, cit., 218.

zione di fallimento è «fonte di effetti giuridici: in quanto essa priva il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni (art. 42), e lo grava di una serie di obblighi nei confronti degli organi preposti alla procedura»13.

È dunque superfluo sottolineare che essa si riverbera sul tema della rilevanza o meno dell’errore circa la qualifica di fallito e circa l’esistenza della procedura con- corsuale in essere14: l’imprenditore sarà assoggettabile alla sanzione penale unica-

mente nel caso in cui sia consapevole della predetta qualifica, contribuendo quest’ultima a connotare in modo decisivo l’illiceità la condotta tipica.

2.2 – Dal pericolo alla lesione: le caratteristiche del dolo di bancarotta post- fallimentare

La qualificazione del fallimento come presupposto impone di tornare momentanea- mente sul tema dell’oggettività giuridica dei delitti di bancarotta e sulle modalità dell’offesa. In parziale dissonanza con quanto già rilevato in relazione alle altre ipo- tesi, si può osservare che la tutela creditoria non si aggancia qui al riferimento all’art. 2740 c.c., bensì allo spossessamento effettivo dell’imprenditore insolvente, che dà inizio alla gestione coattiva dei suoi beni: in breve, al limite sostanziale agli atti dispositivi derivabile dall’impero della legge civile si sostituisce la sentenza che accerta l’insolvenza dell’imprenditore, costituendo essa un diverso vincolo – preci- so, formalizzato, processuale – rispetto alla disposizione dei beni dell’impresa.

Ciò posto, ciascun atto non autorizzato costituisce prima facie una sottrazione dei beni alla procedura15 e certamente vale a rendere gli organi della stessa soggetti

passivi della condotta della bancarotta.

Nondimeno, questa inequivoca particolarità non influisce sul bene giuridico specifico, nel segno, in particolare, della tutela esclusiva o concorrente del corretto andamento della procedura concorsuale. Una vocazione esclusivamente processuali- stica del bene giuridico specifico della bancarotta post-fallimentare non sarebbe coe- rente con la disciplina e le conseguenze poste dalla revoca della sentenza dichiarati- va, che non eliderebbe certo l’avvenuta «parentesi processuale»16. In particolare, oc-

corre aver primario riguardo al fatto che la bancarotta, in ogni sua forma, è struttu- ralmente e storicamente un illecito posto a tutela del diritto di credito, e che soltanto lo scopo della norma ha una vocazione intimamente pubblicistica: la bancarotta post-fallimentare, in questo, non fa eccezione. Si può inoltre osservare che l’ipervalorizzazione del ruolo della curia fallimentare e dei suoi ausiliari sembra fondarsi su un equivoco di fondo: l’attività giurisdizionale non è infatti tutelata in quanto tale, ma nello spettro della soddisfazione degli interessi privatistici che vi so- no sottesi. Pur vero che la giurisdizione civile si appoggia quasi sempre a interessi di natura privatistica, esistono non poche fattispecie tese a proteggerne l’andamento (ad esempio l’art. 374 c.p.) o l’autorità (art. 388 c.p.), laddove essa viene garantita

13 Ancora C. Pedrazzi, Sub art. 216, cit., 105. 14 Da ultimo cfr. N. Pisani, Crisi di impresa, cit., 27. 15 P. Nuvolone, Il diritto penale del fallimento, cit., 25. 16 C. Pedrazzi, Sub art. 216, cit., 107.

vocabilmente delimitato dal rinvio alle norme fallimentari sostanziali. Infatti, il dies

a quo è costituito dalla data della dichiarazione fallimentare (che comporta lo spos-

sessamento ex art. 42 l.f.), il quale si determina avendo riguardo alla data del deposi- to della sentenza in cancelleria (art. 133 c.p.c.), senza la necessità che il provvedi- mento passi in giudicato, stante la sua provvisoria esecutività. Ai sensi dell’art. 120 l.f., poi, con la chiusura del fallimento cessano gli effetti sul patrimonio del decoctor e decadono gli organi preposti alla gestione coattiva: pertanto, il termine cronologico ultimo per la commissione di fatti di bancarotta post-fallimentare è segnato dalla ir- revocabilità del decreto di chiusura (art. 119 l.f.).

V’è, tuttavia, la possibilità che il fallimento sia riaperto nei casi e modi previsti dall’art. 121 l.f., e comunque entro cinque anni: in questa ipotesi, ovviamente, si ri- presenterà il presupposto per la commissione di fatti di bancarotta post-fallimentare. Nondimeno, sarà penalmente irrilevante quanto occorso nelle more della riapertura, almeno con riguardo alle norme in tema di bancarotta8: da un lato, poiché la senten-

za di riapertura non è affatto assimilabile alla sentenza dichiarativa, e dunque non può integrare validamente la condizione di punibilità; dall’altro, poiché una nuova incriminazione per bancarotta pre-fallimentare deve logicamente legarsi ad una ‘nuova’ e ‘diversa’ insolvenza.

A considerazioni analoghe, mutatis mutandis, si può pervenire con riferimento alla disciplina in tema di concordato preventivo, pur con tutte le notevoli criticità rilevate supra, sia con riferimento alla necessità dell’accertamento dell’insolvenza, sia, soprattutto, con riguardo all’estensione del rinvio previsto dall’art. 236 anche agli accordi di ristrutturazione dei debiti e alle convenzioni di moratoria9.

Senza eccezioni di sorta, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza assegnano al fallimento il ruolo di presupposto della condotta della bancarotta post-fallimentare, essendo logicamente antecedente a quest’ultima10; altrettanto concordemente, si af-

ferma che il momento consumativo coincide con la commissione della condotta in- tegratrice del fatto tipico e che il termine prescrizionale del reato deve ovviamente posticiparsi in coincidenza con la consumazione11.

Pur così giuridicamente delimitato l’arco cronologico, la realtà fattuale vede un’ulteriore riduzione del medesimo, concentrandosi nel momento in cui il curatore

Nel documento Il dolo nella bancarotta (pagine 152-160)