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Spunti per la qualificazione dell’insolvenza come elemento testualmente inespresso

Nel documento Il dolo nella bancarotta (pagine 88-100)

La ‘pregiudizialità fallimentare’: il ruolo e le vicende della sentenza dichiarativa

3. Spunti per la qualificazione dell’insolvenza come elemento testualmente inespresso

Nel delineare un modello che consenta di equilibrare le fattispecie di bancarotta con le esigenze di politica criminale e con il tipo criminoso che sottendono, occorre muovere dall’unica convinzione comune che unisce le diverse posizioni dottrinali descritte supra: restituire concreta offensività alle fattispecie in esame richiede di arricchire il disposto normativo con elementi ulteriori – anche testualmente inespres- si – ed eppure logicamente presupposti dalle norme incriminatrici.

Un’operazione preliminare ineludibile concerne la scelta del lessico da impiega- re, con la formulazione di concetti dai precisi confini semantici e da netti ambiti ap- plicativi, anche e soprattutto in considerazione del fatto che le fattispecie criminose che si confrontano con nozioni lato sensu economiche scontano notevoli difficoltà interpretative. Diversamente dai parametri tecnici, spesso impiegati per la definizio- ne di elementi statici della fattispecie (quali l’oggetto materiale o i mezzi), i concetti economici si legano invece alla dinamica stessa dell’illecito, come peraltro accade nel caso di specie. Inoltre, le discipline giuridiche e quelle economiche, pur nella lo- ro continuità, hanno evidenti diversità nei presupposti e nelle finalità: circostanza che può facilmente condurre, appunto, a equivoci semantici e concettuali128.

Si è visto come il disposto legislativo sia variegato: da un lato, gli artt. 216 e 217 fanno espresso richiamo alla sentenza dichiarativa di fallimento; dall’altro lato, l’art. 217, comma 1, n. 4 evoca il ‘dissesto’, così come gli artt. 223, comma 2, n. 1, e 224, comma 1, n. 2; infine, si recupera ancora il fallimento quale evento della previsione dell’art. 223, comma 2, n. 2, anche se esso viene comunemente interpretato ricondu- cendolo al dissesto/insolvenza, proprio in ragione del fatto che in questi casi svolge- rebbe eccezionalmente il ruolo di evento del reato129. Manca, invece, un qualsiasi rife-

rimento all’insolvenza, pur presente nella norma sul ricorso abusivo al credito (art. 218), nonostante che essa costituisca l’unico concetto del quale è chiara la base norma- tiva e la realtà ontologica; si tratta, com’è noto, dello status che si manifesta «manife-

126 S. Cavallini, La bancarotta fraudolenta “in trasformazione”, cit., 194; analogamente anche P.

Rivello, Recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione pre-

fallimentare, in Cass. pen., 2018, 1068.

127 Da ultimo cfr. Cass. pen., Sez. V, 17 settembre 2014, n. 5317/2015, in CED, rv. 262225.

128 C. Pedrazzi, Odierne esigenze economiche e nuove fattispecie penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1975,

1102.

129 Per tutti, C. Pedrazzi, Sub art. 223, in C. Pedrazzi, F. Sgubbi, Reati commessi dal fallito. Reati com- messi da persone diverse dal fallito. Artt. 216 - 227, parte del Commentario Scialoja - Branca. Legge fallimentare, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma 1995, 315 ss.

L’ancoraggio al pericolo concreto, in questa prospettiva, consente di ritagliare una quota di condotte che sono effettivamente meritevoli della sanzione penale, rilevan- done l’influenza rispetto alla consistenza del patrimonio aziendale.

La sentenza Sgaramella125, invece, chiude – almeno momentaneamente – il per-

corso evolutivo della giurisprudenza, andando a specificare ulteriormente le caratte- ristiche che concorrono a tipicizzare la condotta di bancarotta pre-fallimentare, letta nella prospettiva del centrale valore da assegnare all’insolvenza. La Suprema Corte nota che «la rilevanza sub specie di bancarotta fraudolenta patrimoniale del fatto di distrazione indipendentemente dalla distanza temporale che lo separa dalla sentenza dichiarativa di fallimento non comporta, peraltro, né l’indifferenza tout court di tale dato temporale, né la ricostruzione della fattispecie in esame in termini, sostanzial- mente, di pericolo presunto», provvedendo a costituire, al contrario, un giudizio im- postato su un duplice livello. In primo luogo, si pone sullo sfondo la situazione pa- trimoniale dell’impresa, che interviene a qualificare il contesto – secondo le cadenze già proprie della teoria della ‘zona di rischio’ – e costituisce quindi un primo filtro di selezione della condotta, che deve ritenersi sempre lecita se commessa in bonis e lontano dalla prospettiva dell’insolvenza. In secondo luogo, si guarda all’effettività dell’offesa, che viene messa in relazione con l’emissione della sentenza dichiarativa, dando valenza assoluta al fenomeno della bancarotta ‘riparata’.

Più nel dettaglio, sono tre gli ‘indici di fraudolenza’ dell’azione che la Suprema Corte si sforza di mettere in luce: a) la condizione patrimoniale dell’impresa e la si- tuazione economica al momento della condotta; b) il contesto dell’atto depauperati- vo, anche riferito ai rapporti del soggetto attivo con altre imprese; c) l’estraneità dell’atto gestorio rispetto ad una qualunque ragionevolezza, fermo il divieto del sin- dacato giudiziale sull’opportunità delle scelte imprenditoriali, in ossequio alla busi-

ness judgement rule. Pur avendo il merito di aver posto l’attenzione sul tema, la sen-

tenza in esame sembra non aver centrato del tutto l’obiettivo prefissato, soprattutto con la definizione degli ‘indici’ prefati. Mentre il contesto dell’azione è fondamenta- le per determinare la rilevanza della condotta, contribuendo a definirne la dimensio- ne finalistica, i secondi due indici appaiono rispettivamente non decisivi o indeter- minati: quanto alle cointeressenze del soggetto attivo, basterà evocare l’eventuale applicazione della clausola dei vantaggi compensativi in funzione di esclusione dei fatti di bancarotta (art. 2634, comma 3, c.c.); quanto alla ‘ragionevolezza’ dell’atto patrimoniale – ferma l’impossibilità di criminalizzare di per sé il rischio imprendito- riale di per sé – occorre tenere conto che essa sarà giudicata in un momento in cui si

125 Cass. pen., Sez. V, 23 giugno 2017, n. 38396, in CED, rv. 270763, con note di E. Fassi, La valutazio- ne della natura e degli elementi costitutivi della bancarotta fraudolenta patrimoniale e la ricerca degli “indici di fraudolenza” della condotta nel caso concreto, in Cass. pen., 2017, 4339 ss.; F. Brembati, La bancarotta fraudolenta patrimoniale tra principi costituzionali e “indici di fraudolenza”, in Le soc.,

2018, 645 ss.; S. Cavallini, La bancarotta fraudolenta “in trasformazione”: verso il recupero della di-

mensione lesiva dell’archetipo prefallimentare?, in Giur. it., 2018, 187 ss.; E. Bozheku, Continua il re-

styling della Cassazione in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta pre-fallimentare per distrazione:

alcune annotazioni in tema di dolo, in Parola alla difesa, 1/2018, 62 ss.

manifesterà ex post il suo insuccesso126, rendendolo un parametro altamente manipo-

labile e dunque scarsamente efficace quale fattore di selezione (come dimostra, ad esempio, la giurisprudenza in tema di vendite sottocosto127, pur ex ante coerenti con

la prospettiva di tamponare la falla economica dell’impresa).

3. Spunti per la qualificazione dell’insolvenza come elemento testualmente inespresso

Nel delineare un modello che consenta di equilibrare le fattispecie di bancarotta con le esigenze di politica criminale e con il tipo criminoso che sottendono, occorre muovere dall’unica convinzione comune che unisce le diverse posizioni dottrinali descritte supra: restituire concreta offensività alle fattispecie in esame richiede di arricchire il disposto normativo con elementi ulteriori – anche testualmente inespres- si – ed eppure logicamente presupposti dalle norme incriminatrici.

Un’operazione preliminare ineludibile concerne la scelta del lessico da impiega- re, con la formulazione di concetti dai precisi confini semantici e da netti ambiti ap- plicativi, anche e soprattutto in considerazione del fatto che le fattispecie criminose che si confrontano con nozioni lato sensu economiche scontano notevoli difficoltà interpretative. Diversamente dai parametri tecnici, spesso impiegati per la definizio- ne di elementi statici della fattispecie (quali l’oggetto materiale o i mezzi), i concetti economici si legano invece alla dinamica stessa dell’illecito, come peraltro accade nel caso di specie. Inoltre, le discipline giuridiche e quelle economiche, pur nella lo- ro continuità, hanno evidenti diversità nei presupposti e nelle finalità: circostanza che può facilmente condurre, appunto, a equivoci semantici e concettuali128.

Si è visto come il disposto legislativo sia variegato: da un lato, gli artt. 216 e 217 fanno espresso richiamo alla sentenza dichiarativa di fallimento; dall’altro lato, l’art. 217, comma 1, n. 4 evoca il ‘dissesto’, così come gli artt. 223, comma 2, n. 1, e 224, comma 1, n. 2; infine, si recupera ancora il fallimento quale evento della previsione dell’art. 223, comma 2, n. 2, anche se esso viene comunemente interpretato ricondu- cendolo al dissesto/insolvenza, proprio in ragione del fatto che in questi casi svolge- rebbe eccezionalmente il ruolo di evento del reato129. Manca, invece, un qualsiasi rife-

rimento all’insolvenza, pur presente nella norma sul ricorso abusivo al credito (art. 218), nonostante che essa costituisca l’unico concetto del quale è chiara la base norma- tiva e la realtà ontologica; si tratta, com’è noto, dello status che si manifesta «manife-

126 S. Cavallini, La bancarotta fraudolenta “in trasformazione”, cit., 194; analogamente anche P.

Rivello, Recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione pre-

fallimentare, in Cass. pen., 2018, 1068.

127 Da ultimo cfr. Cass. pen., Sez. V, 17 settembre 2014, n. 5317/2015, in CED, rv. 262225.

128 C. Pedrazzi, Odierne esigenze economiche e nuove fattispecie penali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1975,

1102.

129 Per tutti, C. Pedrazzi, Sub art. 223, in C. Pedrazzi, F. Sgubbi, Reati commessi dal fallito. Reati com- messi da persone diverse dal fallito. Artt. 216 - 227, parte del Commentario Scialoja - Branca. Legge fallimentare, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma 1995, 315 ss.

sta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni» (art. 5, comma 2, l.f.).

Ciò che pare opportuno valorizzare, in altri termini, è il concetto di ‘fraudo- lenza’, quale elemento centrale per operare una più stretta connessione tra l’azione e l’insolvenza, nella sua veste di elemento relazionale qualificante la prima: del resto, la scelta storica di tipizzare la bancarotta fraudolenta allude ad una partico- lare fenomenologia criminale, fatta di inganno e di sotterfugio, così come testimo- niato anche dal nomen iuris. In questo senso, occorre chiedersi se la ‘fraudolenza’ non possa essere, di per sé, indicativa di una particolare attitudine del fatto incri- minato, anche in considerazione del fatto che la rubrica appartiene al testo della legge130, pur non essendo ovviamente interessata dal processo di interpretazione,

riferibile invece alla fattispecie. Com’è stato lucidamente osservato, la rubrica è nondimeno gravida di conseguenze sul piano interpretativo131: mentre la fattispe-

cie ha una funzione classificatoria, selezionando i comportamenti in chiave bina- ria, il suo titolo contribuisce alla lettura ‘intensionale’ dei fatti tipici, evitando la diluizione disvaloriale fondata su una lettura scomposta degli elementi essenziali ovvero sulla perdita di significato degli stessi.

Il punto di partenza per l’ipotesi ricostruttiva che si intende proporre è dunque segnato dalle nozioni di insolvenza, dissesto e fallimento, per come già messe in luce supra: a) l’insolvenza è un elemento testualmente inespresso delle fattispecie di bancarotta, essendo necessariamente legato alla loro configurazione, e del quale si affronterà a breve la qualificazione; b) il dissesto si inserisce nella prospettiva dell’imprenditore (già, o divenuto) insolvente, determinando il grado di offesa agli interessi dei creditori, svolgendo la funzione di evento (di lesione) di taluni delitti;

c) il fallimento, esterno al fatto sia perché del tutto indipendente dall’azione e dal-

la volontà del reo, sia per il suo ruolo eminentemente processuale, costituisce una mera condizione estrinseca di punibilità, in consonanza con la formulazione del disposto normativo.

In questo senso, le nozioni del diritto fallimentare sembrano trovare una più pre- cisa collocazione nella teorizzazione della bancarotta (e, più in generale, del reato): la tipicità (integrata dall’insolvenza) esprime infatti il contenuto e la materia del di- vieto; tuttavia, solo il collegamento con la sanzione, eventualmente sottoposto a condizione, esprime la riprovazione dell’ordinamento per quel fatto, incarnando così compiutamente il precetto penale132. È dunque netto il confine tra fatto (tipico) e rea-

to (precetto)133: in questa prospettiva, non pare davvero possibile porre sullo stesso

piano i presupposti della punibilità ascrivibili al reo – incarnanti la meritevolezza di

130 Così V. Crisafulli, voce Disposizione (e norma), in Enc. dir., vol. XIII, Milano 1964, 205.

131 C. Sotis, Vincolo di rubrica e tipicità penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 1376 ss., il quale osser-

va anche che questo processo interpretativo è alla base della pronuncia costituzionale relativa al c.d. di- sastro innominato (art. 434 c.p.), laddove il Giudice delle leggi ha valorizzato in chiave interpretativa proprio la nomenclatura dell’illecito unitamente alla tipicizzazione delle condotte diverse dall’‘altro di- sastro’.

132 M. Donini, voce Teoria del reato, cit., 260 ss. 133 G. Delitala, Il “fatto”, cit., 55 ss. e 73.

pena – e quelli indipendenti da quest’ultimo e dalla sua volontà, diversamente cen- trati sulla questione politico-criminale dell’opportunità del punire134.

Circa l’appartenenza dell’insolvenza ai fatti di bancarotta, occorre rilevare che non si tratterebbe dell’unico caso in cui un «requisito tacito ma parimenti essenzia- le»135 non è esplicitato dalla norma incriminatrice, e occorre altresì notare che, in

punto di efficacia giuridica, non vi deve essere alcuna distinzione tra gli elementi espressi e quelli inespressi, naturalmente a patto che questi ultimi derivino inequivo- camente dalle disposizioni vigenti136.

Nel caso della bancarotta, questo legame è sostenuto da un triplice ordine di argomenti.

In primo luogo, se è vero che l’insolvenza è il presupposto sostanziale della di- chiarazione-condizione nella bancarotta pre-fallimentare, è altrettanto vero che essa è a fortiori il sostrato della dichiarazione-presupposto nelle fattispecie post- fallimentari, entro le quali svolge pacificamente un ruolo determinante, quasi fonda- tivo. Il collegamento con l’insolvenza, come si vedrà, costituisce il tratto più auten- tico della ‘fraudolenza’ obiettiva delle fattispecie, com’è a contrario dimostrato dall’assenza di ipotesi di bancarotta semplice post-fallimentare, che risultano del tut- to inconcepibili, e, in positivo, è confermato dall’identità sanzionatoria tra le fatti- specie pre- e post-fallimentari.

In secondo luogo, come è chiaramente messo in evidenza dalle dottrine della ‘zona di rischio’ e dell’imputazione obiettiva, scollegare l’azione del reo dalla con- sapevolezza dell’afferenza della condotta rispetto alle condizioni economiche dell’impresa significa destrutturare la logica stessa del reato, ovverosia il suo finali- smo lesivo verso le aspettative del ceto creditorio.

In terzo luogo, si può sottolineare che l’irrilevanza di un collegamento tra fatto tipico e insolvenza accredita l’idea che sia concepibile una fattispecie a comparti- menti stagni, in cui è necessario operare una scelta di valorizzazione rispetto alla condotta o, in alternativa, al fallimento. Nel primo caso, è evidente che si finiscono col reprimere le mere trasgressioni dell’etica imprenditoriale (alla mercé di un even- tuale ‘arbitrio dirigista’ del giudice); nel secondo caso, al contrario, si rischia di tor- nare all’equazione tra fallimento e bancarotta, laddove la seconda finisce sostan- zialmente per essere una condizione obiettiva del primo137.

134 G. Vassalli, Il fatto negli elementi del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 553.

135 Così, in relazione all’atto dispositivo nel delitto di truffa, cfr. F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, Padova 20145, 205.

136 Per tutti cfr. A. Pagliaro, Principi penalistici e dogmatica del reato, in Studi in onore di Giorgio Ma- rinucci, a cura di E. Dolcini, C. E. Paliero, vol. II, Milano 2006, 1604.

137 In modo non dissimile da quanto affermato ai primi anni del secolo scorso da G. Bonelli, Del fallimento, cit., o da A. Candian, Il processo di fallimento, Padova 1939, 504 ss., ovvero ancora da Al.

Rocco, Il fallimento, cit., 117 ss., che, come si è visto, teorizzava la sussistenza di una duplice presunzione (di causa e colpevolezza) tra fatto e fallimento; o, infine, da S. Longhi, Bancarotta, cit., 75 ss., R. Rovelli, Reati fallimentari, Milano 1952, 12 ss., e R. Provinciali, Manuale di diritto fallimentare, vol. II, Milano 1955, 1301 ss. (il quale, tuttavia, successivamente aderirà alla teoria condizionale; cfr. Id., Trattato, cit., 2611 ss.).

sta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni» (art. 5, comma 2, l.f.).

Ciò che pare opportuno valorizzare, in altri termini, è il concetto di ‘fraudo- lenza’, quale elemento centrale per operare una più stretta connessione tra l’azione e l’insolvenza, nella sua veste di elemento relazionale qualificante la prima: del resto, la scelta storica di tipizzare la bancarotta fraudolenta allude ad una partico- lare fenomenologia criminale, fatta di inganno e di sotterfugio, così come testimo- niato anche dal nomen iuris. In questo senso, occorre chiedersi se la ‘fraudolenza’ non possa essere, di per sé, indicativa di una particolare attitudine del fatto incri- minato, anche in considerazione del fatto che la rubrica appartiene al testo della legge130, pur non essendo ovviamente interessata dal processo di interpretazione,

riferibile invece alla fattispecie. Com’è stato lucidamente osservato, la rubrica è nondimeno gravida di conseguenze sul piano interpretativo131: mentre la fattispe-

cie ha una funzione classificatoria, selezionando i comportamenti in chiave bina- ria, il suo titolo contribuisce alla lettura ‘intensionale’ dei fatti tipici, evitando la diluizione disvaloriale fondata su una lettura scomposta degli elementi essenziali ovvero sulla perdita di significato degli stessi.

Il punto di partenza per l’ipotesi ricostruttiva che si intende proporre è dunque segnato dalle nozioni di insolvenza, dissesto e fallimento, per come già messe in luce supra: a) l’insolvenza è un elemento testualmente inespresso delle fattispecie di bancarotta, essendo necessariamente legato alla loro configurazione, e del quale si affronterà a breve la qualificazione; b) il dissesto si inserisce nella prospettiva dell’imprenditore (già, o divenuto) insolvente, determinando il grado di offesa agli interessi dei creditori, svolgendo la funzione di evento (di lesione) di taluni delitti;

c) il fallimento, esterno al fatto sia perché del tutto indipendente dall’azione e dal-

la volontà del reo, sia per il suo ruolo eminentemente processuale, costituisce una mera condizione estrinseca di punibilità, in consonanza con la formulazione del disposto normativo.

In questo senso, le nozioni del diritto fallimentare sembrano trovare una più pre- cisa collocazione nella teorizzazione della bancarotta (e, più in generale, del reato): la tipicità (integrata dall’insolvenza) esprime infatti il contenuto e la materia del di- vieto; tuttavia, solo il collegamento con la sanzione, eventualmente sottoposto a condizione, esprime la riprovazione dell’ordinamento per quel fatto, incarnando così compiutamente il precetto penale132. È dunque netto il confine tra fatto (tipico) e rea-

to (precetto)133: in questa prospettiva, non pare davvero possibile porre sullo stesso

piano i presupposti della punibilità ascrivibili al reo – incarnanti la meritevolezza di

130 Così V. Crisafulli, voce Disposizione (e norma), in Enc. dir., vol. XIII, Milano 1964, 205.

131 C. Sotis, Vincolo di rubrica e tipicità penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 1376 ss., il quale osser-

va anche che questo processo interpretativo è alla base della pronuncia costituzionale relativa al c.d. di- sastro innominato (art. 434 c.p.), laddove il Giudice delle leggi ha valorizzato in chiave interpretativa proprio la nomenclatura dell’illecito unitamente alla tipicizzazione delle condotte diverse dall’‘altro di- sastro’.

132 M. Donini, voce Teoria del reato, cit., 260 ss. 133 G. Delitala, Il “fatto”, cit., 55 ss. e 73.

pena – e quelli indipendenti da quest’ultimo e dalla sua volontà, diversamente cen- trati sulla questione politico-criminale dell’opportunità del punire134.

Circa l’appartenenza dell’insolvenza ai fatti di bancarotta, occorre rilevare che non si tratterebbe dell’unico caso in cui un «requisito tacito ma parimenti essenzia- le»135 non è esplicitato dalla norma incriminatrice, e occorre altresì notare che, in

punto di efficacia giuridica, non vi deve essere alcuna distinzione tra gli elementi espressi e quelli inespressi, naturalmente a patto che questi ultimi derivino inequivo- camente dalle disposizioni vigenti136.

Nel caso della bancarotta, questo legame è sostenuto da un triplice ordine di argomenti.

In primo luogo, se è vero che l’insolvenza è il presupposto sostanziale della di- chiarazione-condizione nella bancarotta pre-fallimentare, è altrettanto vero che essa è a fortiori il sostrato della dichiarazione-presupposto nelle fattispecie post- fallimentari, entro le quali svolge pacificamente un ruolo determinante, quasi fonda- tivo. Il collegamento con l’insolvenza, come si vedrà, costituisce il tratto più auten- tico della ‘fraudolenza’ obiettiva delle fattispecie, com’è a contrario dimostrato dall’assenza di ipotesi di bancarotta semplice post-fallimentare, che risultano del tut- to inconcepibili, e, in positivo, è confermato dall’identità sanzionatoria tra le fatti- specie pre- e post-fallimentari.

In secondo luogo, come è chiaramente messo in evidenza dalle dottrine della ‘zona di rischio’ e dell’imputazione obiettiva, scollegare l’azione del reo dalla con- sapevolezza dell’afferenza della condotta rispetto alle condizioni economiche dell’impresa significa destrutturare la logica stessa del reato, ovverosia il suo finali- smo lesivo verso le aspettative del ceto creditorio.

In terzo luogo, si può sottolineare che l’irrilevanza di un collegamento tra fatto tipico e insolvenza accredita l’idea che sia concepibile una fattispecie a comparti- menti stagni, in cui è necessario operare una scelta di valorizzazione rispetto alla condotta o, in alternativa, al fallimento. Nel primo caso, è evidente che si finiscono

Nel documento Il dolo nella bancarotta (pagine 88-100)