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Glossatori e Commentatori ed il problema della causa finalis

Il punto di svolta che segna il passaggio tra il XIII secolo e i secoli XIV-XV è che i Commentatori studiano il concetto in questione prevalentemente dal punto di vista della volontà del soggetto e non più solo da quello dell‟ordinamento.

Il punto nevralgico è rappresentato dalla distinzione tra causa impulsiva e causa finalis, già affrontato in tema di causa legis dai

Glossatori 24

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L‟attenzione viene incentrata sullo scopo che determina il soggetto ad agire: scopo alla cui presenza è vincolata l‟efficacia del negozio e la vitalità del rapporto stesso. Se lo scopo cade, si invalida il negozio giuridico e si estingue il rapporto sulla base della regola cessante causa, cessat effectus.

24 Vedi in F. Calasso, Il negozio giuridico cit., pp. 227ss. Secondo i

Glossatori come per ogni negozio è necessaria una causa, allo stesso modo la norma di legge richiede una giustificazione.Da qui nasce il concetto di causa legis, la cui natura può essere diversa a seconda che la causa operi come causa impulsiva ovvero movente occasionale per il legislatore, oppure come causa finalis intesa come principio di giustizia. Il problema della causa legis rappresenta il problema della legalità a cui è legata tanto la volontà del legislatore nel momento in cui dà vita alla norma giuridica, tanto quella del privato nel momento in cui dà vita al negozio giuridico.

27 Già Azzone nella Summa Codicis, tratta delle azioni aventi come scopo la ripetizione di quanto dato per una prestazione che poi risulti mancante:

«Inducit autem istam actionem causae defectus […]. Hoc ita, si causa fuerit finalis, id est, quae finita, vel non completa, voluit uterque restitui, quod datum est: secus si fuerit impulsiva causa, id est in corde tradentis retenta, ob quam impellebatur animo suo ad dandum. Illa nam non secuta, non parit repetitionem: ut puta, dedi tibi, ut te mihi redderem amiciorem, vel ut te provocarem ad proficiscendum mecum: nec profectus es, nec amicior factus es, non

ideo datur repetitio […]. est enim talis datio simplex donatio» 25

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In questo testo Azzone distingue bene quello che è rilevante per il diritto, e quindi tutelato, e quello che invece riguarda il mondo interiore del disponente.

Egli parte dal presupposto che la mancanza di causa genera l‟azione per la ripetizione, ma poi distingue: se la causa era una causa finalis, si può chiedere la ripetizione sia che manchi l‟adempimento di una parte, sia che la richiesta provenga da entrambe; al contrario, la causa impulsiva non genera alcuna ripetizione laddove ad essa non venga dato seguito. È il caso, ad esempio, del soggetto che dà qualcosa per ottenere in cambio che l‟altra parte sia indotta a partire con lui, se quest‟ultima decide poi di non partire, nulla può la prima parte contro ciò, e il suo dare si trasforma automaticamente in donazione.

Emerge dunque già un accenno della distinzione tra causa soggettiva e oggettiva, quella che poi sarà per l‟età moderna la fondamentale

28 distinzione tra motivi e causa: i motivi si collegano a qualcosa di più intimo che può aver indotto il privato a porre in essere l‟atto, ma di cui l‟ordinamento non si preoccupa; la causa, al contrario, interessa all‟ordinamento come giustificazione oggettiva del negozio e ad essa riconosce efficacia.

Cino da Pistoia, sulla scia del maestro Pietro da Belleperche, distingue nella vita degli istituti una causa momentanea, i cui effetti si realizzano istantaneamente, da una causa successiva, la quale necessita il trascorrere di un determinato periodo di tempo, affinché gli effetti possano spiegarsi.

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Prima di addentrarsi nella questione analizzata dai Commentatori circa la distinzione tra causa finalis e causa impulsiva, occorre però soffermarsi sul fatto che nel frattempo in ambito canonico e processuale il secolo XIII segna la distinzione tra causa proxima e causa remota.

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Non trascorrerà molto tempo che la distinzione verrà ad incidere anche l‟ambito civile.

Nel testo D. 41. 1. 31 (Paul. 31. ad ed.) si afferma che la traditio di per sé non è idonea al trasferimento della proprietà, ma perché ciò avvenga è necessario che essa sia preceduta da una vendita o da altra iusta causa. Partendo dunque da questo testo, i Glossatori elaborano una dottrina secondo la quale l‟acquisto della proprietà ha alla base due cause: una causa proxima, o modus, che si identifica con la traditio, cioè con l‟atto esteriore che realizza il passaggio di proprietà; e una causa remota, o titulus, per la quale realmente l‟acquisto avviene, che si identifica con la iusta causa.

26 F. Calasso, Il negozio giuridico cit., pp. 296ss.

27 F. A. Goria, Fra rinnovamento e tradizione: lo speculum feudorum di

29 Ad ogni actio deve corrispondere una causa, la quale però si presenta in due modi: nelle actiones in rem la causa remota è il titolo di acquisto del dominium, mentre quella proxima è data dal trasferimento del possesso; viceversa, nelle actiones in personam il contratto rappresenta la causa remota e l‟obbligazione la causa proxima.

Ma, se l‟origine è da ricondursi ad un testo romano, altrettanto non può dirsi per la conclusione di questa argomentazione: per il diritto romano, infatti, la iusta causa era l‟accordo giustificativo del trasferimento, mentre per un giurista medievale rappresenta il fondamento dell‟attribuzione definitiva, il fatto giuridico stesso che costituisce la fonte dell‟obbligazione.

Ma la contraddizione più grande ravvisata dai Glossatori è in ambito di ripetizione dell‟indebito: come è possibile che, in assenza dell‟obbligazione, a colui che per errore avesse eseguito la prestazione, il diritto romano negasse la rei vindicatio, in favore, invece, di un‟actio in personam diretta a recuperare la proprietà? Da qui nasce la causa putativa, ovvero si attribuisce valore causale alla convinzione delle parti circa l‟esistenza dell‟obbligazione, anche se in realtà inesistente.

A sostegno di ciò Baldo degli Ubaldi afferma che è sufficiente il consenso delle parti al trasferimento della proprietà, perché questa venga effettivamente trasferita; il trasferimento dunque non avviene sulla base del contratto, ma del consenso.

In questo modo si apre la strada che ammette il trasferimento astratto, per cui non ha alcuna importanza se la causa esista effettivamente o solo nella convinzione di chi ha fatto la traditio.

30 Il concetto di causa diviene, dunque, elemento soggettivo, spesso confuso con i motivi delle parti, anche se lo stesso Baldo espelle la causa impulsiva dal negozio sostenendo «quod est causa abusiva»

28 . La dottrina attribuisce maggior valore alla causa remota o proxima a seconda dei fini che vuole raggiugere.

In tale distinzione si ravvisa poi una sinonimia fra causa proxima e immediata e fra causa remota e mediata: di norma la prima viene utilizzata per individuare ciò che dà origine alla fattispecie concreta, mentre la seconda il movente primo del fatto.

Se ora torniamo ad analizzare il pensiero di Cino 29

vediamo che egli afferma:

«breviter dico, quod causa finalis est propter quam aliquid immediate conceditur; causa impulsiva est quae occasionem remotam praestat».

In breve, afferma Cino, la causa finale è quella per la quale qualcosa viene concesso immediatamente; la causa impulsiva invece è quella che fornisce un‟opportunità remota.

Per quel che riguarda la causa finalis, il rapporto causale dunque si qualifica in termini di immediatezza o mediatezza dei suoi effetti. Inoltre, laddove di fronte al dubbio circa la natura della causa di un atto negoziale i Glossatori presumevano fosse impulsiva, Cino

30

replica che:

28 E. Cortese, Causa (dir. interm.) in Enciclopedia del diritto, VI, Varese,

1960, p. 543.

29 Cino da Pistoia, Super codice, I, de episcopis et clericis,1. Generaliter (I,

3, 51), nn. 3-5.

31 «Sed contra videtur: quia dicitur in lege, quod si lego tibi domum, ut des Titio X, nisi legatum impleas, non habebis domum, et tamen non apparet, quod illud fuerit adiectum finaliter, vel occasionaliter, unde videtur quod pro causa finali in dubio praesumatur».

L‟esempio che Cino porta è quello del legato testamentario: il testatore lascia ad un soggetto una casa affinché questi poi dia X a Tizio. Nel caso di specie non si ha la certezza della natura della causa, se essa sia finale od occasionale, ma, dal momento che, se il soggetto non dà X a Tizio allora non otterrà la casa, si presume che siamo di fronte ad una causa finalis.

A contrastare quanto sostenuto dai Glossatori troviamo anche Bartolo da Sassoferrato, il quale in particolare critica un testo della Glossa Accursiana che affermava:

«Causa est quaedam de prateritis praecedens suasio, quo testamento nostro magis quem honoremus. Secundo modo diffinitur brevius: causa est animi implulsio a nobis expressa».

Stando al testo della Glossa la causa è una persuasione precedente, relativa al passato, per la quale onoriamo in misura maggiore qualcuno nel nostro testamento. Brevemente viene definita come un impulso dell‟animo da noi espresso.

Ancora una volta il riferimento è al diritto testamentario: la causa funge da motivo che spinge il testatore ad onorare qualcuno. La causa intesa come impulso dell‟animo assume in questo caso la veste di causa impulsiva, senza tenere conto del fatto che è necessario che tale motivo sia indotto da ciò che i Romani definiscono causa.

32 Tale critica viene avanzata da Bartolo

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,il quale ritiene che:

«Istae diffinitiones non sunt verae in hac materia quia in hac lege et in similibus appellatur causa ille actus unde procedit suasio, sive impulsio… Si nam respicis id quos iurisconsultus appellat causam, non appellat etiam eam proprie impulsionem, seu suasionem, sed appellat causam id, propter quod inducitur impulsio, seu suasio».

Da questo testo emerge nettamente la critica di Bartolo alla definizione della Glossa: innanzitutto, egli esordisce affermando la falsità di tali definizioni, il suo timore è che si stravolga la causa trasferendola dall‟obbiettività dell‟ordinamento alla soggettività del disponente.

Ciò che i giuristi chiamano causa non è l‟impulso o la persuasione che spinge il soggetto, ma la causa precede tale impulso, poiché essa è ciò che induce tale impulso o persuasione. E continua dicendo appunto che:

«Causa est quid praeteritum, vel instans, quo impellimur, ut aliquid disponemus».

Quindi la causa è quel quid, passato o presente, che induce a disporre di qualcosa.

Una vera svolta è segnata da Baldo degli Ubaldi, discepolo di Bartolo, a cui è già stato fatto accenno. Baldo rende il suo concetto di causa finalis:

31 Bartolo da Sassoferrato, Super IIª Infortiati, 35, de condiction. et

33 «Nam diffinitio finalis causae haec est: causa finalis est qua cessante

quis non esset facturus». 32

È un movente, dice, che si obiettiva nella figura negoziale che lo realizza; è quella con la cui cessazione qualcosa non dovrebbe essere fatto.

Se prendiamo ad esempio la compravendita, ciò che spinge un privato a vendere una cosa e un altro a comprarla è lo scopo di realizzare lo scambio della cosa con il suo valore. L‟ordinamento tutela questo scopo, tutela la volontà che mira a quello scopo.

Ciò che afferma Baldo è che solo la causa finalis è una causa vera e propria ed è la sola che trova tutela nel mondo del diritto; non c‟è spazio per il semplice e concreto motivo che ha spinto il contraente alla stipulazione, poiché questo non si consacra nella figura contrattuale.

Questa distinzione, tra causa finalis e causa impulsiva, così come appena affrontata, pone le radici per l‟inserimento nel linguaggio giuridico del termine “motivo”, che tuttora si contrappone alla causa vera e propria.

32 Baldo degli Ubaldi, ad Cod., de collationibus, auth. ex testamento (6, 20),

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CAPITOLO SECONDO

LE CODIFICAZIONI.

Sezione prima: le codificazioni ottocentesche.