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LA CAUSA DEL CONTRATTO- Evoluzione storica, dottrinale e giurisprudenziale nel diritto italiano e francese.

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea in Giurisprudenza

LA CAUSA DEL CONTRATTO

Evoluzione storica, dottrinale e giurisprudenziale

nel diritto italiano e francese

Il candidato

Il Relatore

Clarissa Jean Sica

Chiar.mo Prof. Aldo Petrucci

(2)

I Per questo elaborato un primo e sentito ringraziamento va al Professor Petrucci, che è stato per me un mentore dai primissimi giorni di università fino alla conclusione di questo percorso.

Vorrei, inoltre, ringraziare il Dottor Grillone, per la sua grande disponibilità e per il concreto e costante aiuto nella stesura della tesi.

Doveroso è poi ringraziare Gianmarco per il preziosissimo supporto linguistico-letterale.

A Mirella e Vittorio, amici fidati e compagni di università, dei quali non saprei fare a meno, un grazie di cuore.

Alla mia famiglia, che mi ha supportato e sopportato in questi lunghi anni, appogiando sempre e comunque le mie scelte: a loro devo dire grazie per la persona che sono oggi.

Infine a Edoardo per non avermi mai lasciata sola in questo lungo cammino, per avermi accompagnata con amore e pazienza verso l‟obbiettivo, ricordandomi sempre che niente è impossibile.

(3)

II

LA CAUSA DEL CONTRATTO

Evoluzione storica, dottrinale e giurisprudenziale nel diritto italiano e francese

Indice

PREMESSA INTRODUTTIVA ... 1

CAPITOLO PRIMO ... 4

INQUADRAMENTO STORICO: LA CAUSA DAL DIRITTO ROMANO ALLE CODIFICAZIONI... 4

1.1 La causa nel diritto romano. ... 4

1.1.1 Il responso di Aristone e la causa come datio. ... 6

1.1.2 Rapporti tra causa e συνάλλαγμα. ... 10

1.1.3 L‟acquisizione di un concetto di causa. ... 14

1.1.4 Illiceità e mancanza di causa. ... 15

1.1.5 Causa in astratto e causa in concreto. ... 18

1.2 Dal diritto romano al diritto medievale. Il diritto franco-longobardo. ... 20

1.3 I Glossatori: Ius naturale e Ius civile. ... 22

1.4 Glossatori e Commentatori ed il problema della causa finalis ... 26

CAPITOLO SECONDO ... 34

LE CODIFICAZIONI. ... 34

Sezione prima: le codificazioni ottocentesche. ... 34

2.1 Il concetto di causa nel Code Napoléon. ... 34

2.2 Sulla scia del Codice francese: il codice civile italiano del 1865. ... 42

2.3 La dottrina tedesca della causa. Differenze e confluenze dei modelli francese e tedesco. ... 46

(4)

III

Sezione seconda: il Codice civile italiano del 1942 ... 52

2.5 La teoria oggettiva: la causa come funzione economico-sociale. ... 52

2.6 La causa come funzione economico-individuale. ... 58

2.7 La stagione della causa concreta e la sentenza della Cassazione n. 10490 del 2006. ... 60

2.8 Il ritorno del giudizio di meritevolezza. ... 65

2.9 Applicazioni pratiche della causa concreta... 69

CAPITOLO TERZO ... 75

LA RIFORMA DEL DIRITTO DEI CONTRATTI IN FRANCIA. 75 3.1 Un primo tentativo di riforma: l‟Avant-projet Catala. ... 75

3.2 L‟Ordonnance n. 131 del 2016 e la scomparsa della nozione di causa. ... 85

CONCLUSIONI ... 95

(5)

1

PREMESSA INTRODUTTIVA

L‟obbiettivo di questo lavoro è analizzare la causa del contratto nell‟esperienza storica, nell‟ordinamento italiano e in quello francese.

Nella storia, nel tentativo di dare una definizione precisa al concetto di causa, si sono succedute diverse dottrine, le quali, attraverso accesi dibattiti, non ancora del tutto placati, hanno cercato di dare alla stessa un significato che esprimesse nel modo più idoneo la sua funzione. Oggi la causa si presenta in Italia come elemento essenziale del contratto, senza la quale si incorre in nullità; in Francia, invece, a seguito della recente riforma, non figura più esplicitamente tra gli elementi essenziali.

Pertanto, il lavoro procede analizzando la causa del contratto in Italia e in Francia, attraverso un‟opera di comparazione dalle origini fino alla situazione attuale dei due ordinamenti.

Il primo capitolo ha un‟impostazione precipuamente storica, trattando l‟evoluzione del concetto secondo un percorso comune ai due ordinamenti: il punto di partenza è il diritto romano, luogo di genesi della nozione di causa anche se non riferita esclusivamente al contratto in generale. Attraverso il pensiero di Labeone e Aristone e grazie alla lettura di alcuni frammenti tratti dal Digesto, viene messa in luce l‟importanza della nozione di causa e la rilevanza che assume il συνάλλαγμα all‟interno dei rapporti giuridici.

Il primo capitolo continua con l‟evoluzione giuridica medioevale, dove, attraverso l‟opera dei Glossatori e dei Commentatori e il dibattito sui significati di causa impulsiva e causa finalis, si pongono

(6)

2 le basi per la distinzione, ancora attuale, tra causa vera e propria e motivi.

Segue il secondo capitolo, relativo alle codificazioni dei due paesi, suddiviso a sua volta in due sezioni.

La prima sezione analizza la situazione ottocentesca e, in particolare, la nozione di causa nel Code Napoleon e nel Codice civile italiano del 1865: di notevole importanza è l‟analisi testuale di alcuni articoli dei due codici a testimonianza del fatto che il primo Codice civile italiano risente fortemente dell‟influenza francese tanto che tali articoli risultano, nella maggior parte dei casi, quasi una traduzione letterale dei rispettivi articoli francesi. Infine si affrontano due brevi parentesi: una sulla dottrina tedesca, di notevole importanza vista l‟influenza che avrà sul Codice italiano del 42‟, analizzando punti in comune e differenze con la dottrina francese; l‟altra relativa al progetto di codice italo-francese delle obbligazioni del 1927, il quale tuttavia non troverà seguito.

La seconda sezione affronta nello specifico il Codice civile italiano del 1942 e la situazione attuale: passando attraverso le diverse correnti dottrinali fondanti, dapprima, la teoria della causa come funzione economico-sociale, e poi la teoria della causa come funzione economico-individuale, si giunge alla stagione della causa concreta. La sezione si conclude con un‟analisi di alcune tra le principali sentenze della Suprema Corte di Cassazione in applicazione a recenti casi concreti.

Il terzo e ultimo capitolo analizza la situazione attuale francese e in particolare l‟ordinanza n. 131 del 2016 sulla base della quale è entrata in vigore la riforma del diritto dei contratti: il punto cruciale della riforma, per quel che riguarda la nostra trattazione, è la scomparsa, sebbene solamente formale, della nozione di causa dal Codice civile.

(7)

3 La trattazione termina con alcune osservazioni personali, sulla base dell‟evoluzione storica e dottrinale compiuta, circa la peculiarità dell‟istituto in esame.

(8)

4

CAPITOLO PRIMO

INQUADRAMENTO STORICO: LA CAUSA DAL

DIRITTO ROMANO ALLE CODIFICAZIONI.

1.1 La causa nel diritto romano.

Sebbene assai tortuoso e complesso sia stato il suo processo evolutivo, possiamo affermare con certezza che il concetto di causa affondi le sue radici nella giurisprudenza romana, anche se, a onor del vero, in tale esperienza giuridica, non fu mai elaborata una teoria generale della causa, ma si studiarono singole fattispecie ove la causa assumeva un ruolo rilevante.

La parola causa, da principio, avrebbe espresso il significato generale di „interesse‟, forse fin da subito accanto al significato di „processo‟1

.

Se si vuole partire dal diritto romano, è necessario prendere le mosse dalle categorie generali di contratto individuate nella giurisprudenza romana: quae contraentur, verbis, litteris, consensu, re. Queste tipologie di contratti erano caratterizzate dalle modalità con le quali, attraverso la propria volontà, le parti potevano vincolarsi: a far nascere l‟obligatio nelle prime due forme contrattuali erano i verba o le litterae, mentre nelle seconde la consegna di una res o solo il

(9)

5 consensus 2

;

tutti questi contratti venivano ad esistenza giuridicamente con un elemento causale già tipizzato.

L‟elemento causale è, infatti, di norma, oggettivo da un lato, in quanto espressione della funzione economico-sociale, soggettivo dall‟altro, come espressione della volontà delle parti.

Se ci spostiamo poi sul piano più generale degli atti, essi sono capaci di generare gli effetti previsti solo se consapevolmente rivolti ad un determinato fine. La volontà è mossa da una raffigurazione mentale del fine perseguito, perciò i concetti di elemento causante e di scopo coincidono: la causa è qualificata come movente e fine.

In questo senso un soggetto può validamente acquistare il dominium se la traditio è avvenuta per una iusta causa, ovvero legittimata e riconosciuta secondo lo ius.

Gaio stesso dice che mai la nuda traditio trasferisce il dominium, ma lo fa solamente se è stata preceduta da una vendita o da un‟altra iusta causa 3.

Se spostiamo lo sguardo, ad esempio, in ambito di possesso, affinché si ottenga l‟usucapione è necessario che il possesso sia giustificato; allo stesso modo, la giusta causa gioca un ruolo determinante per la concessione dell‟actio Publiciana, il mezzo di tutela pretorio offerto per proteggere una situazione di possesso qualificato diversa dal tradizionale dominium. Il pretore infatti afferma che, se qualcuno chiederà in giudizio ciò che gli è stato consegnato mediante traditio, in base ad una iusta causa, ma con un atto giuridicamente insufficiente o da chi non era proprietario, avrà diritto ad un‟azione.

2

Significativi sul tema: R. Santoro, La causa delle convenzioni atipiche, in

Le dottrine del contratto nella giurisprudenza romana, A. Burdese (a cura di),

Padova, 2006, pp. 85ss.; G. Broggini, Causa e contratto in Causa e contratto nella

prospettiva storico-comparatistica, L. Vacca (a cura di), Torino, 1997, pp. 9ss.

(10)

6 1.1.1 Il responso di Aristone e la causa come datio.

Di fatto numerosi sono i significati che la causa può assumere: Lantella4 ne stila un‟ampia lista: «elemento giustificatore della prestazione (ciascuna), motivo tipico di una classe di atti, funzione economico-sociale dell‟atto, funzione economico-sociale di un tipo di atti, funzione economico-sociale del modello eccellenziale entro un tipo di atti [...]».

Il passo cruciale da cui partire è D. 2.14.7 5, testo di Ulpiano, tratto dal libro 4 ad edictum

,

che recita:

«Iuris gentium conventiones quaedam actiones pariunt, quaedam exceptiones. 1. Quae pariunt actiones, in suo nomine non stant, sed transeunt in proprium nomen contractus: ut empio venditio, locatio conductio, societas, commodatum, depositum et ceteri similes contractus. 2. Sed et si in alium contractum res non transeat, subsit tamen causa, eleganter Aristo Celso respondit esse obligationem. Ut puta dedi tibi rem ut mihi aliam dares, dedi ut aliquid facias hoc συνάλλαγμα esse et hinc nasci civilem obligationem et ideo puto recte Iulianum a Mauriciano reprehensum in hoc: dedi tibi Stichum, ut Phampilum manumittas: manumisisti evictus est Stichus. Iulianus scribit in factum actionem a praetore dandam: ille ait civilem incerti actiones id est praescriptis verbis sufficere: esse enim contractum quod Aristo συνάλλαγμα dicit, unde haec nascitur actio».

4

L. Lantella, ‘Ultro citroque’: appunti teorici e storici sulla ‘lateralità’

degli atti, in Diritto e processo nell’esperienza romana. Atti del seminario torinese (4-5 dicembre 1991) in memoria di G. Provera, Napoli, 1994, p. 117.

5

Sull’argomento T. Dalla Massara, alle origini della causa del contratto.

(11)

7 Nel testo è riportato il responso di Aristone di fronte al problema della tutelabilità civile degli accordi non riconducibili ad alcuno dei nomina edittali, anche se di fatto non sappiamo se il responso sia stato dato in astratto oppure se sia riferito ad un caso concreto di contratto atipico.

I termini intorno a cui è impostato il discorso sono pactum e conventio, cui si ricollega l‟opinione di Pedio, il quale, in D. 2. 14. 1, afferma che non esiste contratto od obbligazione nascente da contratto che non presupponga una conventio, sia la stessa perfezionata con una datio o con le parole. All‟esordio del testo Ulpiano afferma che tra le conventiones iuris gentium quelle che ricevono tutela per mezzo di actiones passano in un proprium nomen contractus; a tal punto, si apre dunque la questione accennata poc‟anzi della tutelabilità di quelle convenzioni che invece non passano in uno schema contrattuale tipico.

Aristone infatti risponde acutamente a Celso che, qualora un rapporto non si trasformi in un contratto tipico, ma ne esista tuttavia una causa, si ha un‟obbligazione.

Il giurista fa poi riferimento ad un‟ipotesi di rapporto di do ut facias specificata in «ti ho dato Stico affinché tu affrancassi Panfilo», in cui però alla manomissione di Panfilo aveva fatto seguito l‟evizione di Stico, cosicché la fattispecie si era risolta in un facio ut des in cui tuttavia la datio di Stico, appunto, non ne aveva assicurato la proprietà all‟accipiente.

Ci sono a questo punto due opinioni contrastanti: quella di Giuliano secondo il quale il pretore sarà tenuto a concedere a costui un‟azione in fatto e quella contrapposta di Mauriciano, secondo il quale, invece, sarà esperibile un‟actio incerti e cioè l‟actio praescriptis verbis. Il paragrafo 2 si chiude con la constatazione, riferita a Mauriciano, del sussistere del contratto, chiamato da Aristone sinallagma, dal

(12)

8 quale comunque nasce un‟azione, benché si tratti di una conventio senza nomen.

Quel che è certo è che non ci sono prove a sostegno dell‟identificazione del contratto con il sinallagma, ma piuttosto la proposizione di Mauriciano va scissa: da una parte, c‟è il contratto che per il mondo romano è quello “tipico” e, dall‟altra, il sinallagma da cui in ogni caso nasce comunque un‟azione.

Secondo Dalla Massara6 appartiene ad Aristone l‟idea di contratto contemplante necessariamente la presenza della causa: essa rappresenta lo strumento in grado di far sì che ad un affare, sebbene non inquadrabile nei contratti indicati dall‟editto e quindi non ancora giuridicamente qualificato, venga attribuita dignità di contratto e pertanto riceva comunque una tutela in via di azione.

L‟opinione tradizionale, cioè quella dei Glossatori del XII secolo, è propensa a ritenere che il richiamo alla causa evochi l‟idea di un‟avvenuta datio, intesa almeno nel senso di esecuzione della prima prestazione, quale comportamento di dare o di facere o, per utilizzare un termine più moderno, di „sacrificio giuridico‟7

.

Il sussistere della causa fa nascere l‟obbligazione: di conseguenza, se causa e datio coincidono, è proprio questa seconda a dar luogo all‟obbligazione che ha per oggetto l‟adempimento della controprestazione: certo, a voler ritenere valida tale coincidenza, si finisce per privare il termine causa di autonomia semantica, sovrapponendola alla prima prestazione.

Come detto poc‟anzi, il giurista intende fondare la tutelabilità di una pretesa diretta all‟adempimento dei contratti atipici; se la causa fosse

6 T. Dalla Massara, La causa del contratto nel pensiero di Aristone: della

necessità di un contratto, in Scambio e gratuità: confini e contenuti dell’area contrattuale, L. Garofalo (a cura di), Padova, 2011, p. 189.

(13)

9 semplicemente l‟avvenuta datio, l‟attenzione rimarrebbe focalizzata sulla posizione del soggetto che ha ricevuto l‟attribuzione e si comprenderebbe, da questo punto di vista, solo il senso della condictio volta alla ripetizione 8 , riconoscendo certamente il sorgere di effetti obbligatori, ma nel senso che per il soggetto a favore del quale era eseguita quella prestazione sarebbe sorto l‟obbligo di restituire quanto ricevuto.

In tale visione la consegna della cosa segna la conclusione del contratto, facendo sorgere l‟obbligazione alla restituzione della cosa medesima; al contrario, per poter giustificare la pretesa all‟adempimento della controprestazione, è necessario spostare l‟attenzione sull‟obiettivo comune che i soggetti intendono realizzare piuttosto che sulle singole posizioni di questi.

Infatti, secondo quanto emerge dal ragionamento di Aristone, occorre che la tutela riconosciuta sia diretta ad ottenere il definitivo completamento dell‟operazione giuridica e non il suo azzeramento. Detto ciò, è chiaro che la causa è „unica‟, in quanto comune ad entrambe le parti, ed assume il significato di „funzione‟, di scopo giuridicamente rilevante che il contratto è volto a realizzare.

La causa di Aristone è specificatamente la causa del contratto e non dell‟obbligazione.

Il nocciolo della questione è ben colto da Piero de Francisci, il quale afferma che «I contratti innominati non si possono riassumere sotto nessuna delle figure gaiane: non si possono collocare fra i contratti reali, perché questi sono unilaterali, non fra i contratti consensuali, perché i contratti innominati sono produttivi di azione solamente quando una delle parti abbia eseguito la sua prestazione».9

8 Il riferimento è alla condictio indebiti o condictio causa data non secuta.

9 Così P. De Francisci, ∑υνάλλαγμα. Storia e dottrina dei cosiddetti

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10 Pertanto nessuno dei due modelli contrattuali è in grado di catturare i tratti essenziali della costruzione aristoniana; essa si fonda sulla corrispettività e sul legame funzionale tra le due obbligazioni, di cui l‟una richiede l‟adempimento dell‟altra.

Solo con un attento approfondimento del concetto di συνάλλαγμα sarà possibile comprendere la ragione più profonda di quanto finora detto.

1.1.2 Rapporti tra causa e συνάλλαγμα.

L‟unico altro passo conservato nei Digesta nel quale si parla di συνάλλαγμα, è il D. 50.16.19 che recita:

«Labeo libro primo praetoris urbani definit, quod quaedam „agantur‟, quaedam „gerantur‟, quaedam „contrahantur‟: et actum quidem generale verbum esse, sive verbis sive re quid agatur, ut in stipulatione vel numeratione: contractum autem ultro citroque obligationem, quod Graeci συναλλάγμα vocant, veluti emptionem venditionem, locationem conductionem, societatem: gestum rem significare sine verbis factam».

In questo frammento Labeone propone la propria definizione di contratto; dunque è lecito pensare che Aristone tenesse a mente l‟indicazione data da Labeone in relazione alla corrispettività obbligatoria quale nucleo centrale del contratto.

Tuttavia, rispetto alla nozione labeoniana, Aristone è intervenuto con alcune modifiche, rielaborando in maniera ponderata e consapevole il συναλλάγμα di Labeone.

(15)

11 Innanzitutto, quest‟ultimo lo identifica con il contratto stesso, mentre per Aristone il συναλλάγμα è strumentale alla descrizione dello schema strutturale della fattispecie; inoltre, se per Labeone la sinallagmaticità fa riferimento alle obbligazioni delle parti, in Aristone si riferisce, dato che il vincolo non è ancora sorto, ad un rapporto tra prestazioni considerate a prescindere dall‟esistenza di una precedente obbligazione, ma valutabili sotto un aspetto prevalentemente economico.

Stando al testo appena citato, l‟idea labeoniana10di contratto si fonda sulla reciprocità delle obbligazioni, le quali non nascono scisse, ma legate tra loro da un vincolo di immediato condizionamento.

Sicuramente questo giurista non era estraneo ad una prospettiva di applicazione di tale nozione alle fattispecie atipiche per dare loro un qualche grado di tutela, ma di fatto la definitio nasce con la diretta osservazione di figure tipiche quali l‟emptio venditio, la locatio conductio e la societas.

Già in Labeone è sottointeso quindi un primo tentativo di superamento della tipicità, che però non si realizza sul piano metodologico, rimanendo egli ancorato a figure tipiche per la costruzione di una definizione.

D‟altra parte, sicuramente il giurista deve avere bene in mente gli studi svolti da Aristotele in ordine ai due tipi di συναλλάγματα, ἑκούσια e ἀκούσια.

Nel libro V dell‟Etica Nicomachea (1130b, 30-34; 1131°, 1-9), il filosofo così ragionava: «Della giustizia particolare, viceversa, e del giusto ad essa corrispondente esistono due specie: una è quella che interviene nella distribuzione di onori o di beni materiali o di altri beni ripartibili, fra coloro che hanno la posizione di cittadini (in queste cose infatti uno può avere, rispetto all‟altro, un trattamento

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12 equo oppure iniquo); l‟altra specie è quella che agisce come giusto correttivo nei rapporti che si pongono fra gli uomini in dipendenza di atti compiuti dagli stessi. Nell‟ambito di questa seconda specie vanno distinti i rapporti volontari dipendenti da atti volontari (συναλλάγματα ἑκούσια) ed i rapporti involontari, pur dipendenti da atti volontari (συναλλάγματα ἀκούσια). Atti volontari produttivi di rapporti volontari sono ad esempio la vendita, la compera, il mutuo, la fideiussione, il comodato […]; quanto agli atti volontari produttivi di rapporti involontari, alcuni sono clandestini come il furto, l‟adulterio, il veneficio […] altri sono posti in essere con violenza come il plagio, l‟omicidio, la rapina, le lesioni, l‟ingiuria verbale, la diffamazione o l‟oltraggio».11

Al tempo di Aristone il pensiero aristotelico si studia molto fino a dare origine a numerose dottrine e correnti di pensiero. Degna di nota è la trasposizione giuridica della causa finalis aristotelica, che viene a combinarsi con le diverse dottrine stoiche.

Il punto di partenza è un‟idea di causa implicante un fine, contenente in sé il senso di proiezione verso uno scopo obiettivo.

Come sappiamo per Aristone però il συναλλάγμα assume anche un fondamentale ruolo giuridico: di fronte ad un contratto atipico si richiede il sussistere della causa, si rileva necessario il ricorrere del συναλλάγμα ed infine se ne trae il riconoscimento del prodursi di effetti obbligatori civili.

Parlare di causa e συναλλάγμα non si tratta di una mera duplicazione o ripetizione, ma i due concetti si integrano e completano: la funzione (causa) si realizza attraverso lo scambio e lo scambio realizza la funzione.

11 Così nella traduzione di F. Gallo, Ai primordi del passaggio della

sinallagmaticità dal piano delle obbligazioni a quello delle prestazioni, in Le dottrine del contratto cit., p. 73.

(17)

13 In questo contesto si colloca il pensiero di Santoro, il quale suggerisce la necessità che la causa sia una vera e propria causa negoziale «ossia che non rivesta quel carattere di gratuità che è proprio della donatio».12 In quest‟ottica la riconducibilità all‟area del negotium, contrapposta a quella della donatio, determina che un accordo produca effetti civilmente tutelati. Ottica non del tutto condivisibile sulla base del fatto che il συνάλλαγμα non si identifica con il contratto in generale, ma con un vincolo di scambio tra prestazioni, vincolo nato e legittimato dall‟esecuzione della prima prestazione; la causa dunque non può coincidere con una qualsiasi funzione negoziale, ma solo con quella realizzata dai contratti in cui vi sia uno scambio, il συνάλλαγμα appunto. E a ben vedere tanto lo scambio quanto il dono costituiscono forme di vincolatività sociale, ma sicuramente nello scambio si concretizza un meccanismo di immediata soddisfazione degli egoismi sociali che si trovano alla base delle società mercantili.

In dottrina si è talvolta sostenuto che la causa «non è il motivo, non è la funzione, è la ragion d‟essere dell‟obbligazione assunta, la sua giustificazione assunta, la sua giustificazione sostanziale, la „Ursache‟, la cosa nella sua essenza».13

In tale ottica si tende però a perdere la valenza finale, il senso di proiezione verso uno scopo insito nel pensiero di Aristone; la conseguenza di ciò è che, senza la valenza finale, la causa non potrebbe giustificare la tutelabilità della pretesa volta, anziché alla ripetizione di quanto già dato, all‟adempimento della controprestazione.

12 R. Santoro, La causa delle convenzioni atipiche, in Le dottrine del

contratto, cit., p. 90.

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14 1.1.3 L’acquisizione di un concetto di causa.

Come già detto, il passo da cui partire per l‟analisi della questione è il celebre passo del Digesto del quale si è appena parlato; ciò non esclude che l‟elaborazione della tematica affrontata da Aristone emerga anche da altri passi.

Così vediamo, ad esempio, in Paul. 5 ad Plaut. D. 19.4.214

,

Aristone afferma la necessità che l‟oggetto della permutatio sia esente da vizi occulti: in questo passo il giurista dal punto di vista della funzione assimila la permuta alla compravendita e per questo estende alcuni caratteri tipici della compravendita anche alla permuta, nello specifico la garanzia per i vizi occulti.

Ancora nel racconto di Ulpiano in D. 39.5.18 pr.-1, probabilmente mediato da Pomponio, si riporta l‟opinione di Aristone per cui solo in presenza di un negotium possono sorgere effetti obbligatori15: nel passo per l‟appunto si parla di negotium misto a donatio, ove, prevalendo la seconda causa e mancando lo scambio, non si possono produrre effetti obbligatori.

A ben vedere, dunque, l‟elaborazione di Aristone che collega il concetto di causa con un‟idea generale di contratto assume un ruolo fondamentale nell‟ascesa della prima ad elemento essenziale del contratto. Egli di fatto compie un‟operazione speculare a quella di Labeone, il quale aveva certo in mente la possibilità di elaborare un‟idea generale di contratto, però ancora non poteva dirsi uscito pienamente dallo scenario della tipicità. Non poteva, del resto, nessun giurista romano abbandonare in maniera definitiva il sentiero

14 T. Dalla Massara, La causa del contratto nel pensiero di Aristone: della

necessità di un contratto, in Scambio e gratuità cit., p. 216.

(19)

15 della tipicità: un sistema fondato su azioni tipiche poteva tollerare inevitabilmente solo nicchie di atipicità.

1.1.4 Illiceità e mancanza di causa.

Dopo aver trattato della causa nel solo aspetto che si riferisce al subesse, è opportuno accennare brevemente, senza scendere nel dettaglio, anche all‟ipotesi in cui una causa sia esistente, ma connotata da profili di illiceità.

Nel sistema del processo formulare, con riguardo, per esempio, al più generico e duttile dei tipi contrattuali, cioè la stipulatio, l‟emersione dell‟illiceità era affidata ad una serie di strumenti tipici della procedura tra cui l‟exceptio, opponibile da parte di colui che fosse convenuto in base ad una stipulatio rivelatasi illecita. Il pretore, di volta in volta, era chiamato a valutare i singoli casi.

In particolare, mettendo in atto la dialettica tra ius civile e ius honorarium, l‟exceptio avrebbe consentito di far affiorare, in modo più netto rispetto al caso in cui la controversia fosse stata su un contratto causale, la scissione tra il giudizio sul tipo della stipulatio (in sé, valido ed efficace per ius civile) e il sottostante assetto d‟interessi (eventualmente rivelatosi illecito per ius honorarium). Si aggiungeva a ciò il peculiare meccanismo della denegatio actionis, su diretto intervento del pretore, con il presupposto che l‟illiceità fosse immediatamente evidente. Il pretore poteva in questo caso semplicemente rifiutare la concessione del rimedio processuale alla parte richiedente.

(20)

16 Con il passare del tempo, e soprattutto in seguito all‟affermarsi della cognitio extra ordinem, venne meno la separazione tra ius civile e ius honorarium: la distinzione tra giudizio sul tipo, da un lato, e sull‟assetto di interessi, dall‟altro, iniziò a sfumare, e l‟attenzione si soffermò direttamente sulla causa, allo scopo di accertare direttamente la nullità del contratto, nonché eventualmente la nullità degli effetti. È in questo contesto che la causa iniziò ad assumere un ruolo centrale quale parametro di valutazione della liceità contrattuale.

Attingendo sempre dal Digesto, il passo a cui si deve fare riferimento è il prosieguo del discorso di Ulpiano:

D. 2. 14. 7. 3: «Si ob maleficium ne fiat promissum sit, nulla est obligatio ex hac conventione [...]».

Prima di addentrarsi nella questione occorre però effettuare alcune brevi premesse, cominciando dalla dubbia collocazione del passo: secondo Gallo16, il testo mal si concilia con il contenuto dei frammenti precedente e successivo. Il precedente, che è stato da poco affrontato, riguarda l‟esistenza della causa, il successivo tratta della sua mancanza e recita:

«Sed cum nulla subest causa, propter conventionem hic constat non posse constitui obligationem: igitur nuda pactio obligationem non parit, sed parit exceptionem».

In particolare la tesi di Gallo si fonda sulla presenza dell‟avversativa sed nell‟introdurre il frammento successivo, che sembra porre i due

16 F. Gallo, Synallagma e conventio nel contratto. Ricerca degli archetipi

della categoria e spunti per la revisione di impostazione moderna. Corso di diritto romano, Torino, 1992, p. 94.

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17 passi in relazione di contrapposizione piuttosto che di consequenzialità.

Al contrario Dalla Massara 17

ritiene che il passo si trovi esattamente nella sua collocazione naturale, poiché nel frammento precedente è presente un esplicito riferimento alla nullità del contratto concluso ob maleficium ne fiat.

In altri termini, prima il giurista avrebbe detto che, in caso di illiceità, dalla convenzione non sarebbero sorte obbligazioni, poi, generalizzando, avrebbe affermato che, ogniqualvolta si fosse potuto dire che nulla subest causa, dalla convenzione egualmente non sarebbero nate obbligazioni.

Dunque, i due frammenti non andrebbero visti in rapporto di contrapposizione ma nemmeno di consequenzialità, quanto piuttosto nel rapporto tra particolare e generale, così da giustificare perfettamente la presenza di quel sed.

La seconda considerazione da fare riguarda il dubbio se nel frammento D. 2. 14. 7. 3. si voglia parlare nello specifico della stipulatio, dato l‟utilizzo del verbo promittere, e non più in generale della conventio, il che sarebbe avvalorato dall‟uso esplicito del termine nel passo.

Secondo l‟osservazione di Dalla Massara, la questione viene risolta con la stessa facilità con cui egli risolve la prima: il dubbio si pone solo laddove si accolga l‟obbiezione della incerta collocazione del frammento, al contrario, tutti gli elementi conducono alla conclusione che nel passo si tratti della stipulatio.

Dopo queste osservazioni appare chiaro il ruolo della causa quale parametro di valutazione della liceità contrattuale.

(22)

18 Di fatto, poi, la nullità, derivante da illiceità della causa, che colpisce gli effetti del contratto, appare non tanto come sanzione dell‟ordinamento, ma assume piuttosto una valenza di rilievo sociale nei confronti dei soggetti protagonisti della conventio.

Dunque, il caso di illiceità della causa va giudicato alla stregua del caso di assenza della stessa (di cui tratta il frammento immediatamente successivo), dal momento che da entrambi scaturisce la nullità.

Rimane però da valutare se in relazione all‟assenza di causa ciò sia da ritenere circoscritto alle sole convenzioni atipiche oppure possa ricomprendere tutte le conventiones: se guardiamo il pensiero di Aristone, egli nello specifico si riferiva ai contratti atipici, ma di fatto il discorso poteva estendersi a qualunque tipo di convenzione.

Forse un‟indicazione sta nella conclusione del passo. Il ragionamento contenuto in D. 2. 14. 7. 4 si chiude con l‟enunciazione del principio per cui dal nudo patto non nasce azione, e quindi obbligazione, bensì soltanto eccezione. Nudo è quel patto, non riconducibile a fattispecie contrattuali tipiche o innominate, privo di causa, esso, tuttavia, se perfezionato non è nullo, ma non dà diritto ad una tutela attiva.

1.1.5 Causa in astratto e causa in concreto.

Sebbene non sia chiaro se il responso di Aristone sia riferito ad un caso concreto nello specifico oppure affronti la questione in generale, rimane un ultimo aspetto da trattare circa la pluralità di significati in cui può scindersi la causa.

(23)

19 Tale aspetto distingue la causa nella sua accezione astratta da quella concreta18, ovvero distingue le diverse cause tipiche dallo scopo che le parti vogliono attuare.

Partendo da quella in astratto, la causa si lega la maggior parte delle volte ad un tipo di contratto: nelle fonti troviamo, infatti, la causa venditionis, la causa conductionis, la causa societatis ecc.

Dunque è evidente l‟utilizzo del nomen in riferimento alle formule edittali: se la causa è prevista da tali formule, le si riconosce la produzione di effetti che ottengono una tutela civile.

Tuttavia alcune volte si trovano ipotesi di contratti privi di tutela, in quanto non corrispondenti a formule tipiche, la cui esistenza è comunque ammessa dalle fonti, ma su un piano solo sostanziale. È il caso ad esempio della permutatio, la quale non ha nomen, collocandosi dunque al di fuori delle tipicità edittali, ma realizza comunque una funzione propria e dunque merita una valutazione autonoma come causa contrattuale.

Per quanto riguarda invece la causa in concreto, essa si lega alla valutazione della liceità, dovendosi dunque specificamente avere riguardo allo scopo che le parti vogliono attuare, non potendo riferirsi alla funzione che astrattamente il tipo contrattuale realizza. Di fatto nessuna causa, specie quelle che possiedono un nomen riconducibile alle formule edittali, se considerata in astratto, potrà mai essere illecita; lo sarà nel momento in cui l‟assetto di interessi prefissatosi dalle parti lo sia.

Infatti i testi, che sono stati appena affrontati D. 2. 14. 7. 3 e D. 2. 14. 7. 4 sulla illiceità e mancanza di causa, sono da analizzare tenendo a mente tale elemento nella sua accezione concreta.

18 Vedi sul tema T. Dalla Massara, Alle origini della causa del contratto,

(24)

20

1.2 Dal diritto romano al diritto medievale. Il diritto franco-longobardo.

La cultura giuridica romana conosce in epoca medievale una lunga decadenza, il cui inizio risale all‟invasione longobarda, storicamente collocata dal VI al IX secolo.

Il problema più grosso da affrontare, prima per i Glossatori poi per i Commentatori e infine per i Trattatisti dell‟età moderna19 , risulta quello di dare una continuità alle istituzioni giuridiche del mondo antico.

Stupefacente è il fatto che il termine causa ricorra innumerevoli volte nella legislazione franco-longobarda.

Ad esempio nel testo dell‟editto di Rotari, al capitolo 361, si legge:

«Si quis alii pro quacumque causa wadia et fideiussorem de sacramento dederit, det ei spatium usque in duodecim noctis ad ipsum sacramentum dandum; et si forsan propter aegritudinem aut alia causa supervenientem in predictum constitutum non potuerit iurare, suspendatur causa usque ad alias duodecim noctis[...]»

La parola causa assume un primo significato di negozio rafforzato dalla wadia, un secondo come motivo occasionale che impedisce il sacramentum, laddove si afferma che per infermità o per altra causa sopraggiunta non possa prestare giuramento, ed infine indica la procedura stessa che viene sospesa per questa causa sopravvenuta. Un altro testo di grande importanza viene dal capitolo 8, De testibus di Liutprando:

19 F. Calasso, Il negozio giuridico, lezioni di storia del diritto italiano,

Milano, 1967. I Glossatori si collocano nei secoli XII-XIII, i Commentatori nei secoli XIV-XV e i Trattatisti nei secoli XVI-XVIII.

(25)

21 «Si qualiscumque causa inter conlibertus aut parentis convenerit aut acta fuerit, et homines boni tres aut quattuor interfuerent, non reprovetur postea ipsa causa, nisi eorum testimonium ambe partis credant, qui fuerent inter; pro cuius autem causa testis illi

testimonium reddederent, ipse homo causatori suo per sacramentum satisfaciat».20

In questo testo Liutprando evidenzia l‟importanza di una causa concordata in presenza di tre o quattro boni homines, la quale non può essere respinta alludendo alla falsità della testimonianza dei presenti; al contrario, la testimonianza di chi era presente si porrà a fondamento della causa di chi chiede il soddisfacimento di quanto concordato.

Inoltre, analizzando i testi, il termine causa compare spesso accanto ad alcuni aggettivi identificativi delle caratteristiche della causa stessa: causa iusta, legitima, inlicita, mala.

A queste associazioni terminologiche si aggiungono poi quelle di negozi compiuti causa pietatis o amicitiae o ancora causa Dei. Quest‟ultima in particolare mostra l‟importanza per un legislatore cattolico, quale quello di cui stiamo parlando, di concedere una tutela più ampia a quei negozi compiuti per finalità religiose.

Infine, passando in rassegna diversi testi dell‟epoca, si trovano numerose locuzioni che esprimono l‟elemento causale, il nesso che stringe le reciproche obbligazioni: pro eo quid, quia, in eo tenorem ut…, unde.

(26)

22

1.3 I Glossatori: Ius naturale e Ius civile.

Sebbene per avere una dottrina organica sulla causa del negozio sia necessario attendere i secoli XVI-XVII, già con i Glossatori troviamo alcuni tentativi se non proprio di sistematizzazione, quanto meno di individuazione dell‟idea alla base del concetto, con lo scopo di eliminare le numerose accezioni presenti e dare ad essa una valenza unitaria.

Nelle glosse la causa rappresenta la rilevanza giuridica dei fatti umani, intesi nella loro generalità, e in particolare l‟elemento attraverso il quale l‟ordinamento accetta la produzione di effetti giuridici, facendo sorgere con efficacia una operazione economico-sociale voluta dai privati.

La causa dell‟obligatio è definita come datio vel factum ed è questa materialità che avvicina due problemi in realtà lontani: la stipulatio e il pactum.

Se poi analizziamo un testo di Irnerio21vediamo che:

«Quare sine causa pactio non est efficax. Et quidem si ita paciscor ut prestaturum me aliquid promittam, desideratur causa qua pactum convalescat ad obligationem pariendam. Si enim do vel facio ut et tu mihi des vel facias, interventus rei naturalis est causa ob quam velis et per quam possis obligari».

In questo testo come prima cosa Irnerio specifica che senza causa un accordo non ha effetto. Subito dopo dice che se qualcuno si accorda così da impegnarsi a garantire qualcosa, allora, per produrre un‟obbligazione, è richiesta una causa in virtù della quale l‟accordo

21 Quaestiones de iuris subtil., VIII de transactionibus, cap. 10 (Biblioteca di studi superiori, vol. XVI, a cura di G. Zanetti, Firenze, 1958, pp. 38ss.).

(27)

23 assuma valore. Il ragionamento si conclude con l‟affermazione che se dunque quel soggetto dà o agisce affinché l‟altro dia o faccia qualcosa, il sopraggiungere del bene rappresenta la causa naturale a motivo del quale l‟altro può obbligarsi.

Vediamo quindi che senza la causa non si ha accordo, e che essa è necessaria affinché si abbia un‟obbligazione e l‟accordo acquisti valore.

Dunque con l‟avvenuta prestazione, consistente in un dare o facere, si crea quella situazione oggettiva che obbliga un soggetto verso un altro a un dare o facere: tale situazione oggettiva altro non è che la causa, la quale ha origine nella volontà stessa.

Nel testo appena analizzato torna nuovamente in risalto l‟elemento etico-religioso: l‟espressione causa naturalis che per i Romani indicava semplicemente qualcosa che si realizza a prescindere dalla volontà umana, per i Glossatori indica la volontà divina.

Siamo quindi di fronte a due mondi: il mondo dello ius naturale e quello dello ius civile. Immutabile, eterno, superiore e dominato dall‟aequitas, il primo, cui è subordinato il secondo, il mondo umano, mutevole e contingente.

L‟aequitas rappresenta la corrispondenza della norma umana al precetto divino; è la corrispondenza del rapporto giuridico con la sua causa.

Per completare il ragionamento, se analizziamo un testo delle Quaestiones 22 ,vediamo che:

«Condictionem parit obligatio aut merito cause unde nascitur, aut ratione illius quod in ea vertitur. Causa que talem parit obligationem aut naturali aut civili nititur iure. Naturalis est causa que datione

22 Quaestiones de iuris subtil., XXVI de condictionum et incertarum actionum differentia, cap. 8 (ed. cit., pp. 86-88).

(28)

24 subnixa est, cum res scilicet proficiscitur que condicatur. Hac ex causa condicitur vel tantumdem vel idem quod profectum est […]. Civilis causa que condictionem parit est stipulatio certa seu cyrographum: in quibus ex lege sic astringeris, ut recte possit intendi dare te oportere. In superioribus vero que rei nituntur interventu, nature ratio et rei equitas facit omnimodo teneri te in tantumdem vel idem quod profectum est».

Affrontando nel dettaglio il testo, si osserva che l‟obbligazione produce un‟azione di ripetizione o per merito della causa da cui si origina o in ragione di ciò in cui consiste l‟oggetto, e che la causa a fondamento dell‟obbligazione si poggia sul diritto naturale o su quello civile. Si specifica subito che la causa naturale è quella che trova fondamento nel dare, poiché appunto su essa ha origine la cosa su cui ci si accorda. Al contrario, la causa civile che genera un‟azione di ripetizione è una stipulazione determinata. Il testo esplicita poi che in queste ultime situazioni ci si vincola per legge così da poter a giusto titolo pretendere che ci venga dato qualcosa. Nelle prime, che in realtà si fondano sul sopraggiungere della cosa, il principio di natura e l‟equità della cosa fanno sì che in ogni modo ci si obblighi a dare qualcosa.

In particolare le Quaestiones affrontano il problema della causa per svilupparlo sul terreno della tutela processuale: la causa o l‟oggetto dell‟obbligazione danno luogo ad una condictio, tipico mezzo con cui si può ottenere l‟adempimento dell‟obbligazione in via processuale.

Poi si distingue la causa naturalis da quella civilis: la prima trova fondamento nel dare e il soggetto risulta obbligato in virtù del principio di natura e di equità; nella seconda il soggetto si vincola per

(29)

25 legge, in virtù di una stipulazione determinata, così da poter pretendere a giusto titolo che gli venga dato qualcosa.

La causa ha una sua funzione da adempiere, qualunque sia la sfera di diritto a cui si riferisce.

Il rispetto dello ius natuale assicura la liceità morale e giuridica, mentre la causa civile ne garantisce la vita nell‟ordinamento, attestandone la verità giuridica e la solidità. Ricordando che:

«Neque congruit equitatis rationi quemquam onerari, nisi iusta

precedat oneris causa». 23

Dunque, se non c‟è una giusta causa a sorreggere l‟obbligazione, l‟equità impedisce il sorgere dell‟obbligazione stessa.

La causa è la giustificazione dell‟atto di volontà del soggetto, la ragione di vita entro l‟ordinamento. Questa ragione vede la coesistenza necessaria di due libertà: da una parte, la volontà del privato, dall‟altra, la volontà dell‟ordinamento.

Ma, poiché la volontà del privato produce effetti giuridici solo se lo scopo pratico è riconosciuto dall‟ordinamento, ecco che tale volontà è libera, ma non arbitraria, è libera finché non leda l‟altra; le due libertà si pongono quindi in un ruolo di limitazione reciproca.

Evidente è che il termine causa si scambia frequentemente nel pensiero dei Glossatori con il termine ratio, assumendo la valenza di elemento equilibratore tanto nei confronti del legislatore che si occupa di regolare negozi e rapporti privati, tanto nei confronti dei privati stessi, per limitare la loro manifestazione di volontà entro i confini dell‟ordine giuridico.

23 Quaestiones de iuris subtil., VIII de transactionibus, cap. 6 (ed. cit., p.

(30)

26 Il mondo medievale in questi secoli vede diritto privato e diritto pubblico retti dalle stesse regole: negozi e leggi si presentano entrambi come dichiarazioni di volontà.

1.4 Glossatori e Commentatori ed il problema della causa finalis

Il punto di svolta che segna il passaggio tra il XIII secolo e i secoli XIV-XV è che i Commentatori studiano il concetto in questione prevalentemente dal punto di vista della volontà del soggetto e non più solo da quello dell‟ordinamento.

Il punto nevralgico è rappresentato dalla distinzione tra causa impulsiva e causa finalis, già affrontato in tema di causa legis dai

Glossatori 24

.

L‟attenzione viene incentrata sullo scopo che determina il soggetto ad agire: scopo alla cui presenza è vincolata l‟efficacia del negozio e la vitalità del rapporto stesso. Se lo scopo cade, si invalida il negozio giuridico e si estingue il rapporto sulla base della regola cessante causa, cessat effectus.

24 Vedi in F. Calasso, Il negozio giuridico cit., pp. 227ss. Secondo i

Glossatori come per ogni negozio è necessaria una causa, allo stesso modo la norma di legge richiede una giustificazione.Da qui nasce il concetto di causa legis, la cui natura può essere diversa a seconda che la causa operi come causa impulsiva ovvero movente occasionale per il legislatore, oppure come causa finalis intesa come principio di giustizia. Il problema della causa legis rappresenta il problema della legalità a cui è legata tanto la volontà del legislatore nel momento in cui dà vita alla norma giuridica, tanto quella del privato nel momento in cui dà vita al negozio giuridico.

(31)

27 Già Azzone nella Summa Codicis, tratta delle azioni aventi come scopo la ripetizione di quanto dato per una prestazione che poi risulti mancante:

«Inducit autem istam actionem causae defectus […]. Hoc ita, si causa fuerit finalis, id est, quae finita, vel non completa, voluit uterque restitui, quod datum est: secus si fuerit impulsiva causa, id est in corde tradentis retenta, ob quam impellebatur animo suo ad dandum. Illa nam non secuta, non parit repetitionem: ut puta, dedi tibi, ut te mihi redderem amiciorem, vel ut te provocarem ad proficiscendum mecum: nec profectus es, nec amicior factus es, non

ideo datur repetitio […]. est enim talis datio simplex donatio» 25

.

In questo testo Azzone distingue bene quello che è rilevante per il diritto, e quindi tutelato, e quello che invece riguarda il mondo interiore del disponente.

Egli parte dal presupposto che la mancanza di causa genera l‟azione per la ripetizione, ma poi distingue: se la causa era una causa finalis, si può chiedere la ripetizione sia che manchi l‟adempimento di una parte, sia che la richiesta provenga da entrambe; al contrario, la causa impulsiva non genera alcuna ripetizione laddove ad essa non venga dato seguito. È il caso, ad esempio, del soggetto che dà qualcosa per ottenere in cambio che l‟altra parte sia indotta a partire con lui, se quest‟ultima decide poi di non partire, nulla può la prima parte contro ciò, e il suo dare si trasforma automaticamente in donazione.

Emerge dunque già un accenno della distinzione tra causa soggettiva e oggettiva, quella che poi sarà per l‟età moderna la fondamentale

(32)

28 distinzione tra motivi e causa: i motivi si collegano a qualcosa di più intimo che può aver indotto il privato a porre in essere l‟atto, ma di cui l‟ordinamento non si preoccupa; la causa, al contrario, interessa all‟ordinamento come giustificazione oggettiva del negozio e ad essa riconosce efficacia.

Cino da Pistoia, sulla scia del maestro Pietro da Belleperche, distingue nella vita degli istituti una causa momentanea, i cui effetti si realizzano istantaneamente, da una causa successiva, la quale necessita il trascorrere di un determinato periodo di tempo, affinché gli effetti possano spiegarsi.

26

Prima di addentrarsi nella questione analizzata dai Commentatori circa la distinzione tra causa finalis e causa impulsiva, occorre però soffermarsi sul fatto che nel frattempo in ambito canonico e processuale il secolo XIII segna la distinzione tra causa proxima e causa remota.

27

Non trascorrerà molto tempo che la distinzione verrà ad incidere anche l‟ambito civile.

Nel testo D. 41. 1. 31 (Paul. 31. ad ed.) si afferma che la traditio di per sé non è idonea al trasferimento della proprietà, ma perché ciò avvenga è necessario che essa sia preceduta da una vendita o da altra iusta causa. Partendo dunque da questo testo, i Glossatori elaborano una dottrina secondo la quale l‟acquisto della proprietà ha alla base due cause: una causa proxima, o modus, che si identifica con la traditio, cioè con l‟atto esteriore che realizza il passaggio di proprietà; e una causa remota, o titulus, per la quale realmente l‟acquisto avviene, che si identifica con la iusta causa.

26 F. Calasso, Il negozio giuridico cit., pp. 296ss.

27 F. A. Goria, Fra rinnovamento e tradizione: lo speculum feudorum di

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29 Ad ogni actio deve corrispondere una causa, la quale però si presenta in due modi: nelle actiones in rem la causa remota è il titolo di acquisto del dominium, mentre quella proxima è data dal trasferimento del possesso; viceversa, nelle actiones in personam il contratto rappresenta la causa remota e l‟obbligazione la causa proxima.

Ma, se l‟origine è da ricondursi ad un testo romano, altrettanto non può dirsi per la conclusione di questa argomentazione: per il diritto romano, infatti, la iusta causa era l‟accordo giustificativo del trasferimento, mentre per un giurista medievale rappresenta il fondamento dell‟attribuzione definitiva, il fatto giuridico stesso che costituisce la fonte dell‟obbligazione.

Ma la contraddizione più grande ravvisata dai Glossatori è in ambito di ripetizione dell‟indebito: come è possibile che, in assenza dell‟obbligazione, a colui che per errore avesse eseguito la prestazione, il diritto romano negasse la rei vindicatio, in favore, invece, di un‟actio in personam diretta a recuperare la proprietà? Da qui nasce la causa putativa, ovvero si attribuisce valore causale alla convinzione delle parti circa l‟esistenza dell‟obbligazione, anche se in realtà inesistente.

A sostegno di ciò Baldo degli Ubaldi afferma che è sufficiente il consenso delle parti al trasferimento della proprietà, perché questa venga effettivamente trasferita; il trasferimento dunque non avviene sulla base del contratto, ma del consenso.

In questo modo si apre la strada che ammette il trasferimento astratto, per cui non ha alcuna importanza se la causa esista effettivamente o solo nella convinzione di chi ha fatto la traditio.

(34)

30 Il concetto di causa diviene, dunque, elemento soggettivo, spesso confuso con i motivi delle parti, anche se lo stesso Baldo espelle la causa impulsiva dal negozio sostenendo «quod est causa abusiva»

28 . La dottrina attribuisce maggior valore alla causa remota o proxima a seconda dei fini che vuole raggiugere.

In tale distinzione si ravvisa poi una sinonimia fra causa proxima e immediata e fra causa remota e mediata: di norma la prima viene utilizzata per individuare ciò che dà origine alla fattispecie concreta, mentre la seconda il movente primo del fatto.

Se ora torniamo ad analizzare il pensiero di Cino 29

vediamo che egli afferma:

«breviter dico, quod causa finalis est propter quam aliquid immediate conceditur; causa impulsiva est quae occasionem remotam praestat».

In breve, afferma Cino, la causa finale è quella per la quale qualcosa viene concesso immediatamente; la causa impulsiva invece è quella che fornisce un‟opportunità remota.

Per quel che riguarda la causa finalis, il rapporto causale dunque si qualifica in termini di immediatezza o mediatezza dei suoi effetti. Inoltre, laddove di fronte al dubbio circa la natura della causa di un atto negoziale i Glossatori presumevano fosse impulsiva, Cino

30

replica che:

28 E. Cortese, Causa (dir. interm.) in Enciclopedia del diritto, VI, Varese,

1960, p. 543.

29 Cino da Pistoia, Super codice, I, de episcopis et clericis,1. Generaliter (I,

3, 51), nn. 3-5.

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31 «Sed contra videtur: quia dicitur in lege, quod si lego tibi domum, ut des Titio X, nisi legatum impleas, non habebis domum, et tamen non apparet, quod illud fuerit adiectum finaliter, vel occasionaliter, unde videtur quod pro causa finali in dubio praesumatur».

L‟esempio che Cino porta è quello del legato testamentario: il testatore lascia ad un soggetto una casa affinché questi poi dia X a Tizio. Nel caso di specie non si ha la certezza della natura della causa, se essa sia finale od occasionale, ma, dal momento che, se il soggetto non dà X a Tizio allora non otterrà la casa, si presume che siamo di fronte ad una causa finalis.

A contrastare quanto sostenuto dai Glossatori troviamo anche Bartolo da Sassoferrato, il quale in particolare critica un testo della Glossa Accursiana che affermava:

«Causa est quaedam de prateritis praecedens suasio, quo testamento nostro magis quem honoremus. Secundo modo diffinitur brevius: causa est animi implulsio a nobis expressa».

Stando al testo della Glossa la causa è una persuasione precedente, relativa al passato, per la quale onoriamo in misura maggiore qualcuno nel nostro testamento. Brevemente viene definita come un impulso dell‟animo da noi espresso.

Ancora una volta il riferimento è al diritto testamentario: la causa funge da motivo che spinge il testatore ad onorare qualcuno. La causa intesa come impulso dell‟animo assume in questo caso la veste di causa impulsiva, senza tenere conto del fatto che è necessario che tale motivo sia indotto da ciò che i Romani definiscono causa.

(36)

32 Tale critica viene avanzata da Bartolo

31

,il quale ritiene che:

«Istae diffinitiones non sunt verae in hac materia quia in hac lege et in similibus appellatur causa ille actus unde procedit suasio, sive impulsio… Si nam respicis id quos iurisconsultus appellat causam, non appellat etiam eam proprie impulsionem, seu suasionem, sed appellat causam id, propter quod inducitur impulsio, seu suasio».

Da questo testo emerge nettamente la critica di Bartolo alla definizione della Glossa: innanzitutto, egli esordisce affermando la falsità di tali definizioni, il suo timore è che si stravolga la causa trasferendola dall‟obbiettività dell‟ordinamento alla soggettività del disponente.

Ciò che i giuristi chiamano causa non è l‟impulso o la persuasione che spinge il soggetto, ma la causa precede tale impulso, poiché essa è ciò che induce tale impulso o persuasione. E continua dicendo appunto che:

«Causa est quid praeteritum, vel instans, quo impellimur, ut aliquid disponemus».

Quindi la causa è quel quid, passato o presente, che induce a disporre di qualcosa.

Una vera svolta è segnata da Baldo degli Ubaldi, discepolo di Bartolo, a cui è già stato fatto accenno. Baldo rende il suo concetto di causa finalis:

31 Bartolo da Sassoferrato, Super IIª Infortiati, 35, de condiction. et

(37)

33 «Nam diffinitio finalis causae haec est: causa finalis est qua cessante

quis non esset facturus». 32

È un movente, dice, che si obiettiva nella figura negoziale che lo realizza; è quella con la cui cessazione qualcosa non dovrebbe essere fatto.

Se prendiamo ad esempio la compravendita, ciò che spinge un privato a vendere una cosa e un altro a comprarla è lo scopo di realizzare lo scambio della cosa con il suo valore. L‟ordinamento tutela questo scopo, tutela la volontà che mira a quello scopo.

Ciò che afferma Baldo è che solo la causa finalis è una causa vera e propria ed è la sola che trova tutela nel mondo del diritto; non c‟è spazio per il semplice e concreto motivo che ha spinto il contraente alla stipulazione, poiché questo non si consacra nella figura contrattuale.

Questa distinzione, tra causa finalis e causa impulsiva, così come appena affrontata, pone le radici per l‟inserimento nel linguaggio giuridico del termine “motivo”, che tuttora si contrappone alla causa vera e propria.

32 Baldo degli Ubaldi, ad Cod., de collationibus, auth. ex testamento (6, 20),

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34

CAPITOLO SECONDO

LE CODIFICAZIONI.

Sezione prima: le codificazioni ottocentesche.

2.1 Il concetto di causa nel Code Napoléon.

La storia della causa nella dottrina francese ha conosciuto ciclicamente l‟alternarsi tra teorie causaliste e teorie anticausaliste. I progenitori per quel che riguarda le idee alla base del Codice civile francese sono considerati J. Domat e R. J. Pothier.

Stando a quanto riporta M. Barcellona33, secondo Domat esistono quattro tipi di convenzioni: le prime tre sono do ut des, facio ut facias, do ut facias, quelle che noi oggi chiamiamo obbligazioni a prestazioni corrispettive, nelle quali, se manca la causa, la conventio è nulla.

Il quarto tipo di convenzione consiste nel dare o fare qualcosa senza ricevere nulla in cambio: essa corrisponde alle attuali obbligazioni a titolo gratuito e alle donazioni; in esse l‟accettazione forma la convenzione e alla base dell‟impegno vi è qualche ragionevole e giusto motivo che funge da causa.

Per R. J. Pothier la causa dell‟obbligazione consiste nello scambio, nel dare o facere che si riceve e per converso si dà o si fa; nelle

33 M. Barcellona, Della causa: il contratto e la circolazione della ricchezza,

(39)

35 liberalità è cause suffisante che una persona sola dia o faccia qualcosa.

In entrambi i casi dunque la causa così intesa si pone a fondamento della validità dell‟obbligazione e di conseguenza del contratto stesso. I due autori partono dalle convenzioni, di qualsiasi tipo esse siano, per parlare poi di causa riferita contemporaneamente all‟obbligazione e al contratto: oggettiva per i contratti sinallagmatici, dove l‟obbligo di una parte è il fondamento dell‟obbligo dell‟altra; soggettiva nei contratti gratuiti, in quanto riferita a quel ragionevole e giusto motivo di una parte.

Il riferimento a tale motivo ragionevole e giusto non sembra però appartenere anche a Pothier, per il quale è sufficiente un interesse di qualunque tipo, erodendo l‟accezione oggettiva della causa in favore del principio secondo cui solus consensus obligat.

Ma, a onor del vero, la cause suffisante di Pothier non si distacca molto dal motivo ragionevole e giusto di Domat: poca importanza ha il modo con cui viene chiamato, quello che conta è che quel vincolo non è il consenso, la volontà in quanto tale, ma l‟elargizione gratuita di un soggetto, che dà o fa qualcosa senza ricevere nulla in contropartita, e del quale, pertanto, ha rilevanza il solo spirito di liberalità.

Tutto ciò mostra evidentemente le difficoltà nel dare una definizione unitaria della causa e l‟oscillazione in dottrina tra teorie oggettive e soggettive.

Le dottrine anticausaliste 34

ritengono che la causa nei contratti sinallagmatici è nella controprestazione e dunque si confonde con l‟oggetto stesso; per cui l‟assenza di causa di una prestazione coincide con l‟assenza dell‟oggetto dell‟altra.

(40)

36 Una possibile obiezione è che l‟oggetto è il contenuto delle obbligazioni che il contratto sorregge, mentre la causa è costituita dallo scopo ultimo di tali obbligazioni.

Inoltre, essendo la causa uno strumento di controllo dell‟equilibrio dello scambio, un difetto di causa è compatibile con l‟esistenza dell‟oggetto quando la controprestazione è irrisoria: è il caso, ad esempio, nelle vendite con prezzo simbolico in cui comunque un oggetto c‟è, ma non è tale da giustificare la controprestazione.

Per molto tempo è prevalsa la teoria soggettiva, che vede la causa come lo scopo individuale che induce ad obbligarsi: decisiva è stata l‟incidenza esercitata dalla questione (condizionato dalla necessità di evitare che la nullità per mancanza di causa avesse effetti distruttivi sulla circolazione dei beni e sul diritto dei terzi acquirenti) della sua mancanza sulla nozione stessa di causa.

Oggi la tesi dominante riconosce alla causa una doppia veste: oggettiva ed astratta, se si prende in considerazione l‟esistenza dell‟obbligazione, la quale risulta uguale per ogni contratto dello stesso tipo negoziale ed è definita pertanto causa dell‟obbligazione; soggettiva o concreta, sulla base della quale se ne valuta la liceità nel concreto manifestarsi nel mondo giuridico, che coincide con i motivi determinanti ed è definita causa del contratto.

A volte però il dualismo tra causa dell‟obbligazione e causa del contratto, oltre a coincidere con il sopra esposto dualismo funzionale, sembra corrispondere a due successive concezioni della causa: la causa dell‟obbligazione sarebbe il frutto della concezione tradizionale, mentre la concezione più moderna guarderebbe alla causa del contratto intesa come motivo concreto e determinante. Questa distinzione, che veniva praticata normalmente dal diritto canonico, tuttavia, era ignorata dai compilatori del Codice napoleonico del 1804, i quali, recependo la teoria classica, presero in

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37 considerazione esclusivamente l‟aspetto astratto della causa dell‟obbligazione.

In pratica, seguendo le indicazioni di Domat e Pothier, questo Codice accolse l‟idea di causa come scopo realizzato, concezione dovuta al presupposto che la causa fosse lo scopo soggettivo, dunque, l‟interesse perseguito dalla parte, che come tale doveva necessariamente realizzarsi in concreto, per non incorrere in un‟ipotesi di mancanza di causa.

La causa nel codice fa la sua prima apparizione nell‟art. 1108 il quale recita:

«Quatre conditions sont essentielles pour la validité d'une convention : le consentement de la partie qui s'oblige; sa capacité de contracter; un objet certain qui forme la matière de l'engagement; une cause licite dans l'obligation».

L‟articolo riportato enuncia quattro condizioni essenziali per la validità del contratto, la mancanza delle quali fa sì che non ve ne sia uno valido: il consenso della parte che si obbliga, la sua capacità di contrarre, una cosa certa che forma la materia della convenzione (l‟oggetto) e una causa lecita per obbligarsi.

Dunque, pur senza darne una vera definizione, il Codice impone che il contratto abbia una causa e che essa non sia falsa o illecitae lo si capisce dall‟art. 1131, il quale esplicita che l‟obbligazione senza causa, o fondata su una causa falsa o illecita, non può avere alcun effetto:

«L'obligation sans cause, ou sur une fausse cause, ou sur une cause illicite, ne peut avoir aucun effet».

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38 Questa previsione si trasforma in realtà in un automatismo che vede la più diretta conferma all‟art 1132, secondo il quale le obbligazioni non sono invalide solo perché la causa non sia espressa:

«La convention n'est pas moins valable, quoique la cause n'en soit pas exprimée».

A ben vedere, la necessità che la causa non sia falsa è considerata dal punto di vista dei contraenti e, dunque, in prospettiva soggettiva, rilevando non solo la corrispondenza tra ciò che ha spinto le parti a vincolarsi e ciò che è previsto nel panorama ordinamentale, in virtù del quale ad un rapporto è accordata una certa tutela, ma dovendo pure trovare il riscontro di questa corrispondenza nello scambio concreto.

Questa condizione soggettiva viene però determinata in termini oggettivi riferendosi a ciò che le parti si scambiano: pertanto, a volte la causa oggettiva, intesa quale riconoscimento da parte dell‟ordinamento, va analizzata da un punto di vista soggettivo, inteso come motivo ragionevole e giusto o come cause suffisante che dir si voglia; altre volte la causa soggettiva, intesa come scopo che spinge i contraenti, va analizzata in chiave oggettiva come esistenza e trasferibilità dell‟oggetto

35 .

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