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Accountability e profili di rendicontazione sociale

GOVERNANCE E DI CONTROLLO NELLA P.A.

2.1.1. Corporate Social Responsibility e Teoria degli Stakeholder.

La letteratura internazionale92 ha ricondotto il tema della rendicontazione sociale a due principali filoni di studio: quello dei rapporti tra etica ed impresa (business ethics) e quello della responsabilità e le funzioni sociali riconosciute all’impresa (corporate social responsibility), che a loro volta discendono dalla concezione dell’azienda come sistema aperto e sono valorizzate dalla “teoria degli stakeholder”. Sul tema, vi sono studi recenti, anche alla luce delle attuali funeste dinamiche economiche, che hanno introdotto nel dibattito corrente il tema della responsabilità sociale di impresa, implicazione derivante dal riconoscimento della natura collettiva dell’impresa sociale93. La questione che in questa trattazione si accenna riflette il tema dell’impresa sociale (i cui caratteri sono estendibili anche alla produzione dei servizi erogati dalla Pubblica Amministrazione), entità in grado di cogliere opportunità non accessibili – o difficilmente accessibili – agli imprenditori individuali. Difatti, come si dirà in seguito, essa, rispetto a questi, presenta vantaggi sia nell’organizzazione della produzione sia a livello di qualità dell’output, e quindi aperta a raccogliere la sfida per promuovere i cambiamenti strutturali di cui hanno bisogno i nostri sistemi economici e sociali. L’“interesse generale della comunità” è

92 Cfr.: GABROVEC MEI, (2002), Economia, etica e valori d’impresa, in AA.VV., Scritti in

onore di Carlo Masini, tomo I, vol. III, Egea. Milano; MIO C., (2005), Corporate social

responsabilità e sistema di controllo: verso l’integrazione, Franco Angeli, Milano.

93 Cfr.: BORZAGA C., FAZZI L., (2011), Le imprese sociali, Carocci, Roma; MURRAY R.,

CAULIER GRICE J., MULGAN G., (2011), Il libro bianco sulla innovazione sociale, The Young Foundation e Nesta, London. (edizione italiana a cura di Alex Giordano e Adam Arvidsson – Societing; RIDLEY – DUFF R., SEANOR P., (2011), “Leadership and Social Entrepreneurship”, in Ridley – Duff R, Bull M. (a cura di), Understanding Social Enterprise. Theory &Practice, SAGE, London, pp. 193-209.

l’elemento rilevante alla base della legittimazione normativa della mission dell’impresa sociale, capace di innovare non solo prodotti e processi produttivi ma anche il modello di business, dimostrando che si può “fare impresa” per generare benefici di natura collettiva e senza massimizzare il proprio tornaconto economico a discapito di altri soggetti. Laddove tale modello ha trovato realizzazione, i suoi effetti, generatisi nell’arco di qualche decennio, sono ben visibili e costituiscono i più tipici risultati di un progetto di impresa sociale: maggiore disponibilità di beni di interesse collettivo - inclusione, coesione sociale, cura - che si accompagna alla creazione di nuova occupazione, di ricchezza economica e, non ultimo, di imprenditorialità. Le nuove iniziative di business orientate alla creazione di “valore condiviso”94 traggono origine dalle fenomenologie del cambiamento e dalle nuove conformazioni assunte dalle reti sociali. Difatti, le trasformazioni in campo sociale richiedono l’attivazione di un insieme consistente e differenziato di persone e una capacità di aggregazione in forma di soggetto collettivo capace di proporre comportamenti sociali che si pongono in discontinuità rispetto al passato. Questo processo, estremamente complesso e con notevoli margini di incertezza e imprevedibilità, può essere facilitato, o addirittura accelerato, grazie all’intervento di attori individuali e organizzativi che operano in veste di “changemakers”, di agenti di cambiamento95. Ma il livello di mobilitazione necessario per elaborare e introdurre elementi di innovazione sociale che investono sia le prassi che le politiche attraverso la produzione di beni e servizi, non può realizzarsi compiutamente all’interno dei confini di una singola organizzazione, per quanto quest’ultima sia esplicitamente orientata alla socialità; di qui l’importanza che assume e che dovrà assumere il fattore delle reti sociali96. Esse, dunque, appaiono sempre più come traiettorie sulle quali soggettività ampie e diversificate adottano un principio di coordinamento – la 94Cfr.:PORTER M.E., KRAMER M.R., (2011), “Creare valore condiviso”, in Harvard Business

Review Italia, n. 1/2, gennaio / febbraio, pp. 68-84.

95 Cfr.: ELKINGTON J., HARTIGAN P., (2008), Fuori dagli schemi. Gli imprenditori sociali

che cambiano il mondo, Etas, Milano.

96Cfr.:GOLDSMITH S., EGGERS W.D., (2010), Governare con la rete. Per un nuovo modello di

collaborazione – che è alternativo ai principi fin qui dominanti della burocrazia e dello scambio mercantile. In questo senso, è l’imprenditorialità in generale a connotarsi sempre più come funzione dell’azione collettiva, in grado di incidere positivamente su una molteplicità di aspetti: l’introduzione di nuove tecnologie e prassi di lavoro, la costruzione di alleanze strategiche e distretti, l’avvio di agenzie che promuovono innovazione e sviluppo locale. Nel caso delle imprese sociali tutti questi aspetti assumono una rilevanza ancora più evidente, in riferimento alla mission delle stesse, al valore di interesse collettivo dei beni prodotti ed in relazione alla possibilità di potersi dotare di sistemi di governance allargati. L’agire dell’imprenditore sociale, individuale o collettivo che sia, si ispira a una medesima e ben precisa logica che fonda il progetto d’impresa: la riorganizzazione e il coordinamento su scala allargata dei fattori di produzione e di redistribuzione della socialità e della ricchezza economica attraverso la costruzione di istituzioni collaborative97. Gli studi della responsabilità

sociale d’impresa98 prendono vita verso la fine del 1800 negli Stati Uniti, dove essa veniva inizialmente intesa come “filantropia” e pertanto si concretizzata in aiuti finanziari e donazioni, rivolte a opere di carattere sociale, effettuate su iniziativa personale dell’imprenditore che utilizzava a questo scopo una quota dei profitti aziendali. Successivamente, il concetto di responsabilità sociale acquista un’accezione più ampia: l’'impresa è ritenuta produttrice di effetti sull'ambiente, in particolare è responsabile dei “costi sociali” o “esternalità” negative che non sono valorizzate dai costi che compaiono in Conto economico, ma che l’impresa “scarica” sulla comunità99. In questi termini la corporate social responsibility è dunque un processo di comunicazione (degli effetti sociali, ambientali ed economici

97Cfr.: CARLINI R., (2011), L’economia del noi. L’Italia che condivide, Editori Laterza, Roma-

Bari; YUNUS M., (2010), Si può fare! Come il business sociale può creare un capitalismo più

umano, Feltrinelli, Milano.

98 Cfr.:VERMIGLIO F., (1984), Il “bilancio sociale” nel quadro evolutivo del sistema d’impresa,

Grafo editor, Messina; MATACENA A., (1993), La responsabilità sociale: da vincolo ad

obiettivo. Verso una ridefinizione del finalismo d’impresa”, in AA.VV, Scritti in onore di Carlo

Masini, tomo I, vol. III, Egea, Milano.

99 Cfr.: COASE R.H., (1960), The problem of social cost, in Journal of Law and Economics (trad.

che derivano dall’azienda100) che implica una relazione tra le parti in continua mutazione, e favorisce il trasferimento di informazioni da un soggetto all’altro per contribuire al processo di “democratizzazione”.

Dagli anni sessanta, con l’affermazione della teoria (approccio) degli

stakeholder si ha una ulteriore evoluzione del concetto di corporate social responsibility che si lega all’attuale interpretazione del fenomeno. In

sostanza, la responsabilità sociale dei manager non è quella di produrre il massimo profitto (obiettivo riconosciuto tradizionalmente agli azionisti), ma di effettuare un bilanciamento tra gli interessi di tutti gli interlocutori dell’azienda al fine di salvaguardare la vita e promuovere lo sviluppo dell’impresa nel lungo periodo. In questo senso la responsabilità sociale è assimilata a un sistema di governace allargata dell’impresa, che si sposta dai confini degli azionisti verso l’insieme di tutti i portatori di interesse (stakeholder).

La teoria degli stakeholder101 è stata una delle linee fondamentali del

processo di diffusione della corporate social responsibility e del bilancio sociale in ambito privato, ma si rivela oltremodo elemento centrale per spiegare l’introduzione e le potenzialità della rendicontazione sociale nel contesto pubblico. Il termine “stakeholder”, che non trova una specifica corrispondenza nella traduzione italiana, è stato formulato in primis nell’ambito degli studi di strategia aziendale statunitensi. La sua prima definizione si trova in un memorandum dello Standard Research Institute del 1963, dove viene riconosciuto che la sopravvivenza di un’organizzazione non è legata solo a coloro che ne detengono la proprietà sotto forma di azioni/quote, “stoke” (da cui stockholder), bensì dall’appoggio di una serie di soggetti che possiedono in essa un interesse “stake” (da cui stakeholder). Da questa iniziale definizione si svilupparono i successivi studi sull’approccio alla “strategia” con i contributi di Igor 100 Cfr.: GRAY R., OWEN D., ADAMS C., (1996), “Accounting and Accountability.Changes and

challenges in corporate social and environmental reporting”, Prentice Hall, London.

101 Cfr.: RHENMAN E., (1968), Industrial Democracy and Industrial Management, Tavistock

Publications Limited, London; FREEMAN R.E., (1984), Strategic Management: A Stakeholder

Approach, Pitman, Marshfield, Mass; ROBERTS R. W., (1992), Determinants of corporate social responsibility disclosure, Accounting, Organisations and Society, vol. 17, n. 4.

Ansoff e Robert Stewart in USA, di Rhenman in Svezia e poi, a metà degli anni settanta, della Wharton School of Business di Philadelphia , dove fu redatto il “Progetto stakeholder” all’interno delle ricerche sulle strategie del

management in condizioni ambientali perturbate102. Tali studi si caratterizzarono per la ricerca di un contemperamento delle istanze degli attori interessati (in senso positivo o negativo) rispetto a un certo comportamento (attivo o passivo) dell’azienda, al fine di sortire a una cooperazione di tutti gli stakeholder coinvolti al successo della strategia aziendale103. Tutti gli stakeholder sono qualificati come “partecipanti” all’azienda la quale riconosce ad essi il possesso di interessi legittimi nei suoi confronti. Nel nuovo approccio per stakeholder il ruolo del

management aziendale diventa dunque quello di indirizzare la strategia

aziendale alla ricerca di un giusto “bilanciamento” dei legittimi interessi in gioco, tentando di trovare un equilibrio fra esigenze diverse e spesso contrastanti, riconoscendo, in questo modo, una sorta di “remunerazione” a favore di tutti i soggetti che effettivamente contribuiscono alla sopravvivenza dell’azienda.

FIG. N. 6 - IL VANTAGGIO DI UNA RELAZIONE DURATURA CON GLI