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Capitolo 2: La guerra d’Algeria e l’Organisation de l’Armée Secrète

4. La guerra d’Algeria (1956-1957)

A causa del prolungamento dello stato d’emergenza deciso da Jacques Soustelle, governatore generale dell’Algeria, il governo decise di posticipare le elezioni nel territorio algerino, provocando il polemico abbandono dell’Assemblea da parte dei deputati dell’Unione democratica del Manifesto algerino, capitanati da Ferhat Abbas, seguendo l’esempio della sessantina di deputati musulmani che, già il 26 settembre 1955, votarono una mozione contro la politica di assimilazione coatta sostenuta da Soustelle. Mentre in Francia la sinistra chiedeva a gran voce la pace in Algeria, si assistette alla coalizione tra socialisti e radicali, riuniti nel «Fronte repubblicano», che vinse le legislative del 2 gennaio 1956.

Il primo febbraio il nuovo governo di Guy Mollet242, eletto presidente del Consiglio, ottenne la fiducia. Tra le prime ripercussioni politiche relative al conflitto si assistette alla nomina del generale Georges Catroux243 a ministro residente in Algeria, mentre Soustelle

abbandonò, il 2 febbraio, Algeri, sull’orlo di una nuova insurrezione. La rabbia algerina esplose il 6 dello stesso mese, quando gli «ultras»244 organizzarono una grande

manifestazione in segno di protesta, passata alla storia come la «giornata dei pomodori», in cui il neopresidente del Consiglio Mollet fu oggetto del lancio di ortaggi e di innumerevoli insulti. L’episodio, se da una parte convinse Mollet ad abbandonare la strada della pacificazione, dall’altra provocò le dimissioni di Mendès-France dalla vicepresidenza dell’esecutivo guidato dai socialisti.

Cedendo alle richieste degli «ultras» e dell’esercito, che richiedevano a gran voce l’impiego di elicotteri per pattugliare adeguatamente le zone dell’entroterra e un aumento degli effettivi

242 Guy Mollet (Flers, 1905 – Parigi, 1975) fu un deputato socialista, più volte nominato ministro e, nel

1956, presidente del Consiglio, a capo di un governo radical-socialista. Per ulteriori approfondimenti biografici, si veda: http://www.treccani.it/enciclopedia/guy-mollet/.

243 Georges Catroux (Limoges, 1877 – Parigi, 1969) fu un generale dell’esercito francese, reduce

d’Indocina, incaricato nel 1955 di negoziare il ritorno di Mohammed V sul trono marocchino. Nel 1956 fu nominato ministro residente in Algeria ma non ricoprì mai l’incarico a causa dell’opposizione dei nazionalisti. Per ulteriori approfondimenti biografici, si veda:

http://www.cheminsdememoire.gouv.fr/fr/georges-catroux.

69 militari, il 9 febbraio Guy Mollet nominò Robert Lacoste245 ministro dell’Algeria. Quest’ultimo presentò all’Assemblée nationale un progetto di legge che «autorizza[va] il governo a mettere in atto in Algeria un programma di crescita economica, di sviluppo sociale e di riforma amministrativa, e che gli consent[iva] di disporre di tutte le misure eccezionali per garantire il ritorno all’ordine, la protezione delle persone e delle cose, la salvaguardia del territorio»246, che fu seguito da una serie di decreti che, tra marzo e aprile,

permisero un notevole rafforzamento dell’apparato militare e delle sue operazioni, la possibilità di una mobilitazione generale in caso di necessità e la divisione dell’Algeria in tre zone (zona di pacificazione, zona di operazioni e zona vietata), ciascuna delle quali assegnata a un corpo militare specifico.

La legge sui poteri speciali fu approvata dal Parlamento il 12 marzo, nonostante prevedesse a sua volta la cessazione di numerose garanzie relative alla libertà individuale, mentre l’11 aprile i riservisti (disponibles) furono richiamati alle armi.

In reazione all’entrata in vigore della nuova legge, il Fronte di Liberazione Nazionale iniziò, il 16 marzo, una serie di attentati che da Algeri si diffusero, di pari passo con il terrorismo, in tutta la regione, obbligando il ministro Lacoste a imporre il coprifuoco per ristabilire il controllo dell’area. La misura, però, fu insufficiente, e il 18 maggio, nella città di Orano, il commando dell’Armata di Liberazione Nazionale noto con il nome di «Ali Khodja», aiutato dalla popolazione locale, uccise venti giovani soldati, appena richiamati.

Nell’estate del 1956, intanto, tra Roma e Belgrado, i delegati del Fronte di Liberazione Nazionale M’hamed Yazid247 e Abderrahmane Kiouane248 aprirono una serie di negoziati

con Pierre Commun della Section Française de l’Internationale Ouvrière (SFIO)249, con l’obiettivo

di convincere Mollet a concedere una tregua dai combattimenti, sfruttando anche la mediazione del sultano marocchino e del leader tunisino Bourguiba. Il giorno dopo una di queste riunioni, tenutasi a Rabat (Marocco) il 21 ottobre, i dirigenti del Fronte di

245 Robert Lacoste (Azerat, 1898 – Périguex, 1989) fu governatore generale e ministro dell’Algeria dal

febbraio 1956 al maggio 1958. Nel corso della sua carriera, ricoprì numerosi incarichi istituzionali. Per ulteriori approfondimenti biografici, si veda: http://www.salan.asso.fr/Biographies/lacoste.htm.

246 B. STORA, La guerra d’Algeria, cit., p. 27.

247 M’hamed Yazid (Blida, 1923 – 2003) fu un politico algerino aderente al Fronte di Liberazione

Nazionale, di cui fu nominato rappresentante negli Stati Uniti, dove partecipò a varie assemblee dell’ONU. Per ulteriori riferimenti biografici, si veda: https://fr.wikipedia.org/wiki/M%27hamed_Yazid.

248 Abderrahmane Kiouane fu un membro del Fronte di Liberazione Nazionale, del quale fu nominato

ambasciatore in Cina nel 1961. Con l’indipendenza dell’Algeria, finì il suo impegno politico. Per ulteriori approfondimenti biografici si veda: B. STORA, Dictionnaire biographique de militants nationalistes

algériens, Parigi, L’Harmattan, 1985, p. 289.

249

La Section française de l’Internationale Ouvrière fu un partito politico di sinistra attivo tra il 1905 e il 1969.

70 Liberazione Nazionale Hocine Aїt Ahmed, Mohamed Boudiaf, Ahmed Ben Bella e Mohamed Khider, tutti a bordo dell’aereo che li avrebbe dovuti portare a Tunisi, furono intercettati dall’aviazione francese e incarcerati (fino alla fine della guerra), mettendo fine alle speranze di negoziati con Mollet.

Il sequestro dei leader del Fronte e la feroce repressione messa in atto dai francesi spinsero così migliaia di giovani algerini ad arruolarsi nella resistenza algerina e portare avanti la lotta armata. Lacoste richiese allora al presidente di Consiglio la nomina di un nuovo comandante di comprovata fiducia da assegnare alle forze militari presenti in Algeria: la scelta ricadde sul generale Raoul Salan250, reduce dell’Indocina ed esperto in operazioni di controsovversione.

I giorni a cavallo tra il dicembre 1956 e il gennaio 1957 furono resi incandescenti dall’assassinio di Amédée Froger, presidente della federazione dei sindaci d’Algeria e attivo portavoce dei francesi presenti sul territorio, che diede il via a una vera e propria «caccia al musulmano» nelle vie di Algeri. Il governo generale di Lacoste, intanto, reagì ricorrendo ancora una volta ai poteri speciali e assegnando la «pacificazione» della città al generale Jacques Massu251, comandante della 10a divisione paracadutisti.

Massu, a capo di 8 mila parà, entrò ad Algeri il 7 gennaio 1957 dando inizio alla famosa «battaglia di Algeri», che dopo le esplosioni del 9 e 10 gennaio avvenute in due stadi della città, raggiunse l’apice della violenza il 26 con due gravissimi attentati coordinati, al bar

L’Otomatic e alla brasserie Coq hardi che provocarono la brutale reazione degli europei,

esasperati dalla situazione. L’esercito entrò nuovamente in azione due giorni dopo, quando lo sciopero proclamato dal Fronte in concomitanza con la discussione sul conflitto algerino all’Organizzazione delle Nazioni Unite venne stroncato sul nascere, grazie all’impegno del

250 Raoul Salan (Roquecourbe, 1899 – Parigi, 1984) fu un generale dell’esercito, già comandante in capo

delle forze militari francesi durante la guerra d’Indocina. Fu tra i fondatori dell’Organisation de l’Armée

Secrète e una sorta di capo spirituale per tutti i suoi aderenti, dai quali era chiamato «Soleil». Per

ulteriori approfondimenti biografici, si veda: R. KAUFFER, OAS. Histoire d’une guerre franco-française, cit., p. 427; E. GUICCIARDI, È morto a Parigi Salan, il generale clandestino che tradì de Gaulle, «La Repubblica», 04.07.1984 (disponibile online all’indirizzo:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/07/04/morto-parigi-salan-il-generale- clandestino.html).

251

Jacques Massu (Châlons-sur-Marne, 1908 – Conflans-sur-Loing, 2002) fu comandante dell’esercito francese in Indocina, dove ristabilì l’ordine a Saigon e occupò Hanoi. Nel 1955 fu promosso generale di brigata e gli venne affidata una divisione di paracadutisti. Durante la guerra d’Algeria, fu inoltre inviato per un breve periodo a Porto Said a causa della crisi di Suez (1956). Per ulteriori approfondimenti biografici, si veda: http://www.treccani.it/enciclopedia/jacques-massu/; G. MARTINOTTI, Muore Massu,

il generale della battaglia d’Algeri, «La Repubblica», 28.10.2002 (disponibile online all’indirizzo:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/10/28/muore-massu-il-generale-della- battaglia.html).

71 generale Massu. Disponendo dei pieni poteri di polizia su Algeri, quest’ultimo si dedicò al ristabilimento dell’ordine smantellando la «zona autonoma di Algeri» (ZAA), controllata dal Fronte diretto da Yacef Saadi252 e concentrata all’interno della Casbah, il quartiere

musulmano costruito su una collina all’interno della città. Per riuscirci, Massu non ebbe paura di utilizzare tutti i mezzi in suo potere, rispondendo alla violenza dei terroristi algerini con la violenza delle truppe ai suoi ordini: perquisizioni, arresti di massa, schedature e sfruttamento dei «centri di transito e di identificazione» si accompagnarono al ricorso sistematico alla tortura253.

L’uso della tortura non fu una novità. Utilizzato già nei primi mesi del conflitto, infatti, fu oggetto di un’inchiesta a seguito della pubblicazione dell’articolo La question di François Mauriac, apparso su L’Express il 15 gennaio 1955. I fatti contestati dall’articolo sull’uso della violenza da parte dell’esercito furono infatti portati a conoscenza dell’Assemblée Nationale nel febbraio sia da deputati musulmani che francesi (di centro, sinistra ed estrema sinistra) e convinsero il ministro dell’Interno François Mitterrand e il presidente del Consiglio Pierre Mendès-France ad affidare una vera e propria inchiesta all’ispettore generale dell’amministrazione Roger Wuillaume, ma non tanto per fare luce sulla questione, quanto per salvaguardare l’immagine dell’esercito francese. Il rapporto Wuillaume, infatti, pur riconoscendo che la tortura fu effettivamente impiegata la valutò positivamente perché necessaria a porre fine al terrorismo algerino, impossibile da combattere con altri mezzi. Il caso del rapporto Wuillaume è sintomatico per capire come la tortura venne continuamente utilizzata poiché, oltretutto, costituì il primo esempio di proposta di una sua legalizzazione da parte di un alto funzionario, come dimostrano le conclusioni del rapporto:

Occorre sollevare il velo d’ipocrisia con cui si coprono i «metodi» di polizia. È il solo modo di rendere alla polizia la fiducia indispensabile alla sua attività.

E l’Algeria ha oggi un bisogno vitale di una polizia particolarmente efficiente. Ma perché la polizia sia efficiente, è necessario ch’essa possa usare certi «metodi». Conviene dunque coprire la polizia che quei metodi utilizzerà in determinate condizioni (sotto la responsabilità

252

Yacef Saadi (Algeri, 1928) fu un esponente del Fronte di Liberazione Nazionale algerino, tra i protagonisti della «battaglia di Algeri». Per ulteriori approfondimenti biografici, si veda: https://blogs.mediapart.fr/francois-geze/blog/120416/algerie-2016-revelations-sur-le-role-de-yacef- saadi-heros-de-la-bataille-d-alger.

253 Uno dei primi casi più eclatanti fu quello a danno del leader del Fronte di Liberazione Nazionale Larbi

Ben M’Hidi, arrestato il 17 febbraio e, in seguito, «suicidato». Lo scandalo vero e proprio scoppiò nel gennaio 1958 con la pubblicazione del libro La Question di Henry Alleg, ma articoli di denuncia dei metodi brutali utilizzati dall’esercito apparvero già dal 1955.

72 d’un ispettore della polizia giudiziaria o di un commissario), limitando questa autorizzazione alla sola polizia giudiziaria.

Con questa sola eccezione, e previo rafforzamento della polizia giudiziaria in Algeria, tutti i metodi aventi carattere di sevizia dovrebbero essere formalmente vietati a ogni altro corpo. Nel contempo, e dal momento che gli eccessi compiuti sono stati stigmatizzati, mi sembra utile che si esprima ai poliziotti la soddisfazione con cui è accolto il loro operato, distribuendo qualche ricompensa ed encomio254.

Il ricorso alla tortura, comunque, non fu sempre appoggiato. Il 28 marzo 1957, ad esempio, il generale Pâris de Bollardière255 chiese di essere rimosso proprio perché non ne tollerava

l’utilizzo, ma ricevette la seguente risposta dal cappellano militare della 10a divisione paracadutisti: «non si può lottare contro la guerriglia rivoluzionaria se non servendosi di metodi di azione clandestina»256; il generale venne poi punito, il 15 aprile, con sessanta

giorni di carcere.

Nel mese di giugno ricominciarono gli attentati ma la repressione venne questa volta garantita dall’aiuto dei bleus de chauffe, una rete di militanti «pentiti» che, sotto gli ordini del capitano Paul Alain Léger, si infiltrò tra le fila del Fronte di Liberazione Nazionale, mettendo fine, grazie all’arresto di Yacef Saadi (24 settembre) e al suicidio del suo vice, Ali La Pointe, alla «battaglia di Algeri». Come indicato da Benjamin Stora, alla vittoria militare non corrispose una vittoria anche morale: il 12 settembre 1957, infatti, il segretario generale della prefettura di Algeri Paul Teitgen257 rassegnò le sue dimissioni, in polemica contro i

metodi utilizzati dal generale Massu e dai suoi uomini, denunciando inoltre la scomparsa di 3.024 persone. Di parere diverso restarono molti altri, come il generale Paul Aussaresses258,

il quale, nel suo libro di memorie, pubblicato in Francia nel 2001, scrisse:

254 P. VIDAL-NAQUET, Lo Stato di tortura. La guerra d’Algeria e la crisi della democrazia francese, Milano,

Edizioni Res Gestae, 2012, p. 212. Nel volume, il rapporto è inoltre riportato integralmente (pp. 199- 212).

255 Jacques Pâris de Bollardière (Châteaubriant, 1907 – Guidel, 1986) fu un generale di brigata

dell’esercito francese, reduce della guerra d’Indocina, decorato con la Grand-croix de la Légion d’honneur. Per ulteriori approfondimenti biografici, si veda: http://www.dandelotmije.com/article- legion-d-honneur-a-simone-de-bollardiere-toutes-nos-felicitations-chere-madame-le-changement-c- 108345582.html.

256 B. STORA, La guerra d’Algeria, cit., p. 32.

257 Paul Teitgen (1919-1991) fu segretario generale della Prefettura ad Algeri durante il conflitto per

l’indipendenza dell’Algeria. Per ulteriori riferimenti biografici, si veda: https://fr.wikipedia.org/wiki/Paul_Teitgen.

258 Paul Aussaresses (Saint-Paul-Cap-de-Joux, 1918 – La Vancelle, 2013) fu un generale di brigata

dell’esercito francese. Fece carriera come ufficiale dei servizi segreti, ma è ricordato per essere stato uno dei più famosi assertori dell’utilità del ricorso alla tortura durante la guerra d’Algeria. Per ulteriori

73 Per quanto riguarda la tortura, il suo impiego era tollerato, se non raccomandato. François Mitterand [sic], il ministro della Giustizia, aveva difatti un emissario presso Massu nella persona del giudice Jean Bérard che ci copriva e che era perfettamente al corrente di quanto accadeva la notte.

[…]

Se la tortura è stata largamente utilizzata in Algeria, non si può dire per questo che fosse stata banalizzata. Tra ufficiali, non ne parlavamo. D’altra parte, un interrogatorio non finiva necessariamente con una seduta di tortura. Alcuni prigionieri parlavano molto facilmente. Per altri, bastavano poche brutalità. Era solo quando il prigioniero si rifiutava di parlare o cercava di negare l’evidenza che si impiegava la tortura. Facevamo di tutto per evitare ai giovani ufficiali di doversi sporcare le mani. D’altra parte, molti ne sarebbero stati assolutamente incapaci.

I metodi che impiegavo erano sempre gli stessi: botte, elettricità, acqua. Quest’ultima tecnica era la più pericolosa per il prigioniero. Raramente durava più di un’ora, tanto più che i sospetti, parlando, speravano di avere salva la vita. Dunque parlavano subito o mai.

[…] Non credo di aver mai torturato o giustiziato degli innocenti. Mi sono occupato per lo più di terroristi coinvolti negli attentati. Non si deve dimenticare che, per ogni bomba, esplosa o meno, c’erano il chimico, l’artificiere, chi la trasportava, chi faceva il palo, il responsabile dell’accensione. Anche una ventina di persone per volta. Intimamente, ero convinto che la responsabilità di ogni individuo coinvolto in un attentato fosse schiacciante, anche se il più delle volte gli interessati ritenevano di essere soltanto gli anelli di una lunga catena259.

Aussaresses, inoltre, aggiunse:

Quand’anche la legge fosse stata applicata in tutto il suo rigore, poche persone sarebbero state giustiziate. Il sistema giudiziario non era adeguato a circostanze tanto eccezionali. Anche se Mitterand [sic], ora ministro della Giustizia, aveva affidato ai tribunali militari le pratiche relative agli atti di terrorismo in Algeria, ciò non bastava.

riferimenti biografici, si veda: G. CARBONETTO, A Gorizia l’eco della guerra d’Algeria, «Messaggero veneto», 21.05.2007 (disponibile online all’indirizzo:

http://ricerca.gelocal.it/messaggeroveneto/archivio/messaggeroveneto/2007/05/21/GO_15_SPEA1.ht ml); French general Paul Aussaresses who admitted torture dies at 95, «The Guardian», 04.12.2013 (disponibile online all’indirizzo: https://www.theguardian.com/world/2013/dec/04/french-general-paul- aussaresses-torture-dies-war-crimes-algerian).

74 Mandare i prigionieri colpevoli d’omicidio nei campi, in attesa che se ne occupasse la giustizia, era altrettanto impossibile: molti erano evasi nel corso dei trasferimenti con la complicità dell’FLN.

Conseguentemente, le esecuzioni sommarie facevano parte integrante dei compiti inevitabili per garantire il mantenimento dell’ordine. Per questo erano stati chiamati i militari. Era stato instaurato il controterrore, ma ufficiosamente, beninteso. Era chiaro che bisognava liquidare l’FLN e che soltanto l’esercito aveva i mezzi per farlo. Era talmente evidente, che non fu necessario dare ordini in questo senso a nessun livello. Nessuno mi chiese mai apertamente di giustiziare questo o quello. Andava da sé260.

Contemporaneamente agli scontri nel centro di Algeri, comunque, i militari francesi si impegnarono a impedire all’Armata di Liberazione Nazionale di approvvigionarsi dall’estero, costruendo lungo la frontiera con la Tunisia, su iniziativa del ministro della Difesa André Morice, una barriera (nota poi come «linea Morice») costituita da reti elettrificate, filo spinato, mine e batterie di cannoni azionabili a distanza grazie all’impiego di radar, lunga 320 km. Lo stesso Salan si impegnò, inoltre, nell’organizzazione di veri e propri programmi di alfabetizzazione e di assistenza medica, ideati con lo scopo di contrastare l’influenza degli indipendentisti algerini sulla popolazione, avviando una sorta di «pacificazione sociale» grazie al contributo delle Sezioni amministrative speciali (Sas), inviate nell’entroterra.

Il governo dell’Esagono, intanto, dovette affrontare le richieste dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e le pressioni di John Fitzgerald Kennedy, interessati entrambi a una soluzione del conflitto in tempi brevi e al ristabilimento della pace. Il governo Mollet, però, cadde il 28 maggio 1957 e il nuovo governo guidato da Maurice Bourgès-Maunoury261 si

rivelò più interessato ai giacimenti petroliferi presenti nel Sahara algerino che alle condizioni dei cittadini, algerini e francesi, aggravando una frattura già da tempo presente, ma che in quel momento coinvolse anche i militari, incapaci di comprendere le scelte ministeriali.

Il tentativo di Robert Lacoste di uscire dall’impasse politica tramite l’adozione di una nuova legge quadro che avrebbe dovuto equiparare i voti algerini e francesi inserendoli in un

260

Ivi, p. 115.

261 Maurice Bourgès-Maunoury (Luisant, 1914 – Parigi, 1993) fu un politico francese, presidente del

Consiglio dei ministri nel 1957 e, poi, per due volte ministro dell’Interno (1955, poi 1957-1958). Ricoprì diverse cariche ministeriali, tra cui la Difesa e le Forze Armate. Per ulteriori riferimenti biografici, si veda: https://www.universalis.fr/encyclopedie/maurice-bourges-maunoury/.

75 «collegio unico», che incontrò sia pareri favorevoli che negativi, naufragò all’Assemblée

Nationale a causa della caduta del governo Bourgès-Maunoury, avvenuta il 30 settembre

1957. La legge quadro venne resuscitata dal successivo governo guidato dal radicale Felix Gaillard262 ma, modificata in modo da ridurre il peso musulmano, vide la sua applicazione rinviata alla fine del conflitto. Mentre cospicui fondi furono assegnati al mantenimento e al rafforzamento della «linea Morice», Lacoste fu confermato ministro dell’Algeria e il ministro Salan poté godere di un ulteriore ampliamento dei suoi compiti e del suo potere.