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Il sostegno a Tambroni e i fatti di Genova

Capitolo 1: La destra italiana (1945-1969)

6. Il sostegno a Tambroni e i fatti di Genova

Il 25 marzo 1960 il Parlamento, con i voti determinanti dei monarchici del Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica e dei fascisti del Movimento Sociale Italiano, concesse la fiducia al governo guidato dal democristiano Fernando Tambroni. Questi, reso inquieto al pensiero di una possibile reazione da parte comunista, presentò al presidente della Repubblica Giovanni Gronchi le sue dimissioni, che vennero però rifiutate. Fu il primo governo appoggiato in modo determinante dal Movimento Sociale Italiano e il coronamento della strategia dell’inserimento propugnata da Michelini.

Il partito, galvanizzato dalla prima entrata in maggioranza, decise di organizzare il suo prossimo congresso a Genova, pubblicizzandolo come vero e proprio «strappo dall’ideologia di riferimento»104. La reazione delle altre forze politiche, in primis del Partito

Comunista Italiano, e dell’opinione pubblica, però, mise repentinamente fine all’entusiasmo.

Genova, infatti, è città medaglia d’oro della Resistenza e per le forze antifasciste fu allora inaccettabile che vi si potesse tenere il congresso del Movimento Sociale Italiano, specialmente se, tra gli oratori, ci fosse stato qualche ex fascista o repubblichino105. La

reazione non si fece attendere: la città fu invasa per giorni da proteste che sfociarono spesso in scontri e vere e proprie scene di guerriglia urbana, con auto bruciate e sassaiole. I fatti più gravi, però, accaddero a Reggio Emilia dove, durante la protesta, la polizia aprì il

103

D. CONTI, L’anima nera della Repubblica, cit., p. 23.

104 N. RAO, Trilogia della celtica, cit., p. 74.

105 Le sinistre fecero allora il nome di Carlo Emanuele Basile, repubblichino responsabile della provincia

di Genova accusato di massacri e deportazioni, secondo Rao per fomentare gli animi. Si veda: N. RAO,

30 fuoco uccidendo cinque militanti comunisti, e in Sicilia, dove persero la vita altre cinque persone.

La seria mobilitazione, estesasi all’Italia intera, obbligò il Movimento Sociale Italiano ad annullare il congresso, il governo Tambroni a rassegnare le dimissioni (26 luglio 1960) e determinò la nascita di un nuovo governo di centro-sinistra.

Per il partito missino fu la fine dell’inserimento e l’inizio dell’isolamento, un periodo in cui il solo importante intervento a livello parlamentare fu l’appoggio decisivo per l’elezione di Antonio Segni alla presidenza della Repubblica (6 maggio 1962). La cancellazione del congresso fu affrontata, dalla base militante del partito, nel solo modo ad essa possibile: con la violenza. Le azioni di rappresaglia furono una conferma per le forze antifasciste, che accusarono allora il partito missino di essere incapace di abbandonare le velleità fasciste per entrare nel mondo democratico e costrinsero Michelini a riflettere sulla necessità di una trasformazione radicale che abbandonasse le qualità antisistema e attivistiche che fin dalla sua nascita avevano caratterizzato il partito. Enzo Erra, all’epoca già fuoriuscito dal Msi, interpretò la mossa del segretario come un tentativo troppo prematuro di appoggiare la Democrazia Cristiana, pur di riuscire ad entrare nel sistema:

Dopo il 1960 la Dc, che fino a quel momento era stata in bilico tra destra e sinistra, scelse dichiaratamente il centrosinistra. Ma lo fece aiutata da Michelini, che tentò di realizzare troppo presto quello che aveva in mente e fece il passo sbagliato di appoggiare da solo Tambroni. Senza tramiti e senza intercapedini di garanzia politica e istituzionale, come monarchici e liberali, che poi era il motivo per il quale avevo manifestato il mio dissenso e per cui avevo abbandonato il Msi. Fu questa decisione a scatenare l’insurrezione, e non poteva andare che così106.

Ancora più interessante è la testimonianza di Domenico Mennitti, secondo il quale

i fatti di Genova hanno un’importanza soprattutto dal punto di vista politico. Quel che accadde rappresentò un’oggettiva sconfitta per tutte le forze che volevano impedire l’avvento del centro sinistra in Italia, a cominciare dal Msi. Fino al 1960, infatti, il partito aveva svolto un ruolo importante nella politica italiana. Il vero isolamento nasce dopo i fatti di Genova, quando la Dc, avendo deciso di spostarsi a sinistra, non vuole avere nessun potenziale concorrente nel suo bacino elettorale, tanto meno un pericoloso concorrente come un

31 partito democratico di destra. Di qui l’esigenza di introdurre elementi come l’antifascismo, l’arco costituzionale eccetera. E di fornire l’immagine di un Msi isolato, nostalgico, proprio per impoverirlo delle sue potenzialità elettorali. In realtà la continuazione della vita politica italiana è stata più regolare, direi anche democratica, dal 1946 al 1960, quando cioè gli odi e le passioni della guerra civile erano più freschi, che non dopo, quando invece avrebbero dovuto stemperarsi. Ciò a conferma del fatto che l’antifascismo del 1960 fu un elemento «indotto» nella società, non spontaneo. Fino al 1960 infatti, nonostante il riferimento esplicito al fascismo, il Msi non aveva avuto problemi di emarginazione, aveva guidato insieme ai monarchici grandi città del sud e aveva appoggiato diversi governi. Quella di Genova fu chiaramente un’operazione condotta da quella parte della Dc che voleva spostarsi a sinistra, far entrare al governo i socialisti e tenere un dialogo privilegiato con i comunisti. Per fare questo aveva bisogno di rinfocolare la paura del fascismo107.

Che si fosse trattato di una trappola tesa dalla Democrazia Cristiana ai danni del Movimento Sociale è confermato da Giulio Andreotti:

L’occasione per dare al ministero Tambroni l’estrema unzione fu offerta dal congresso del Msi indetto a Genova. Era difficile per il governo non assicurare la celebrazione del proprio congresso a qualsiasi partito, ma era addirittura impossibile che ne fosse impedito un partito della maggioranza. Può sembrare strano che i missini non prevedessero la reazione furiosa dei partigiani di tutta Italia, ma probabilmente – essendo al corrente di manovre antitambroniane – volevano sperimentare se la Dc non si fosse servita di loro per passare un guado complicato e fosse già pronta a rinviarli nel ghetto108.

Così fu, visto che, come scritto, il Movimento Sociale Italiano fu effettivamente relegato ai margini della vita parlamentare. Eppure, come fa notare Tarchi, «i fatti del luglio 1960 rinfocolano in vasti settori dell’opinione pubblica il sentimento anticomunista, convincendo una parte dell’elettorato conservatore che il Msi ha comunque un ruolo da svolgere all’interno del sistema politico»109, tanto è vero che nelle elezioni amministrative del

novembre 1960 il partito ottenne quasi due milioni di voti. Fu la mancanza di spirito di iniziativa dei dirigenti, sempre secondo Tarchi, a far precipitare il Movimento nell’immobilismo. Michelini, comunque, nonostante la difficile situazione, grazie ai contatti

107 Ivi, pp. 74-75. 108

A. BALDONI, Destra senza veli, cit., p. 137.

32 stretti con la Confindustria, restò saldamente alla segreteria del partito, venendovi confermato nel corso del successivo congresso, svoltosi a Roma dal 2 al 4 agosto 1963. Il VII congresso del Movimento Sociale Italiano ribadì la strategia dell’inserimento e la disponibilità a continuare la lotta al comunismo, ma vide anche il rinvigorirsi dello scontro tra Michelini ed Almirante, il quale si oppose con decisione alla proposta del segretario di «defascistizzare» il partito. Nel corso del congresso, Almirante fu doppiamente sconfitto, poiché perse la direzione del quotidiano Il Secolo d’Italia, fondato nel 1952 da Franz Turchi, affidata, anche questa, a Michelini.

Le elezioni politiche del 1963 registrarono un leggero aumento dei voti a favore del partito missino: alla Camera i voti furono 1.570.282 (5.1% e 27 deputati eletti, tra i quali spiccò la prima donna, Jole Giugni Lattari), mentre al Senato i voti furono 1.414.754 (nuovamente 5.1% dei consensi e 15 senatori eletti)110.

Impossibilitati ad entrare nell’arco costituzionale, ai missini non restò che tentare di inserirsi in giochi politici di altro livello, più o meno clandestini. È questo il caso, ad esempio, dell’interessamento da parte di importanti segmenti del partito alla creazione di una struttura parallela al Movimento capace di affrontare l’avanzata comunista nelle piazze italiane, prima con la creazione di gruppi semiclandestini (1961), poi, con la collaborazione dell’Associazione Nazionalista Italiana, con la formazione di gruppi definiti «Sempre Pronti» responsabili della «Difesa» (di manifestazioni, sedi e comizi, oltre che delle persone), dell’«Intervento» in caso di scioperi e della «Repressione» dell’attività comunista111. Da questo punto di vista, i primi anni Sessanta furono l’occasione ideale per

rinsaldare i rapporti con la destra internazionale, come dimostrano, a titolo d’esempio, gli incontri con il colonnello Charles Lacheroy, in rappresentanza dell’Organisation de l’Armée

Secrète francese112, e con Oswald Mosley, fondatore del British Union Fascist113.

Contemporaneamente, però, la galassia dell’estrema destra si divideva e si sviluppava al di fuori del partito ufficiale, creando una rete di nuovi e variegati contatti, che venivano così sottratti al Movimento Sociale. Michelini tentò di porvi rimedio con la creazione nel 1963 dei Volontari Nazionali, un’ulteriore struttura parallela di tipo paramilitare creata facendovi confluire i giovani militanti rimasti all’interno del partito (i gruppi «Sempre Pronti» e la

110 A. BALDONI, Destra senza veli, cit., p. 145.

111 D. CONTI, L’anima nera della Repubblica, cit., p.28. 112

Ibidem.

33 Guardia del Labaro), seppure con risultati deludenti rispetto all’influenza conquistata nell’ambiente da Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale Giovanile.