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Capitolo 1: La destra italiana (1945-1969)

8. Il Sessantotto

L’immobilismo del Movimento Sociale Italiano si protrasse per tutti gli anni Sessanta, venendo abbandonato parzialmente solo in funzione anticomunista e nel tentativo, costante, di riconquistare le fasce giovanili che continuavano ad abbandonare il partito a favore dei movimenti extraparlamentari Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. L’VIII congresso missino tenutosi a Pescara nel giugno 1965 fu, ancora una volta, caratterizzato dallo scontro tra il segretario Michelini e l’opposizione guidata da Almirante e sostenuta esternamente sia da Pino Rauti che da Stefano Delle Chiaie136, che miravano a rientrare nel

Movimento Sociale per far fronte alle prime inchieste giudiziarie a loro danno. L’accordo infine raggiunto tra Michelini e Almirante, tuttavia, non impedì al leader di Avanguardia Nazionale di partecipare alla riorganizzazione della corrente almirantiana, «Rinnovamento», in vista del nuovo congresso del partito, assumendo il controllo di un vasto numero di sezioni missine ma, contemporaneamente, provocando una profonda frattura all’interno della corrente stessa che, indignata per l’accordo tra il segretario e Almirante, seguì

134 D. CONTI, L’anima nera della Repubblica, cit., p. 36. 135 D. CONTI, L’anima nera della Repubblica, cit., pp. 35-36. 136

Stefano Delle Chiaie (Caserta, 1936) fu uno dei protagonisti della destra extraparlamentare e fondatore di Avanguardia Nazionale. Per ulteriori approfondimenti biografici su Delle Chiaie si rimanda alla sua autobiografia: S. DELLE CHIAIE (con M. GRINER e U. BERLENGHINI), L’aquila e il condor, Milano, Sperling & Kupfer, 2013. Si veda inoltre il cap. 1.10 di questa tesi, intitolato «Avanguardia Nazionale», p. 46.

39 Romualdi all’opposizione, fondando il Comitato Italiano per l’Occidente, cui aderirono gli stessi Delle Chiaie e Rauti.

Alla vigilia del Sessantotto, inoltre, il Movimento Sociale Italiano, già indebolito dalle rivalità interne, fu ulteriormente colpito dall’avanzata socialista seguita all’unificazione del Partito Socialista Italiano con il Partito Socialista Democratico Italiano (30 ottobre 1966): l’unificazione socialista, infatti, fu vista e interpretata come la soluzione ideale per togliere voti e sostegno al Partito Comunista Italiano, esautorando, di conseguenza, la funzione anticomunista del Movimento Sociale Italiano.

Con l’avvento dell’anticomunismo democratico portato avanti dal Partito Liberale Italiano, il partito missino continuò a indebolirsi, andando avanti per inerzia, impegnandosi inoltre a contrastare l’avanzata e la concorrenza dei movimenti extraparlamentari, che continuavano ad attrarre un numero sempre maggiore di giovani, spingendoli spesso alla radicalizzazione. L’avvento del Sessantotto, quindi, colse il Movimento Sociale Italiano in un momento di intrinseca debolezza. Il partito missino si rivelò incapace di comprendere le sollecitazioni della base giovanile che, ancora una volta, gli preferì Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, in prima linea nella mobilitazione studentesca. L’incomprensione degli avvenimenti sfociò in quello che Rauti definì «un grosso e difficilmente riparabile errore politico»137: l’aggressione squadrista capitanata da Almirante e Caradonna, ma organizzata

dal Movimento Sociale Italiano, che il 16 marzo 1968 assaltò – senza successo – la facoltà di Lettere dell’università di Roma, occupata dagli studenti.

Il partito missino era spaccato, all’epoca, in due grandi ali generazionali: da una parte l’ala «conservatrice», legata all’idea di ordine e disciplina che reputava inaccettabile la «ribellione» in atto; dall’altra parte, l’ala «giovanile», resasi conto dell’importanza del momento storico e ben cosciente della portata delle rivendicazioni, al punto da partecipare, insieme agli studenti di sinistra, alle occupazioni, in nome di una lotta più grande, la «lotta al sistema»138. Ricorda Cesare Mantovani, allora presidente nazionale del Fronte Universitario di Azione Nazionale:

Noi inizialmente nella contestazione ci andiamo a nozze, cercando di non assumere una posizione d’ordine, ma di prendere parte direttamente al «movimento». Così a Roma occupiamo la facoltà di Legge e i comunisti quella di Lettere. A Perugia occupiamo diverse

137

D. CONTI, L’anima nera della Repubblica, cit., p. 45.

40 facoltà, come pure a Camerino, a Torino e in altre città. Con la sinistra c’è ancora la possibilità di dialogare e di confrontarsi su questo versante. Del resto sul superamento del sistema attuale siamo d’accordo, per non parlare della critica agli imperialismi e di quella al consumismo. Siamo persino favorevoli a discutere, anche se io ho le mie riserve, di tematiche anticapitalistiche, che pure nel nostro ambiente sono presenti. Una volta vado persino alla Statale di Milano a parlare in un’assemblea in cui mi confronto addirittura con Mario Capanna. Ma il Msi è su posizioni diverse.

Michelini e tutto il suo entourage sono contro la contestazione: loro sono convinti che sia soltanto la nuova arma rivoluzionaria agitata dai comunisti139.

«Una carnevalata che è durata anche troppo», titolò Il Secolo d’Italia il 25 febbraio 1968:

La situazione dell’università è ormai giunta al limite del tollerabile. La teppaglia di sinistra si è servita di alcuni motivi (forse giustificabili) di scontento per provocare l’occupazione delle sedi universitarie. E la protesta espressa attraverso l’occupazione ha ben presto mostrato il suo vero volto: aule lordate, suppellettili sfasciate, sporcizia dappertutto. Alle finestre dei locali occupati o dietro i cancelli le espressioni ebeti di straccioni ed invertiti colmi di capelli, di lerciume e di pidocchi140.

A fianco del Movimento Sociale Italiano si schierarono Adriano Romualdi, Pino Rauti e Julius Evola, che interpretarono il Sessantotto come risultato della degenerazione morale importata dagli Stati Uniti, criticando quella che secondo loro era «una borghesia putrefatta che spera nella rivoluzione per conquistare sempre nuovi paradisi di libertà e sudiciume», una contestazione interna al sistema stesso e imbevuta di «americanismo». I giovani missini, sempre secondo Romualdi, non avevano avuto scelta, per questo si erano schierati con la contestazione: «[…] non esisteva più nulla. Seppellita sotto un cumulo di qualunquismo borghese e patriottardo […] La destra non aveva più una parola d’ordine da dare alla gioventù»141.

Dall’altra parte, favorevoli al movimento sessantottino, spiccavano Adalberto Baldoni, dirigente missino e direttore del settimanale La Sfida, e l’intellettuale Giano Accame. Cesare Mantovani, della stessa opinione di Baldoni ma fedele alla linea micheliniana, pubblicò, su Il

Secolo d’Italia, un articolo intitolato «Università in rivolta», nel quale spiegò:

139 N. RAO, Trilogia della celtica, cit., pp. 101-102. 140

Ivi, p. 102.

41 I motivi della clamorosa protesta studentesca vanno riconosciuti, in primo luogo, nel desiderio di tutte le componenti universitarie di potersi giovare di una università moderna, efficiente, adeguata alle necessità morali, civili e culturali dell’attuale società, ed in secondo luogo nell’unanime insofferenza della parte più sensibile ed intellettualmente più ricettiva della gioventù per un «sistema» palesemente iniquo ed inetto142.

L’episodio più conosciuto e indicativo della partecipazione della destra alla stagione movimentista è rappresentato dalla «battaglia di Valle Giulia» (1 marzo 1968) a Roma, dove, davanti alla facoltà di Architettura, studenti e poliziotti si scontrarono per circa tre ore. Tra questi giovani, in prima fila, quelli della Caravella e di Avanguardia Nazionale che, per primi, provocarono le forze dell’ordine. Le foto, che ritraevano in primo piano, tra gli altri, Delle Chiaie, Adriano Tilgher e Mario Michele Merlino, furono pubblicate sui quotidiani di tutta Italia, dando adito a varie teorie e sospetti, come quella di una provocazione preparata ad arte per «cercare il morto»143. Significativa è la testimonianza di Delle Chiaie:

Valle Giulia nacque come ulteriore salto di qualità all’interno del movimento studentesco. Mentre molti continuavano a limitarsi alle richieste di riforma dell’università, noi sostenevamo che partendo dall’università la contestazione dovesse estendersi nel campo politico e sociale. Ecco, al di là dell’aspetto di piazza e «militare», Valle Giulia ebbe questo significato: far capire a tutti che la contestazione era politica, non soltanto studentesca. Certo, fummo noi a dare il via agli scontri: basta guardare le fotografie di quel giorno per rendersi conto che la prima fila era composta da elementi quasi esclusivamente nostri, c’ero io, c’era Mario Merlino, c’era Cesare Petti, il presidente del Fuan-Caravella di Roma, che condivideva la nostra linea. […] Si stava realizzando il nostro sogno di un’unità generazionale al di là degli steccati «destra-sinistra». Ma di lì a qualche giorno avremmo dovuto ricrederci144.

Il giudizio missino sulla «battaglia di Valle Giulia» fu assolutamente negativo, un «atto insurrezionale»145 secondo il segretario Michelini, e contribuì alla spaccatura interna del

Movimento Sociale.

142

A. BALDONI, Destra senza veli, cit., p. 179.

143 Ivi, p. 180. Per una delle foto in questione, si rimanda all’indirizzo: http://1.bp.blogspot.com/-

vFVp1z_9nGE/VCrXTMsxngI/AAAAAAAASw0/lZLxq7jPHqw/s1600/cpl.jpg.

144

N. RAO, Trilogia della celtica, cit., p. 105.

42 Gli eventi precipitarono il già citato 16 marzo, quando giovani militanti comunisti e missini si ritrovarono all’università La Sapienza, sollecitati dai rispettivi partiti che, probabilmente, auspicarono uno scontro visto come propizio per porre fine alle agitazioni studentesche146.

I due schieramenti, infatti, si divisero e la manifestazione degenerò:

Da una parte un centinaio di elementi di destra, risultati poi estranei all’università, armati di bastone, di spranghe, dall’altro quattro o cinquemila studenti, fra i quali si mescolavano numerosissimi agitatori di sinistra, gli stessi che da tempo arringavano gli universitari, li istruivano all’arte della guerriglia, li esaltavano con le teorie di Marx, di Marcuse e di Mao. La sproporzione numerica fra i due gruppi era comunque enorme147.

Gli scontri furono violenti e gli attivisti di destra furono costretti a barricarsi all’interno della facoltà di Legge. Il bilancio degli scontri fu di oltre un centinaio di arrestati e una sessantina di feriti148. Ricorda sempre Delle Chiaie, come «per il 16 marzo fu indetta nell’università una manifestazione antifascista […] e si annunciavano arrivi da tutta Italia. Era un’evidente provocazione allestita per sollecitare disordini»149. Racconta, inoltre:

Sapemmo che il Msi stava preparando qualcosa e così avvicinammo alcuni dirigenti della Caravella nel tentativo di farli desistere dal loro disegno. Ma tutti facevano finta di cadere dalle nuvole. Ci spaventammo. Comprendemmo che se i missini avessero attaccato l’università noi non avremmo avuto più spazio all’interno del movimento: saremmo stati indicati come dei «provocatori», degli «infiltrati», e comunque dei fascisti. A quel punto persino la fontana dell’università, per reazione, sarebbe diventata rossa. E il nostro sogno di un’unità generazionale sarebbe andato a farsi benedire. Così la notte tra il 15 e il 16 feci dare fuoco alla facoltà di Legge. Speravo che l’incendio avrebbe obbligato la polizia e i pompieri a intervenire, facendo saltare la manifestazione e quindi i probabili scontri. Ma non arrivò nessuno. Fummo costretti a spegnere l’incendio da soli150.

Gli scontri del 16 marzo segnarono la fine della partecipazione neofascista alla contestazione e la sconfitta delle organizzazioni giovanili missine, che videro nei mesi

146 Ivi, p. 184. 147

Sanguinosi scontri all’università, «Il Messaggero», 17.03.1968 in A. BALDONI, Destra senza veli, cit., p. 184.

148 A. BALDONI, Destra senza veli, cit., p. 184; N. RAO, Trilogia della celtica, cit., p. 109. 149

S. DELLE CHIAIE (con M. GRINER e U. BERLENGHINI), L’aquila e il condor, cit., p. 72.

43 successivi un continuo, vasto calo di iscritti. Molti di questi transfughi, in rotta con il Movimento Sociale, si riorganizzarono attorno a Stefano Delle Chiaie e fondarono una sorta di «FUAN-ombra»151, battezzato Nuova Caravella.

Le elezioni del 1968 furono un’ulteriore sconfitta per il Movimento Sociale Italiano e la conferma dell’impossibilità di allargare il proprio bacino elettorale. Michelini, da tempo malato, fu incapace di porre fine all’indebolimento generale e di comprendere le spinte che, tra 1968 e il 1969 animarono i movimenti studenteschi e operai che, così, rinvigorirono le sinistre obbligando il partito missino a restare a guardare.

La morte di Arturo Michelini, il 15 giugno 1969, diede inizio alla seconda segreteria di Giorgio Almirante (29 giugno), il quale si confermò punto di riferimento principale per i militanti più movimentisti e antisistema e riportò Pino Rauti e parte di Ordine Nuovo nei ranghi del partito, alla vigilia dell’attuazione della «strategia della tensione» e della strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969).