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Hallyu : i presupposti per la sua nascita e il suo sostentamento

dalla “Terra del calmo mattino” alla conquista del resto del mondo

2.1. Hallyu : i presupposti per la sua nascita e il suo sostentamento

Il termine Hallyu 한류 è composto dalla sillaba 한 (han), che corrisponde alla prima

sillaba del nome coreano della Corea del Sud, 한국(Hanguk), e dalla sillaba류(lyu) che significa “onda”. Letteralmente viene tradotto in inglese come Korean Wave, ovvero Onda Coreana. Questo neologismo fu coniato da alcuni giornalisti di Pechino alla fine degli anni ’90, quando constatarono che in Cina si faceva sempre più dilagante la popolarità di prodotti di intrattenimento provenienti dalla Corea del Sud, in particolare di serie televisive. Il termine, da allora, è stato utilizzato per indicare la crescente fama e la sempre maggiore domanda transnazionale di una vasta gamma di prodotti, quali serie televisive, film, musica pop, cosmetica, moda, cibo, lingua, tecnologia.

L’Onda Coreana sembra davvero essere diventata un importante flusso di cultura sulla scena internazionale, il più importante flusso culturale transnazionale operato da media asiatici58. Potremmo affermare che anche il numero di contributi

dedicati ad essa, sottoforma di articoli, saggi e volumi, sia un indicatore della sua popolarità. Il 23 febbraio 2013 inserire la parola chiave “Korean Wave” nella barra di ricerca di Google Scholar significava trovarsi davanti 1.940 risultati59; poco più

di sei anni dopo, il 15 luglio 2019, la stessa parola chiave conduce a circa 973 mila contributi. Gli approcci adottati dagli autori sono i più svariati e abbracciano le più diverse discipline, ma si possono distinguere due punti di vista principali da cui

Hallyu viene osservata; quelli che la considerano dall’esterno, indagando la sua

relazione con la globalizzazione e studiando il consumo di Hallyu fuori dai confini

58 Hyejong Ju, The Korean Wave and Korean Dramas, Oxford Research Encyclopedia of Communication, 2018, http://doi.org/10.1093/acrefore/9780190228613.013.715, p. 3.

59 Hye-Kyung Lee, Cultural Policy and the Korean Wave. From national culture to transnational

consumerism, pp. 185-198, in Youna Kim (a cura di), The Korean Wave. Korean media go global,

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della Corea, e quelli che focalizzano il loro interesse sui miglioramenti che hanno coinvolto l’industria culturale coreana e sul ruolo fondamentale giocato dal governo con le sue politiche culturali. Per avere un’idea più completa di cosa sia e di come funzioni l’Onda Coreana, ritengo opportuno in questa sede adottare entrambe gli approcci cercando, per quanto possibile, sia di riassumere le tappe fondamentali che hanno portato alla nascita del fenomeno, strettamente legate alle strategie dei governi che si sono succeduti, sia di dare conto del consumo di prodotti facenti parte dell’Onda Coreana, che oggi è agevolato e favorito dalla presenza quasi ubiqua di Internet. Questo perché se è vero che si tratta di un fenomeno che ha origine in Corea e dipende quindi dalle specificità culturali, politiche e tecnologiche del Paese, le sue politiche culturali considerano le comunità di fan all’estero come un nuovo attore che determina il successo degli sforzi compiuti per sviluppare e promuovere Hallyu e, attraverso essa, l’immagine del Paese nel mondo.

Il ruolo fondamentale del governo coreano

La Corea di oggi è molto diversa da come si presentava trent’anni fa, per non parlare di come fosse ancora prima, negli anni dell’immediato secondo dopoguerra. L’impegno del governo nello sviluppo dell’economia del paese è stato cruciale e ha permesso alla nazione di risollevarsi dalla situazione di povertà e sottosviluppo nel giro di pochi decenni, dando vita a quello che oggi viene chiamato “miracolo sul fiume Han” (il fiume che attraversa la capitale).

Il governo militare di Park Chung Hee (1962-1979) configurò la Corea del Sud come uno stato sviluppista, un sistema in cui lo stato assume il ruolo di guida nell’avanzamento economico, intervenendo fortemente nel mercato ed esercitando diversi poteri. Questo approccio è rintracciabile ancora oggi in Corea, in ambiti come quello dell’industria culturale, in cui lo stato rappresenta il maggior

investitore, pianificatore e coordinatore60.

Per avviare lo sviluppo economico del Paese, il governo individuò le industrie manifatturiere come ciò che avrebbe strategicamente portato al raggiungimento dei suoi obiettivi di sviluppo, puntando su politiche industriali che avevano come scopo principale la modernizzazione della nazione. Queste politiche, adottate anche dai due governi militari successivi di Chun Doo Hwan (1980-1988) e Roh Tae Woo (1988-1993), si dimostrarono efficaci: il PIL nominale aumentò da 2.3 miliardi di dollari nel 1963 a 263 miliardi nel 1990. Nello stesso periodo di tempo anche il PIL pro-capite mostrò una crescita importante, da 100 dollari a 6.15161.

I governi legarono le proprie strategie di industrializzazione, orientate allo sviluppo e all’esportazione e basate anche sul vantaggio dato dai bassi costi di produzione e dai bassi salari, con lo sviluppo tecnologico. In questo modo posero le fondamenta per la crescita di altri settori industriali, tra cui quello culturale. L’obiettivo dei tre governi militari era quello di raggiungere un alto livello di sviluppo economico per fornire legittimità ai loro governi autoritari; facendo ruotare tutti gli altri settori industriali intorno a quello delle manifatture, per sostenerlo e promuoverlo il più possibile, settori come quello della cultura rimasero relativamente sottosviluppati62. Fino all’avvento della democrazia, negli anni ’90, le industrie

culturali venivano considerate soltanto come mezzi per promuovere gli obiettivi politici ed economici del governo, e le attività ad esse relative erano soggette ad un rigido monitoraggio politico e ad una pesante censura; solo coloro che si allineavano agli obiettivi politici dei governi riuscivano a sopravvivere. Era incoraggiata la produzione di canzoni, film e programmi televisivi che

60 H.K. Lee, op. cit., p.186.

61 Seung-Ho Kwon, Joseph Kim, The cultural industry policy of the Korean government and the Korean

Wave, in «International Journal of Cultural Policy», 20:4, 2014, pp. 427, https://doi.org/10.1080/10286632.2013.829052.

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focalizzassero l’attenzione sui valori necessari a sostenere lo sviluppo economico; il duro lavoro, il sacrificio e la lealtà verso la propria nazione63. Ogni cosa doveva

essere espressione del lato moderno della Corea, della sua industrializzazione, della sua cultura tradizionale e del senso di coesione nazionale, senza alcuno spazio per opinioni che contrastassero i regimi.

Dalla divisione della penisola nel 1945, la Corea del Sud subì l'influenza economica, politica e culturale dell’America, che le si presentò come il modello di nazione avanzata che avrebbe dovuto emulare. Tuttavia, nel periodo dei governi militari, c’era una forte preoccupazione per una possibile contaminazione della cultura tradizionale coreana da parte della cultura occidentale. La cultura di massa avrebbe potuto minacciare la purezza della “cultura nazionale”, e avviare un pericoloso processo di occidentalizzazione del Paese. Per evitare che ciò accadesse, furono imposte delle rigide normative sui contenuti culturali e sulla loro produzione e distribuzione da parte delle industrie, in particolare per quanto riguardava le restrizioni su importazioni ed esportazioni64.

Come si è visto, i governi militari reprimevano la libertà creativa e contrastavano individui e attività che tentavano di sviluppare prodotti culturali che non supportavano i loro obiettivi; le industrie culturali coreane rimasero soggette al rigido controllo statale fino ai primi anni ’90, nonostante già negli anni ’80, caratterizzati da movimenti democratici che preoccupavano il regime di Roh Tae Wooh e da attivisti che chiedevano nuove e diverse politiche culturali, si fosse diffusa la nuova retorica politica di sostegno alla cultura e di accessibilità al pubblico65.

L’insediamento del governo civile di Kim Young Sam (1993-1998) segnò la fine dei

63 Ibidem.

64 H.K. Lee, op. cit., p.187. 65 Ivi, p. 188.

governi militari in Corea e l’inizio di un sistema di governo democratico. Questa transizione politica coincise con la crescente affermazione della globalizzazione; la Corea stava subendo da tempo pressioni soprattutto da parte degli Stati Uniti per l’apertura dei suoi mercati, in primis quello audiovisivo, e così il governo coreano decise di allinearsi al trend globale, adottando varie misure di riforma economica, come liberalizzare l’industria finanziaria e ridurre le barriere agli investimenti esterni, integrando la nazione nei mercati globali e allontanandosi dall’isolamento e dal protezionismo che i governi precedenti avevano perseguito66.

Il nuovo governo, inoltre, era profondamente impressionato dal valore di mercato della cultura popolare, sulla scorta del successo globale delle industrie culturali statunitensi. La sua politica culturale iniziò allora a cambiare e a percepire la cultura popolare come un’industria in cui investire per far avanzare ulteriormente l’economia, ponendo delle solide basi per la nascita della futura Onda Coreana e inaugurando una linea di politiche culturali che verrà seguita dai governi successivi. Anche il settore culturale perciò vide dei cambiamenti sostanziali, primo su tutti la deregolamentazione dei contenuti e la conseguente maggiore libertà di espressione con l’abolizione della censura su teatro, musica e film; fu anche permessa l’entrata nel settore culturale di multinazionali estere e di chaebols, grandi conglomerati familiari coreani67.

Gli addetti al settore ebbero la possibilità di migliorare la propria organizzazione mentre una nuova generazione di consumatori, cresciuti in un’atmosfera politica e sociale più libera, iniziò ad emergere come obiettivo e al contempo agente promotore della cultura popolare. Il mutato clima socio-politico e l’ascesa della società dei consumi incoraggiarono i produttori di cultura ad esplorare nuovi stili

66 S.H. Kwon, J. Kim, op.cit., p. 427. 67 Ibidem.

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e idee, nuova attitudine alla sperimentazione e all’espressione creativa che potrebbe spiegare la rinascita dell’industria cinematografica (a cui talvolta ci si riferisce come Hallyuwood) e musicale coreana avvenuta in questo decennio. La nozione di cultura “nazionale” concepita dai regimi militari fu sostituita con l’idea di cultura “coreana”, in cui la cultura popolare, prima temuta e non vista di buon occhio, giocava un ruolo importante come espressione delle caratteristiche contemporanee del Paese e dell’identità culturale del popolo coreano68.

Nel 1994 inoltre, quando USA e Regno Unito erano impegnati nel discutere la conversione del segnale dall’analogico al digitale, la Corea del Sud stava invece provvedendo al cablaggio di tutto il Paese per fornire il collegamento alla rete Internet con i fondi del governo, come se si trattasse di un’autostrada o del sistema ferroviario. Il nuovo modo di “trasporto” avrebbe rappresentato tutto ciò che la Corea, nonostante i passi da gigante che aveva compiuto, non era ancora diventata: disinibita, multilingue, indifferente alle classi sociali e alle gerarchie, e pressoché incensurata69.

Le politiche del governo però ebbero un successo limitato nel rilanciare le industrie culturali e il boom economico si arrestò a causa della crisi finanziaria asiatica del 1997, cominciata in Thailandia e causata da speculazioni finanziarie che provocarono una forte svalutazione della moneta e dal forte indebitamento nel settore privato. Come risultato, l’economia coreana fu costretta a intraprendere un periodo di drastica ristrutturazione.

Nel mezzo della crisi, il governo di Kim Young Sam ricevette un prestito dal Fondo Monetario Internazionale di 57 miliardi di dollari (dei quali furono utilizzati solo

68 H.K. Lee, op. cit., p.189. 69 E. Hong, op.cit., p. 4.

19,5), mentre il presidente comunicava attraverso il mezzo televisivo il suo dolore per aver lasciato che il Paese versasse in condizioni tanto critiche70.

La Corea del Sud aveva dovuto subire per secoli le invasioni dei paesi vicini, era uscita dal periodo buio della trentennale occupazione giapponese nel 1945, della decisione arbitraria da parte delle potenze occidentali di dividere la penisola in Nord e Sud, si era vista governare da un governo militare statunitense fino al 1948 e aveva vissuto da protagonista una delle fasi più acute della Guerra Fredda con la guerra di Corea (1950-1953); per questo Paese, dover nuovamente dipendere dagli stranieri quarant’anni dopo, non avrebbe potuto essere più demoralizzante, soprattutto dopo essere riuscito a rialzarsi e a trasformarsi radicalmente da solo nell’arco di pochi decenni.

Ma la crisi finanziaria, che sembrava un ostacolo insormontabile, fu in realtà l’occasione per dare vita a una nuova era: iniziò un periodo di manovre atte a risollevare l’economia, che videro ad esempio uno stop ai prestiti che le banche offrivano troppo liberamente ai chaebol già menzionati.

L’amministrazione di Kim Dae Jung (1998-2003), continuando la linea d industrializzazione della cultura coreana e della sua internazionalizzazione iniziata dal governo precedente, prese misure radicali per uscire dalla crisi, le quali includevano la trasformazione del Paese in un’economia basata sulla conoscenza. Si iniziò a fare sempre maggiore affidamento sulle industrie selezionate come le chiavi per fare ripartire la nazione, quelle orientate all’avanzamento tecnologico, come le ICT (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione), le industrie culturali e biotecnologiche. L’idea di costruire dal principio lo scheletro di un’industria che esportasse cultura popolare durante una crisi finanziaria poteva sembrare strana, ma alla base c’era la considerazione che la creazione di una

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cultura pop non richiede una massiccia infrastruttura, quanto piuttosto pazienza e tempo. Il governo progettò politiche industriali atte a migliorare e incrementare la competitività dei settori menzionati sul mercato globale, ponendo l’accento sulla loro crescita integrata. Il presidente Kim Dae Jung si autoproclamò “presidente della cultura” e introdusse misure per promuovere aggressivamente le industrie culturali. Il suo governo favorì inoltre la crescita della digitalizzazione e l’espansione globale di prodotti culturali coreani71. Nel 1999 fu promulgata la Legge

per la Promozione delle Industrie Culturali, in modo da fornire una cornice politica precisa attraverso una definizione nuova del settore culturale, che diventò ufficialmente una “responsabilità statale”, fornendo così delle solide basi per la pianificazione e l’investimento dello stato in queste aree72.

Le decisioni prese e messe in atto durante la crisi, anche e soprattutto in materia di cultura, permisero al paese di ripagare totalmente e sorprendentemente il prestito avuto dal FIM nel 2001, con tre anni di anticipo rispetto agli accordi73.

Fu proprio in questi anni di cambiamenti cruciali che si registrò un’inaspettata popolarità di serie televisive coreane in Asia, soprattutto in Cina, e di musica pop, di cui si parlerà nello specifico nei paragrafi successivi. Il cambiamento nelle politiche culturali si rifletté anche nell’aumento dei fondi assegnati al Ministero della Cultura (oggi Ministero della Cultura, dello Sport e del Turismo), che, se fino agli anni ’90 erano molto più bassi rispetto ai fondi di altri ministeri incaricati di supportare lo sviluppo industriale, con il governo di Kim Dae Jung arrivarono a 102 miliardi di won e raddoppiarono negli anni dei seguenti governi, Roh Moo Hyun (2003-2008) e Lee Myung Bak (2008-2013)74. Emerge a questo punto come

la cultura sia stata riconosciuta uno dei motori propulsivi dell’economia coreana a

71 S.H. Kwon, J. Kim, op. cit., p. 427. 72 H.K. Lee, op. cit., p. 189.

73 E. Hong, op. cit., p. 3.

partire dagli anni ’90, e come ancora oggi venga considerata una dei settori chiave del Paese.

Il governo di Roh Moo Hyun continuò a nutrire la crescita delle industrie strategiche, accentuando l’enfasi sulla partecipazione pubblica e la libertà di espressione; unite alla proliferazione delle industrie ICT, le sue politiche promossero lo stabilirsi di una società altamente connessa e lo stile di vita dei cittadini coreani cominciò a ruotare attorno all’accesso ad alta velocità alle informazioni, utilizzando reti mobili a banda larga. In Corea del Sud si registra infatti la connessione Internet più ubiqua e più veloce del mondo, due volte superiore a quella degli Stati Uniti75.

Nonostante i sempre più numerosi articoli riportati dai media sul nuovo fenomeno

Hallyu però, la risposta delle politiche culturali in merito fu piuttosto lenta fino al

2004, quando la serie tv intitolata Winter Sonata diventò un enorme successo in Giappone. L’eccezionale domanda estera di prodotti di cultura popolare coreana consentì ad Hallyu di diventare oggetto legittimo della politica statale, e i decisori politici iniziarono a deliberare sui possibili benefici culturali, economici e diplomatici ad esso relativi. Il governo di Roh Moo Hyun vedeva Hallyu come un potenziale catalizzatore di un dialogo culturale transnazionale e di una maggiore collaborazione tra i Paesi asiatici. La sua politica però fu presto orientata a progetti guidati dalle quantità, come l’espansione dell’esportazione di cultura e l’accrescimento del potere del marchio coreano76.

Il successivo governo di Lee Myung Bak proseguì sulla stessa linea della creazione di un ambiente di business favorevole alla crescita delle industrie strategiche e alla commercializzazione della cultura coreana. Le aziende cominciarono ad utilizzare

75 E. Hong, op. cit., p. 6. 76 H.K. Lee, op. cit., p.191.

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in maniera sempre più massiccia l’infrastruttura ICT per massimizzare la loro competitività sui mercati internazionali; ad esempio, le maggiori agenzie d’intrattenimento in ambito musicale hanno utilizzato queste infrastrutture come uno strumento di marketing di fondamentale importanza per promuovere la musica da loro prodotta. Si tratta di una strategia che permette di superare facilmente le barriere costruite dalle multinazionali, che hanno il dominio del mercato musicale globale77. Lee Myung Bak puntò particolarmente su Hallyu come

strategia consapevole di soft power, cioè utilizzò questo fenomeno e la sua crescente fama come mezzi per dare al mondo un’immagine sempre più attraente e positiva della Corea del Sud e generare un forte interesse nei suoi confronti. Identificò le industrie culturali come “industrie dei contenuti”, focalizzando però le sue politiche culturali sull’interesse economico piuttosto che sul vero sviluppo di queste industrie e collegò Hallyu ai concetti di brand power della nazione e della sua competitività, per questo motivo era interessato anche ad espandere il più possibile il range dei prodotti facenti parte del fenomeno78. Mise quasi tutte le aree

di competenza del Ministero della Cultura (eccetto la religione) sotto l'ombrello dell'Onda Coreana, attribuendogli il prefisso "K-": la nuova idea di K-culture evoca una visione della cultura popolare come di un'impronta dello spirito, dell'identità e del carattere del popolo coreano79.

I governi seguenti, quello della presidentessa Park Geun Hye (2013-2017) e quello di Moon Jae In (2017-presente), si insediarono in un momento in cui le industrie culturali erano già maturate al punto di poter sostenere la propria crescita nei mercati globali; nonostante ciò, i due governi continuarono a fornire supporto a

77 S.H. Kwon, J. Kim, op.cit., p. 428.

78 Dal Yong Jin, A Critical Interpretation of the Cultural Industries in the Era of the New Korean Wave, pp. 43-64, in Tae-Jin Yoon, Dal Yong Jin (a cura di), The Korean Wave: Evolution, Fandom, and Transnationality, Lexington Books, 2017, p. 55.

queste industrie e al fenomeno dell’Onda Coreana, e indicarono anch’essi la promozione e il sostegno di Hallyu come uno dei punti fondamentali dei propri programmi di governo. La presidentessa Park Geun Hye utilizzò il termine “economia creativa” per indicare il tipo di economia cui auspicava, e la prosperità culturale come la chiave per raggiungerla. Denominò inoltre le industrie culturali come “industrie creative” anziché utilizzare il termine “industrie dei contenuti”, come aveva fatto il precedente governo, ed evidenziò che il successo degli show coreani all’estero è un esempio di un’economia creativa prospera, sottolineando che l’esportazione di contenuti facenti parte di Hallyu può migliorare l’immagine della Corea, ma che per far sì che ciò accada, il governo e I settori privati devono collaborare in modo da poter permettere l’ulteriore espansione di Hallyu nel mondo e il suo sviluppo come una cultura mainstream, non un qualcosa di temporaneo.80

Park Geun Hye, figlia dell’ex presidente Park Chung Hee, fu deposta dalla sua carica di presidentessa con la procedura di impeachment nel 2017, a seguito di uno scandalo di corruzione e abuso di potere. Dalle indagini si scoprì che la presidentessa aveva fatto pressioni anche sul Ministero della Cultura obbligando alcuni funzionari a fare i suoi interessi e rimuovendo dalle loro cariche coloro che non avevano intenzione di assecondare le sue mire81.

Furono indette le elezioni anticipate e Moon Jae In, arrivato secondo alle precedenti elezioni in cui era stata la Park a vincere, diventò presidente. Le politiche del nuovo governo relative ad Hallyu possono essere riassunte nel perseguire nuovi progetti di mercato nel Sudest Asiatico e in America Centrale e Meridionale, l’incentivazione delle esportazioni, il miglioramento dell’industria

80 Kyong-jin Park, Bigdata Review Analysis of media reports on Hallyu policy issues by regime, in Hallyu

Now, Global Hallyu Issue Magazine, KOFICE 2017,

http://eng.kofice.or.kr/b00_hallyuReports/b10_reports_view.asp?seq=373, p.24. 81 D. Y. Jin, op. cit., p. 57.

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culturale anche favorendo un ambiente “giusto” e continui progetti di collaborazione tra il governo e i soggetti privati per contribuire all’accrescimento