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Sulla cresta di Hallyu, l’Onda Coreana. La serialità televisiva in Corea del Sud, i casi di Mr. Sunshine e Healer.

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE,

DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA

Classe LM-65: Scienze dello spettacolo e produzione multimediale

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Sulla cresta di Hallyu, l’Onda Coreana.

La serialità televisiva in Corea del Sud,

i casi di Mr. Sunshine e Healer.

IL RELATORE IL CANDIDATO

Prof. Maurizio Ambrosini Chiara Maria

(2)

Sommario

PARTE I

Introduzione 6

Capitolo 1

Genesi, modello rappresentativo e aspetti fondamentali

della serialità televisiva contemporanea 10

1. La serialità dal feuilleton alla fiction televisiva 12 Il modello americano e le sue età dell’oro 16

1.2. La categorizzazione dei principali prodotti seriali 24 1.3. Gli aspetti fondamentali della serialità televisiva

contemporanea 28

L’era della convergenza 28

La complessità narrativa 30

L’ibridazione dei generi 32

La cult-testualità televisiva 35

Il cambiamento delle cornici di fruizione 40 Il coinvolgimento spettatoriale 43

PARTE II

Capitolo 2

Hallyu, l’Onda Coreana: dalla “Terra del calmo mattino”

alla conquista del resto del mondo 52

2.1. Hallyu: i presupposti per la sua nascita e il suo

sostentamento 56

Il ruolo fondamentale del governo coreano 57

2.2. Hallyu 1.0 69

2.3. Hallyu 2.0 79

2.4. Osservazioni su Hallyu 86

2.5. Studi su Hallyu: le prospettive più frequenti 93

(3)

Parola d’ordine: competitività 96

L’ideale di bellezza 99

Han, heung, jeong 100

Capitolo 3

K-Dramaland, dove tutto è possibile: la serialità televisiva

sudcoreana 105

3.1. Storia del broadcasting e metamorfosi delle

serie tv sudcoreane 107

Anni ’50 e ’60: gli albori delle trasmissioni 107 Anni ’70: l’intrattenimento diventa quotidianità 108 Anni ’80: la riforma del sistema mediatico 110 Anni ’90: la Corea del Sud nell’era della

multicanalità 112 Anni 2000: la conquista consapevole del

pubblico internazionale 116 Anni ’10 del nuovo millennio: nuovi mondi

da esplorare 117

3.1.1. Televisione via cavo, la nuova protagonista 121

tvN 125

JTBC 127

OCN 128

TV Chosun e Channel A 130

3.1.2. Gli ascolti televisivi 131

3.2. Le piattaforme di video streaming: gli operatori

over-the-top (OTT) 133

DramaFever 133

Viki 136

Kocowa 140

Netflix 141

3.3. Cosa s’intende per K-Drama? 146

(4)

3.4.1. Drama storici (sageuk) 152

Sageuk autentici 153

Fusion Sageuk 153

Faction Sageuk 154

3.4.2. Drama moderni 160

3.5. K-Dramaland, dramaworld o drama kingdom;

un mondo a sé 168

Emozioni e sentimenti: i timonieri dei K-Drama 170

Melodrammi e makjang 172

Autoreferenzialità nei K-Drama 173

3.5.1. I protagonisti 176

3.6. Live filming, produttori indipendenti e i lati

oscuri della produzione 180

3.7. Il pubblico e la partecipazione attiva 196

Il pubblico coreano 198 Il pubblico internazionale 200 PARTE III Introduzione ai capitoli 4 e 5 210 Modello attanziale 212 Tipologia di trama 214 Classificazione dell’eroe 216

Tempo della narrazione e tempo del racconto 218

La voce 220

Le funzioni narrative 221

Il punto di vista 222

(5)

Capitolo 4 미스터 션샤인 – Mr. Sunshine 228 Cast 229 Produzione 231 Critiche 232 Trama e personaggi 234 4.1. Analisi narratologica 240

Eugene Choi/Choi Yoo Jin 241

Go Ae Shin 244

Gu Dong Mae 245

Kim Hee Sung 246

Kudo Hina/Lee Yang Hwa 249

4.2. Struttura complessiva 254

4.3. Le funzioni narrative 256

4.4. Il punto di vista 257

4.5. Ambienti 258

4.6. Peculiarità e sottotitolazione 260

4.7. OST – Original Sound Track 263

4.8. PPL – Product Placement 264

4.9. Tratti stilistico-espressivi 265

4.10. Analisi di un episodio 269

Segmentazione dell’episodio 270

Analisi di una sequenza 287

4.11. Osservazioni 299

Capitolo 5

힐러 – Healer 301

Cast 302

(6)

Trama e personaggi 304

5.1. Analisi narratologica 313

Seo Jung Hoo/Healer/Park Bong Soo 313

Chae Young Shin/Oh Ji An 320

Kim Moon Ho 323 5.2. Struttura complessiva 327 5.3 Le funzioni narrative 328 5.4. Il punto di vista 329 5.5. Ambienti 330 5.6. Peculiarità e sottotitolazione 331

5.7. OST – Original Sound Track 332

5.8. PPL – Product Placement 333

5.9. Tratti stilistico-espressivi 334

5.10. Analisi di un episodio 336

Segmentazione dell’episodio 337

Analisi di una sequenza 350

5.11. Osservazioni 371

Considerazioni finali 374

Bibliografia 384

Articoli, saggi e tesi online 386

Sitografia 388

Bibliografia di approfondimento 397

Sitografia di approfondimento 399

(7)

INTRODUZIONE

Questa tesi nasce principalmente dalle domande che mi sono posta a riguardo al mio personale coinvolgimento nei confronti delle serie televisive sudcoreane. È frutto di quattro anni di assidua esperienza di visione e di frequentazione delle comunità online, del costante monitoraggio degli hub di questo curioso e interessante fenomeno transnazionale chiamato Hallyu – Onda Coreana, del quale ho avuto modo di verificare in prima persona la portata, rimanendo piacevolmente sorpresa.

Il termine Hallyu indica la popolarità di prodotti culturali sudcoreani al di fuori dei confini della piccola Repubblica di Corea; si tratta di un Paese che in soli pochi decenni è stato capace di rialzarsi dalla situazione di estrema povertà in cui versava e, dagli anni ’90, ha puntato sulle industrie culturali e sulle tecnologie di informazione e comunicazione per affermarsi come una nazione nuova, più forte e moderna. Nello svolgere ricerche in merito, ho preso atto del fatto che a questo proposito non esistono contributi accademicamente rilevanti in lingua italiana, il che è comprensibile, dal momento che Hallyu in Italia è tutt’altro che mainstream e vive quasi unicamente grazie a Internet. È per questo che la bibliografia citata e quella di approfondimento che riguardano questo fenomeno sono composte da libri, articoli, saggi e studi in lingua inglese, ed è stato proprio grazie alla rete se sono entrata in contatto con questo mondo e con una cultura così diversa dalla mia. Ho sempre mostrato una certa propensione al fascino dell’Estremo Oriente, ma fino al 2015 non avevo nemmeno idea di come potesse suonare la lingua coreana, né tantomeno di quanto la Corea del Sud avesse da offrire soprattutto sul piano dell’intrattenimento. In quell’anno sono entrata per la prima volta in contatto con la musica pop sudcoreana grazie a YouTube, e ricordo di essere rimasta

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7

particolarmente incuriosita da quello che avevo potuto vedere e sentire.

Da quel momento Hallyu – l’Onda Coreana –ha gradualmente travolto anche me. Entrare in contatto con le comunità di fan online è stato un passo quasi naturale e logico da compiere, soprattutto per la necessità che avevo di reperire più informazioni possibili che riguardassero il mondo in cui mi ero appena tuffata e che era qualcosa di cui non sapevo davvero nulla. Altrettanto naturale è stato il passaggio dalla musica alla serialità televisiva (con il parallelo studio della lingua coreana), poiché in diversi luoghi del web leggevo continuamente commenti e consigli dei fan sugli allora per me sconosciuti Korean Drama o K-Drama e persino YouTube aveva iniziato a “consigliarmi” la visione di alcune clip tratte proprio da questi prodotti. È stato così che mi sono avvicinata per la prima volta anche alla serialità televisiva sudcoreana, ma devo ammettere che inizialmente la mia reazione non è stata troppo entusiastica. La prima serie che ho provato a guardare, Heartstrings, è decisamente una delle serie peggiori che abbia mai visto. È proprio questa sua non-eccezionalità che mi ha portato a riflettere più a fondo sulla questione: perché, nonostante tutto, quella serie riusciva a tenermi davanti allo schermo? Perché alla fine di ogni puntata nasceva in me il desiderio di sapere come sarebbe continuata la storia? Dopotutto la trama non era così complicata, non c’erano effetti speciali o scene d’azione a tenermi sull’orlo del divano nell’attesa di un risvolto d’effetto.

Ho deciso allora di dare un’opportunità ai K-Drama, scoprendo così che esistevano serie nettamente migliori, tanti generi diversi e più affini ai miei gusti personali, motivo per cui da allora questi testi audiovisivi sono diventati parte integrante della mia dieta mediale.

Insofferente nei confronti del formato multi-stagionale della serialità occidentale e in difficoltà nell’affezionarmi ai personaggi o nel seguire con attenzione le storie

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narrate, mi ero accorta che il mondo dei K-Drama mi stava invece offrendo tutto ciò che l’intrattenimento occidentale non era più stato in grado di darmi.

La serialità televisiva sudcoreana è, insieme alla musica pop, la punta di diamante del fenomeno Hallyu, un’industria particolarmente vivace, frizzante, produttiva, uno scenario in continua evoluzione; tuttavia è un mondo anche alquanto controverso e regolato da norme che differiscono molto da quelle delle produzioni occidentali; tra tutte spicca (e non necessariamente come nota positiva) la pratica faticosa e stressante del live filming, nata per monitorare e assecondare il più possibile il pubblico e i suoi desideri, registrandone l’insoddisfazione su popolari siti coreani e agendo di conseguenza per fare in modo che abbia ciò che desidera (ma senza una reale garanzia di successo). Il pubblico, sia quello coreano che quello internazionale, ha infatti un’importanza cruciale nella crescita e nell’espansione dell’Onda Coreana, che non può non essere affrontata insieme a molte delle caratteristiche distintive di questo fenomeno.

La tesi, articolata in tre parti, affronterà e approfondirà gli argomenti cui si è accennato fino a qui. Da una prima parte di carattere storico-critico, con la presentazione della serialità televisiva in generale e delle principali prospettive di studio che la riguardano (capitolo 1), si passerà alla sezione storico-culturale che esplora il fenomeno Hallyu (capitolo 2) e ancora più dettagliatamente la serialità televisiva sudcoreana, con le sue abitudini produttive e le sue peculiarità (capitolo 3). L’ultima parte, di carattere analitico, si propone invece di indagare i due casi di studio della tesi, le serie Mr. Sunshine e Healer (capitoli 4 e 5) da un punto di vista del contenuto creativo e della materia d’espressione audiovisiva, cosa che gli studi in lingua inglese sull’argomento raramente prendono in considerazione.

(10)
(11)

C

APITOLO

1

Genesi, modello rappresentativo e aspetti fondamentali

della serialità televisiva contemporanea

“Ecco il nocciolo esperienziale dell’illusione: godere di un accesso nuovo e produttivo al nostro mondo e alle nostre vite, attraverso la proiezione in altri mondi e in altre vite. Proprio in questo gioco di sponda, con tutta probabilità, sta il segreto del suo sempre più diffuso radicamento nella vita dell’uomo di oggi; e addirittura […] della sua crescente necessità.”1

Prima screditata, oggi fenomeno di culto, la serialità televisiva contemporanea, sempre più elaborata e pervasiva, rivendica a gran voce il suo status di medium artistico meritevole di essere indagato in tutte le sue parti, esplorato nelle sue forme in continua metamorfosi ed espansione, rivalutato alla luce della sua capacità di dare vita ad uno speciale patto finzionale con lo spettatore attraverso narrazioni complesse e coinvolgenti. Sono sempre di più gli studiosi che si occupano di serialità televisiva e che in essa riconoscono una potente macchina narrativa in grado, sotto certi aspetti, di superare in termini di capacità seduttiva anche il cinema, attingendo al suo stesso linguaggio espressivo; pur non privandolo del suo ruolo, nella mediasfera le serie tv si sono infatti affermate come sue degne “concorrenti” dimostrando di essere in grado di conquistare e stregare il pubblico, che trova in esse un modo diverso di soddisfare la sua sete di storie in cui perdersi oppure, perché no, ritrovarsi.

1 Federico di Chio, L’illusione difficile. Cinema e serie tv nell’età della disillusione, Bompiani, Milano 2011, p.26.

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11

Se in precedenza ogni prodotto figlio della televisione e della cultura pop non sfuggiva a pregiudizi negativi, venendo inesorabilmente etichettato come forma di intrattenimento se non deprecabile almeno di dubbio valore artistico, ad oggi sembra che il quadro dei valori stia cambiando. Le serie, che da quando hanno iniziato a riempire i palinsesti delle televisioni di tutto il mondo non hanno smesso di evolversi, incuriosiscono oggi per molteplici motivi. La ricca produzione di ricerche aventi come oggetto la serialità televisiva ha messo in luce diverse prospettive di studio che emergono con forza dall’analisi di questi prodotti e che pertanto non possono essere trascurate se si vuole gettare uno sguardo critico sull’argomento. La sperimentazione sulle forme narrative e sulla messa in scena, le dinamiche innescate dalla cultura convergente, la tendenza all’ibridazione dei generi, le modalità di fruizione, la capacità di generare fenomeni di culto e il profondo coinvolgimento spettatoriale, sono questi alcuni dei più significativi aspetti che affiorano in primo piano e costituiscono i punti cardine su cui si è concentrato l’interesse di accademici e studiosi.

Il primo capitolo di questa tesi si pone quindi l’obiettivo di fornire un background storico-critico all’oggetto di indagine, la serialità televisiva in Corea del Sud, illustrando dapprima il percorso che ha portato la serialità narrativa dalle pagine dei giornali ai media audiovisivi, attraversando poi le Golden Age della serialità televisiva americana e la categorizzazione dei prodotti seriali, per arrivare infine a far emergere gli aspetti cruciali della serialità televisiva contemporanea, i quali saranno ripresi nei capitoli successivi e messi in relazione al contesto coreano.

(13)

1.1 La serialità dal feuilleton alla fiction televisiva

Se è vero che la popolarità delle serie televisive trova la sua massima espansione nell’epoca contemporanea, non bisogna dimenticare che le radici della serialità narrativa vanno collocate in tempi molto meno recenti e che esse non hanno a che vedere soltanto con i media audiovisivi. È opportuno, a questo punto, ricordare e ripercorrere brevemente il cammino della serialità2, le cui metamorfosi dal XIX

secolo ad oggi hanno portato all’affermazione di quell’affascinante “macro-genere” della fiction televisiva costituito dalle serie.

La nascita della serialità in ambito narrativo è da attribuire ad una forma di racconto a puntate che riscosse grande successo fin dagli inizi dell’Ottocento. In quel periodo nacque infatti il feuilleton, un supplemento al giornale quotidiano su cui venivano pubblicati dapprima novelle, poi racconti ed infine quelli che possono essere definiti romanzi a puntate. Se fino al 1836 si era trattato di segmentare opere già esistenti, in quell’anno Charles Dickens pubblicò Il Circolo Pickwick, la prima vera opera letteraria di tipo seriale priva di una rigida e precostituita struttura narrativa, il cui intreccio prese vita e forma progressivamente, puntata dopo puntata. Questa diventò una strategia molto diffusa e implicò una novità interessante nel modo di scrivere: la storia aveva infatti un inizio definito, ma alle volte l’autore non aveva ben chiara la direzione che avrebbe preso, poiché con il susseguirsi delle uscite venivano aggiunti personaggi e linee narrative configurati strada facendo che complicavano l’intreccio, arricchendolo di numerosi dettagli. Significava dunque pensare ad un racconto stratificato, intrecciato progressivamente anziché alla frammentazione di un progetto già compiuto, ed è

2 Per tutto il paragrafo di carattere storico, ad eccezione di dove diversamente indicato, è stato fatto riferimento principalmente al volume di Veronica Innocenti, Guglielmo Pescatore, Le nuove forme della

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13

semplice rilevare in questo sistema una modalità narrativa facilmente adattabile anche alla produzione seriale di tipo audiovisivo, specialmente quella televisiva. Ci si accorse che la serializzazione del racconto in piccoli frammenti, uguali nel formato ma non nel contenuto, esercitava un notevole fascino sui lettori e li spronava ad acquistare il giornale, incrementandone esponenzialmente il consumo ed incentivando così il proliferare di romanzi a puntate. Si può quindi affermare che la serializzazione dei prodotti culturali è da sempre strettamente legata alla sfera economica e tecnologica, basti pensare che l’introduzione di questa modalità narrativa fu incentivata anche dalla possibilità di assicurarne una rapida circolazione grazie alla stampa a basso costo, un’importante opportunità che fino a qualche tempo prima sarebbe stata impensabile.

Il romanzo a puntate costituì quindi un passo cruciale verso la popolarità e il riconoscimento della forma narrativa seriale, che dalla letteratura sarebbe approdata con successo ad altri media. Dal 1895 ad essa si affiancarono infatti il fumetto, con una struttura basata proprio sulla serializzazione della storia e la fidelizzazione del lettore, e il cinema. Per quanto concerne quest’ultimo, il serial è stato una sua forma caratteristica fin dagli anni ’10, quando la produzione brulicava di film a struttura episodica, di durata variabile, che portavano avanti una sola linea narrativa e che prevedevano l’interruzione sistematica di ogni frammento nel climax della tensione. Questa pratica di sospensione del finale, che si dimostrò estremamente efficace nell’intrigare lo spettatore e nell’indurlo a tornare al cinema la settimana seguente per scoprire quale sarebbe stato il prosieguo del film, prese il nome di cliffhanger3; insieme ai cartelli che rimandavano alle puntate successive,

rappresentò uno degli elementi del cinema che avrebbero poi avuto risonanza

3 Ivi, p. 5: “[…] (dall’inglese cliff, scoglio e hanger, qualcosa che permette di stare appeso) proprio perché in genere l’episodio si chiudeva con il protagonista appeso a una roccia, o a penzoloni da un palazzo, in attesa di una risoluzione che sarebbe arrivata solo con l’episodio successivo.”

(15)

anche in televisione.

Anche la radio rivestì un ruolo importante per quanto concerne i prodotti seriali. La strategia di produrre trasmissioni radiofoniche seriali fu adottata con il preciso scopo di catturare inserzionisti pubblicitari che potessero finanziare un sistema commerciale come quello americano: le narrazioni seriali hanno caratteri e storie ricorrenti che possono facilmente fidelizzare il pubblico e al tempo stesso possono essere scomposte strategicamente in più blocchi narrativi, tra i quali inserire messaggi pubblicitari.

In questo scenario di innovazioni significative, sia a livello industriale, con l’affermarsi della produzione in serie inaugurata dal fordismo e la conseguente diffusione di massa di beni di consumo, sia a livello culturale con la letteratura di consumo, il fumetto, il cinema e la radio, si andò delineando anche il ruolo di un’entità fondamentale, che aveva rivelato una grande propensione nei confronti dei prodotti seriali: il pubblico. Fu grazie ad esso e alla sua fame di racconti, al suo desiderio di fruire storie in cui fossero rintracciabili degli elementi ricorrenti, che le forme seriali furono adottate da ogni medium di massa. Il pubblico cominciò ad essere considerato come un’entità concreta con la quale instaurare un rapporto, ed il singolo fruitore assunse un ruolo di rilievo diventando il destinatario di messaggi non solo da parte dei film, ma anche delle moderne tecniche adottate dai pubblicitari, i quali intuirono quanto le forme narrative seriali potessero essere capaci di catturare lo spettatore, ovvero il potenziale consumatore, e cominciarono presto a cercare di trarne vantaggio.

Non ci volle molto perché la serialità passasse dal cinema e dalla radio alla conquista del medium televisivo; d’altronde il racconto di finzione ha sempre dimostrato una certa facilità nel modellarsi e nell’adattarsi alle innovazioni progressivamente introdotte nel sistema mediatico. Durante i primi anni di

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15

trasmissioni televisive, il nuovo medium affacciatosi sulla scena doveva essere inventato dal nulla e così inizialmente attinse ai linguaggi e ai contenuti dei media che l’avevano preceduto. Nel passaggio dalla radio alla televisione, ad esempio, il radiodramma e la soap opera furono tradotti senza troppe difficoltà nei nuovi codici richiesti dalla tv, mentre gli spettacoli teatrali venivano trasmessi in diretta (fino a quando non fu introdotta la registrazione su nastro magnetico, a fine anni ’50). Sebbene prendano i natali anche dall’esperienza cinematografica4, i

prodotti di fiction televisivi si trovano ad operare in un contesto mediatico che differisce molto da quello del cinema soprattutto per le strategie: abbiamo avuto modo di vedere quanto anche il cinema sia stato caratterizzato fin dall’inizio dalla presenza di forme seriali come i film a puntate, ma né questi né tantomeno le logiche dei sequel sono assimilabili ai procedimenti narrativi tipici del contesto televisivo. Lo standard narrativo cinematografico rimane più o meno per tutti identificabile essenzialmente con la forma del lungometraggio, non con quella di testi pensati appositamente per svolgersi attraverso l’espansione progressiva di una trama progettata sulla base di archi narrativi stagionali e di appuntamenti quotidiani o settimanali. Tutto ciò risponde in modo piuttosto palese all’esigenza prettamente televisiva di assicurare ascolti soddisfacenti e quindi di intraprendere un’opera di fidelizzazione del pubblico, che possa essere indotto a una fruizione ripetuta. Una caratteristica della fiction televisiva, pertanto, è il suo agire in un contesto mediatico regolato dalle logiche di palinsesto, dalla regolazione del tempo del flusso televisivo in relazione alle esigenze dei telespettatori e alle strategie dei pubblicitari5. Dagli albori della televisione, la serialità televisiva si è evoluta

seguendo percorsi diversi a seconda delle aree di produzione; lo sviluppo dei

4 Sergio Brancato, Le narrazioni post-seriali. Il mondo nuovo della fiction-tv, in Sergio Brancato (a cura di), Post-serialità. Per una sociologia delle tv series. Dinamiche di trasformazione della fiction televisiva, Liguori Editore, Napoli 2011, p. 16-17.

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racconti di finzione in tv è infatti legato alle diverse esigenze di intrattenimento dei Paesi in cui sono stati prodotti. Negli Stati Uniti la televisione ha mutuato dalla radio forme narrative quali la soap opera o la sit-com; in nazioni come l’Italia, nelle quali i servizi radiofonici e televisivi sono stati orientati al servizio pubblico, i dispositivi narrativi di maggiore successo sono stati altri, come il teleromanzo o il

romanzo sceneggiato, mentre in altre aree, come l’America Latina, il prodotto di

finzione più efficace è risultato invece essere la telenovela. La fiction televisiva si è quindi evoluta in relazione ai diversi sistemi televisivi nei quali si è innestata, trasformandosi nel corso del tempo e assumendo forme che, pur rispondendo a sensibilità diverse anche a seconda del contesto culturale che le ha prodotte, sono tuttavia sempre accomunate dalla necessità di «gestire le medesime sostanze emotive del consumo di immaginario»6.

1.2 Il modello americano e le sue età dell’oro

Per avere un quadro più completo della storia delle serie tv non è possibile non fare riferimento all’imprescindibile modello costituito dalla serialità americana, di gran lunga la più famosa a livello internazionale e quella che vanta le maggiori possibilità di investimento economico per le proprie produzioni, permettendo agli addetti ai lavori di sfornare opere di sempre maggiore qualità e complessità. Il periodo di tempo collocabile tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio degli anni ‘60 vide la televisione prendere sempre più campo fino a radicarsi saldamente nella società e imporsi come medium di massa. In questi anni la tv americana fu contraddistinta dall’alto grado di sperimentazione di «formule narrative, modelli produttivi e distributivi e di costruzione delle figure

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17

professionali coinvolte nel processo creativo e industriale»7. Iniziò qui l’era dei

grandi network, alla ricerca di standard produttivi di successo, il cui dominio verrà minato alcuni anni più tardi dall’avvento delle televisioni via cavo. Fu dal teatro che presero le mosse le prime serie drammatiche della tv statunitense, che consistevano nella ripresa e nella trasmissione in diretta di episodi di opere teatrali, unificati soltanto dal titolo complessivo della serie e non da personaggi, ambientazioni e trame ricorrenti. Già da questo primo periodo la televisione era legata strettamente agli inserzionisti, che investivano nella produzione degli show seguendo il modello della sponsorship unica (una serie era sponsorizzata da un solo marchio), tanto da avere il controllo sul prodotto finale. Sotto di loro c’erano i funzionari dei network e su un gradino ancora inferiore stavano gli autori degli show, che non erano considerati artisti pienamente responsabili delle proprie creazioni e dovevano sottostare a un pesante sistema di censura. Dalla metà degli anni ’50 la serialità attraversò un periodo di transizione e vide il consolidarsi dell’oligopolio dei tre network NBC, CBS e ABC, oltre al passaggio dalla sponsorizzazione unica all’utilizzo delle inserzioni pubblicitarie. Il cambiamento fondamentale di questo periodo nella produzione di fiction fu l’uso consapevole delle strategie di serializzazione del racconto; la trasmissione in diretta di opere teatrali diminuì sensibilmente e fu affiancata, grazie anche alle agevolazioni offerte dalla nuova possibilità di registrazione delle riprese su nastro magnetico, da produzioni che riproponevano in modo continuativo gli stessi personaggi e le stesse ambientazioni, produzioni modellate sui generi tipici di Hollywood (come il western), anche se la continuità inter-episodica era molto debole ed esclusiva, in questa fase, delle soap opera. Con l’introduzione di un tipo di produzione

7 Aldo Grasso, Cecilia Penati, La nuova fabbrica dei sogni. Miti e riti delle serie tv americane, Il Saggiatore, Milano 2016, p. 32.

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specificamente televisivo, inoltre, gli sponsor rimasero figure fondamentali ma il controllo sul prodotto venne gradualmente trasferito nelle mani di produttori, distributori e network.

Negli anni ’60 si avviò un’ulteriore trasformazione, nella direzione di un rinnovamento soprattutto dal punto di vista dei contenuti, riscontrabile nelle caratteristiche espressive di alcuni prodotti del periodo orientati verso il realismo nella trattazione di tematiche relative alla società americana e nell’approfondimento della psicologia dei personaggi8. La produzione seriale, però, tornò presto a recuperare formule più convenzionali e stereotipate atte a ridurre il più possibile il rischio di un basso gradimento da parte degli spettatori, scelta che scaturì proprio dal maggiore potere di controllo che i network erano finalmente riusciti ad avere sui propri prodotti. Il connubio di qualità e intrattenimento rappresentato da quelle serie innovative non si ritroverà più almeno fino agli anni ’80. A partire da allora, infatti, ebbe inizio una seconda Golden Age che arriva fino ad oggi e alla quale si deve tutto l’interesse creatosi attorno alla serialità televisiva. Grazie anche alla sospensione del Code of Practices for Television

Broadcasters nel 1982, le potenzialità espressive e tematiche della serialità non

erano più costrette da una rigida censura e si aprirono nuovi orizzonti. In quel periodo poi, i broadcaster dovettero iniziare a fare i conti con la competizione di nuovi operatori via cavo, i quali entrarono in scena proponendo fin dall’inizio linee editoriali alternative a quelle stereotipate dei grandi network generalisti, e si fece così sempre più forte l’urgenza di richiamare l’attenzione di un pubblico di qualità. La seconda Golden Age, infatti, coincide con l’affermazione di ciò che è stato definito dagli studiosi quality television9, vale a dire uno spicchio di produzione

8 Ivi, p. 39.

(20)

19

televisiva identificabile con programmi a cui, per via dei contenuti, delle sceneggiature e dello stile visivo che li contraddistinguono, viene attribuito particolare valore; è il caso di serie di successo nate proprio in quegli anni, che introdussero modelli narrativi originali, più sofisticati rispetto a quelli convenzionali, serie la cui distribuzione e la cui promozione non furono più pensate soltanto per il medium televisivo, bensì per essere estese a diversi media. Hill Street

Blues (1981-1987), in cui convivono aspetti classici, come quello della forte

emotività tipica della soap opera, con la sperimentazione di formule inedite, rappresentò di certo il punto di svolta, contenendo in sé le nuove strategie di costruzione della serialità. Ma i modelli di riferimento della televisione di qualità sono rintracciabili soprattutto in alcune serie che ottennero un grande successo a partire dalla metà degli anni ’90, come E.R.-Medici in prima linea, X-Files, I

Soprano, prodotti che mettono in risalto la propria complessità narrativa

esercitando un fascino tale sullo spettatore da indurlo ad una visione ripetuta, e che richiedono uno sforzo da parte dello stesso per dedicarsi a seguire la serie “abbandonando” la fruizione distratta tipica del telespettatore. Il modo di fare serialità televisiva entrò in una nuova era, diversa da quella degli standard fissati durante la prima Golden Age, e sperimentò formule differenti. Alcuni tratti peculiari dei programmi della quality television sono: l’adozione della narrativa multilineare (che quindi non vede più un solo protagonista ma, più spesso, segue un gruppo di personaggi principali), la tendenza all’ibridazione dei temi e dei generi all’interno di uno stesso prodotto, un più sofisticato stile visivo, la presenza di un cast di alto livello e la propensione verso il realismo.

“L’efficacia di questo tipo di prodotto deriva dalla modulazione di una

dimensione simulatoria (del reale), e una dimensione narrativa (del “come se”). La fiction legge il reale, ne amplifica alcuni dettagli, ne narcotizza altri,

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ne dilata altri ancora; così facendo, ci invita a leggerlo e consumarlo nello stesso modo.”10

Gli elementi citati sopra sono tutt’ora rintracciabili nella serialità televisiva contemporanea, segno di come i prodotti nati durante la Seconda Golden Age americana abbiano davvero lasciato il segno, non soltanto quanto a popolarità tra il pubblico, ma anche riguardo alle strutture e ai meccanismi di costruzione e di funzionamento che si sono andati consolidando nel corso degli anni. Tra questi bisogna evidenziare un forte cambiamento a livello visuale, in quanto a partire dagli anni ’80 le produzioni tesero a non nascondere più i propri mezzi espressivi, ma cominciarono a esibirli: grafica, effetti di ripresa e montaggio, effetti sonori, tutto da allora contribuisce alla ricerca di nuovi stili espressivi.

Negli anni ’90 si affermarono e si delinearono definitivamente due ambienti televisivi che ancora oggi sono contrapposti e riconoscibili per le caratteristiche testuali dei loro prodotti, oltre che per la loro diversa organizzazione della programmazione: quello delle tv generaliste, che sopravvivono grazie alle inserzioni pubblicitarie, e quello dei canali via cavo o via satellite, i cui introiti provengono principalmente dalla sottoscrizione degli abbonamenti. Le prime si appropriarono dello standard rappresentato dal quality drama, i secondi continuarono sulla linea di sperimentazione di altre formule narrative, di trattazione di tematiche più spinose rispetto a quelle affrontabili in ambito generalista, grazie anche alla diversa regolamentazione dei contenuti, che ha sempre consentito ai canali via cavo una maggiore libertà di linguaggio ed espressione. In questo decennio cambiò anche il concetto di autorialità nella produzione di fiction televisiva; da un lato i produttori televisivi acquisirono più visibilità di quanta ne avessero mai avuta in precedenza, e gli venne riconosciuto lo

(22)

21

statuto di “firme”, mentre dall’altro lato «si assiste[tte] a una prima ondata di registi cinematografici che approda[rono] […] alla produzione televisiva»11, come

Quentin Tarantino e David Lynch.

Nel nuovo millennio le serie tv portano avanti l’eredità di quelle le hanno precedute, aggiungendo alle sperimentazioni narrative e stilistiche la capacità di diventare veri e propri marchi riconoscibili anche al di fuori del piccolo schermo; pensiamo a Dr.

House 2012), Grey’s Anatomy (2005-in corso) e soprattutto Lost

(2004-2010), che segna una svolta significativa con «la piena orizzontalità della trama, il concetto di multi-cast portato alle estreme conseguenze, la continua distorsione della linearità temporale […], un mondo narrativo sovrabbondante di dettagli»12.

Lost rappresenta un punto chiave anche per quanto riguarda i cospicui

investimenti, per la sua circolazione internazionale e per il sistema di estensioni transmediali creato intorno a questo prodotto.

Oggi la serialità sembra essere entrata in un periodo ancora più rigoglioso in cui si registra la più grande ricchezza produttiva di sempre; come si vedrà più avanti in merito al discorso sul cambiamento delle cornici di fruizione, l’avvento di Internet e delle piattaforme come Netflix, che dal 2013 con House of Cards non solo offre contenuti in licenza fungendo da distributore, ma include nella sua offerta anche contenuti originali di sua produzione, ha incrementato e diversificato la produzione delle serie, che ad oggi sembrano avere soppiantato il cinema quanto a popolarità, soprattutto tra gli spettatori più giovani. L’industria della serialità televisiva è quindi coinvolta in una continua corsa al miglioramento dei propri standard per non perdere l’attenzione del pubblico, che si ritrova immerso in un oceano di titoli tra cui poter operare le proprie scelte.

11 Ivi, p. 52. 12 Ivi, p. 55.

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La serialità televisiva americana è quella che da sempre domina lo scenario globale, per la sua acclamata qualità, la capacità di sperimentare nuove soluzioni espressive e di narrare storie dai toni leggeri ma anche dalle tinte più scure, di sviscerare i problemi della società e indagare a fondo la psiche dei personaggi, i quali si configurano sempre di più come degli antieroi.

Introduco qui una breve illustrazione degli standard produttivi delle serie tv americane e del quadro dei professionisti coinvolti nel processo creativo, panoramica che tornerà utile quando, nel terzo capitolo, verrà trattato il contesto produttivo delle serie televisive sudcoreane.

La figura tipica della serialità americana è quella dello showrunner: «perfetto compromesso tra il concetto letterario di autore e quello industriale di

produttore»13, è una ruolo professionale che si occupa di controllare tutto il

processo produttivo di una serie, della quale spesso è l’ideatore e di cui poi segue gli sviluppi, in qualità di supervisore sia delle fasi creative (come la scrittura degli episodi o la pianificazione degli archi narrativi) sia di quelle industriali (come la gestione del budget e il calendario di produzione).

La serialità televisiva statunitense è strutturata secondo una

“[…] rigida scansione stagionale delle fasi di produzione e messa in onda

delle serie, quasi totalmente caratterizzata dal modello della pilot season (solo alcune delle idee inizialmente commissionate e sviluppate vengono poi finalizzate, con un consistente «spreco» di risorse economiche).”14

Se lo showrunner supervisiona la serie in tutte le sue fasi di sviluppo, rimanendo una presenza fissa, lo stesso non si può dire di registi e sceneggiatori. Nella serialità americana infatti, ogni episodio di una serie è generalmente diretto da un regista

13 Ivi, p. 27. 14 Ivi, p. 57.

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23

differente che darà il proprio contributo personale, lavorando tuttavia in modo coerente con lo stile visivo e con l’impianto generale della serie stabilito dall’episodio pilota; gli sceneggiatori, che di solito sono più di due e lavorano in team, non è detto rimangano gli stessi dall’inizio alla fine della produzione.

Anche per questo la figura dello showrunner è fondamentale nel tenere insieme le redini del prodotto e assicurargli coerenza sia sul piano contenutistico che su quello tecnico-linguistico.

Se l’idea che sta alla base di una storia è abbastanza intrigante, il network a cui è stata presentata (o che l’ha commissionata) può ordinare l’episodio pilota oppure, se l’entusiasmo è particolarmente alto, concedere direttamente di realizzare una prima stagione composta da 6, 13 o 22 episodi15.

Nel periodo che va dalla fine dell’estate all’inizio dell’inverno, i grandi network generalisti avviano i colloqui per accaparrarsi le idee migliori, mentre a inizio anno decidono quali tra i progetti che sono riusciti ad ottenere meritano l’investimento del necessario alla produzione dell’episodio pilota. Generalmente i casting vengono condotti dopo averlo ordinato, quindi attorno al periodo febbraio-marzo, con l’avvicinarsi della produzione. Quando quest’ultima viene completata, per i network è tempo di decidere quali siano le prospettive migliori, cercando di interpretare l’interesse del pubblico attraverso delle anteprime con gruppi campione, effettuate entro la terza settimana di maggio, il termine ultimo per la presentazione dei piani per la nuova stagione televisiva. Questi incontri segnano anche l’avvio della fase in cui i network danno inizio alla vendita degli spazi pubblicitari agli inserzionisti.

15 Coming Soon, Dall’idea allo schermo: ecco come nasce una serie tv,

https://www.comingsoon.it/serietv/speciali/dall-idea-allo-schermo-ecco-come-nasce-una-serie-tv-1/n28747/ , ultimo accesso: 11 giugno 2019.

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Durante il periodo delle riprese, la giornata lavorativa comincia attorno alle 8 del mattino per finire verso le 18/20.00, senza contare le scene ambientate in notturna, che vengono preferibilmente girate nei finesettimana16.

A seconda delle strategie adottate dai diversi network o canali via cavo, una serie può da subito essere pianificata in più stagioni senza neanche attendere il riscontro in termini di ascolti della stagione pilota. Quasi tutte le serie sono costituite da più di due stagioni, ma può succedere che, se il gradimento del pubblico è basso e non soddisfa le aspettative, una serie venga cancellata o accorciata.

Si può affermare che il sistema produttivo americano ruoti attorno all’idea di sfruttare la vena creativa fino all’ultima goccia; insomma, le serie vengono fatte durare finché hanno successo per massimizzare i guadagni.

Come avremo modo di vedere, nel contesto coreano il concetto di “stagione” non rientra nella logica produttiva della serialità televisiva e la produzione di stagioni successive alla prima costituisce un’eccezione.

1.3 La categorizzazione dei principali prodotti seriali

La crescente complessità della struttura testuale delle serie televisive e la loro affermazione come prodotti di culto presso gli spettatori hanno permesso il mutamento del clima culturale per il quale oggi le serie televisive (più precisamente quelle da prima serata) non sono più considerate testi privi di artisticità o qualità, ma si sono guadagnate il rispetto e l’attenzione dei critici e degli accademici, che hanno dato vita a numerosi studi dedicati proprio a questi prodotti, certamente non semplici da indagare.

Tra i più importanti studiosi che si sono occupati per primi di serialità televisiva c’è

16 Coming Soon, Dall’idea allo schermo: ecco come nasce una serie tv,

https://www.comingsoon.it/serietv/speciali/dall-idea-allo-schermo-ecco-come-nasce-una-serie-tv-3/n29069/ , ultimo accesso: 11 giugno 2019.

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25

Umberto Eco. Negli anni Ottanta, ovvero in un periodo in cui si erano già consolidati modelli classici di serialità, affermatisi durante la Prima Golden Age americana, ed in cui accanto a questi iniziavano a diffondersene di nuovi, Eco descriveva le caratteristiche distintive della serialità televisiva e delineava una categorizzazione delle modalità in cui il prodotto seriale può prendere vita. Nonostante i cambiamenti avvenuti da allora, essa rimane sempre un importante punto di riferimento e permette di orientarsi con maggiore chiarezza nella produzione di fiction seriale.

Sebbene si parli di prodotti distinti, le due categorie seriali più importanti vengono sempre confuse ed indicate comunemente e indifferentemente solo con il nome di serie. A seconda del tipo di prodotto a cui ci si riferisce, sarebbe in realtà corretto indicarlo con il nome di serie o serial, due macrocategorie delle quali di seguito verranno illustrate le caratteristiche principali.

Il prodotto audiovisivo che risponde al nome di serie17 è articolato in episodi

generalmente dotati di un titolo, autosufficienti ed autoconclusivi, dominati quindi dalla trama verticale o anthology plot (secondo cui una vicenda inizia e termina nell’arco di uno stesso episodio); le sue forme più comuni sono la serie antologica, la sitcom e la serie propriamente detta.

La serie antologica, caduta in disuso piuttosto in fretta per via dell’eccessivo sforzo creativo e produttivo che richiede, è caratterizzata da episodi di durata variabile che diversificano continuamente i personaggi e le ambientazioni; gli unici fattori che legano gli episodi possono essere riconducibili al genere o alla presenza dello stesso attore o di uno stesso narratore/presentatore (è ad esempio il caso di Alfred

Hitchcock presenta, 1955-1962).

La sitcom, invece, si basa su episodi corti e sulla leggerezza di toni della commedia;

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viene coinvolto sempre il solito gruppo di personaggi ripreso in ambienti fissi e le situazioni rappresentate di solito trattano di rapporti interpersonali, seguendo uno schema ciclico in ogni episodio, equilibrio iniziale – conflitto – risoluzione – ritorno all’equilibrio (si pensi alla serie di culto Friends, 1994-2004).

Per quanto riguarda la serie propriamente detta, quella più tradizionale, essa fa uso di uno schema e di un carattere fissi; se si prendono come esempi le serie poliziesche prodotte tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta (Starsky and Hutch, 1975-1979; La signora in giallo, 1984-1996), si evince come questa modalità seriale funzioni basandosi su una stessa situazione riproposta in ogni episodio (nel poliziesco si tratta di un caso da risolvere), grazie alla presenza di caratteri ricorrenti che rimangono centrali, mentre a cambiare sono i personaggi secondari.

L’altra forma principale di serialità, ovvero il serial18, è costituita da puntate

interdipendenti, strettamente concatenate l’una all’altra in quanto parti di una trama aperta che si estende per tutto il serial, detta trama orizzontale o running

plot. Esistono due tipi di declinazioni di questo prodotto.

Il continuous serial, declinato a sua volta nelle forme della soap opera europea e statunitense, che non prevede una risoluzione, e della telenovela dell’America Latina, una narrativa aperta e flessibile, di lunghissima durata, ma che prevede comunque un finale.

La seconda articolazione del serial è il miniserial, un tipo di serialità dotata di un finale ma diversa dalla precedente perché “debole”19 e corta (si tratta infatti di

poche puntate distribuite in un breve arco di tempo), che per questa sua brevità comporta una diversa forma di fidelizzazione dello spettatore; nella serialità corta si rende necessario il ricorso a storie e temi facilmente riconoscibili dallo spettatore

18 Ivi, p. 9.

19 Il termine “debole” è qui utilizzato e inteso per evidenziare la differenza del miniserial dalla serialità che si definisce “forte”, cioè quella di lunga e lunghissima durata come il continuous serial.

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27

o che mirino al suo bagaglio di conoscenze, come avviene nel caso delle ricostruzioni di eventi del passato o degli adattamenti di opere letterarie.

In generale, comunque, la serialità televisiva si serve necessariamente di caratteri fissi, poiché essa non vuole esaurirsi solo nel rappresentare situazioni analoghe l’una all’altra che generino nello spettatore un senso di sicurezza, dato dal ripetersi di una forma già conosciuta; intende piuttosto alimentare il potere di questa ripetizione attraverso la riproposizione di personaggi ricorrenti e degli attori che li interpretano, così da avere maggiore presa sullo spettatore, coinvolgendolo ad un livello emotivo più profondo e facendo in modo che si affezioni con più facilità ai personaggi e alle storie narrate.

Nel contesto della serialità contemporanea, però, è difficile far rientrare i prodotti in uno schema così rigido come quello appena visto. La differenza fondamentale tra serial e serie come opposizione tra prodotti che, rispettivamente, seguono una narrazione con trama orizzontale e quelli che invece sono costituiti da episodi autoconclusivi con una trama verticale, oggi non è più tanto marcata.

In moltissimi casi, che coinvolgono peraltro le serie di maggiore successo, possiamo infatti parlare di prodotti che risultano essere un ibrido tra la serie propriamente detta e il serial. A questi ci si riferisce come serie serializzate, le quali sono costruite sulla copresenza di forme di continuità inter-episodica e di una narrativa multilineare:

“In questa tipologia, i singoli segmenti mantengono un alto grado di

autonomia, c’è dunque sempre una storia centrale che si conclude nell’episodio (detta anthology plot), ma c’è anche una cornice che si prolunga per più episodi (il cosiddetto running plot). Viene così aggiunto un elemento

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di progressione temporale e di parziale apertura narrativa, assente dalla formula tradizionale.”20

La serie serializzata, lo si leggerà nei paragrafi seguenti, è la via che oggi prevale e che dà al prodotto maggiori chance di riuscita nella fidelizzazione dello spettatore.

1.4 Gli aspetti fondamentali della serialità televisiva contemporanea

Navigando tra i principali documenti, saggi e volumi, di coloro che si sono occupati di studiare la serialità televisiva, si possono rintracciare ed estrapolare quelle che si rivelano essere le questioni critico-teoriche fondamentali, quindi anche le più importanti prospettive di studio adottate nel corso degli anni, spesso strettamente connesse tra loro.

L’era della convergenza

Uno dei punti fermi degli studi più recenti, che non riguarda soltanto la serialità, è costituito dalla consapevolezza di trovarsi nell’era della cultura convergente, termine coniato dallo studioso Henry Jenkins21. Significa che la società della

comunicazione e dello spettacolo odierna si trova coinvolta in trasformazioni di tipo sociale, culturale, tecnologico e di mercato, che delineano uno scenario unificato dal segnale digitale in cui vecchi e nuovi media si incontrano, escono dai propri confini, collidono, e in cui si modificano anche le dinamiche del rapporto tra produttori e consumatori, i quali interagiscono in modo nuovo e più diretto. Il fenomeno della cultura convergente, o convergenza mediale, è costituito da tre fattori principali: la diffusione dei medesimi contenuti su diversi media, la collaborazione tra le industrie dei media e le nuove abitudini di consumo dell’audience, che si sposta agilmente di device in device e di piattaforma in

20 Ivi, p. 19.

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29

piattaforma per fruire i contenuti prediletti.

La digitalizzazione dei media ha comportato il generarsi di una dinamica per cui i contenuti audiovisivi possono circolare ed essere fruiti su molteplici supporti; ciò non può che comportare una modifica nella scala dei contenuti stessi, che subiscono un cambiamento del formato narrativo-testuale o che, se si tratta di contenuti originari dei media tradizionali, vengono riadattati.

Anche le serie tv fanno parte di questo quadro, non soltanto perché con Internet possono essere fruite su varie piattaforme dai dispositivi mobili, ma anche perché si è affermata una produzione di nuove forme seriali, a volte molto brevi, pensate specificamente per quei dispositivi o per la diffusione via Web22, come le webseries.

I supporti, dal canto loro, diventano sempre più piccoli adeguandosi al processo di miniaturizzazione delle tecnologie, ormai parte integrante della quotidianità anche grazie al loro essere sempre più portabili; ma al contempo si verifica la tendenza diametralmente opposta, secondo cui si cerca di recuperare una dimensione di esperienza più spettacolare e coinvolgente, attraverso la creazione di situazioni il più possibile immersive e inglobanti come sono, ad esempio, i megaschermi o i parchi tematici.

Prendendo in considerazione i processi che coinvolgono la televisione e i suoi contenuti nell’era della convergenza e mettendoli in relazione con la serialità televisiva, si può notare come sia stata messa in atto una ridefinizione della nozione di “testo”23.

I prodotti televisivi nell’era della convergenza non sono più confinati nei limiti del palinsesto; tra tutti i programmi, le serie sono particolarmente inclini a costituire un vero e proprio brand ben riconoscibile e a diventare l’oggetto di ciò che viene

22 V. Innocenti, G. Pescatore, op. cit., p. 58.

23 Luca Barra, Lost in translation e oltre. Il complesso adattamento del mondo possibile dei paratesti di

Lost per lo spettatore italiano, in A. Grasso, M. Scaglioni (a cura di), Arredo di serie. I mondi possibili della serialità televisiva americana, Vita e Pensiero, Milano 2009.

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definito transmedia storytelling, ovvero narrazione transmediale, per cui un mondo finzionale può essere narrato dapprima attraverso un medium, nella forma della serie tv ad esempio, per poi approdare al cinema, alla narrativa letteraria, ai videogame e alle webseries, e può quindi essere ampliato ed approfondito grazie all’approdo a media differenti da quello di partenza, senza che vi sia un percorso obbligato da seguire.

Le serie tv contemporanee sono allora dei testi tutt’altro che rigidi e relegati al solo ambito televisivo, sono dei veri e propri “marchi di fabbrica” che possono scivolare da un medium all’altro senza perdere la propria riconoscibilità presso l’audience, secondo logiche creative ma anche – senza ombra di dubbio – di mercato, che mirano a dare vita a storie di più ampio respiro e lo fanno cercando di attrarre e soddisfare le esigenze di un pubblico sempre più diversificato, che trova davanti a sé differenti rimodulazioni dello stesso universo diegetico, delle sue storie e dei suoi personaggi.

La complessità narrativa

Si è detto all’inizio che una delle ragioni alla base del rinnovato interesse degli studiosi per la serialità televisiva è rintracciabile nella crescente complessità che la contraddistingue; lo studioso di media e televisione Jason Mittell si è occupato di analizzare la serialità televisiva contemporanea americana sotto diversi aspetti, che lo hanno portato, per l’appunto, a coniare l’idea di complex TV, ovvero “televisione complessa”. Il suo saggio, del quale il volume di Veronica Innocenti e Guglielmo Pescatore24 propone una parziale traduzione in italiano, rappresenta un’analisi da

cui emergono alcune caratteristiche distintive del prodotto da prime time che hanno influito particolarmente sulla trasformazione delle forme seriali in ambito

24 Jason Mittell, Narrative & Storytelling, in V. Innocenti, G. Pescatore, op. cit., pp. 121-131. Edizione originale: Jason Mittell, Complex TV. The poetics of Contemporary Television Storytelling, NYU Press, 2015.

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31

televisivo. Proprio alla nozione di televisione complessa si legano alcune delle altre questioni principali alla luce delle quali è stata studiata la serialità e che saranno illustrate nei paragrafi successivi.

Il cambiamento più importante – cui si accennava anche in merito alla categorizzazione dei prodotti seriali – è relativo alla struttura formale che costituisce la serie televisiva. Mittell chiarisce quale sia oggi lo scopo primario degli addetti ai lavori, i quali attingono a piene mani da meccanismi narrativi che, pur non essendo specifici della televisione, in questi programmi vengono impiegati ormai con una frequenza tale da diventare la norma (analessi, salti temporali, narratori in voce over):

“[…] coinvolgere attivamente nella storia e contemporaneamente

sorprendere con le manipolazioni della narrazione. Questa è l’estetica all’opera: vogliamo godere dei risultati del meccanismo e insieme meravigliarci del suo funzionamento.”25

Gli spettatori di serie televisive narrativamente complesse si trovano attivamente coinvolti in una «diegesi avvincente, concentrati sul processo discorsivo della narrazione necessario a venire a capo della complessità e del mistero soggiacenti»26;

il pubblico di questi programmi viene in qualche modo “educato” dalla loro stessa complessità, non solo a godere del piacere diegetico, ma anche alla conoscenza dei meccanismi formali che strutturano il racconto.

Come sottolinea Mittell, la via intrapresa dai creatori delle serie narrativamente complesse è quella di bilanciare le strutture della serie classica ad episodi autosufficienti e con le forme della lunga serialità: le serie contemporanee preferiscono quindi scegliere la strada della serializzazione e fanno coesistere nello

25 Ivi, p. 129. 26 Ibidem.

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stesso prodotto almeno due linee narrative, una che corre lungo tutta la serie (trama orizzontale) ed una riguardante la singola puntata (trama verticale). La complessità narrativa così configurata, perciò, dimostra di attribuire molto rilievo alla continuità del racconto, favorendo, oltre al coinvolgimento del pubblico, la convivenza nello stesso prodotto di diversi generi che, ibridandosi in forme sempre nuove, contribuiscono a rendere più efficace quella stessa continuità.

L’ibridazione dei generi

Parlando allora di genere, gli studi di Rick Altman27 in ambito cinematografico

evidenziano come il genere ricopra principalmente la funzione di uno schema produttivo, una struttura su cui si basano i prodotti, un’etichetta che influenza le scelte dei distributori ma anche quelle del pubblico, che la utilizza come guida per orientarsi nell’offerta. Il genere infatti rappresenta una sorta di ponte di collegamento tra i produttori e il pubblico, un’interfaccia che consente ai primi di avere uno schema organizzativo e produttivo definito e ai secondi di capire in prima battuta quale tra i testi che si trovano di fronte potrebbe essere affine ai loro gusti. Giorgio Grignaffini28 si è occupato di sondare i generi narrativi più ricorrenti in

televisione, incrociandone le caratteristiche con gli elementi che li legano ai vari formati, ben sapendo quanto sia difficile categorizzarli tutti, visto il loro continuo mescolarsi e assumere sfumature diverse.

Un genere fortemente connotato dall’ambientazione, e il cui sviluppo in televisione va di pari passo con quello cinematografico, è certamente il western, diffusissimo negli Stati Uniti degli anni ’50 e ’60, che da fine anni ’90 ha visto susseguirsi tentativi di riproposizione anche ambientati al giorno d’oggi.

Anche la fantascienza segue lo stesso percorso di sviluppo parallelo tra cinema e

27 Rick Altman, Film/Genre, Bloomsbury Publishing, 1999; Rick Altman, Film/Genere, Vita e Pensiero, 2004.

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televisione a partire dai primi tentativi degli anni ’60, per poi seguire vicende alterne nei decenni successivi quando si verificano innesti del genere fantascientifico in prodotti di vario tipo.

Il genere giallo (il classico racconto a enigma) di solito ha una struttura basata sulla ricerca di prove contro il colpevole di un grave crimine, condotta da uno o più investigatori anche non professionisti, e può manifestarsi in tante varianti; una sua fortunata sottocategoria è il legal drama, in cui la ricerca di prove e indizi è affidata ad un avvocato, che riveste una funzione più oratoria che investigativa, grazie alle caratteristiche dell’ambiente processuale americano, che dà ampio spazio alle capacità oratorie degli avvocati, sfruttate molto spesso in film e serie tv.

Il poliziesco invece si concentra molto sulle azioni compiute dai tutori dell’ordine che portano ad individuare i sospetti, oltre che sulla ricerca degli indizi, e ha sviluppato moltissimi filoni nel ventennio anni ’60-’80 che tuttavia mantenevano uno schema di base fisso. A partire dagli anni ’80 invece, con la prima serie serializzata, la già menzionata Hill Street Blues, il protagonista del poliziesco diventa il distretto di polizia, insieme a diversi poliziotti di cui vengono narrate non solo le vicende legate al proprio lavoro, ma anche quelle private, inaugurando l’uso della narrativa multilineare in televisione. Tra le principali declinazioni del genere si trovano l’action, in cui lo schema di base è al servizio di scene ad alto impatto spettacolare, e il poliziesco scientifico, nel quale l’indagine viene effettuata dai reparti investigativi scientifici, che utilizzano strumenti e tecniche all’avanguardia. Il poliziesco all’italiana invece è più incline alla commedia ed è caratterizzato da ambienti e situazioni estremamente riconoscibili.

Il genere ospedaliero ha origini strettamente televisive, in quanto ha sempre fornito alle soap opera un ampio ventaglio di storie da narrare che scaturiscono dalle più svariate situazioni ed emozioni caratteristiche dell’ambiente ospedaliero.

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Il contenuto del genere storico-biografico è invece fornito da fatti storici o da biografie di personaggi famosi, e di solito prende vita con miniserie o film per la tv, che prevedono una fine della narrazione.

Anche il genere letterario, molto in voga nella produzione italiana e ancora presente nei palinsesti delle televisioni generaliste, come quello storico-biografico obbliga a formati narrativi chiusi.

Come è stato detto, ciò che qui più interessa, e che corrisponde ad una caratteristica distintiva della serialità contemporanea, è la fortissima tendenza dei generi a ibridarsi tra loro, a mescolarsi all’interno dello stesso prodotto facendo sfumare quei rigidi confini che li disegnano come totalmente distinti e distaccati.

Nella fiction televisiva seriale, ad essere particolarmente ricco di novità è l’intreccio costante tra la commedia e il dramma (indicato con il termine dramedy, dall’incontro tra drama e comedy), fusione che risulta vincente e convincente in quanto ha la capacità di riuscire a convogliare verso uno stesso programma l’interesse di pubblici stratificati, aumentandone le possibilità di successo.

È sempre più difficile categorizzare film e serie tv sulla base di un solo genere narrativo; se si prova a leggere la scheda di un qualsiasi prodotto scorrendo il catalogo dei film in programmazione al cinema oppure quello di piattaforme come Netflix, Infinity e TIM Vision, si può constatare come quasi nessuno tra film e serie venga indicato con una singola etichetta di genere. Non sono soltanto i macrogeneri della commedia e del dramma a fondersi, ma anche tutti i generi e i sottogeneri; romantico, d’azione, thriller, fantascientifico, ospedaliero, adolescenziale, horror, fantasy, teen drama, family drama, period drama, e tutte le loro declinazioni possono vivere all’interno dello stesso testo, acquisendo sfumature sempre nuove e diverse che permettono di portare in scena situazioni più ricche e diversificate.

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35 La cult-testualità televisiva

Dopo aver affrontato l’argomento della tendenza alla serializzazione e all’ibridazione dei generi, un ulteriore aspetto legato alla complessità narrativa concerne la capacità dei prodotti di generare delle culture di fan fedeli ed appassionate, di diventare insomma dei veri e propri fenomeni di culto. A partire dagli anni ’80 lo scenario della produzione televisiva ha subito una trasformazione che ha visto proliferare l’offerta di programmi, con un rafforzamento del consumo, e la graduale targhettizzazione dei prodotti audiovisivi29. Questa “abbondanza

televisiva” ha anche determinato il passaggio da un’offerta per lo più costituita da programmi nazionali ad una sempre più mista, contraddistinta dalla forte presenza nei palinsesti di prodotti di finzione che per la maggior parte sono di provenienza statunitense.

Fedele compagno di questo processo è stato da sempre l’adeguamento delle tecnologie di consumo, le quali con ogni innovazione immessa sul mercato permettono di estendere le possibilità di fruizione dei testi audiovisivi: cominciando dalle cassette VHS e dai videoregistratori sul tramontare degli anni ’70 per poi approdare al DVD a fine anni ‘90, passando per la crescita esponenziale di canali via cavo e via satellite e per tutte quelle forme di fruizione come la pay-per-view o il video-on-demand, fino a giungere all’avvento del digitale terrestre e all’affermazione di Internet e delle piattaforme di streaming online, alcune delle quali sono cresciute tanto da diventare colossi della scena mediale contemporanea (Netflix rappresenta un caso esemplare).

Tornando ora agli anni ’80, con l’incremento della competitività e della produzione dei canali via cavo, a dispetto della perdita di centralità dei network generalisti che

29 M. Scaglioni, TV di culto. La serialità televisiva americana e il suo fandom, Vita e Pensiero, Milano 2006, p. 35.

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fino ad allora avevano dominato indisturbati, si verificò un ampliamento dell’offerta di programmi che portò ad uno spostamento verso la creazione non solo di prodotti destinati a “riempire” il solo palinsesto generalista, ma piuttosto di veri e propri show realizzati per ricoprire il ruolo di appuntamenti imperdibili, che per lo più corrispondevano e corrispondono ancora a fiction seriali di qualità; si tratta di testi pensati specificamente per un’audience di cui attirare l’attenzione per poterla fidelizzare nel tempo, per un pubblico più esperto e competente alla ricerca di prodotti aderenti ai propri gusti, che non si accontenta di guardare qualsiasi cosa il medium televisivo proponga ma che desidera e sceglie di essere condotto all’interno di un mondo da imparare a conoscere nei suoi particolari; un pubblico in grado di apprezzare la qualità di questi programmi e di dedicarsi con attenzione alla loro visione, diversamente da quanto fa lo spettatore “distratto", definizione che non può quindi corrispondere all’identikit del pubblico televisivo tout court. Si tratta di prodotti in grado di generare veri e propri fenomeni di culto, da cui l’espressione cult-testualità televisiva. Il mutamento che essa ha comportato è doppio: sono cambiate le modalità di approccio al pubblico da parte dei produttori, ma è cambiata anche la relazione del pubblico con i prodotti che gli vengono presentati come “di qualità”.

Sara Gwenllian Jones30 utilizza il termine cult-testualità televisiva per indicare le

serie televisive capaci di generare culture di fandom solide e attive, che si prodigano in pratiche creative e interpretative come la creazione di fan fiction o la produzione di qualsiasi tipo di fan art ispirata al testo primario.

Non bisogna però tralasciare il fatto che la cult-testualità non si rivolge solo ed esclusivamente ad un pubblico di fan, ma cerca di sedurre anche gli spettatori meno inclini a far parte di un qualsiasi tipo di fandom, gli spettatori “medi”, e tenta

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quantomeno di attirarli verso un rapporto di profondo coinvolgimento nei mondi finzionali proposti, per indurli al consumo ripetuto. Non si tratta più soltanto di rispondere al desiderio del pubblico di essere intrattenuto, ma si compie un passo avanti cercando in ogni modo di soddisfarne i bisogni simbolici profondi e la necessità di essere proiettato e immerso in ricchi universi immaginari. Questi ultimi, nell’era della convergenza mediale, si allargano da un medium all’altro e, anche per questo motivo, possono essere definiti mondi “attraversabili” dallo spettatore, per il quale l’esperienza di fruizione è radicalmente cambiata ed è ormai diventata un’esperienza immersiva e interattiva, performativa e transmediale. La Jones31 fa notare come fino ai primi anni ’90 alla cultura del fandom

partecipassero soltanto i seguaci più devoti, comprendendo così una fetta molto piccola del vasto pubblico televisivo; su queste culture, che erano difficili da rintracciare e la cui forma di espressione più concreta erano le convention di fan, incombevano stereotipi negativi messi in circolazione dai media.

Questo quadro negativo iniziò a cambiare nel momento in cui l’industria culturale capì che poteva sfruttare le culture di fandom a proprio vantaggio e trarne profitto, mutamento da cui derivò una trasformazione importante del rapporto tra produzione e fandom, resa possibile anche dal fenomeno della convergenza mediale e in particolare dell’avvento del digitale, che è intervenuto in duplice modo a trasformare il fandom e il suo rapporto con l’industria.

“I nuovi fan, oltre ad essere più numerosi, costituiscono comunità visibili,

visitabili, socialmente testualizzate […] non si limitano a fruire brani di cultura popolare riconducendoli alle proprie esperienze in termini di analogia e prossimità, piuttosto intervengono su queste vite finzionali

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