2.2 La figura di un leader: Nasdrallah.
2.3 Hezbollah ed Israele a confronto: Operazione Change of direction.
Nel luglio del 2006 i rapporti tra Libano ed Israele diventarono insostenibili a causa di una crisi internazionale e civile iniziata nel gennaio del 197519.
Nel 1978 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite decise di dispiegare, a causa della instabilità politica dell’area libanese, una forza di peace-keeping: UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon).
La crisi del 2006 iniziò con un lancio di razzi katiusha da parte di Hezbollah sul villaggio israeliano di Zar’it e con il rapimento di due soldati israeliani, Ehud Goldwasser e Eldad Regev.
Israele rispose immediatamente: nello stesso giorno iniziò l’operazione “Giusta Retribuzione” che poi venne ribattezzata “Change of Direction”, cioè un’offensiva contro infrastrutture e obiettivi civili libanesi mediante bombardamenti aerei e d’artiglieria nel sud del Libano, lungo la cosiddetta Blue Line.
Hezbollah ed Israele giustificarono i rispettivi interventi fornendo motivazioni divergenti circa l’origine del conflitto.
Hezbollah, da parte sua, sostenne che il conflitto è iniziato per causa israeliana per aver infiltrato dei soldati israeliani in un villaggio libanese a nord del confine tra i due Paesi dove tra l’altro essi furono catturati da Hezbollah.
Il rapimento dei soldati israeliani servì al movimento di resistenza come merce di scambio per il rilascio di alcuni commilitoni senza trascinare il Libano in guerra.
La versione israeliana fu diversa: secondo lo stato sionista, l’origine del conflitto fu da imputare al raid di Hezbollah lungo il confine israelo-libanese ed al successivo rapimento dei due soldati che avrebbero spinto le autorità del Paese ad inviare le proprie truppe in territorio libanese.
Il 13 luglio del 2006 le forze israeliane imposero l’isolamento aereo, marittimo e terrestre del Libano e l’aviazione israeliana colpì l’aeroporto internazionale di Beirut ed il quartiere meridionale di Harek Hreik, roccaforte della fazione sciita del Paese.
Nei giorni successivi gli attacchi israeliani continuarono colpendo a nord della capitale , il porto di Tripoli e alcune località della valle della Bekaa, con un gran numero di civili tra le vittime.
L’obiettivo di Israele fu quello di creare una zona cuscinetto al confine nord al fine di contenere i raids di Hezbollah in territorio non israeliano e garantire la sicurezza della popolazione ebraica insediata lungo il confine con il Libano.
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Il governo di Tel Aviv si dichiarò disposto a sospendere le proprie azioni militari soltanto nel rispetto di due condizioni: la sospensione del lancio di razzi da parte di Hezbollah ed il disarmo totale dello stesso, in ottemperanza alla Risoluzione n.1559, adottata il 2 settembre 2004 dal Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Di fronte al clima di tensione tra Hezbollah ed Israele, le Nazioni Unite e i Paesi membri, parte dei quali riuniti in sede G-8 a San Pietroburgo il 16 luglio e il successivo 26 luglio alla Conferenza Internazionale per il Libano a Roma, cercarono di trovare una soluzione alla crisi libanese.
Già il 13 luglio 2006, il governo di Beirut avanzò al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una richiesta basata sul rispetto della Blue Line e la decretazione del cessate il fuoco immediato e generalizzato di entrambe le parti belligeranti.
Da parte sua, l’allora Segretario generale, Kofi Annan, decise di costituire una delegazione d’alto livello da inviare nel Paese libanese con compiti di mediazione nella crisi tra i due Paesi.
Il 17 luglio il Segretario generale propose il dispiegamento di una forza multinazionale al confine tra Libano ed Israele, nonostante i dubbi sollevati da tale proposta in merito all’effettiva capacità della forza di adempiere al mandato assegnatole.
La stessa UNIFIL denunciò gli ostacoli esistenti delle proprie funzioni di protezione e di assistenza a causa della crescente attività militare delle parti e del mancato rispetto degli impegni assunti dal governo israeliano riguardo, ad esempio, al libero movimento dei contingenti ONU nell’area20.
Il 21 luglio alcune postazioni di osservazione dell’UNIFIL furono oggetto di tre bombardamenti israeliani ed il 25 luglio quattro osservatori dell’UNTSO persero la vita a Khiam nel Libano meridionale.
Il 26 luglio 2006 15 paesi21 si riunirono a Roma in occasione della Conferenza internazionale sul Libano per discutere sulla crisi libanese . In tale sede, il premier libanese Fouad Siniora presentò ai partecipanti un piano di “sette punti”, nel quale ribadì il necessario ripristino della piena sovranità libanese, invitando Israele a ritirare le proprie truppe dal sud del Libano, nel rispetto della Blue Line e dell’area riguardante le Shebaa Farms, sotto il controllo delle Nazioni Unite e chiedendo uno scambio di prigionieri tra Hezbollah ed Israele.
Nonostante la proposta di cessate il fuoco immediato, avanzata dal Segretario generale delle Nazioni Unite, essa non fu condivisa da Stati Uniti e Gran Bretagna, da un lato e dal governo libanese dall’altro; nella dichiarazione finale della Conferenza i partecipanti riconobbero l’importanza di un cessate-il-fuoco “lasting, permanent and sustainable” delle ostilità. Inoltre gli
20 IVI,cit., p.102.
21 Gli Stati presenti alla Conferenza di Roma erano: Italia, Libano, Arabia Saudita, Canada, Cipro, Egitto, Francia,
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Stati partecipanti alla Conferenza fissarono quale condizione fondamentale per la sicurezza in Libano la piena capacità del governo libanese di esercitare la propria autorità su tutto il territorio. In conformità ai principi e alle decisioni precedentemente adottati, i Paesi si impegnarono a sostenere gli sforzi del Governo libanese volti a ripristinare il proprio controllo sul Paese, in particolare sull’area, a sud e ad assistere la popolazione libanese , accogliendo la proposta israeliana favorevole alla creazione di un corridoio umanitario verso il Libano, comprensivo di voli umanitari verso l’aeroporto internazionale di Beirut e di quelli su tutto il territorio del Paese.
Infine, nella dichiarazione finale di Roma fu sancito il necessario impegno della comunità internazionale affinchè venisse stipulato un accordo per il dispiegamento di una forza internazionale su mandato ONU.
Nonostante il vertice internazionale di Roma, i combattimenti continuarono ed il 30 luglio 2006 l’aviazione israeliana colpì una palazzina di tre piani abitata da famiglie di Cana, nei pressi di Tiro. La strage di civili, tra i quali soprattutto bambini, scatenò una ribellione popolare contro la stessa sede dell’ ONU a Beirut.
Il medesimo giorno il Segretario generale convocò d’urgenza il Consiglio di Sicurezza invitandolo a condannare la strage avvenuta a Cana e ribadendo l’urgenza di decretare la cessazione delle ostilità.
Nella notte tra il 30 luglio e il 31 luglio, il Consiglio di Sicurezza, presieduto dal francese Jean- Marc de la Sablière, espresse profondo rammarico nei confronti della Israeli Defence Forces per il bombardamento di una struttura residenziale nel villagio di Cana e venne ribadito l’impegno delle Nazioni Unite a procedere senza ulteriori ritardi all’adozione di una risoluzione per una soluzione della crisi libanese22.
Il 31 luglio Il Consiglio di Sicurezza con la Risoluzione n.1697 decise di estendere il mandato UNIFIL fino al successivo 31 agosto.
Il 6 agosto le autorità libanesi riceverono la bozza risolutiva stilata da Francia e Stati Uniti.
La bozza previde la cessazione delle ostilità, chiedendo ad Hezbollah di terminare tutti gli attacchi e ad Israele di porre fine a tutte le operazioni miliatri offensive.
Tra le disposizioni in essa contenute, venne ribadita l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza politica del Libano, nell’ambito dei confini internazionali riconosciuti con il Trattato generale di armistizio israelo- libanese del 1949, il rispetto della Blue Line per entrambe le parti, sollecitandole a definire i confini, soprattutto in merito alle aree contese delle fattorie di Sheeba. Inoltre venne creata un’area smilitarizzata a 12 miglia dal confine israeliano, nella quale sarebbe avvenuto il dispiegamento di una forza multinazionale ed il disarmo di tutte le milizie presenti in
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Libano, imponendo al Paese l’embargo internazionale per la vendita o il rifornimento di armi, ad eccezione di quelle autorizzate dal governo libanese.
La bozza incontrò il dissenso dei leaders arabi e dello stesso Stato libanese, in quanto non venne considerata la previsione dell’obbligo di ritiro delle truppe di Tel Aviv dalla “fascia di sicurezza” e in assenza di qualsiasi riferimento all’area delle fattorie di Sheeba come pure il riconoscimento dell’illegittima presenza in territorio libanese dell’esercito di Israele. Inoltre le autorità libanesi rilevarono che la bozza di risoluzione lasciava il Libano vulnerabile rispetto alle richieste di Israele. Per lo stato sionista invece l’obiezione riguardò la mancanza nel testo della risoluzione, di alcun riferimento ad Hezbollah e alla causa reale dell’origine della crisi.
Il 12 agosto del 2006 il Consiglio di Sicurezza adottò con voto unanime la Risoluzione n.1701, attraverso la quale si chiese la fine permanente delle ostilità tra Israele ed Hezbollah autorizzando il dispiegamento di 15.000 caschi blu per ripristinare l’ordine e la sicurezza congiuntamente con le forze libanesi, il ritiro delle forze israeliane dal sud del Libano e la creazione di una zona libera da personale armato tra la Blue Line e il fiume Litani.
Il ritardo con il quale la Risoluzione 1701 venne adottata era legato alle difficoltà incontrate nel redigere un testo che contemplasse le posizioni delle parti contrapposte, attori principali della crisi libanese.
In generale quanto avvenne dall’inizio dell’Operazione “Change of Direction” non si considerò un conflitto in quanto Hezbollah non è un’entità statale, ma un partito politico, dotato di un’ala militare, che, attraverso il largo consenso raccolto tra la fazione sciita della popolazione libanese, gli ha consentito di avere in Parlamento propri rappresentanti, eletti attraverso regolari elezioni legislative, e di far parte della coalizione di governo del premier Siniora.
La reazione israeliana, ferma restando la condanna ad Hezbollah, è da considerarsi sproporzionata alla luce delle conseguenza umanitarie e della distruzione arrecata alle infrastrutture libanesi. La questione relativa alla legittima difesa invocata da Israele è da considerarsi dubbia visto che il conflitto ha visto contrapposti uno Stato contro un movimento di resistenza nazionale. Le Nazioni Unite in tal senso non riconobbero un consenso unanime all’azione militare israeliana nonostante il veto posto dagli Stati Uniti sulla risoluzione destinata ad imporre ad Israele il cessate il fuoco. Ciononostante, nelle situazioni di crisi di attori diversi dagli Stati, parte della dottrina come sottolinea lo studioso americano Murphy23, afferma che l’esercizio della legittima difesa come reazione ad attacchi sferrati da soggetti non statali (Hezbollah), seppur non generalmente riconosciuti come rappresentativi della normativa internazionale (art 51 della Carta delle Nazioni
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Unite), sia consentito a uno Stato per difendersi da un attacco inflitto da un soggetto non statale, purchè connesso ad un altro Stato.
Nel caso in esame, l’appartenenza di Hezbollah quale partito politico alla struttura governativa libanese rappresenta un legame non indifferente con lo Stato libanese, tale da giustificare l’esercizio della legittima difesa da parte di Israele.
Considerando che parliamo di dottrina e comunque di un’interpretazione non consolidata e riconosciuta da tutti, la posizione di Israele resta ambigua e non definibile in materia di legittima difesa.
Tra le varie argomentazioni relative al conflitto israelo-libanese la guerra avvenuta nell’estate del 2006 fu giustificata anche da un problema di ordine demografico interno allo stato sionista. Le consistenti immigrazioni in Israele avvenute nell’ultimo quindicennio ripropongono delle tendenze demografiche che valutate nel futuro diventano scenari politico territoriali estremamente complesse e che, per l’importanza che rivestono, hanno obbligato il parlamento israeliano a costituire una commissione sul rapporto demografico.
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Immagine 9: Pattuglia Unifil monitorizza confine israelo-libanese (fonte:www.unmultimedia.org/photo/detail.jsp?id=123/1239148)
La popolazione come fattore di potenza incide sul criterio d’identità nazionale al punto che, secondo statistiche attendibili, nel 2050 solo il 69% sarà ebreo in Israele e ciò determinerebbe quello che viene definito come “complesso di Masada” ovvero dell’accerchiamento24.
Per il geografo Arnon Soffer, la popolazione complessiva tra il Giordano ed il Mediterraneo raggiungerebbe nel 2020 i 15, 5 milioni di individui dei quali 6,4 milioni di ebrei e 8,8 milioni di arabi25.
24 Cfr.G.Codovini, op cit.,pag.172 25
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