UNIVERSITA’ DI PISA
Facoltà di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Relazioni Internazionali
(Cl. 60/S)
Tesi di laurea :
Il ruolo mediatore di Unifil tra Israele ed Hezbollah
Candidato: Relatore
Gianfranco Tomasello Chiar.mo Prof. Maurizio Vernassa
INDICE
CAPITOLO 1. Le operazioni contro insurrezionali.
1.1
Evoluzione del concetto del peace-keeping. 11.2
Operare in modo non convenzionale: le campagne controinsurrezionali. 71.3
L’impegno militare italiano in LIBANO: Operazione LEONTE . 121.4
La risposta libanese allo Stato d’Israele : il movimento Hezbollah. 19CAPITOLO 2. I difensori del Libano: il caso Hezbollah.
2.1
Cenni storici. 252.2
La figura di un leader : Nasdrallah. 322.3
Hezbollah ed Israele a confronto: Operazione Change of Direction. 372.4
La percezione europea del conflitto israelo- palestinese. 42CAPITOLO 3. Il ruolo di Unifil.
3.1
Compiti ed organizzazione. 493.2
Il peace-keeping nel sistema Nazioni Unite. 543.3
Il ruolo di forza d’interposizione. 593.4
Una linea di confine rovente : la Blue Line. 64CAPITOLO 4. Israele ed Hezbollah: potenze a confronto.
4.1 Hezbollah agli occhi d’Israele. 68
4.2 Libano ed Israele: il caso leviathan. 74
4.3 Vincitori e vinti dopo la crisi israelo-libanese del luglio-agosto 2006. 78 4.4 Prevenzione alla minaccia: l’attività dei servizi segreti israeliani. 84 4.5 Rispetto della risoluzione Onu 1701 : l’occupazione israeliana in Libano. 92
CONCLUSIONI
101BIBLIOGRAFIA
102PUBBLICAZIONI ED ARTICOLI
104LINKOGRAFIA
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Capitolo1
Le operazioni contro insurrezionali
1.1 Evoluzione del concetto di peace-keeping.
“Analizzare i vantaggi permette di pianificare. Analizzare gli svantaggi permette di evitare i danni”1.
Il sostegno alla pace (Peace Support Operations) è un concetto riferito a tutte quelle campagne condotte per imporre o mantenere la pace in seguito ad un precedente conflitto. In particolare le operazioni di mantenimento della pace sono svolte, di norma , in accordo a quanto stabilito dal capitolo VI dello Statuto dell’ONU e sono condotte con il consenso di tutte le parti in causa al fine di sorvegliare e facilitare, l’implementazione di un accordo di pace2.
Gli scenari operativi nei quali si svolgono le odierne operazioni militari tra i quali appunto il Libano, impongono, per la crescente importanza assunta dalla popolazione civile presente nell’area d’intervento, l’impossibilità che lo strumento militare possa operare in modo autonomo. Da qui un diverso approccio al peacekeeping, delineando lo strumento militare come modulabile e quindi facilmente integrabile ed interoperabile con gli altri soggetti (Organizzazioni Internazionali, Governative e Non Governative, mass media, imprese private, ecc.) per il conseguimento dell’End State ( lo scopo che si vuole perseguire) .
Le attività militari più recenti hanno evidenziato come sia indefinibile il confine tra operazioni di peacekeeping e situazioni del tipo “war fighting”.
A partire dal 1989 le peace- keeping operations hanno cambiato veste e vengono classificate con nuove attribuzioni rispetto al concetto classico di “mantenimento della pace”:
In breve, vengono considerate di prima generazione tutte quelle missioni di mantenimento alla pace istituite durante il periodo della Guerra fredda, il cui compito era quello di interporsi tra due parti in conflitto, rispettando una stretta posizione di neutralità tra le medesime, per garantire l’attuazione del cessate-il-fuoco. Tali missioni, dispiegate sul territorio dello Stato ospite solo con il suo consenso, non erano abilitate all’uso della forza armata, salvo che per ragioni di legittima difesa .
1 S.Tsu e M. Ballantini, L’arte della guerra nella vita quotidiana, Milano, Ed PIEMME, 2013, p. 105. 2
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Si definiscono di seconda generazione, le missioni di pace nelle quali il ruolo della componente civile diventa quasi preponderante rispetto alle attività di carattere militare e i cui mandati prevedono obiettivi di carattere politico-sociale che possono riguardare attività di rimpatrio dei rifiugiati, di assistenza umanitaria e tutela dei diritti umani, o in operazioni di monitoraggio di elezioni politiche. Generalmente le operazioni di seconda generazione sono inserite in piani di pace, accettati dalle parti interessate, favorendo l’applicazione dei termini di regolamento per la soluzione del conflitto
Come peace- keeping operations di terza generazione sono considerate quelle forze cui è stata eccezionalmente attribuita la funzione di perseguire l’obiettivo della realizzazione della pace tramite l’esercizio di attività di carattere coercitivo. In genere queste operazioni, definite peace- enforcement, costituiscono lo sviluppo e l’ampliamento di operazioni precedenti che non hanno perseguito la finalità per la quale sono state istituite a causa dell’inadeguatezza dei mandati. Esse, a differenza delle operazioni di prima e seconda generazione, hanno funzioni più estese e quindi legittimate anche all’uso della forza anche se tale modello non sia conciliabile con la categoria del peace – keeping per la mancanza del requisito della cooperazione.
Di conseguenza, la forza militare schierata deve essere in grado di condurre contemporaneamente sia attività atte a garantire l’assistenza umanitaria e la necessaria cornice di sicurezza, sia attività per eliminare eventuali forme di conflittualità.
Presupposto un ambiente a rischio locale, ovvero con la presenza di forze irregolari, il compito dello strumento militare diventa quello di dover contrastare eventuali situazioni destabilizzanti a carattere insurrezionale che, nella maggior parte dei casi, mirano a rovesciare l’ordine costituito di un governo.
La partecipazione ad un’operazione a sostegno della pace, dove gli attori principali sono gli Stati, non si deve risolvere esclusivamente con l’utilizzo dell’intervento militare, ma deriverà dall’effetto congiunto del potere nazionale, militare, politico, diplomatico, economico ecc…
Tra le varie cause che possono comportare l’insurrezione di un’area di crisi, l’indebolimento della governance locale risulta essere un fattore sfruttato da varie fazioni indigene al fine di sovvertire l’ordine costituito e costituire nuove forme di governo a carattere etnico o religioso e relegando al margine le reali esigenze democratiche del paese e in buona parte dei casi portarlo al caos.
Per contrastare questa forma di destabilizzazione di peacekeeping si interviene attraverso la pianificazione di operazioni contro insurrezionali (Counter Insurgency – COIN).
In buona sostanza le attività insurrezionali obbligano a dei cambiamenti politici per ottenere potere, mentre le attività contro-insurrezionali hanno lo scopo di contrastare l’azione di tali movimenti.
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In ambiente COIN le attività militari diventano fondamentali per la costituzione iniziale della cornice di sicurezza in quanto lo strumento militare è coinvolto, durante questa fase temporale, in aspetti diplomatici, informativi ed economici che dovrà mantenere fino a quando non viene raggiunto un grado di sicurezza e stabilizzazione accettabile e sufficiente per l’ingresso in campo di altre organizzazioni istituzionali.
Al fine di analizzare e comprendere un’insurrezione diventa fondamentale individuare gli obiettivi che il movimento sovversivo vorrà conseguire.
Gran parte degli sforzi effettuati dal movimento insurrezionale sono convogliati non solo a combattere le forze governative, ma soprattutto a conquistare a qualsiasi prezzo la fiducia e l’appoggio della popolazione. Il supporto della popolazione locale infatti non è importante soltanto dal punto di vista politico, ma è essenziale per lo sviluppo di una rete Intelligence, la creazione di una copertura attorno all’organizzazione clandestina e per il supporto logistico3. In tale quadro, il successo del movimento insurrezionale sarà determinato dalla creazione di una separazione tra la popolazione e l’autorità costituita al fine di esercitarne il controllo e di acquisirne il sostegno; diversamente, nel caso di un’operazione contro-insurrezionale il suo successo sarà raggiunto quando la popolazione riconoscerà la legittimità del governo ed interromperà il supporto agli insorti.
I fattori di natura politica influenzano la capacità di condurre un’operazione in un’area piuttosto che in un’altra.
La capacità del governo locale di esercitare il controllo sul proprio territorio incide sull’ambiente operativo e di conseguenza sull’evoluzione di uno scenario di tipo peace-keeping.
Minore sarà il controllo esercitato, maggiori saranno le possibilità di successo degli insorti.
Lo strumento militare, o per meglio dire il contingente di pace, operante nell’area di responsabilità, dovrà contrastare le azioni che tenderanno a minare l’azione governativa ed amministrativa del territorio cercando di dare risalto all’immagine della nazione rappresentata e guadagnare consenso e legittimazione.
A tal proposito è necessario prendere in considerazione anche i seguenti elementi, quali per esempio:
- il contesto internazionale nel quale si attua l’intervento (mandato, presenza di altre organizzazioni internazionali, coalizioni di forze ecc);
- la composizione della Forza multinazionale;
- il grado di consenso popolare verso il governo in carica;
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- il contesto politico locale e regionale, il ruolo di clan, tribù, partiti non ufficiali, bande criminali, ecc.;
- i potenziali effetti del coinvolgimento di paesi terzi;
- eventuali Memorandum of Understanding (MOU) e Technical Agreements (TA) con la nazione ospitante ( Host Nation – HN), in cui si definiscono le condizioni generali di intervento della forza , le tipologie di supporto da parte dell’Host Nation e le relative procedure per il loro ottenimento e pagamento;
- i possibili Status of Forces Agreements (SOFA), che disciplinano l’esercizio della giurisdizione penale e civile nei confrontidei membri della Forza;
- le Rules of Engagement (ROE), che definiscono, nel quadro di direttive politiche, il grado e le modalità attraverso le quali la forza puo’ essere applicata a livello tattico.
Si può ritenere che in un futuro prossimo le Forze Armate dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica potrebbero trovarsi ad agire in uno scenario tipicamente urbano4. Ciò in considerazione del fatto che le aree urbane costituiscono per gli insorti un moltiplicatore di potenza, permettendo loro di annullare o portare ad un livellamento la superiorità convenzionale delle forze contrapposte. Nelle aree urbane gli insorti tenderanno a:
- evitare il combattimento in spazi aperti, minimizzando la capacità d’ingaggio delle armi a lunga gittata delle forze contrapposte;
- dilatare in maniera determinante, i tempi della lotta , tendendo a logorare soprattutto il morale delle truppe contrapposte, ma anche la volontà, la forza e la legittimità del governo locale; - agire senza rispettare regole e convenzioni, soprattutto nei confronti dei non combattenti
- utilizzare tecniche basate su imboscate, attentati terroristici, rapimenti di ostaggi ;
- sfruttare in maniera consenziente o coercitiva, la popolazione locale al fine ottenerne il supporto, per proteggersi dall’azione avversaria e sottrarsi alla ricerca delle forze contro-insurrezionali;
- agire individualmente o in gruppi relativamente piccoli.
Lo scenario operativo è influenzato negli ultimi anni, dall’elevata disponibilità delle risorse tecnologiche in termini di facilità d’accesso: questo fattore comporta un ampliamento dello spazio operativo degli insorti potendo ricorrere ad una comunicazione di massa ad un reclutamento e mobilitazione sicuri, in quanto attuati virtualmente al fine di ottenere una risonanza mondiale delle proprie azioni.
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Gli interventi militari sono definibili attraverso uno spettro, il quale ha origine da una situazione di pace5 sino a giungere a quello di guerra/conflitto generale.
Muovendosi all’interno dello spettro (immagine 1), al variare dell’uso della forza, si puo’ ben vedere che una pace stabile (dove l’intervento militare si svolge in una situazione di rischio/intensità molto ridotta) può degenerare in una condizione di crisi, ove due o più fazioni minacciano o usano la violenza per realizzare i loro obiettivi.
In tale situazione, le operazioni militari si identificano come sostegno di pace. L’obiettivo finale sarà l’impedimento della violenza attraverso la riduzione della tensione fra le fazioni in lotta, affinchè si ritorni ad una situazione di pacifica convivenza.
La situazione di ritorno alla normalità permette in qualche modo di dare piu’ peso all’azione di governance locale delle istituzioni statali che operano nell’area di crisi dando ancor più credibilità in termini di stabilità politica alla presenza straniera .
Immagine 1. Spettro dei conflitti ( fonte:Stato Maggiore Esercito Le Operazioni Contro- Insurrezionali, Roma, Centro Operativo Esercito, 2008. p.65)
Una situazione di crisi, pur non con le caratteristiche di uno scontro di tipo conflittuale, può dar luogo ad un’insurrezione, una condizione di contrapposizione che può essere definita come interstatale. In questo caso le operazioni militari contro-insurrezionali hanno lo scopo di ridurre il livello di conflittualità al fine di stabilizzare un’area, una regione o uno stato per dare inizio alle attività di ricostruzione.
Generalmente le operazioni militari possono avere inizio in un punto qualsiasi dello spettro e riguardare diversi livelli di conflittualità: potrebbe quindi verificarsi che in un teatro operativo
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deputato ad operazioni di sostegno alla pace, esistano nello stesso territorio situazioni di conflittualità che esulano dal concetto di peacekeeping.
Comunque sia, il carattere predominante di una campagna può essere difficile da definire a causa della potenziale evoluzione del contesto in cui opera, ma fissando il tema della stessa ovvero la tipologia predominante nell’operazione è possibile applicare i principi e i criteri che governano la condotta delle specifiche operazioni.
Ricapitolando i quattro temi che caratterizzano lo spettro dei conflitti sono:
- l’intervento militare in tempo di pace ( PeacetimeMilitary Engagement – PME); - il sostegno della pace ( Peace Support – PS);
- la contro-insurrezione ( Counterinsurgency – COIN); - il combattimento classico ( Major Combat).
Immagine 2. Pattuglia motorizzata ONU nel Sud del Libano.
( fonte: www.difesa.it/Operazioni Militari/ op.intern_corso/UNIFIL/notizie_teatro.).
La sicurezza nella sua eccezione più ampia, non è più un fattore di dimensione esclusivamente militare, ma necessita un approccio che coinvolga capacità quali quelle culturali, economiche e culturali.
Il ricorso ad un comprehensive approach derivante da un ‘azione sinergica tra le componenti civili e militari è ormai un concetto ampiamente utilizzato nel contesto della pianificazione e condotta di un’operazione.
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1.2 Operare in modo non convenzionale: le campagne
contro-insurrezionali.
Le minacce dei nostri giorni implicano interventi militari che per risultare efficaci devono comprendere tutti i fattori di potenza di un Paese e quindi investire la sfera economica e politico-diplomatico.
Il nemico, comunque sia, non si identifica più con il classico esercito di massa, ma con un sistema sociale complesso articolato in tante componenti.
La risposta ad un sistema sociale complesso ed ostile è il raggiungimento di quella stabilità necessaria per affrontare le nuove sfide internazionali. Quanto detto è la dimostrazione che le Forze Armate sono passate da una funzione statica, ovvero strumento di deterrenza e di difesa dei confini, a una funzione dinamica dove le stesse sono impegnate nello stabilire quelle condizioni di sicurezza e stabilità internazionale fondamentali per la garantire la pace e la crescita sociale.
Le campagne contro-insurrezionali rispecchiano, per l’appunto, una tipologia di funzione dinamica nelle quali la ricerca e la cattura degli insorti dovranno avvenire perseguendo il concetto della sorpresa necessario per il raggiungimento di quell’effetto mediatico fondamentale per la positiva percezione dello strumento militare da parte della popolazione locale.
Nella condotta di una campagna contro-insurrezionale deve essere chiaro ed inequivocabile lo scopo che s’intende raggiungere . Ciò costituisce la condizione con la quale ogni Comandante può assumere decisioni nel rispetto dell’intento che lo stesso Comandante vuole raggiungere. Qualsiasi movimento insurrezionale, che voglia perseguire degli obiettivi concreti, deve avvalersi di un’efficiente organizzazione.
Normalmente un ‘organizzazione insurrezionale è composta dai seguenti elementi (figura 2): - il “core”, costituito dai leaders responsabili della direzione strategica e guidano
l’insurrezione, facendo leva sul proprio carisma, sulla forza delle personalità, sul potere delle idee rivoluzionarie, sulla loro posizione all’interno del clan o alla luce della propria autorità tribale e religiosa. Essi, normalmente, forniscono la direzione strategica al movimento;
- i quadri, che rappresentano il gruppo politico di base di un movimento insurrezionale e che
si dedicano all’implementazione delle linee guida e delle direttive fornite dai leaders e tendono a sostituirsi alle autorità locali, tagliando i contatti tra queste e la popolazione;
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- i combattenti, costituiti da personale reclutato tra la popolazione locale o tra i rifugiati,
oppure tra gli stranieri che si identificano nelle causa insurrezionale e tendono a fornire sicurezza ai campi di addestramento ed ai vari network e a facilitare il flusso delle informazioni, denaro ed armi per il movimento insurrezionale;
- i sostenitori o ausiliari, che sono gli attivisti che forniscono supporto diretto agendo come
corrieri, provvedendo allo stoccaggio di armi e rifornimenti, alla raccolta e scambio di informazioni, alla fornitura di denaro, di origine legale ed illegale, nonché di documenti falsi per l’accesso di sostenitori stranieri, ecc..
- i simpatizzanti o base, che si identificano con i seguaci del movimento insurrezionale;
opportunamente indottrinati dal gruppo politico, normalmente continuano a mantenere le loro posizioni all’interno della società civile. Possono costituire il bacino nel quale individuare il personale da inserire negli altri ruoli.
Immagine 2 . Struttura di un movimento insurrezionale
(fonte: Stato Maggiore Esercito Le Operazioni Contro- Insurrezionali, Roma, Centro Operativo Esercito, 2008. p.8).
Vista la struttura interna di un movimento insurrezionale, la strategia d’intervento da parte della Forza armata dovrà considerare come fattore di studio anche l’analisi degli elementi umani che all’interno dell’organizzazione determinano l’attivazione delle decisioni ad alto rischio.
Nel concepire e pianificare una campagna contro-insurrezionale si dovrà individuare la strategia della controparte nonché l’approccio alla condotta delle attività sovversive.
In generale la maggior parte dei leaders dei movimenti insurrezionali conosce i precedenti modelli insurrezionali e tende ad attuarne, in relazione alla situazione contingente, quelli che nel corso della storia, hanno sortito maggior successo.
Tali modelli possono essere ricondotti alle seguenti forme strategiche : - cospirativa;
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- militare; - urbana;
- basata sull’identità;
- insurgency locale protratta;
- a struttura mista , che prevede anche nell’ambito della stessa Area di Operazioni un mix di differenti strategie e di conseguenza di diverse tattiche adottate dagli insorti a seconda delle circostanze.
Sulla base del modello insurrezionale che la Forza Armata deve affrontare, i criteri da seguire in base anche alle ultime esperienze operative maturate dall’Esercito Italiano (vedesi teatro operativo irakeno ed afghano) riguardano in sintesi:
- sfruttamento dello spettro elettromagnetico definibile come l’insieme delle bande di frequenza dei vari sistemi di comunicazione ( HF,VHF, SHF) e visto che l’assimetria in un conflitto moderno può anche dipendere dalla differenza di quello che è il gradiente di tecnologia posseduto dalle forze, lo strumento militare cercherà di sopperire sfruttando tutti i mezzi sofisticati che l’attuale tecnologia mette a disposizione per conoscere la situazione del nemico in tempo reale. Per tutto ciò è necessario che venga sfruttato, in ogni sua possibile applicazione, quello che viene definito lo spettro elettroamagnetico6 (electromagneticspectrum);
- l’approccio all’ambiente operativo ovvero l’adozione di tutte le contromisure necessarie a contrastare un’insurrezione quindi la conoscenza culturale e sociale dell’avversario nonché l’ambiente in cui opera. Da qui nasce l’esigenza di affiancare ai Comandanti dei consiglieri (advisers) che possono fornire una situazione attraverso le percezioni della popolazione locale;
- ritmo e rapidità di esecuzione nelle operazioni ovvero sopperire alla maggiore conoscenza del territorio da parte degli insorti e sfruttare al massimo le capacità operative dello strumento militare. Per ottenere una forma di incisività sugli insorti, si dovrà ricorrrere alla terza dimensione per accrescere la velocità operativa7 ad unità specializzate nell’effettuazione di aviolanci, avio-assalti, elisbarchi per la proiezione di forze nel tempo minore possibile su una determinata località. Il ritmo si realizza con la capacità delle forze di passare da un atteggiamento ad un altro o da un’operazione a quella successiva senza ritardi o interruzioni, consentendo di limitare le possibilità di reazione dell’avversario in termini di tempo e spazio e di attaccare l’avversario nel luogo e nel momento decisivi;
6 Stato Maggiore Esercito, Nomenclatore Militare Esercito, Roma, Centro Operativo Esercito, 1998.
7 Velocità di progressione nell’esecuzione di una missione che puo’ essere realizzata sul campo di battaglia da un’unità o complesso tattico, malgrado la reazione del nemico.
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- processo continuo di apprendimento ed adattamento, che si riferisce alla capacità del movimento insurrezionale di mutare rapidamente le tattiche utilizzate ovvero di affinarle in relazione all’avversario: le forze che in questo caso conducono ad una campagna contro-insurrezionale dovranno far tesoro delle lesson learned legate al modus operandi dell’avversario;
- autonomia decisionale ai minori livelli ovvero reagire efficacemente ed in tempi brevi ai continui cambiamenti della realtà operativa che lo strumento militare deve affrontare al riguardo del movimento insurrezionale: risulta di fondamentale l’autonomia decisionale dei Comandanti ai minori livelli ordinativi per contrastare al meglio il dinamismo degli insorti; - isolamento degli insorti: da questo dipende il successo di una campagna
contro-insurrezionale in quanto si concretizza facendo mancare loro il necessario supporto tattico-logistico con il quale, se pianificato correttamente non permetterà ai ribelli di disporre di basi sicure ove ripiegare, di approvvigionarsi di armi, mezzi e materiali, di effettuare il reclutamento tra la popolazione.
Realizzato l’isolamento sarà più semplice per la Forza Armata, creare il distacco tra i sovversivi e la popolazione, consentendo tra l’altro il raggiungimento del consenso della popolazione locale.
In generale, il campo di battaglia di una tipologia come quella contro-insurrezionale non è più similare a una situazione da “Guerra fredda”, dove abbiamo due fronti contrapposti, ma si può concretizzare come uno spazio dove difficilmente la minaccia nemica è prevedibile.
Il mondo occidentale diventa attore di conflitti ibridi e quindi contro avversari, con i quali vanno ad intersecarsi azioni violente e non finalizzate a proteggere le popolazioni amiche o comunque che vivono nelle aree di crisi. Tutto questo comporta una sfida complessa in quanto gli Eserciti più evoluti non sono concepiti per fronteggiare delle forme di guerriglia, ma per sopraffare rapidamente qualsiasi avversario similare grazie alla superiorità aerospaziale, al controllo del mare, nonché alla notevole potenza di fuoco terrestre. Infatti come evidenzia il Field Manual 3-248 (Counterinsurgency Operations), le forze ostili tendono ad agire clandestinamente , nascondendosi in mezzo alla popolazione locale, ed evitare lo scontro decisivo, riducendo così l’efficacia della superiorità occidentale in campo logistico o tecnologico.
8”Rassegna dell’Esercito on line”, n.4/2013, p.33, www.esercito.difesa.it/Comunicazione/Rivista Militare
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Ne consegue che un esercito dotato degli armamenti più evoluti quale può essere quello americano, possa trovarsi in difficoltà nell’affrontare operazione a sostegno della pace in cui la capacità di manovra e potenza di fuoco non riescono ad essere sempre determinanti.
Nelle campagne contro-insurrezionali si agisce contro la logica delle campagne tradizionali: la chiave del successo è l’uso minimo della forza, proteggendo la popolazione locale evitando il minimo impatto possibile sui civili tra cui gli elementi ostili si nascondono e raggiungere quell’end state che si identifica nella pacificazione di una regione, che consenta la stabilizzazione di governo che si dimostri all’altezza di riprendere il controllo della popolazione senza il supporto esterno.
Un uso massiccio della forza in operazioni contro-insurrezionali sarebbe eventualmente accettabile solo se si avesse l’appoggio incondizionato delle forze governative locali che annienterebbero in breve tempo gli insorti e terrorizzerebbe la popolazione a supporto degli stessi, in modo da mantenerne il controllo attraverso la coercizione senza però dimenticare il costo in termini di vite umane e materiali.
Metodi analoghi nel corso della storia sono stati la soppressione della rivolta in Giudea da parte dei Romani del 70 d.C, ma più recentemente anche dal III Reich .
Ma ciò non è plausibile con le Forze Armate Occidentali che sono l’espressione di società evolute, fortemente rispettose dei Diritti Umani.
Chiave fondamentale per la risoluzione di conflitti di questa tipologia risulta in ogni caso la conoscenza dell’avversario dal punto di vista sociale e religioso.
Intervenendo all’interno della struttura sociale del movimento insurrezionale è possibile capire la sua organizzazione agendo sui meccanismi che gestiscono le azioni dello stesso.
L’ispirazione religiosa che di solito giustifica interventi contro “ il nemico occidentale”, circoscrive ancora di più l’area d’intervento dello strumento militare rivolgendo l’attenzione alle attività religiose e più in particolare ai loro leaders che con i loro messaggi sono portatori di quella lotta che non è la parola del popolo che vorrebbero rappresentare e difendere, ma è la forma più drammatica del fanatismo religioso corrente.
Complessivamente un’operazione contro-insurrezionale, quindi, è data dalla combinazione di operazioni offensive, difensive e di stabilizzazione. Le forze impegnate devono essere nel contempo "nation builders" e combattenti ben addestrati. Devono avere la capacità di supportare le istituzioni e le forze di sicurezza locali, nonché svolgere un ruolo attivo nella ricostruzione di infrastrutture e servizi essenziali. Tali attività richiedono coordinazione e cooperazione, sia con agenzie intergovernative ed internazionali, sia con la Nazione ospitante.
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1.3 L’impegno militare italiano in Libano : Operazione Leonte.
A partire dal 2006, in accordo alla Risoluzione 17019, le IDF ( Israeli Defence Forces) iniziano il loro ritiro dal Sud del Libano verso la Blue Line: tale ritiro controllato da UNIFIL ( United Interim Forces of Lebanon), coincide con il dispiegamento deciso dal Governo libanese di quattro Brigate delle LAF (Libanese Army Forces) a sud del fiume Litani, iniziando a prendere il controllo delle aree precedentemente occupate dalle IDF. Con questo presupposto le unità di UNIFIL, su esplicita richiesta del Governo libanese, agiscono come forze di cuscinetto tra le IDF e le LAF.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nel richiedere la cessazione delle ostilità tra Hezbollah e lo Stato di Israele, prevedendo un intervento internazionale considera un potenziamento del contingente militare di UNIFIL (che a quel momento contava circa 2000 uomini) fino ad un massimo di 15.000 militari, da schierare in Libano in fasi successive espandendo l’area di operazioni a tutto il territorio a sud del fiume Litani.
Dal punto di vista politico, la partecipazione del contingente italiano, in operazioni di peace-keeping sotto l’egida delle Nazioni Unite, non richiede alcuna autorizzazione da parte del Parlamento Italiano perché rientra nella competenza del Governo il quale in ogni caso deve rispondere all’organo legislativo sull’opportunità dell’impiego della forza10.
Il presidente della Repubblica, essendo titolare del comando delle forze armate deve essere informato ogni volta che tali forze vengono inviate al di fuori dei confini nazionali e ne deve garantire l’impiego conforme all’art.87 della Costituzione11.
Il 29 agosto 2006 al termine delle operazioni di imbarco dei materiali e degli assetti del Reggimento lagunari “Serenissima”, unità di supporto dell’esercito e del plotone di polizia militare dei Carabinieri, partiva dall’Italia alla volta del territorio libanese il Gruppo Anfibio Interforze.
Il 18 settembre 2006 fu completato il trasferimento degli assetti del gruppo anfibio e del Comando dello stesso nella base di Tibnin (futura sede del Comando del Settore Ovest).
Inizia così l’operazione Leonte dove il governo italiano attraverso il suo strumento militare assiste il governo libanese ad esercitare la propria sovranità sul Libano ed a garantire la sicurezza dei propri confini, in particolare dei valichi di frontiera con lo Stato di Israele.
9 www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/UNIFIL/Pagine/Missione.aspx.
10 N.Ronzitti, Diritto internazionale dei conflitti armati, Torino, Giappichelli Editore, 2006, p.96.
11 L’art. 87 della Costituzione sancisce quanto segue: “Il Presidente della Repubblica ha il comando delle Forze Armate,
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Sostiene inoltre le LAF nelle operazioni di sicurezza e stabilizzazione dell’area, allo scopo di prevenire un ritorno delle ostilità e creare le condizioni all’interno delle quali possa essere ritrovata una pace duratura.
Al fine di superare gli ostacoli concernenti il reclutamento delle forze nazionali partecipanti all’Unifil, fu necessaria una riunione ministeriale dei 25 membri dell’Unione Europea12, a cui aveva preso parte anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan. Durante tale vertice l’Unione Europea si era impegnata a fornire almeno la metà degli effettivi della forza per il mantenimento della pace in Libano.
L’Italia partecipò quindi alla missione internazionale “Leonte” con un contingente di 3000 uomini.
Ad oggi la Task Force italiana risulta così costituita :
- Il Comando del Settore Ovest di Unifil (Head Quarter) stanziato nella base Millevoi di Shama;
- Un Battle Group ( Battaglione di manovra), denominato ITALBATT, dislocato presso la base di Al Mansouri e che contribuisce con altri battlegroups (unità organiche a livello di battaglione) di altre nazioni al controllo della Blue Line e del territorio del sud del Libano in supporto alle forze armate libanesi. Gli assetti di ITALBATT sono dotati di veicoli blindati VBL Puma 6x6, VTLM Lince e “Autoblindo” Centauro;
- Un battaglione di supporto logistico dislocato a Shama che garantisce il sostegno logistico al settore ovest attraverso le proprie componenti trasporti, rifornimenti ,mantenimento, assetti sanitari nuclei di disinfestazione, specialisti NBC (nucleare-batteriologico-chimico);
- Un battaglione di supporto alle attività operative dislocato a Shama che garantisce il supporto diretto al settore ovest unità tecniche del genio, e trasmissioni;
- Unità di riserva di cavalleria dotati di VBL Puma 6x6, VTLM Lince e Blindo armata Centauro;
- Componente dell’aviazione leggera dell’esercito (elicotteri) dislocata a Naqoura con compiti di evacuazione sanitaria, ricognizione, ricerca, soccorso e collegamento alle dipendenze del Comandante di Unifil;
Nell’ambito del Sector West operano unità del Brunei, Finlandia, Ghana, Irlanda, Malesia, Repubblica di Corea, Slovenia e Tanzania.
Le attività per le quali l’Operazione Leonte è chiamata ad operare nel rispetto di quanto stabilito dalla Risoluzione ONU 1701, sono molteplici: tra le più significative vanno ricordate quelle relative al CIMIC ( Cooperazione civile e militare ) , di sicurezza e di assistenza sanitaria.
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Nell’ambito del CIMIC il contingente italiano concorre nella realizzazione di opere a livello locale importanti per il benessere della popolazione locale ovvero scuole, strade, ripristino strutture idriche, smaltimento rifiuti.Uno dei pilastri primari e fondamentali della missione Unifil, previsti dalla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è la realizzazione delle attività umanitarie, un compito estremamente delicato che vede impegnato il contingente italiano in teatro operativo libanese in ausilio al popolo locale. Ad eseguirlo sono le squadre schierate del CIMIC, Civil and Military Cooperation, autori di un’intensa e costante collaborazione tra il sistema civile e quello militare. Una delle tante attività interessa i villaggi in cui operano i nuclei “Medical Care” guidati da medici appartenenti al contingente italiano operante in territorio libanese. I “Medical Care”, assicurano l’assistenza sanitaria in tutto il sud del Libano. Il loro lavoro si concretizza nell’assistenza medica all’interno delle struttura municipali in cui vengono effettuate le visite; si tratta di un servizio fondamentale per le tante donne ed i propri bambini presenti che accettano di sottoporsi alle cure affidandosi ai militari italiani e alla loro professionalità. Per tanti di loro è complicato poter accedere alle cure, soprattutto per le fasce di popolazione più povere e disagiate.
Le attività stabilite e pianificate con le 19 municipalità del settore, vengono eseguite con cadenza settimanale. Si tratta di veri e propri ambulatori mobili, dove la popolazione locale può richiedere assistenza per visite e medicazioni. Gli interventi più impegnativi vengono invece effettuati all’interno delle diverse basi UNIFIL- ITALBATT (Battaglioni Italiani dislocati nell’area di Sector West – area operativa della missione Leonte).
Sono numerose e consistenti le iniziative proposte messe in atto, dalle donazioni di farmaci e materiale tecnico medicale alle raccolte di fondi per le famiglie che non sono in grado di poter pagare cure mediche e visite specialistiche. E’ proprio questa l’attività più sentita dai team CIMIC che, con il loro aiuto, supportano la popolazione libanese dimostrando rispetto e sensibilità per questo popolo e per le sue innumerevoli difficoltà..
Immagine 3 Intervento medico a favore di un villaggio (fonte: http//rassegnastampamilitare.com/2014/03/29/libano-cimic-medical-care-limpegno-italiano-a-favore-della-popolazione-libanese/#jp-carousel-21914)
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Un altro esempio che va ricordato tra i tanti progetti è quello realizzato presso la municipalità di Arzun nel sud del Libano relativo alla consegna e l’istallazione di un potabilizzatore per acqua ad usi domestici, molto richiesto in questa parte del paese nella quale scarseggiavano le risorse idriche e che è stato finanziato con fondi delle Nazioni Unite nell’ambito della realizzazione degli UN-Q.I.Ps13 (Quick Impact Project) e la consegna alla municipalità di Tura della costruzione di un’adeguata rete fognaria necessaria ad incanalare le acque reflue per eliminare la stagnazione di bacini idrici non depurati, che degradavano le condizioni igienico sanitarie del villaggio. Quest’ultimo progetto è stato finanziato con fondi nazionali stanziati dall’Italia a sostegno dello sviluppo nel sud del Libano. Nell’ambito della sicurezza un evento importante riguarda l’incontro tripartito ovvero l’ unico strumento di dialogo fra Libano ed Israele nel quale il Force Commander coadiuvato dal contingente italiano di UNIFIL, svolge una delicata opera di mediazione per far convergere le parti sulla necessità di moderare eventuali tensioni e attuare tutte le misure di sicurezza ritenute opportune per mantenere l’attuale situazione di calma.Il forum in cui siedono allo stesso tavolo UNIFIL sia i rappresentanti militari libanesi che israeliani, si riunisce a cadenza mensile nel formato ordinario o ad hoc per la trattazione di emergenze. Il meeting tripartito è un fattore di successo per la missione di UNIFIL e questo coinvolge anche l’operazione Leonte perchè nel tempo si è qualificato quale strumento di confidence building tra le parti che ha consentito il processo di visualizzazione sul terreno della Blue Line attraverso il concordato posizionamento di numerosi pilastri “Blue Barrels”, dei quali quasi 200 su circa 500 richiesti in totale sono stati già eretti.
Tra gli argomenti trattati in agenda hanno assunto rilievo la definizione del confine nella zona lungo la blue line e la negoziazione per il ritiro israeliano dalla parte settentrionale del villaggio di Ghajar. Queste riunioni rappresentano un avvenimento storico perché tra Israele e Libano non vi era mai stato prima d’ora un riconoscimento reciproco e di conseguenza non si erano mai instaurati rapporti diplomatici: esse hanno dunque costituito la posa della prima pietra per la costruzione del confidence building tra i due Stati.
Nell’ambito del supporto tecnico a favore delle Forze Armate Libanesi, operatori delle LAF in qualità di addetti al mantenimento logistico dei generatori elettrici sono stati addestrati con tecnici italiani del Battaglione logistico della Brigata Ariete per acquisire le capacità specialistiche necessarie per operare su sistemi di produzione elettrica. Inoltre va ricordata la stretta collaborazione testimoniata dalla presenza degli ufficiali di collegamento, dalle esercitazioni congiunte e dal continuo scambio di informazioni per il mantenimento della pace a sud del
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Libano: a titolo di esempio si può ricordare la prima ricognizione congiunta tra i lagunari italiani del reggimento “Serenissima”, guidati dal colonnello Chiapperini, e i soldati libanesi, avvenuta lungo la costa nei pressi di Tiro per ispezionare i fondali e le spiagge ed accertare la sussistenza di condizioni favorevoli per eventuali sbarchi o evacuazioni.
Per concludere il contingente italiano collabora in qualità di caschi blu per addestrare l’esercito libanese soprattutto in ambiente urbano. Tra i diversi avvenimenti di particolare importanza è quello relativo alla pianificazione di MOUT (Military Operation on Urban Terrain) per la conduzione di operazioni in aree urbanizzate.
Immagine 4. Caschi blu italiani e LAF durante una MOUT
( fonte: www.difesa.it/Operazioni Militari/ op.intern_corso/UNIFIL/notizie_teatro.)
L’attività prevede a conclusione una esercitazione pratica presso la base italiana di Shama, sede del Quartier Generale di Sector West . L’addestramento nel complesso prevede lezioni teoriche e pratiche: queste ultime incentrate sulle procedure per il movimento all’interno di un abitato e controllo di un edificio. La bonifica del territorio legata allo sminamento è un’altra attività addestrativa apprezzata dal governo libanese. Nell’ambito dell’operazione LEONTE XV alla presenza del Generale di Brigata Maurizio Riccò, comandante della missione UNIFIL Sector West, gli sminatori del plotone MINEX inquadrato nel “6° Reggimento Pionieri di Roma” hanno bonificato l’ultimo corridoio di competenza sul quale sarà edificato uno dei 500 “Blu Pillars” che costituiscono la Linea Blu, la linea armistiziale che divide il Libano e Israele. Il blue pillar in questione sarà edificato a circa 3 metri dalla technical fence israeliana.
Immagine n.5. Segnale di bonifica mine (fonte: http://rassegnastampamilitare.com/2014/03/27/libano-blue-line-lesercito-italiano-ultima-i-lavori-di-sminamento)
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Gli operatori hanno bonificato una superficie di circa 140 metri quadri per una lunghezza di 70 metri immerso in una fitta vegetazione e un fondo roccioso che ha reso le operazioni di bonifica lunghe e complesse a causa di un pattern di semina frammentato, andando a rimuovere circa 30 mine antiuomo del tipo N4 di fabbricazione israeliana.
Il comandante Riccò ha ringraziato personalmente con una stretta di mano gli uomini e le donne del plotone MINEX che a breve rientrerà in patria: «ciò che avete fatto è un qualcosa che rimarrà nella storia», dice il Generale Riccò agli uomini ancora in riga con le pesanti tenute anti frammentazione, «forse non riuscite a capirne il valore perché troppo giovani», aggiunge il comandante e conclude «il vostro lavoro sarà qui visibile alle prossime generazioni».
Legato al problema della bonifica sulle mine è stata istituito il “Mine Awareness Day” - giornata internazionale di UNIFIL sulla sensibilizzazione della popolazione locale sul tema delle mine, sotto l’egida di UNMAST (United Nations Mine Action Support Team) e con la partecipazione degli sminatori cinesi e del loro Comandante – Colonnello Tang Bing. In particolare, il Battaglione di Supporto alle attività operative (CS BN – Combat Support Battalion), guidato dal Ten. Col. Maurizio Todaro, ha organizzato nel 2014 una mostra statica e una serie di aree ludico-educative sulla pericolosità delle mine e degli UXO (Unexploded Ordnance- Ordigni Inesplosi), destinate a circa 80 bambini provenienti da diverse scuole dell’area di responsabilità italiana. I “piccoli” ospiti hanno anche assistito ad attività simulate con il cane antiesplosivo (EDD – Explosive Detection Dog) e con il “robottino” utilizzato dagli artificieri per la manipolazione e disarticolazione degli ordigni esplosivi improvvisati (IED – Improvised Explosive Device).
Per assicurare il monitoraggio e il rispetto dei confini del Libano, le Nazioni Unite hanno istituito dal 2007 il Lebanon Indipendent Border Assessment Team, inviato sul campo dal 27 maggio al 15 giugno 2007; dal rapporto del team14 è emerso uno scarso grado di sicurezza inidoneo a prevenire l’ingresso illegale di persone e di materiale bellico.
UNIFIL ha coadiuvato in tal senso l’autorità libanese, agevolando l’assolvimento dell’incarico con concorso di personale allo scopo di meglio prevenire eventuali azioni terroristiche.
L’operazione LEONTE sintetizza quindi lo strumento multinazionale su base italiana, attraverso il quale il Libano affida la propria sicurezza necessaria per il suo sviluppo e per contenere eventuali ritorsioni da parte dell’esercito israeliano.
14 Report of Lebanon Indipendent Border Assessment team in Letter dated 26 june 2007 from the Secretary-General to
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Lo sforzo italiano, grazie alla sforzo congiunto delle componenti diplomatiche, militari e di partenership civile (cooperazione bilaterale, multilaterale, decentrata, commerciale), si è principalmente dedicato allo sviluppo locale libanese.
Dal punto di vista geografico l’aiuto ha gravitato nel sud del Libano con il programma ROSS (Sostegno alla ricostruzione, all’occupazione, ai servizi e allo sviluppo)15, concludendosi nel 2010, e successivamente si è spostato al nord interessando la popolazione palestinese e le diverse comunità libanesi.
Questo modello d’intervento “italiano”, già utilizzato in altri contesti postbellici a partire dai primi anni Novanta (es.Balcani), si basa sostanzialmente nell’unire le risorse, coordinare gli interventi, supportare le capacità tecniche richieste, ma lasciare i processi decisionali e gestionali nelle mani delle comunità interessate, favorendo governabilità e trasparenza.
L’Italia, e l’operazione LEONTE ne è un esempio, conferma la sua capacità di intervento dal punto di vista militare, in contesti sensibili quali il teatro libanese, limitando o evitando l’uso della forza a vantaggio del dialogo e della cooperazione.
Agevolando il rafforzamento delle autorità politiche e militari a livello locale, UNIFIL (United Nation Interim Forces of Lebanon) di cui fa parte LEONTE, favorisce lo state building del sud del paese promuovendo attività di sviluppo e offrendo posti di lavoro e dall’altra rafforzando sicurezza e stabilità attraverso la prevenzione e la gestione della tensione potenzialmente esplosiva sulla linea di confine israelo- palestinese.
Israele, da parte sua, tutela i propri interessi territoriali attraverso una costante interazione con la forza d’interposizione di Unifil nella quale trova l’interlocutore più diretto. L’operazione Leonte ormai giunta al suo quindicesimo mandato ha cercato nel corso del tempo di ottemperare al suo ruolo di strumento di pace inserendosi nel tessuto sociale del Sud del Libano con convinzione ed entusiasmo. La realtà, dal punto di vista politico e strategico di un’area mediorientale nella quale opera la missione Leonte, impone il rispetto di una Risoluzione ovvero la n°1701, che limita l’utilizzo delle armi tra due realtà Hezbollah ed Israele sempre più tese e pronte ad un’eventuale conflitto. Il contingente italiano unitamente ad altri contingenti stranieri continuano quotidianamente la loro opera di solidarietà ed assistenza umanitaria alla popolazione del Sud del Libano perché convinti dell’importanza della propria presenza in una terra martoriata da guerre e che ha lasciato solo morti e distruzione.
15 G.Rufini, Il Libano e la Crisi Siriana: Le lezioni di Unifil per l’Italia e la Comunità Internazionale, Roma, Cespi
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1.4 La risposta libanese allo Stato d’Israele: il movimento hezbollah.
L’attuale partito libanese sciita (hezbollah), di matrice fondamentalista, nacque negli anni Ottanta come movimento di resistenza all’occupazione israeliana degli anni Novanta e diventò uno degli attori principali della vita politica del Paese e di tutta la regione mediorientale e responsabile dell’escalation di violenze contro Israele. Le guerre civili successive al 1982 furono una delle conseguenze dell’invasione israeliana, ma costituiscono un prolungamento della guerra civile precedente al 198216. Gli israeliani hanno cercato, secondo hezbollah, di strumentalizzare a proprio vantaggio la struttura confessionale del Libano. La resistenza ha sempre dimostrato il proprio carattere nazionale, il cui bersaglio principale era l’occupazione israeliana e non gli altri libanesi. L’atteggiamento hezbollah nei confronti dei diversi protagonisti del conflitto libanese è dipeso principalmente dalle loro prese di posizione rispetto all’occupante israeliano. L’opposizione al regime del presidente Amin Gemayel, succeduto al fratello Bashir, assassinato il 14 settembre 1982, è motivata non solo dal rifiuto dell’egemonia schiacciante di una comunità sulle altre, ma soprattutto dal fatto che la sua ascesa al potere è una conseguenza diretta dell’invasione israeliana. Gemayel impegnò l’esercito libanese, nelle zone da esso controllate, in una lotta attiva contro le varie formazioni della resistenza, smantellandone le reti e arrestandone i membri. La sua firma in calce agli accordi con Israele del 17 maggio 1983, parallelamente all’attuazione di una feroce repressione ai danni delle fazioni dell’opposizione, accelerò il rilancio della guerra civile.
Dal punto di vista militare l’entrata in scena dei combattenti della resistenza islamica, ramo armato di Hezbollah, non è passata inosservata agli attori politico militare del conflitto ivi compresa la parte israeliana, principalmente per la novità della loro modalità d’azione e per la loro pratica militare. Quest’ultima non è semplicemente legata al loro livello di formazione, ma anche alla loro convinzione ideologico-religiosa. Un combattente hezbollah non si limita a ricevere una formazione in un campo d’addestramento, ma ottiene anche un insegnamento religioso che può arrivare anche ad un grado molto alto. Viene formato da una storia culturale, teologica e politica specifica allo sciismo. Quando combatte, egli si identifica con figure e modelli di questa storia. Non è sconvolgente che un buon numero di combattenti di Hezbollah, cresciuti nella venerazione di un modello religioso, nella lotta contro l’occupazione abbiamo cercato il martirio. La variabile imprevista dell’equazione politica e militare era in realtà un
16 W. Charara e F. Domond, Hezbollah. Storia del partito di Dio e geopolitica del Medio Oriente, Roma, Ed Derive
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elemento spirituale inatteso, non contabilizzato al momento della valutazione dei rapporti di forza, ma il cui impatto su questi ultimi si sarebbe rivelato decisivo17. La centralità della figura del martire nelle convinzioni religiose dei guerriglieri Hezbollah, che li porta a considerarsi a loro volta come potenziali martiri, ha implicazioni dirette ed evidenti sulla loro capacità di combattere . La costruzione della figura del martire, che progressivamente sostituisce quella del combattente, è fondamentale per la preparazione del terreno. Il clima di morte coltivato dalla violenza delle truppe occupanti e dalla glorificazione dei resistenti prepara al sacrificio supremo ritenuto preferibile alla vita quaggiù18.
La ragion d’essere di hezbollah è la resistenza a Israele non in quanto Stato ebraico, ma in quanto progetto e fonte di minaccia per gli Stati confinanti.
Tutta la storia del conflitto arabo-israeliano, ovvero l’espulsione dei palestinesi dalla loro terra con il terrore organizzato e i massacri del 1948, la guerra del 1967 e l’occupazione della Cisgiordania, di Gaza e del Golan siriano, le successive guerre contro il Libano, nonché il fallimento del processo di pace sono elementi secondo Hezbollah della vera natura razzista ed espansionista della Stato di Israele, che rende impossibile qualsiasi idea di coesistenza.
E’ importante notare che la solidarietà dimostrata da Hezbollah al popolo palestinese non è semplicemente basata su motivazioni religiose come sostegno a un popolo musulmano, dunque fratello, o la liberazione dei luoghi santi dell’islam nella Gerusalemme occupata, ma anche su una visione geopolitica che rileva un destino comune, di fronte a una comune minaccia, dei popoli libanese, palestinese e siriano.
D’altra parte il progressivo rafforzamento dell’alleanza strategica tra Israele e gli Stati Uniti nel corso degli ultimi vent’anni, che si è trasformata in una vera e propria relazione organica con l’ascesa al potere delle amministrazioni Bush e Sharon nei rispettivi paesi, non può che consolidare ulteriormente la convinzione che Israele sia “la punta di diamante dell’imperialismo americano” in questa regione del Mondo, nella quale contribuisce a osteggiare qualsiasi progetto arabo o islamico d’indipendenza , di sviluppo o di rinascita civile. Israele ricopre un ruolo funzionale essenzialmente militare; l’unica strategia efficace per opporvisi, secondo Hezbollah, è la resistenza prolungata19. Il ritiro incondizionato di Israele dal Sud del Libano, dopo ventidue anni di occupazione, è invocato come prova dell’efficacia di tale strategia e della sua validità come modello da seguire per i palestinesi per riappropriarsi dei propri diritti.
La posizione radicalmente anti-israeliana di Hezbollah non gli ha impedito, fin dalla sua nascita, di limitare la sua azione militare contro le forze israeliane al solo territorio libanese,
17 A.Balkaziz, La resistenza e la liberazione del Sud del Libano, Institut d’etudes pour l’unitè arabe, s.l. p.55 (in arabo). 18 P.Conesa, Auxorigenesdesattentats-suicides, “Le Monde Diplomatique”, Giugno 2004.
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bombardando il nord di Israele soltanto in risposta agli attacchi israeliani contro le città e i villaggi libanesi. Dal ritiro israeliano del maggio 2000, tra i due contendenti regna il cessate il fuoco lungo il confine libano-israeliano, con eccezion fatta della zone delle fattorie di Sheeba , territorio libanese occupato da Israele nel 1967.
Nel complesso il Sud del Libano e’ diventato il laboratorio in cui vengono sperimentate le nuove armi americane, insieme alle nuove tecniche e alle nuove dottrine della guerra contro-insurrezionale. Gli scontri, i bombardamenti intensivi, con l’uso frequente di armi vietate dalle convenzioni internazionali, le incursioni e gli sconfinamenti su larga scala hanno segnato per oltre tre decenni, la vita quotidiana degli abitanti di questa regione. L’esercito israeliano, ritenuto invincibile in virtù dei risultati militari ottenuti nel corso dei conflitti arabo-israeliani, in particolare quelli del 1948 e 1967, subì in Libano le più gravi battute d’arresto, prima di vedersi costretto ad un ritiro incondizionato che ha assunto i tratti di un vera e propria sconfitta, senza che la sua perfetta padronanza delle alte tecnologie e la sua schiacciante potenza di fuoco potessero porvi rimedio.
Di fatto gli israeliani erano così poco coscienti delle realtà politiche libanesi e della propria impopolarità nel mondo arabo, che non era immaginabile una perdita di controllo sul confronto con un paese confinante “debole militarmente” potesse verificarsi.
Più avanti, l’impigliarsi dell’esercito israeliano dentro la rete di un insistente guerriglia alla quale apparteneva la corrente hezbollah, impedì ad Israele di ridurre il conflitto con una semplice operazione di breve durata20.
Ciò che lo stato maggiore israeliano non aveva previsto era la capacità militare libanese, acquisita nel corso di una lunga e sanguinosa guerra civile e negli anni dello scontro quasi permanente con il suo esercito. La conduzione di buone operazioni militari e la capacità di anticipazione e di innovazione sul campo di battaglia dipendono gran parte dall’esperienza che gli attori coinvolti nel conflitto hanno della guerra. Diversamente dalle guerre di conquista del 1948 e del 1967, o dalle sue prime incursioni nel Sud del Libano, l’esercito israeliano non si trovava più di fronte a popolazioni prive di esperienza, il cui controllo era ottenuto senza ostacoli rilevanti e perdite significative. Una parte non trascurabile dei libanesi e dei palestinesi disponevano ormai di una formazione militare e sapevano maneggiare armi leggere o semi-pesanti, così come esplosivi.
Dal punto di vista informativo, incuriosisce l’attenzione che il movimento hezbollah dedica alla dimensione mediatica e comunicativa della propria lotta armata. Fin dalla sua creazione, Hezbollah ha curato di filmare la maggior parte dei suoi interventi militari. Al momento di
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passare all’azione, i suoi gruppi armati includono sempre tra i propri ranghi un addetto alle riprese incaricato di “ immortalare il momento”. La fase successiva provvede alla diffusione dei filmati tra i simpatizzanti. Questa strategia si è rivelata determinante per la credibilità di Hezbollah presso l’opinione pubblica libanese, rafforzando l’immagine di un partito che fa seguire fatti alle parole. Questi video, a volte inviati alle agenzie stampa internazionali e diffusi dalle televisioni occidentali, forniscono all’opinione pubblica mondiale e all’opinione israeliana la prova dell’ampiezza e dell’efficacia della guerriglia portata avanti nel Sud del Libano.
Dalla fine della guerra civile nel paese dei cedri, lo scontro quotidiano in corso nel Sud del Libano ha scarsamente interessato i media occidentali. L’emittente televisiva Al Manar (il faro), chiamata televisione della resistenza e della liberazione, ha iniziato a trasmettere i propri programmi a partire dal 1989. Nell’ottobre del 2000 è diventata un’emittente satellitare. Nel suo palinsesto la priorità va al conflitto arabo-israeliano con particolare attenzione alle operazioni di resistenza in Libano ed in Palestina, I suoi programmi si rivolgono anche alle poste in gioco internazionali che hanno ripercussioni sulla regione araba. Hanno inoltre programmi di dibattito diffusi in diretta. Al Manar in questi ultimi anni, proprio in virtù del fatto che promuove il modello di resistenza incarnato da Hezbollah, ha aumentato la propria audience nel mondo arabo.
Le immagini diffuse, che mettono in mostra soldati israeliani colpiti dai combattenti della resistenza o che abbandonano le loro postazioni quando sono attaccate, contribuiscono a infrangere il mito dell’invincibilità dell’esercito israeliano, riabilitando presso il pubblico arabo la figura del resistente. I videoclip mandati in onda dall’emittente libanese sono dedicati solo a questo. Non c’è dubbio che Al Manar rompa con i discorsi dominanti nei media occidentali e arabi, proponendo una diversa lettura degli eventi internazionali, regionali e locali. Prima del ritiro israeliano del maggio del 2000, la diffusione da parte dell’emittente delle immagini della resistenza islamica ha contribuito all’esarcebazione del dibattito interno in Israele sull’opportunità di mantenere truppe nel Sud del Libano. Poiché le immagini di tali operazioni e delle relative perdite tra i ranghi dell’esercito occupante in genere non venivano trasmesse dalla televisione israeliana, Al Manar è diventata una fonte di informazione sugli sviluppi nella “zona di sicurezza” anche per le famiglie dei soldati israeliani. Al Manar non fa un segreto della propria attività divulgativa: uno dei principali obiettivi dell’emittente è contribuire alla nascita di un movimento di opinione ostile all’occupazione israeliana dei territori arabi. I suoi programmi, intervallati da video che glorificano la figura del resistente e del martire, sono uno degli strumenti impiegati in tal senso.
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Immagine 6. Bandiera Hizbollah
(fonte:www.lettera43.it/foto/europa-hezbollah-pronti-a-colpire_4367561469.htm).
Dietro l’immagine del combattente di Hezbollah, che parte all’assalto di un fortino israeliano nell’area di occupazione, c’è quella meno nota di una vera e propria “impresa” dedicata alla sua causa. Che si tratti della salute, dell’educazione, dell’informazione, dell’intervento sociale, in particolare la presa in carico delle famiglie dei martiri, e il reinserimento dei combattenti feriti, nel corso degli anni Hezbollah ha costruito una rete di istituzioni che consentono non solo alla popolazione civile di sostenere il costo umano e materiale degli attacchi israeliani, ma anche di allargare la base sociale della resistenza. La storia del successo di Hezbollah contro Israele non può essere capita senza un attento esame della strategia messa in opera da parte della sua direzione per mobilitare la comunità sciita e spingerla a impegnarsi in una jihad (forza) prolungata e onerosa21. Per il finanziamento delle sue attività sociali Hezbollah riceve un aiuto ufficiale dall’Iran, da fondazioni religiose libanesi, da imprese private, dalla diaspora, senza dimenticare le donazioni di Ahl al Kheir (le persone di buona volontà) e della Zakat(elemosina che il musulmano devolve a Dio per ciò che gli ha dato). La maggior parte di queste istituzioni sociali sono ormai giunte, se non proprio sulla soglia dell’attivo di bilancio, quantomeno all’autonomia finanziaria. E’ innegabile che questa forma di impresa rivolta alla causa garantisca al partito una relativa autonomia e contribuisca ad allargare i suoi margini di manovra sullo scacchiere politico locale regionale per denunciare la politica israeliana. Parlando di emblemi della resistenza sud libanese all’occupazione israeliana degno di nota è il centro di detenzione di Khiam. La casa circondariale ubicata su una collina che si affaccia sulle pianure dell’alta Galilea e le scuderie di una vecchia caserma francese, furono utilizzate dall’esercito israeliano per recludere tra il 1982 e il 1985 circa 12.000 tra libanesi e palestinesi. Dopo il 24 maggio 2000, quando i giornalisti dei media occidentali visitarono le celle, in condizioni a dir poco pietose, fu rivelato all’opinione pubblica mondiale il lato oscuro di una democrazia che si fa beffa del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’Onu. Nel libro “Khiam, prison de la honte”, l’autrice Veronique Ruggirello, sottolinea che per i diversi governi israeliani, lo Stato di diritto, la democrazia e i diritti dell’uomo dipendono dalla contingenza e non escludono né
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l’occupazione né la tortura. La forza di dissuasione di Hezbollah, a conclusione di questo capitolo, risulta basata su esigenze della sicurezza nazionale libanese. Il sostegno alla lotta della popolazione palestinese è una traduzione politica delle convinzioni di Hezbollah e fa parte di una strategia di contenimento delle mire egemoniche di Israele. La continuazione dell’Intifada fino al ritiro incondizionato dell’esercito israeliano dai territori occupati dal 1967 è per Hezbollah un imperativo nazionale.
Anche se il sostegno è più politico e mediatico che militare, il partito di Dio non esita a minacciare lo Stato d’Israele proprio nella zona di confine libano-israeliana nel tentativo di impedire a quest’ultimo di cambiare radicalmente il dato demografico, geografico e politico della regione libanese.
L’obiettivo che Hezbollah ha perseguito sin dagli anni ottanta ovvero la liberazione del Libano dall’occupazione israeliana, per altro sostenuto dalla popolazione libanese, ha subito nel corso del tempo un radicale cambiamento legato al ritiro delle truppe israeliane dal sud del Libano avvenuto nel 200022.
Uno degli elementi centrali della lotta del movimento di liberazione contro Israele è la rivendicazione sottolineata23 tra l’altro nel 2002 dal Segretario delle Nazioni Unite dell’area delle fattorie di Shebaa considerata dal Consiglio di Sicurezza come parte “on the Lebanese side of the Blue Line”.
Immagine 7 . Sheeba farm map ( fonte : www.saidaonline.com)
22 International Crisis Group, Hizbullah: Rebel Without a Cause? in ICG Middle East Briefing Paper, 2003, pp 4-5. 23
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Capitolo 2
I difensori del Libano: il caso Hezbollah.
2.1 Cenni storici.
La nascita del movimento hezbollah è da collocare come conseguenza della guerra civile del 1975 in Libano, la quale, con la successiva invasione israeliana del 1982, portò all’ascesa del radicalismo islamico libanese. Appena venne eletto, nel 1977, il governo del Likud di Menachem Begin e dell’allora Ministro della Difesa, Ariel Sharon, pose l’intervento militare in Libano come una priorità e una necessità per eliminare definitivamente la presenza dell’OLP ( Organizzazione Liberazione della Palestina), dal paese dei cedri.
Nel 1978 , con l’operazione “Litani”, Israele non riuscì a sconfiggere i guerriglieri poiché preferì bombardare i campi profughi invece che attaccare il grosso delle forze palestinesi vicino Tiro e non riuscì neanche ad impedire ai fedayin di sferrare nuovi attacchi contro di esso1. Israele, in base alla Risoluzione 425 dell’ONU, dovette abbandonare il Libano, lasciando, in palese contravvenzione alla predetta risoluzione, una fascia di sicurezza sotto il controllo della SLA2 di Haddad, un comandante cristiano-maronita; milizia pagata, armata e rifornita dagli israeliani. Nel 1982, con l’operazione “ Pace in Galilea”, il governo conservatore israeliano, dopo aver invaso l’intero Libano e aver assediato e bombardato ininterrottamente per due mesi Beirut ovest, zona dove risiedevano i guerriglieri di Arafat, riuscì nel suo intento: l’OLP abbandonò Beirut alla volta di Tunisi.
La partenza dei combattenti palestinesi, che non avevano più nessuna influenza e nessun predominio in Libano, permise ad altri gruppi di resistenza, in particolare tra gli sciiti, di uscire allo scoperto e di costituire una forza libanese contro l’occupazione. L’invasione, che in un primo momento fu accolta in modo positivo dalla popolazione sciita, stanca dell’egemonia palestinese nel meridione libanese, portò all’ascesa dei gruppi radicali e ad un’islamizzazione della comunità sciita sull’onda della vittoria islamica iraniana.
La resistenza libanese è stata, secondo le parole del segretario generale dello Hezbollah, Hassan Nasdrallah, una reazione naturale3 all’invasione che fece coalizzare nello Hezbollah gruppi diversi, fino ad allora disaggregati.
1D. Gilmor, Libano: un paese in frantumi, Firenze, Ponte alle Grazie, 1989, p.102. 2South Lebanon Army (esercito del Libano meridionale)
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Due furono però gli episodi che fecero aumentare il fervore sciita: la profanazione da parte dell’esercito israeliano a Nabatiyya, nel 1983, durante la cerimonia della Ashura, della salma del terzo Imam Husayn, che fece inferocire la popolazione e, nel 1984, l’assassinio dello shayk RagibHarb, imam del villaggio di Jibshit, che da allora divenne il simbolo del martirio nella lotta all’occupazione.
Fu nella seconda metà del 1982, che l’Ayatollah Mohtashemi, ambasciatore della repubblica iraniana a Damasco, riunì i movimenti e la parte del clero che accettava la teoria della wilayat al-faqih in un’organizzazione sul modello del partito khomeynista, chiamata Hizb Allah (Partito di Dio) 4.
La formazione dello Hezbollah , con una attiva supervisione iraniana, avvenne in tre fasi distinte ed il partito divise le sue operazioni di propaganda in tre importanti aree: la Beqa’a, Beirut ed il sud del Libano5.
Le unità dei pasdaran ( guardia iraniana) cominciarono la missione nella moschea dell’Imam Ali a Ba’albak, dove accorsero volontari libanesi per iscriversi e per partecipare ai corsi di addestramento militari e culturali. La prima lista, nel 1982, raccolse 180 volontari.
In quel periodo, precisamente nella Beqa’a, un gruppo di radicali islamici, che non si riconoscevano in alcun quadro organizzativo diretto, costituirono il “Comitato dei Nove”, che riunì rappresentanti dei diversi orientamenti islamici; Amal islamico, il partito al-da’ wa, che si sciolse nel 1982 e i Comitati islamici.
A Beirut, per l’espansione del movimento, fu fondamentale l’attività delle varie hawzat, circoli politico-religiosi, che preparavano culturalmente e religiosamente i giovani sciiti.
Secondo le parole dello shayk Yizbak, membro dello Hezbollah, “la buona riuscita e la costruzione del pensiero islamico non sussistono senza i circoli che uniscono tutti sotto la bandiera dell’Islam, a servizio dell’Islam”.
Per aderire al partito erano e sono tutt’ora necessarie due fasi: la preparazione e l’ammissione. La preparazione può durare più di un anno, durante il quale si svolge la formazione e l’istruzione, sia religiosa che militare, del candidato prima di ammetterlo nel partito. Altro requisito fondamentale è l’accettazione della teoria della wilayat al faqih6e l’assoluta obbedienza in esso. Nel Libano meridionale l’espansione dello Hezbollah fu inizialmente intralciata dal dominio che il movimento Amal aveva sulla comunità sciita.
Il fallimento dell’attività di resistenza contro l’esercito israeliano da parte di Amal, le lotte intestine e la guerra che il movimento intraprese contro i campi profughi palestinesi, per evitare un ritorno
4 S.Mauro, Il radicalism islamico-Hizbollah, da movimento a partito politico, Milano, Ed Clandestine, 2007, p.70. 5 M.Ranstorp,Hizb’Allah in Lebanon, Londra,Ed. Mac Millan,1997, p. 33.
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