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I consulenti del fundraising

Nel documento IL FUNDRAISING (pagine 143-147)

Nelle organizzazioni non profit, soprattutto di piccole/medie dimensioni, è veramente difficile trovare un ufficio di fundraising; accade spesso, invece, di trovare un ufficio di segreteria e coordinamento progetti che, nei ritagli di tempo, si occupa di “raccolta fondi”. In realtà, quello che il personale definisce fundraising, non è altro che l’utilizzo sporadico di strumenti che possono essere previsti e utilizzati in un piano di fundraising.

Il fundraising, come ribadito più volte in questo elaborato, per essere definito tale, deve essere pianificato nel breve/medio e lungo periodo, coinvolgendo sia il personale che i membri dell’organo direttivo.

L’ufficio addetto alla raccolta fondi, quindi, ha senso di esistere se l’organizzazione non profit è consapevole del suo valore e se percepisce la necessità di avere personale dedicato a questa attività, partendo dalla stesura del piano, la sua attuazione e revisione.

Nel Terzo Settore, purtroppo, è pressoché assente questa visione della raccolta fondi, gli uffici di fundraising sono previsti nelle grandi aziende non profit, mentre, apparentemente, quelle di piccole e medie dimensioni non ne sentono il bisogno.

Le organizzazioni non profit, quindi, si affidano sempre più spesso a dei consulenti esterni per migliorare le proprie capacità di fundraising.

Si ritiene opportuno che l’organizzazione non profit, prima di assumere un consulente, verifichi al proprio interno le capacità e le conoscenze che i membri dell’organo direttivo e il personale volontario e retribuito hanno della raccolta fondi.

L’azienda non profit che richiede una consulenza, infatti, deve avere già al proprio interno le competenze di fundraising, altrimenti il consulente perderà la propria efficacia, inoltre, si può rischiare di ricevere una consulenza non adeguata alle proprie esigenze. Si ritiene opportuno, quindi, formare il proprio personale per permettere una migliore collaborazione.

La richiesta di consulenti da parte del non profit sta aumentando negli ultimi anni perché le organizzazioni non profit sentono sempre più l’esigenza di pianificare la raccolta fondi, ma, essendo questa disciplina relativamente giovane in Italia, non hanno la conoscenza necessaria per avviare un fundraising strutturato. In questo caso, l’utilizzo del consulente potrebbe essere problematico. La mancanza di un ufficio strutturato di raccolta fondi, infatti, può portare alla ricerca di un consulente che, in realtà, è un mero fornitore di servizi in quanto si occupa della parte solamente creativa come, per esempio, la creazione di un mailing, oppure la gestione del database donatori, o ancora la fornitura di liste di indirizzi.

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Il consulente di fundraising, invece, è una figura professionale che affianca l’organizzazione non profit per aiutarla a determinare la propria mission, i propri obiettivi strategici e operativi. Il suo ruolo è quello di consigliare ed aiutare l’azienda non profit, senza sostituirsi ad essa per la raccolta fondi. È importante, infatti, che ci sia questa netta divisione tra chi consiglia e chi, invece, deve operare e mettere in campo le proprie capacità. L’utilizzo del consulente come un fundraiser dell’azienda non profit, infatti, non è la scelta adeguata per avviare un processo di raccolta fondi: il collegamento tra personale di fundraising e buona causa, infatti, viene a mancare con il consulente, questo può essere visto in modo negativo da parte del pubblico di riferimento.

L’obiettivo del consulente è quello di aiutare l’organizzazione non profit a trovare una metodologia adeguata per gestire tutte le attività del fundraising. Per fare questo il consulente deve, in breve tempo e con risorse limitate, unire il team coinvolto nella raccolta fondi verso un unico obiettivo.

Nella realtà italiana, il fundraiser viene visto dal Terzo Settore come una figura professionale multidisciplinare che, oltre ad essere un procacciatore di fondi, si occupa della grafica pubblicitaria ed è un esperto di vari strumenti, quali il mailing e il telemarketing sociale. La figura professionale del consulente in fundraising, quindi, è multidisciplinare dato che si deve occupare di diversi aspetti: si ritiene opportuno che un fundraiser abbia conoscenze principalmente in economia, diritto e marketing, ma possono completare il profilo anche competenze in altri ambiti considerati importanti per la raccolta fondi, come, per esempio, la psicologia, il fisco e le relazioni pubbliche.

L’organizzazione non profit deve decidere se lavorare o meno con un consulente di fundraising e quale metodologia utilizzare.

Si ritiene opportuno richiedere l’aiuto di un consulente quando sussistono le seguenti condizioni:

- per ragioni di struttura organizzativa: l’azienda non profit, durante il suo percorso, sentirà la necessita di istituire una struttura stabile addetta alla raccolta fondi. Questo cambiamento, che fino a pochi anni fa era considerato un privilegio delle grandi organizzazioni non profit, sta prendendo piede anche tra gli enti di piccole dimensioni, come anche strutture pubbliche come, per esempio, ospedali e università. La visione consapevole della raccolta fondi porta il consiglio direttivo a decidere sull’istituzione di un ufficio di fundraising: è un’evoluzione che modifica la strategia dell’intera organizzazione non profit, oltre che per tutto il settore non profit. La figura del

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fundraiser diventa indispensabile durante lo start up: la sua professionalità ed esperienza permetterà di istituire un ufficio adeguato alle esigenze dell’ente; sarà in grado, infatti, di avviare il processo di fundraising seguendo il lavoro del personale interno all’ente;

- in relazione ad un progetto: l’organizzazione non profit che ha già istituito ed avviato al proprio interno un ufficio di raccolta fondi, potrebbe avere la necessità di richiedere la consulenza di un professionista per un determinato progetto che richiede un ulteriore aiuto oltre a quello del personale interno. In particolare, si ritiene opportuno richiedere il parere di un esperto quando l’attività da intraprendere è nuova per l’ente, ossia quando non possiede l’esperienza necessaria per avviare il progetto. Un altro caso è costituito dal rischio: il parere obiettivo di un consulente può essere d’aiuto quando l’attività pianificata comporta grandi investimenti da parte dell’organizzazione non profit; spesso, infatti, i fundraiser interni hanno bisogno di una collaborazione con dei consulenti per convincere l’organo direttivo dei futuri buoni risultati che una determinata attività potrà avere;

- per esigenze di delega: il personale interno dell’organizzazione non profit è talmente dedicato alla sua mission che non riesce ad occuparsi della raccolta fondi. In questo caso l’ente può decidere di delegare tutta la raccolta fondi ad un’agenzia esterna. Si ritiene opportuno evitare questa soluzione: così facendo, infatti, l’azienda non profit perde, quasi completamente, il controllo della raccolta fondi. Si ribadisce come il fundraising sia strettamente legato alla vision, mission ed obiettivi dell’organizzazione: delegare a soggetti terzi le attività di raccolta fondi significherebbe slegare questi aspetti, il fundraising perderebbe, così, la propria efficacia. La raccolta fondi, infatti, è di successo solo quando viene gestita all’interno dell’organizzazione, quando i progetti sociali si collegano direttamente alle donazioni; - per una verifica preliminare: l’organizzazione non profit può richiedere una

consulenza per un’attività specifica che richiede un’analisi preliminare per l’investimento in fundraising. Per poter dare un proprio giudizio in modo corretto ed obiettivo, il consulente deve innanzitutto conoscere l’ente, i suoi obiettivi e la sua struttura; con il supporto dell’ufficio raccolta fondi avvierà un’indagine conoscitiva sia interna che dell’ambiente esterno. Una volta definito con precisione il contesto entro cui opera l’azienda non profit, il consulente sarà in grado di studiare l’attività oggetto

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d’indagine e dare, così, una valutazione accurata. Si ritiene opportuno, per una consulenza completa, non limitarsi alla mera valutazione, bensì fornire all’ente eventuali suggerimenti che possano migliorare gli obiettivi da raggiungere;

- per il lancio di una campagna con nuovi strumenti: l’ente può decidere di utilizzare la consulenza di un esperto in un determinato strumento di raccolta fondi quando le competenze e l’esperienza interni sono limitati. Questa scelta richiede un investimento iniziale che deve essere previsto nel budget dedicato, il vantaggio è, però, l’aumento delle probabilità di ottenere risultati soddisfacenti nel futuro e creare quel pacchetto di know-how che diventerà utile nelle successive campagne.

Nel Terzo Settore esistono molti pregiudizi per l’utilizzo di consulenti in fundraising. Innanzitutto, si considera che il denaro utilizzato per i consulenti possa essere investito più efficacemente nei progetti sociali dell’organizzazione non profit; un'altra credenza consiste nel pensare che i consulenti abbiamo solo come obiettivo la propria remunerazione.

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