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La retribuzione del fundraiser: fisso e/o percentuale?

Nel documento IL FUNDRAISING (pagine 147-151)

La retribuzione del fundraiser è un tema caldo nel Terzo Settore che non riesce a mettere d’accordo tutti i professionisti del settore. La questione riguarda sia l’importo della retribuzione, ma, soprattutto, il metodo utilizzato per la sua determinazione ed erogazione. La questione è principalmente etica: molti fundraiser, infatti, rifiutano il compenso a percentuale.

Il fundraising sta prendendo sempre più piede nella nostra società, questo ha permesso alle organizzazioni non profit di aumentare la loro richiesta di donazioni. Il potenziale donatore, quindi, necessita di maggiori informazioni rispetto ad un tempo, perché deve decidere a quali enti erogare il contributo a fronte di molteplici richieste ricevute.

L’accountability, per questo motivo, assume sempre più un ruolo fondamentale all’interno dell’azienda non profit per creare relazioni con l’ambiente esterno; al giorno d’oggi la rendicontazione è un tema fondamentale anche nel Terzo Settore, è necessario, infatti, rendere conto a tutti gli stakeholder in merito al proprio operato.

Il compenso dei fundraiser fa parte del processo di accountability dell’organizzazione non profit: in un’ottica di trasparenza, infatti, è necessario considerare tutte le spese sostenute anche quelle impropriamente definite generali.

La domanda principale che un donatore si pone alla richiesta di una donazione riguarda la percentuale del proprio contribuito attribuita alle spese generali e la percentuale utilizzata per la buona causa.

Questo quesito è una delle ragioni principali per cui un potenziale donatore diventa effettivo: è opinione comune, infatti, che le spese generali non facciano parte della buona causa. Si ritiene opportuno, invece, considerare anche le cosiddette spese generali come costi direttamente imputabili alla buona causa: il fundraiser e il suo staff operano per poter raggiungere la buona causa, anche se non lavorano direttamente sul campo. L’opinione pubblica, attraverso questo preconcetto, influenza l’organizzazione non profit nella gestione dei costi; le aziende non profit, infatti, cercano di mantenere basso il livello delle spese generali a breve termine a scapito di progetti importanti per la buona causa che richiedono elevati investimenti iniziali.

I compensi dei fundraiser sono la voce di spesa più consistente nei costi del fundraising: la loro definizione, quindi, diviene importante perché gli scambi tra organizzazione non profit e ambiente esterno si basano sulla fiducia pubblica.

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Il compenso del fundraiser a percentuale indica che la motivazione estrinseca, ossia l’incentivo monetario, diventa necessaria per innescare la motivazione intrinseca, ossia i propri valori. Nel momento in cui il contributo economico diventa una parte preponderante nell’attività professionale di un fundraiser, la motivazione intrinseca viene meno e tutta l’attività di fundraising verrà intaccata negativamente. Senza la motivazione derivante dal senso di appartenenza del fundraiser all’ente e, soprattutto, alla sua buona causa, le attività di fundraising perdono il proprio scopo principale, avvicinandosi sempre più a pratiche commerciali tipiche del mondo profit.

Il compenso a percentuale, inoltre, influisce negativamente sul rapporto tra organizzazione non profit e donatore. La fiducia, infatti, viene messa in discussione da parte del donatore perché il compenso a percentuale viene considerato dal pubblico di riferimento come non etico. Il comportamento etico, a differenza del mondo profit, è essenziale nel Terzo Settore e, in particolar modo, nelle attività di fundraising.

Il settore non profit, infatti, differisce dal mondo non profit per quattro ragioni:

- le organizzazioni non profit possono ricevere sgravi fiscali di notevole importanza. Questo avviene se l’ente è in grado di svolgere l’attività sociale per la quale è stata costituita; le entrate di un’organizzazione non profit devono essere impiegate esclusivamente per lo scopo benefico; l’eventuale surplus, inoltre, non può essere distribuito a vantaggio dei singoli individui;

- ogni organizzazione non profit deve prevedere al suo interno un organo di governo, definito consiglio direttivo o consiglio di amministrazione, che detiene l’autorità legale dell’ente. La particolarità rispetto alle aziende profit è che i membri dell’organo forniscono prevalentemente la prestazione in forma volontaria e senza compenso, garantendo la governance, la sicurezza finanziare e una gestione complessiva accurata; - le organizzazioni non profit si basano sulle donazioni volontarie. La transazione tra

ente e donatore avviene attraverso uno scambio di valore determinato dalla promessa che il servizio per il quale il soggetto ha donato verrà realmente realizzato dall’organizzazione non profit. Lo scambio, quindi, si basa sulla fiducia del donatore ripone sull’azienda non profit; in particolare, il donatore sa che l’ente utilizzerà il proprio contributo economico in modo efficace ed efficiente per raggiungere la mission. Nel mondo profit, invece, il valore viene scambiato tra due controparti in

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modo diretto ed a un prezzo prefissato, la certezza dello scambio diretto si sostituisce alla promessa di servizio del mondo non profit;

- il guadagno personale è uno dei fattori motivanti nel settore profit. Nelle imprese profit, quindi, il compenso a percentuale è appropriato in quanto punta ad aumentare la motivazione principale del singolo individuo: il guadagno personale. Nelle organizzazioni non profit, invece, il fattore che motiva il comportamento del personale è il beneficio sociale. Gli individui che operano nelle organizzazioni non profit devono accettare che lo scopo principale è la mission benefica dell’intero ente, il guadagno personale è al secondo posto.

Per queste ragioni, si ritiene opportuno non utilizzare il compenso dei fundraiser a percentuale. Il fundraising, infatti, è strettamente connesso alla buona causa e vincolato dalla mission; è guidato dai volontari e sostenuti da figure professionali che operano in modo etico. Nel caso in cui il guadagno personale venga considerato come lo scopo principale per un’organizzazione non profit, si possono avere delle ripercussioni negative importanti:

- la mission aziendale e la buona causa perdono la propria efficacia in quanto non sono più al centro di ogni attività dell’ente;

- la fiducia dei donatori viene a mancare completamente, l’organizzazione non profit, quindi, perde il sostegno del pubblico di riferimento. Questo provoca un ingente danno economico dovuto alla mancanza di entrate sicure e per un danno di immagine dovuto ai sentimenti negativi dei donatori;

- gli interessi dei donatori vengono messi da parte per lasciar spazio agli interessi del personale retribuito e l’organizzazione non profit incentiva questo atteggiamento perché la buona causa non è più lo scopo principale dei progetti;

- il compenso a percentuale può produrre una ricompensa senza merito, innescando, così, una serie di comportamenti da parte del personale retribuito che possono mettere a repentaglio l’integrità dell’organizzazione non profit.

Il compenso a percentuale, nel caso delle organizzazioni non profit, può determinare un vantaggio indebito da parte del fundraiser e, pertanto, si ritiene che questo metodo di retribuzione non sia etico; in particolare, si evidenziano qui di seguito sei ragioni principali per sostenere che il compenso a percentuale non è etico:

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- il fundraising necessita di un piano con obiettivi a lungo termine: se il fundraiser è pagato in base ai risultati questo sarà portato ha prevedere obiettivi a breve termine con risultati immediati per aumentare il proprio compenso. Gli interessi dell’organizzazione non profit, quindi, vengono messi in secondo piano ;

- il fundraiser può utilizzare metodi commerciali inadeguati nel mondo non profit semplicemente per ottenere donazioni immediate. Questo comportamento influisce negativamente sul donatore, soprattutto per le future donazioni;

- il comportamento del fundraiser può essere poco etico e utilizzare una condotta inappropriata per il non profit semplicemente per soddisfare il proprio bisogno di guadagno personale;

- l’organizzazione non profit può aumentare le proprie abilità nel campo del fundraising affidando le attività di raccolta fondi ad un team costituito da volontari attivamente coinvolti in questo processo. Il fundraiser è la figura professionale che dovrebbe aiutare questa crescita interna, per poter raggiungere in modo più efficace gli obiettivi strategici prefissati. Il fundraiser incentrato sul proprio obiettivo personale, però, ostacola la creazione del team dei volontari, perdendo, così, importanti opportunità per l’azienda non profit;

- il compenso collegato ai risultati ottenuti dal fundraiser può incentivare quest’ultimo a praticare attività non etiche. In particolare, il fundraiser potrebbe collegare il proprio stipendio a donazioni inaspettate o non sollecitate, ossia donazioni che non sono attribuibili all’attività di fundraising; oppure le promesse di donazioni future o di lasciti testamentari possono costituire per il fundraiser la base per calcolare il proprio compenso;

- il fundraiser può influenzare la scelta del donatore in merito alla donazione senza prendere in considerazione gli interessi dell’interlocutore. Questo può compromettere le donazioni future per avere un risultato maggiore nell’immediato.

Queste considerazioni dovrebbero convincere il fundraiser e le organizzazioni non profit a rifiutare retribuzioni basate sui risultati. In Italia non esiste un vero divieto per l’utilizzo di questa pratica, solo nel codice etico di ASSIF72

72 I codici etici verranno spiegati nel successivo paragrafo

si menziona trasversalmente la questione, ma senza dare indicazioni precise per i fundraiser.

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