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CAPITOLO 3: LA RIFORMA SANITARIA DI BARACK H OBAMA.

3.4 I dubbi di incostituzionalità della riforma.

Dopo la convalida da parte delle Camere del Patient Affordable Health Care Act il clima attorno alla riforma non si rasserenò, anzi, paradossalmente era ancora più tenebroso. Causa di questo peggioramento fu la pesante sconfitta elettorale democratica nelle elezioni di metà mandato del novembre 2010. La Camera dei Rappresentanti era ormai persa, mentre al Senato il partito riuscì a mantenere una risicata maggioranza. “Il tasso apodittico-ideologico del Grand Old Party era ulteriormente aumentato grazie all’attivismo e all’influenza dei Tea Parties: le speranze di bipartisanship, già deboli prima delle elezioni, si erano ancora indebolite”307. In breve, l’attività del governare era divenuta più complessa perché si era venuta a creare quella condizione denominata divided government, creatasi, come detto, dalla perdita di controllo democratica di una delle due camere. Come evidenziato in precedenza, il disegno legge voluto dal Presidente aveva bisogno di una forte collaborazione tra esecutivo e legislativo per poter mettere in pratica quello che la legge stessa prevedeva. Per fare un esempio del clima ostile che si respirava, nel febbraio 2011 la Camera bassa approvò, in via puramente dimostrativa, un disegno di legge che prevedeva l’abrogazione dell’Obamacare. Una pura dimostrazione in quanto sarebbe servito anche il voto del Senato; nella peggiore delle ipotesi Obama avrebbe potuto comunque porre il veto, che solo una maggioranza qualificata del Congresso poteva sciogliere. Un voto dunque, sì dimostrativo, ma anche significativo, poiché chiariva ancora una volta quella che era la posizione del partito repubblicano.

Un altro punto debole, per il Presidente Obama, fu il protrarsi della crisi economico-finanziaria. I repubblicani premevano per attuare una politica di rigore economico, con l’attuazione di tagli, in special modo nel sociale. “Di questa conflittualità all’arma bianca dava dimostrazione la circostanza che nel corso del primo trimestre del 2011 si era arrivati più volte vicino al government shutdown308”309.

Per sollevare una questione di incostituzionalità nei confronti di un provvedimento legislativo, uno Stato, deve rivolgersi al suo Attorney General, il ministro della giustizia, che si rivolge a sua volta alla Corte Generale di Appello competente per quello stato. I giudici federali vengono scelti allo stesso modo di quelli della Suprema Corte, nominati cioè dal Presidente e confermati dalla maggioranza semplice del Senato. Furono ben 26 gli Stati che hanno fatto ricorso contro la riforma

307 G. Freddi, Op., Cit., p. 164

308 Per government shutdown si intende la temporanea cessazione di tutti i servizi federali non indispensabili, quando il

Congresso non riesce ad approvare il bilancio nei tempi previsti.

Obama e tutti e 26 erano, neanche a dirlo, governati dai repubblicani. Questo ci fornisce un dato su quello che era il termometro politico.

Nello specifico, per gli stati che hanno fatto ricorso alla Corte suprema la riforma eccedeva i poteri enumerati garantiti alla federazione; le misure di cui venne contestata la costituzionalità erano diversi: - Un classico della giurisprudenza americana, ovvero a chi competa la regulation of commerce. Ragionando costituzionalmente, la competenza era degli stati, ma ci sono alcuni casi dove la competenza era del Congresso e del governo federale. In questo caso gli Stati ricorrenti sostenevano che il mercato assicurativo fosse una loro esclusiva prerogativa. Il governo federale dal canto suo riteneva “di avere la competenza di imporre tale misura grazie al potere riconosciutole dalla Costituzione di disciplinare il commercio interstatale: premessa la possibilità per il Congresso, in base al commerce power, di disciplinare il mercato delle assicurazioni. Da ciò derivava secondo l’amministrazione democratica anche il potere di disciplinare le fattispecie che, pur distinte dal mercato delle assicurazioni, avessero su di esso effetti diretti. Il riferimento era alla lettura teleologica del potere sul commercio affermatasi nella giurisprudenza della Corte suprema a partire dal New Deal: in base ad essa, ad esempio, la Corte aveva sostenuto nel 1964 la possibilità per il Congresso federale di adottare una legge310 contro la segregazione razziale quale esercizio del commerce power, in virtù degli effetti negativi che la segregazione stessa produceva sulla circolazione di persone e cose”311

- L’obbligo individuale di acquistare un’assicurazione sanitaria, il c.d. individual mandate. Per i ricorrenti, Washington non poteva obbligare i cittadini ad acquistare qualcosa che non volevano. Si ricorda che per i datori di lavoro, dotare i dipendenti dell’assicurazione sanitaria avrebbe significato coprire il costo dei tipi di contraccettivi, approvati dalla FDA312, che dovevano essere inclusi nel pacchetto minimo offerto alle lavoratrici313. È sì vero, che le polizze automobilistiche sono obbligatorie, ma ci sono cittadini che non posseggono un’auto e che non guidano mai314.

- L’estensione del Medicaid a nuove fasce della popolazione. Per i ricorrenti questa era una limitazione dell’autodeterminazione statale. “Come si è già ricordato, infatti, i programmi di

310 Il riferimento è al caso Heart of Atlanta Motel v. United States.

311 C. Bologna, Sovranità degli stati federati e costituzionalità della riforma sanitaria: gli equilibrismi del Chief Justice Roberts, in http://federalismi.it, n. 16/2012

312 La Food and Drug Administration è l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti

alimentari e farmaceutici.

313 Il 30 giugno 2014 la Corte Suprema ha emesso la sentenza Burwell v. Hobby Lobby Stores, Inc. Decisione storica,

promulgata a tutela della libertà religiosa. I giudici hanno stabilito che l’obbligo dell’Individual mandate non sussiste qualora i datori di lavoro decidano di non rispettarlo per motivi religiosi. “Supreme Court Rejects Contraceptives Mandate for Some Corporations”, in www.nytimes.com

conditional grants in aid costituiscono uno strumento attraverso il quale la federazione regolava di fatto materie appartenenti alle competenze degli stati, poiché questi ultimi erano posti dinanzi all’alternativa di rifiutare cospicui finanziamenti o percepirli accettando contestualmente una limitazione della propria autonomia decisionale”315.

Per quel che riguarda il primo punto i precedenti erano favorevoli all’interstate commerce clause: un’attività commerciale che richiede una spesa annua di 2.500 miliardi di dollari, il 19% del PIL, era senza dubbio un affare che eccedeva l’esclusiva competenza degli Stati316.

Sul secondo punto le osservazioni erano forti e convincenti: “L’interpretazione teleologica, che ha già ricevuto in passato applicazioni molto estensive, nel caso dell’individual mandate avrebbe ricevuto però, secondo i critici, un’applicazione senza precedenti: ad essere disciplinata non era infatti una attività che produceva effetti sul commercio interstatale, ma una mancata attività, cioè il mancato acquisto di una polizza. La federazione avrebbe avuto in questo modo «il potere di forzare un soggetto ad essere parte del commercio, così da poterne successivamente regolare l’attività, in conformità dell’interstate commerce power». Sulla base di questa competenza il Congresso si sarebbe ritagliato dunque, il potere di regolare i comportamenti di soggetti che del mercato non sono neanche parte, avvicinandosi definitivamente, secondo la dottrina conservatrice, ad un modello incostituzionale di National Government non più a poteri enumerati, ma con potestà generale di governo”317.

Secondo gli esperti il terzo argomento presentato dai ricorrenti appariva debole. Il Medicaid voluto dal presidente Lyndon B. Johnson era nato come un programma volto alla collaborazione tra governo centrale e stati, il primo volto a fornire la maggior parte del finanziamento e i secondi a gestire i fondi. L’estensione di tale programma ad altri milioni di americani, con la Casa Bianca responsabile per il 90% della spesa, sembrava del tutto legittimo e in linea con il precedente.

Erano due però i profili che preoccupavano maggiormente sul piano della costituzionalità: la concessione di finanziamenti federali in materie di competenza statale, da un lato; la limitazione aggiunta a questi finanziamenti con delle condizioni, che limitavano il potere degli stati nelle materie di loro competenza, dall’altro. La Corte Suprema ritenne però compatibili con la Costituzione entrambi i profili. Quella descritta per prima fu una questione affrontata nel 1936 nel caso Butler318 “dove i giudici costituzionali avevano riconosciuto l’autonomia del potere di tassare e spendere (previsto e disciplinato in una specifica norma della Costituzione)319 dal potere legislativo: la

315 C. Bologna, Op., Cit., p. 21 316 G. Freddi, Op., Cit., p. 174 317 C. Bologna, Op., Cit., p. 21 318 297 U. S. 1 (1936)

federazione, cioè, secondo la Corte, non era vincolata nell’esercizio del taxing and spending power dalle materie che la vincolavano nell’esercizio del potere legislativo. Il Congresso poteva, al contrario, concedere sussidi e imporre tributi anche in materie appartenenti alla potestà legislativa degli stati, purché nel perseguimento di finalità generali”320.

Per quanto riguarda la seconda problematica era stata risolta dalla Suprema Corte nel 1923 nel caso Commonwealth of Massachusetts v. Mellon321nel quale i giudici “hanno sostenuto che l’erogazione di finanziamenti previo rispetto di determinate condizioni non era incostituzionale poiché gli stati non erano obbligati ad accettare tali condizioni, ma potevano invece evitarle rinunciando ai finanziamenti stessi: gli stati che non condividano nel merito le condizioni della federazione erano liberi di non accettarle e quindi di non subire invasioni di competenza. Come spiegherà esplicitamente la Corte Suprema in una successiva decisione, lo schema era sostanzialmente quello di «un contratto: in cambio di fondi federali gli stati accettavano di adempiere le condizioni imposte dalla federazione». Negli anni che seguirono il caso Mellon, tuttavia, la crescente dipendenza economica degli stati dai trasferimenti federali aveva fatto sì che non si spegnesse il dibattito sulla legittimità dei finanziamenti condizionati: sempre più irrealistica, infatti, appariva la possibilità che gli stati potessero rinunciare ai finanziamenti”322.

Nonostante diversi esperti si siano espressi dunque favorevolmente alla costituzionalità della riforma, c’era comunque una certa preoccupazione dovuta alle decisioni prese dai giudici federali d’appello, che erano stati chiamati a esprimersi sui ricorsi. Infatti, se è vero che quelli democratici si erano tutti espressi favorevoli, quelli repubblicani si erano detti contrari, tranne due, tra cui un giudice conservatore nominato da Reagan, di nome Silberman e competente nel District of Columbia. Se una situazione tale si fosse rispecchiata anche alla Corte Suprema, l’Obamacare avrebbe avuto ben poche speranze. Secondo molti opinionisti però, lo spiraglio aperto da Silberman, poteva vedersi anche nella Corte dove il presidente John Roberts era classificato come incerto.

“I giudici della Corte Suprema erano al corrente che stavano per mettere le mani su un caso che avrebbe fatto epoca. La dimostrazione era data dalle cure meticolose che vennero dedicate per stilare il calendario delle udienze e anche la lunghezza (straordinaria) delle presentazioni orali degli avvocati. Normalmente, anche per processi di grande importanza, le presentazioni orali degli avvocati sono limitate a un’ora, trenta minuti per ciascun avvocato. Le presentazioni orali previste per la

320 Idem

321 U.S. 447 (1923) 322 Ibidem, p. 22

discussione dell’Obamacare si estendevano a cinque ore e mezza; per trovare un caso che abbia avuto tale trattamento dobbiamo andare indietro fino al 1960”323.

Anche se la riforma contiene diverse misure che limitavano l’autonomia degli stati, quelle che destavano più problematiche e che furono quindi prese in esame dalla Corte Suprema, erano due: l’individual mandate e l’estensione del Medicaid.

I giudici supremi dovevano prendere in esame il ricorso presentato dalla Florida, al quale, come si è anticipato, si erano aggiunti altri venticinque Stati, più quello proposto dalla National federation for Independent Business, che rappresentava le piccole e medie imprese. Questa associazione si era aggregata al ricorso in qualità di rappresentante delle piccole e medie imprese, che al tempo riuscivano ad assicurare poco più della metà del loro personale e quindi sarebbero state maggiormente gravate dall’obbligo di assicurazione, rispetto alle grandi aziende che invece coprivano quasi tutto con la forza lavoro324.

“Il testo della decisione National Federation of Independent Business v. Sebelius apparve decisamente articolato: scrisse l’opinion of the Court il Chief Justice Roberts (nominato dal Presidente Bush nel 2005), il quale, costituendo una sorprendente maggioranza con i quattro giudici liberal Ginsburg, Breyer, Sotomayor e Kagan, sostenne la legittimità costituzionale dell’individual mandate. Il giudice Ginsburg scrisse a sua volta un’opinione concorrente, mentre il giudice Scalia fu autore di una dissenting opinion cui aderirono Kennedy, Thomas e Alito. Una maggioranza differente, costituita stavolta dai cinque giudici di nomina repubblicana e, inaspettatamente, dai giudici Breyer e Kagan, ritienne invece non compatibile con la Costituzione la disciplina dell’estensione del Medicaid”325.

Il clima attorno alla riforma era piuttosto incandescente e lo dimostra il gran parlare che se ne fece sulla carta stampata, riguardo le ipotesi se fosse o meno opportuno che alcuni giudici supremi si autoricusassero. Ad un certo punto dello statuto federale sul tema dell’etica giudiziaria si legge “i giudici degli Stati Uniti devono autoricusarsi in un qualsiasi procedimento giudiziario nel corso del quale la loro imparzialità possa ragionevolmente essere messa in dubbio o abbiano manifestato un’opinione quali avvocati, consulenti (counseleors, advisor) e testimoni, tanto sugli aspetti formali quanto sul merito di quel medesimo procedimento”326.

323 G. Freddi, Op., Cit., p. 176

324 Idem

325 C. Bologna, Op., Cit., p. 23 326 G. Freddi, Op., Cit., p. 177

Quando però si era saputo, che la corte avrebbe tenuto in considerazione i ricorsi si aprì una vera e propria “caccia ai giudici”, che avrebbero dovuto sentirsi in dovere di autoricusarsi. Da subito furono tirati in ballo tre giudici. Il primo l’ultraconservatore Antonin Scalia, poi fu la volta di Clarence Thomas, anche lui conservatore e per finire Elena Kagan, l’unico giudice nominato da Obama invitato più volte ad autoricusarsi327.

L’apice della polemica si era raggiunto nel dicembre 2011 quando il presidente della Corte Suprema John G. Roberts Jr. nel rapporto di fine anno che riassumeva le attività della Corte, “ha argomentato che i giudici supremi dovevano decidere in piena e solitaria autonomia intorno alle ipotetiche circostanze tali da comportare l’autoricusazione e sottolineò come alcune regole etiche, che tutti i giudici federali devono rispettare, non riguardavano i componenti della Corte Suprema”328. Il giudice

Roberts non fece nomi, ma sembrò evidente che le sue parole erano volte a difendere le posizioni di Thomas e Kagan.

Una volta preso in considerazione il ricorso, comunque, il giudice Roberts si dedicò all’analisi della legittimità o meno dell’individual mandate, che si è detto riguardava la competenza federale sul commercio interstatale. Roberts decise di non prendere questa via interpretativa, quanto piuttosto quella di considerare l’individual mandate come un legittimo esercizio del potere di taxing power (l’imposizione fiscale). Si è detto di come l’Obamacare prevedeva una sanzione proporzionale al reddito per il singolo che non intendeva acquistare un’assicurazione. Riconducendo tale norma al taxing power, i giudici superarono i limiti che la Costituzione pone a quest’ultimo: come già affermato dalla sentenza Butler, la Corte aveva riconosciuto al governo centrale il diritto, nelle materie per le quali non può normare, di tassare e spendere.

Il fatto che nell’Obamacare il pagamento per inadempimento, non fosse configurato come una tassa, ma come una penalty, una sanzione, non pregiudicava, secondo il Chief Justice, la natura tributaria dell’istituto. Il Presidente della Corte, ci tenne a sottolineare che il compito dei giudici, “era quello di rintracciare «ogni ragionevole ricostruzione (…) idonea a salvare una legge dall’incostituzionalità»; la ricostruzione della misura come tributo era proposta dallo stesso Governo federale quale fondamento costituzionale in alternativa al commerce power e la Corte doveva, per quanto possibile, assecondarla”329. Una tale interpretazione da parte della giurisprudenza del potere di imposizione fiscale non era una novità; già dagli anni del New Deal si era sostenuto l’utilizzo del potere tributario della federazione nelle materie di competenza degli stati. “L’avvio di questa giurisprudenza è

327 Idem

328 Ibidem, p. 178

329 C. Bologna, Sovranità degli stati federati e costituzionalità della riforma sanitaria: gli equilibrismi del Chief Justice Roberts, in http://federalismi.it, n. 16/2012

rintracciabile in particolare nel caso Sonzinsky vs. United States330 del 1937, in cui la Corte sostenne la legittimità di una tassa imposta ai commercianti di particolari armi da fuoco, delle quali il Congresso voleva scoraggiare la circolazione. Nelle loro argomentazioni i supremi giudici abbandonarono ogni distinzione tra la tassazione nelle materie di competenza federale e quella nelle materie di competenza statale, per affermare semplicemente che la ricerca dei motivi reconditi che potevano muovere il Congresso ad esercitare il suo potere di tassare, «era al di là delle competenze delle corti». «Queste ultime- proseguì la Corte suprema- non cercheranno, attraverso un’indagine collaterale degli effetti regolatori di una tassa, di assegnare al Congresso il tentativo di esercitare, sotto forma di tassazione, un potere negatogli dalla Costituzione federale331”.

Dopo l’analisi dell’individual mandate, era la volta dell’estensione del Medicaid. Se nella prima parte si era data un’interpretazione estensiva del taxing power, questa volta una maggioranza differente, composta dai cinque giudici di nomina repubblicana e, inaspettatamente, dai giudici Breyer e Kagan, ritenne non compatibile con la Costituzione la disciplina dell’estensione del Medicaid (esercizio stavolta del potere di spesa), in quanto avrebbe costituito una fattispecie incostituzionale di “finanziamento condizionato”, conditional grant in aid332.

Nell’elaborazione della sentenza il giudice Roberts utilizzò argomentazioni che fino a quel momento non erano mai state applicate dalla Corte Suprema, per le quali l’estensione del programma Medicaid risultava una norma coercitiva e dunque illegittima. Il giudice si riferiva ad un particolare caso del 1987, il caso South Dakota vs. Dole333, dove la Corte affermava che “in alcune circostanze lo stimolo finanziario offerto dal Congresso poteva essere così coercitivo da superare il livello della pressione e diventare costrizione”334.

“Questo meccanismo di finanziamenti (vincolati e) condizionati, c.d. conditional grants, aveva costituito uno dei principali strumenti di espansione del potere federale, al punto di essere stato efficacemente definito dalla dottrina statunitense come: il cavallo di Troia del federalismo americano”335. Detto in altro modo, quando l’accettare fondi federali diventa un obbligo inevitabile, una coercizione per l’appunto, il provvedimento non viene considerato come un esercizio del potere di spesa, ma verrà giudicato come esercizio dei poteri legislativi enumerati336.

330 300 U.S. 506.

331 C. Bologna, Op., Cit., p 24 332 Idem

333 483 U.S. 203 (1987). 334 Idem

335 C. Bologna, Sovranità degli stati federati e costituzionalità della riforma sanitaria: gli equilibrismi del Chief Justice Roberts, in http://federalismi.it, n. 16/2012

Il giudice Roberts, con una sentenza ritenuta da molti troppo alterata, decise di non dichiarare incostituzionale l’intera dell’estensione del Medicaid, ma solamente la parte dove era prevista quella “condizione coercitiva” che non lasciava scelta agli stati. In conclusione, la pronuncia del presidente della Corte Suprema stava a significare che, qualora uno stato non volesse applicare l’estensione del Medicaid, questo avrebbe perso solo i fondi previsti dal nuovo programma, ma certamente avrebbe potuto continuare ad usufruire di quelli spettanti dalla ex normativa del 1965.

“I democratici e i sostenitori del National Government dovevano dunque «prima di tutto festeggiare», poiché il Chief Justice aveva voluto allontanare i sospetti di una Corte suprema militante, salvando la riforma (e forse la rielezione) del Presidente Obama; non dovevano dimenticare tuttavia che il giudice Roberts, escludendo l’applicabilità del commerce power, aveva anche voluto rendere chiaro che cinque dei nove giudici erano concordi sul fatto che il Congresso non aveva il potere di imporre un’attività di natura economica, non importava quanto questo potesse essere essenziale per la prosperità o la giustizia sociale della nazione”337.

I giudici erano stati chiari, il parere espresso non voleva significare un appoggio al contenuto della legge e il fatto che il Patient Protection and Affordable Care Act era stato salvato “rappresentava «una reticenza generale nell’invalidare gli atti dei leader politici eletti dalla nazione»”338. Questo lo

si capiva più chiaramente dalle parole del giudice Roberts, “secondo il quale una lettura «permissiva» dei poteri della federazione «si spiegava, in parte, per la generale cautela a invalidare gli atti di rappresentanti eletti dalla Nazione». Il dovuto rispetto agli altri organi costituzionali impone infatti alla Corte suprema di «censurare una legge del Congresso solo se la mancanza di un fondamento