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Sotto una attenta critica oggettiva al Destination Management , negli ultimi anni, sono stati individuati alcuni punti critici. Nei seguenti paragrafi sono stati analizzati i principali:

3.2.1 La destinazione come prodotto unico: l’amalgama

Il concetto della destinazione più di 50 anni fa aveva una tutt’altra definizione ed era basata sulla domanda:

“Un luogo significativo visitato nel corso di un viaggio. Può essere definito come un punto lontano da casa, come il luogo dove si è passato più tempo o il luogo che i visitatori considerano come il luogo principale” (UNWTO, 1995). “È una collezione di esperienze vissute dal viaggiatore” (Gunn, 1972).

Questa concezione della destinazione poneva però il problema della commercializzazione e della gestione. Come si può gestire una cosa di una tale complessità? L’unica soluzione per questo caos di concetti è di concepire una destinazione che include tutto: l’amalgama. Per qualsiasi area si crea un brand, una visione, una strategia, un contesto competitivo, un’immagine, un sistema produttivo, una popolazione locale, una costellazione di gruppi di stakeholder, una politica turistica; e possibilmente tutti differenziati e distinti.

Nel SGDM, Beritelli e al dimostrano che c’è un’ovvia convinzione errata su cosa sia una destinazione, dato che non esiste una “scienza sulla destinazione”. Ricercatori e pratici assumono che la destinazione sia qualcosa di preferibilmente omogeneo. Come se il tutto fosse una singola impresa oppure solo un territorio amministrativo. Di questa forma, è più facile gestire una destinazione. Avendo un’unica e uniforme destinazione, pianificare lo sviluppo e la governance diventa una cosa molto più semplice che analizzare il proprio turista e capire tutte le sfumature che può indossare. La domanda è vista come un insieme che può essere divisa in varie sub categorie. È così che una destinazione come ad esempio Genova viene

semplicemente divisa tra turismo di mare, turismo culturale, turismo sportivo e visite delle diverse attrazioni appositamente create. Questa divisione è però fatta arbitrariamente dalle istituzioni che decidono che tipo di turismo sarà fatto. L’opinione del turista è raramente presa in considerazione quando viene fatta questa segmentazione e poi nel processo di pianificazione. Le informazioni sui reali comportamenti dei turisti è lasciata da parte quando vengono prese le decisioni di gestione del territorio. La segmentazione avviene secondo le tendenze di mercato e di categorie definite: famiglie, over 50, sportivi, sostenibile. Il mercato è quindi analizzato basandosi su delle assunzioni e generalizzazioni che riposano sulla convinzione che la domanda è statica.

La destinazione dovrebbe in realtà esser considerata come una mischia di tanti comportamenti diversi, soggetti a cambi molto veloci. Come detto, il settore del turismo è un settore molto dinamico, che ha subito dei cambi drastici negli ultimi anni (soprattutto con l’avanzo delle tecnologie), e il turista cambia insieme a questi cambi di settori. Gli operatori turistici lottano per stare al passo con questi cambi.

È fondamentale capire che in questo contesto dinamico non possiamo più basarsi su una concezione della destinazione come un’unità rigida che attrarrebbe mercati rigidi. La destinazione è uno spazio in cui tanti sotto sistemi basati sulla domanda sviluppano il proprio dinamismo. Per ciò il Destination Management non dovrebbe attuare scegliendo di soddisfare un sotto sistema piuttosto che un altro, ma invece cercare di soddisfare tutti.

Figura 3.3: La destinazione come prodotto unico (fonte: St Gallen model for Destination Management , Beritelli e al.)

3.2.2 La pianificazione partecipativa

La letteratura del Destination Management come primo argomento del modello propone una pianificazione partecipativa per la presa di decisioni privati e pubblici: gli operatori del settore turistico di una zona turistica vengono invitati a riunirsi per decidere insieme delle strategie da seguire, dei progetti da sviluppare, dei differenti processi da mettere in marcia ma soprattutto per trovare insieme un consenso per il futuro della destinazione. Il modello di pianificazione partecipativa si basa su quattro assunzioni al riguardo degli attori partecipanti. Tutti gli attori coinvolti sono simultaneamente implicati dagli stessi problemi. Tutti loro si sentono coinvolti e sono interessati ad essere coinvolti. Sono interessati a partecipare ad azioni collettive future. E per tutte queste ragioni vogliono tutti partecipare alla pianificazione dei processi.

In realtà questo tipo di organizzazione sarebbe efficiente se la destinazione fosse una singola società, offrendo un prodotto, con tutti lavorando per lo stesso obiettivo.

I resultati sul medio lungo termine sono stati modesti e l’approccio è stato criticato più volte (Beritelli, 2011b; Middleton & Hawkins, 1998; Ruhanen, 2004; Simpson, 2001; Taylor, 1995; Tosun & Jenkins, 1998)

Il SGDM spiega logicamente che i diversi attori hanno diversi punti di vista perché hanno diverse attività, e concezioni delle cose diverse (ex: la concezione delle famiglie per un hotel 4 stelle o per un campeggio non è la stessa). Data questa complessità una pianificazione partecipativa dove tutti gli attori allo stesso momento sono coinvolti per trovare una strategia unica può risultare o in un consenso su un argomento molto generale (ex: il turismo sostenibile) o in decisioni marginali che ogni attore prende per sé. La logica stessa risponde dell’impossibilità della cosa. Chiedere che tutti gli attori rispondano in maniera unita ad alcuni problemi, che si adattino ad una unica visione, che vadano tutti nello stesso senso, creare un’immagine unica per una destinazione con tante potenzialità diverse sembra una cosa assurda. Poiché queste decisioni, qualsiasi siano, rimangono prese dalla parte dell’offerta, e quindi da un punto di vista molto soggettivo essendo quello dei locali con ogni uno la sua definizione personale di questa destinazione che conosce come casa sua.

3.2.3 Benchmarking insensato

Le destinazioni sono in competizione diretta le une contro le altre. Questa situazione di competizione, porta molto spesso al Benchmarking: questa pratica di imitare le “best practice” cioè le cose che le altre destinazioni fanno bene, e di ricopiare queste azioni nella propria destinazione. Questo benchmarking avviene facendo un’analisi dei punti positivi di una destinazione in competizione.

Molte volte la destinazione in competizione è scelta senza profonda analisi. Non tutte le destinazioni simili sono paragonabili. Le destinazioni sono selezionate con delle tecniche di campioni: con dei data base e informazioni quantitative vari che rendono le destinazioni comparabili, come se tutte le

destinazioni che usano le stesse risorse fossero necessariamente uguali. Ad esempio: non tutte le stazioni di sci sono paragonabili. Le stazioni di sci delle Alpi e dei Pirenei ad esempio: le alpi sono al confine con la Francia, l’Italia l’Austria e la Svizzera. Questa posizione strategica molto speciale non può essere paragonata con Le Pirenei che si trovano in una zona geografica più remota di Europa, confinando con la Francia la Spagna e il Principato di Andorra. Le destinazioni vengono comparate della stessa maniera che si comparano aziende che vendono un prodotto simile (Porter, 1979), ma come l’abbiamo già visto una destinazione è un concetto molto più complesso. Le stesse tecniche di comparazione tra aziende non possono essere applicate a delle destinazioni.

Non è però comune pratica che analizzare gli errori delle altre destinazioni per poter evitar di farli.

3.2.4 Qualità dei dati

Le decisioni per il futuro della destinazione vengono riflette, e si basando su numeri e dati, come l’analisi dei KPI (Key Performance Indicator) che non sono sempre rilevanti. Così facendo si prendono sempre che prime cifre il numero di arrivi, percentuale di occupazione, turn over dei dipendenti, i numeri di “mi piace” su Facebook, i numeri di followers su Instagram; che sono il risultato di un solo processo di produzione coordinato. Da queste cifre nascono le strategie, lasciando completamente da parte un’analisi qualitativa della domanda. Nonché non ci siano vari studi universitari, tesi, studi regionali o studi privati fatti e sviluppati in modo anche completo. Invece di usare tutte queste fonti si sceglie il metodo meno rischioso e faticoso: imitare le altre destinazioni.