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I media come armi: strategia del terrorismo

3. CAPITOLO : “Come i media stanno influenzando la nostra

3.2 I media come armi: strategia del terrorismo

Dall’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001, il terrorismo si è impossessato dello spazio mediatico. La morte distribuita ciecamente e l’esibizione dei gesti più selvaggi vengono proposti, come in una performance, non solo ai governi e ai vertici militari, ma anche al pubblico inorridito e affascinato che guarda la televisione e naviga su YouTube. Le battaglie che si svolgono sugli schermi orientano i cittadini. E' necessario comprendere che cos’è un’immagine, quali rapporti intrattiene con la violenza. 136

"La «cultura dell’entertainment» si è sviluppata nello spazio dell’informazione e della comunicazione attraverso flussi visuali globali. L’arte della rappresentazione è praticata dai combattenti. A partire dall’11 settembre, il mondo politico, militare e terrorista si è impossessato dello spazio mediatico in cui si trova il reale e in cui è interpretato come

134 Alessandro Bruttini, Il processo comunicativo innescato dall’IS: dalle strategie mediali all’etica dello spettatore, in Sicurezza e Scienze Sociali 002-2017, Terrorismo e comunicazione.

135Alexander Jeffrey C., Trauma. La rappresentazione sociale del dolore, Meltemi, 2018, pp59-60

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performance. I videogiochi hanno poco a poco banalizzato e derealizzato l’uso selvaggio e omicida dei droni, occhi elettronici che osservano i dati e che sparano alla cieca. D’altra parte, lo spettacolo mediatico dei gesti omicidi diffusi da Daesh non si indirizza solo ai poteri dominanti, ai governi o ai capi militari, ma anche alla comunità mondiale degli spettatori televisivi e degli utenti quotidiani di YouTube. La rete sommerge e supera la televisione perché agisce in tempo reale. Il maggiore attentato all’essenza creativa ed emancipatrice della performance è proprio quello diretto al tempo stesso. È la temporalità dei flussi che rompe con la necessaria dilatazione del tempo in un processo simbolico. La precipitazione è connessa alla decapitazione in tutti i sensi del termine. Davanti a un’esecuzione su YouTube anche lo spettatore è decapitato simbolicamente, in quanto il pensiero è privato in maniera radicale del ritmo scandito dalla pazienza dello sguardo e dalla respirazione della parola. La decapitazione di un giornalista americano su YouTube non ha più niente a che vedere con la decapitazione dell’imam Hussein nel Ta’zieh (avvenuto nel VII secolo e ricordato in un particolare genere teatrale religioso diffuso in Iran, ndr), bensì ha molto in comune con i filmini girati ad Abu Ghraib nelle prigioni militari americane. Daesh o Al Qaida hanno imparato la lingua spettacolare della performance spaventosa o ammonitrice nella scuola della televisione americana. La guerra delle immagini, come la chiamiamo oggi, si svolge tra questi partecipanti. Sono loro gli artefici del gioco in cui si distribuiscono gli shock emozionali, le passioni omicide, i ricatti torturatori. Tra Guantanamo e Daesh, tra i video di YouTube e i droni assassini teleguidati, c’è una lingua comune, quella della rappresentazione criminale, della morte assegnata ciecamente e dell’esibizione e la diffusione senza limiti dei gesti più selvaggi di fronte a un pubblico contemporaneamente inorridito e irretito. Purtroppo c’è un’erotizzazione del peggio. Il terrore è divenuto una performance e il terrorista un performer perverso che non deve niente alla lettura dei vangeli, né alla Bibbia né al Corano. È proprio per questa ragione che i grandi visionari degli anni Sessanta hanno anticipato le performance barbare del nostro mondo: si chiamavano Guy Debord, John Cage e Nam June Paik. Il primo denunciava quello che definiva un sistema e voleva sbarazzarsi dei suoi agenti globalizzati, i secondi si sono fatti performers della deregolamentazione sistematica del sistema stesso servendosi degli operatori e delle operazioni di questo nuovo mondo."137 "L'Isis, tuttavia. è lungi dall'avere perpetrato contro l'occidente l'equivalente dell'11

settembre. A creare il panico, quindi, non è tanto la sua capacità quantitativa di uccidere quanto lo straordinario talento dimostrato nel mettere in scena il terrore, la grande capacità

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non di distruggere ma di fare paura. una paura che ci acceca. (Oliver Roy, "Generazione ISIS")138

La Paura, come ho analizzato più dettagliatamente nel primo capitolo, ci abbaglia quotidianamente, ormai si ha la convinzione che il Terrorismo rappresenti uno delle più rimarchevoli minacce odierne. Nell'attuale contesto in cui ci troviamo diventa importante riflettere sul modo in cui i media contribuiscono e affrontano questo clima. (Frank La Rue nell'introduzione del paper dell'Unesco Terrorism and the media: a handbook for journalists). Nel nostro mondo contemporaneo, visto come un ambiente digitale complesso, con le tecnologie, media sempre più innovativi, gestire la propaganda terroristica è sempre più tortuoso da portare avanti, in particolare ciò che riguarda il punto di vista etico, pratico e tecnologico. Le fonti di notizie sono sempre più numerose, e spesso gli attentati vengono condotti proprio in diretta sui social, piattaforme di intermediazione (Facebook, Twitter, Google) o su appositi canali di proprietà dei terroristi. E' proprio questo che i terroristi vogliono, la spettacolarizzazione del terrorismo. Haroro J. Ingram, ricercatore dell'international Centre for Counter - Terrorism - The Hague (ICCT), nei suoi studi ha analizzato come i media occidentali possono amplificare o ostacolare lo scopo della propaganda. Afferma che media forti, responsabili e con un atteggiamento critico sono la migliore arma contro la propaganda terroristica, ma è anche un arma che i terroristi dell'Isis e di Al-Qaeda rigirano contro di noi. Utilizzano parole ed immagini violente progettate con attenzione per creare dei messaggi che hanno un ruolo centrale nella loro strategia comunicativa. La propaganda viene impiegata come forza moltiplicatrice, per intensificare l'impatto delle loro azioni e condizionare il modo in cui il pubblico percepisce tutto questo. un recente rapporto dell'ICCT, di 51 attacchi avvenuti in occidente fra dicembre 2014 e giugno 2017, meno di uno su dieci è stato portato avanti sotto ordini diretti di ISIS. La conclusione che suggerisce Ingram non è poi tanto sorprendente: un giornalismo di qualità, critico e basato su evidenze e sulla verifica è sufficiente per fare da freno e per ostacolare la propaganda terroristica, la relazione tra media e terrorismo è complessa e controversa. " I

media appunto, possono amplificare o fermare questo tipo di propaganda, dipende tutto da come trattano sei aspetti interconnessi tra di loro: propaganda (critica e verificata), assalitori (estremisti violenti secondo Ingram, bisognerebbe evitare di mostrare i loro volti, nomi e le loro storie), vittime (sia quelle degli attacchi che alle comunità da cui provengono

138 La sfida del terrorismo ai media e ai social network, Arianna Ciccone. www.valigiablu.it/terrorismo-

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le vittime), governi ( politici e portavoce, riforme sulla sicurezza ed emergenza), comunità (quelle musulmane vengono viste come un blocco monolitico), media (i giornalisti hanno un ruolo fondamentale)."139

"Il terrorismo nell'era dell'instant news e dei social media è diventato "una bestia differente", afferma Richard Sambrook, ex BBC Global News Director: venti anni fa, coprire il terrore era più semplice. Sapevi chi era responsabile. Le dinamiche erano più semplici e sapevi con chi avevi a che fare. Ora è molto più complicato. Il terrorismo è una bestia differente, e il fatto che sia in rete, connesso o che sia più probabilmente autoctono solleva una serie di ulteriori questioni." 140

Molti attacchi violenti a cui assistiamo oggi, sono almeno in parte, concepiti pensando alla copertura dei media, prendendo di mira non solo le vittime effettive, ma milioni di spettatori scioccati e scossi in tutto il mondo. Tra media e terrorismo vi è un rapporto simbiotico perverso: i gruppi terroristici realizzano spettacoli di violenza per attirare l'attenzione del mondo e i media sono portati ad offrire copertura per l'interesse del pubblico verso questi contenuti. Le continue pressioni esercitate sui media per attirare il pubblico di fronte alle continue trasformazioni tecnologiche e finanziarie, possono creare una potente tentazione di concentrarsi sul violento e di essere i primi a riportare le informazioni di rottura ancor prima che la precisione sia accertata; questo è il contesto in cui l'UNESCO esplora alcuni dilemmi etici presenti nella copertura del terrorismo e avvia una conversazione con i professionisti dei media su come rispondere in maniere consona e appropriata. Il giornalismo ha l'obbligo di fornire informazioni verificabili nell'interesse pubblico e il pubblico ha il diritto di accedere ad informazioni accurate specialmente quando si tratta della sua libertà e sicurezza. Le parole usate, esempi citati e le immagini utilizzate dai media dovrebbero informare e non sensazionalizzare.141

In un importante sondaggio del 2017 su 20.000 giovani in tutto il mondo, l'83% ha affermato che il terrorismo gli ha resi paurosi per il futuro più di ogni altro fattore come la guerra, cambiamenti climatici, reddito.142

139 La sfida del terrorismo ai media e ai social network, Arianna Ciccone. www.valigiablu.it/terrorismo-

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140 La sfida del terrorismo ai media e ai social network, Arianna Ciccone. www.valigiablu.it/terrorismo-

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141 Unesco, Terrorism and Media, A Handbook for journalists, 2017, pag 3-4 142 "Generation Z: Global Citizenship Survey", Varkey Foundation, 2017

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L'Unesco è attivamente impegnato a prevenire tutte le forme di estremismo violento, attraverso l'educazione e l'empowerment dei giovani e salvaguardando la diversità culturale. Sta contribuendo attraverso la loro competenza ed esperienza al Piano d'azione del Segretario generale dell'ONU, per prevenire l'estremismo violento e lavorando a stretto contatto con il Centro antiterrorismo delle Nazioni Unite (UNCCT), i governi nazionali e altre entità per garantire la risposta a livello globale, coerente ed efficace. Il flagello del terrorismo, chiunque lo commetta o sponsorizza deve essere sventato ovunque colpisca, le sue vittime sostenute e ricordate e i suoi autori consegnati alla giustizia. i media possono evidenziare un dialogo alternativo alla violenza, spargimento di sangue. potremo non essere in grado di prevenire il terrorismo ogni volta, ma ciò di cui si ha il controllo sono le nostre reazioni; non dobbiamo permettergli di provocarci, e farci vivere le nostre vite nella paura, alimentando i nostri stessi pregiudizi e odio, quindi dobbiamo evitare che il terrore smantelli tutto quello che abbiamo ottenuto con il progresso della democrazia, libertà e diritti umani in tutto il mondo. I media possono fare di meglio. Dopo ogni attacco, gli esperti mettono in discussione l'estensione e il tono della copertura dei media, confrontano le morti dovute al terrorismo, al numero di vittime di disastri naturali, guerre o incidenti stradali, chiedendo più moderazione sui media. Nel 2014, il tasso medio di omicidi in tutto il mondo era di 6,24 morti per 100.000 abitanti, mentre il numero ucciso dal terrorismo era solo 0,47 per 100.000, ma se queste cifre sono relativamente basse rispetto ad altre cause di morte, le conseguenze del terrorismo sono oltre misura", scrive il politologo venezuelano Moises Naim. il terrorismo non è la minaccia più letale del 21° secolo, ma ha innegabilmente cambiato il mondo. 143

Noi cittadini ci aspettiamo di essere informati nel modo più efficiente e completo. le autorità chiedono il contenimento della diffusione delle notizie per evitare di compromettere le indagini, quindi i media corrono sempre il rischio di essere considerati come megafoni del terrorismo per attirare audience. la reazione dei media è determinante per l'impatto del terrorismo sulla società scrive Antoine Garapon:"I media sono davanti un dilemma infernale, possono svolgere esattamente quello che vuole il terrorismo." I media hanno il dovere di trovare un equilibrio tra la libertà e responsabilità di informare, tra il diritto di sapere e il dovere di proteggere rispettando i valori del giornalismo: trasparenza, obiettività, verità, senso di responsabilità, dovrebbero avere un approccio globale. La copertura degli attacchi terroristici pone una sfida proprio alla qualità del giornalismo che ha il compito di fornire un

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quadro completo e veritiero della minaccia terroristica nella sua interezza. I terroristi contano sul fatto che i media (tv), tendono alla spettacolarizzazione, al sensazionalismo coprendo così la violenza, questo è diventato più complesso con l'avvento del web, con la possibilità dei terroristi di produrre e diffondere loro stessi dei contenuti, messaggi provando a dettare l'agenda mediatica. Spesso i media dicono che i terroristi attuali sono in guerra contro l'occidente, ma bisogna riflettere sul fatto che le loro azioni violente colpiscono anche le popolazioni a maggioranza musulmana, come nel caso di Bruxelles il 22 marzo 2016, Nizza il 14 giugno 2016, tra le vittime c'erano anche musulmani. la cornice narrativa usata dai media americani subito dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001 aveva come obiettivo quello di chiedere e ottenere una rappresaglia decisiva. 144

Il raggiungimento delle finalità strategiche associate alle narrazioni dell’IS non si esaurisce nell’efficacia degli elementi che costruiscono il messaggio. La propaganda infatti, in quanto atto comunicativo, è innanzi tutto una dinamica relazionale, quindi esiste ed acquista senso nel suo rivolgersi al di fuori di sé: nel suo essere in rapporto. La complessità e compiutezza del fenomeno comunicativo emerge quindi dall’interazione profonda tra mittente, messaggio e destinatario, nell’irriducibilità di ciascun elemento a se stesso. Lo spettatore quindi è una componente attiva nella definizione ultima del messaggio e conseguentemente nel raggiungimento dell’obiettivo per cui è stato congegnato. Consideriamo la finalità terroristica di infondere paura. Spesso è associata a rappresentazioni di violenza, di sofferenza inflitta e mette lo spettatore di fronte ad alcuni dilemmi di carattere etico. In particolare, lo spettatore viene messo davanti una reazione dicotomica: negare quella sofferenza o riconoscerla, indifferenza contro re-azione. Ammettendo che la disposizione ad agire sia l’unico atteggiamento eticamente accettabile e moralmente giustificabile di fronte allo spettacolo della sofferenza, quali spiragli rimangono per l’azione nel mondo digitale? Se lo spettatore è vero che può riscrivere parte della narrazione del messaggio terroristico cui è esposto attraverso le sue modalità di recepimento, come deviare dalla finalità strategica della paura cui sono associate le immagini di violenza e sofferenza?145

144 La sfida del terrorismo ai media e ai social network, Arianna Ciccone, www.valigiablu.it

145 Alessandro Bruttini, Il processo comunicativo innescato dall’IS: dalle strategie mediali all’etica dello spettatore, in Sicurezza e Scienze Sociali 002-2017, Terrorismo e comunicazione.

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