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Principali vittime del terrorismo

2. CAPITOLO: “ Il terrorismo dopo l’11 Settembre 2001: aspett

2.1 Che cos’è il terrorismo?

2.1.4 Principali vittime del terrorismo

Tra le vittime degli attentati terroristici, è possibile in fin dei conti individuare tre tipologie di soggetti colpiti, in base alla tipologia di esposizione all’evento che subiscono:

- primarie, vale a dire coloro che hanno vissuto in prima persona l’attentato terroristico;

- secondarie, cioè i familiari delle persone che hanno subito l’attentato; - di riflesso, cioè coloro che sono coinvolti attivamente nei soccorsi; - gli spettatori mediatici.

Vittime primarie e secondarie. L’impatto emotivo di ogni trauma è strettamente

soggettivo e dipendente da numerosi fattori, come le caratteristiche della personalità, la capacità di resilienza, la funzionalità emotiva e cognitiva. Le reazioni emotive e fisiologiche vengono provocate da questi eventi sono molto complesse e non sempre facilmente

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elaborabili e interpretabili dal nostro cervello. Quando questi processi di elaborazione si bloccano, si vengono a costituire delle reti neuronali disfunzionali, che ostacolano un efficiente meccanismo di elaborazione e quindi il mantenimento del benessere psicofisico.

Le persone che subiscono un trauma provano la continua sensazione che possa succedere qualcosa di brutto in ogni momento. Questi soggetti rivivono continuamente il trauma tramite flashbacks, ricordi, pensieri intrusivi. Tutto questo causa uno stato di allerta continuativo, che rende impossibile recuperare la routine di vita precedente all’evento.

Le vittime secondarie, pur non avendo vissuto in prima persona il trauma, risultano comunque coinvolte perché lo vivono indirettamente tramite i propri familiari. Essi potrebbero vivere in uno stato di ansia e tensione, che spesso può andare a ripercuotersi sui familiari – vittime primarie, andandone ad aumentare il carico emotivo e peggiorando quindi di fatto il loro stato psicofisiologico involontariamente.

Soccorritori. Tutti coloro che svolgono un mestiere che potrebbe esporli a un trauma

(pompieri, forze dell’ordine..) vengono spinti a prendere precauzioni che sono in genere sufficienti a prevenire il disturbo.

La Protezione Civile Italiana89 da alcune indicazioni ben precise ai soccorritori: - autoprotezione: proteggersi e salvaguardare la propria incolumità e quella dei

propri colleghi;

- condivisione: non aver timore di parlare delle proprie esperienze e delle proprie emozioni con la famiglia e gli amici;

- autostima: è importante mettersi in discussione, parlare di successi e fallimenti, avere fiducia nelle proprie capacità, non nascondere i propri limiti a sé e agli altri, non aver paura di chiedere aiuto quando se ne sente la necessità;

- rinforzo: soccorritori devono rinforzare se stessi in modo da poter essere un sostegno efficace per la popolazione e fare quindi un buon lavoro.

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Spettatori mediatici e bambini. Ognuno di noi può essere inteso come spettatore. Il

nostro stato di allarme non fa che essere alimentato dalle continue immagini di attentati terroristici che vengono passate in televisione continuamente, andando quindi ad incidere sulla qualità della nostra vita quotidiana. Questo non fa altro che andare ad amplificare la paura , e porta spesso le persone a mettere in atto comportamenti di evitamento, che hanno soltanto una illusoria funzione di protezione.

I bambini vanno invece a costituire un discorso a parte. Non sono molte le ricerche fatte sui bambini per quanto riguarda il PTSD, tuttavia tutti i risultati suggeriscono quanto sia importante intervenire tempestivamente in questi casi, per prevenire l’evoluzione del PTSD in disturbi più gravi in età adulta.

Nei bambini l’elaborazione e la gestione del trauma sono fortemente influenzati anche dai genitori e dal contesto familiare. È quindi di fondamentale importanza andare a creare un ambiente che sia stabile e attento alle esigenze emotive dei più piccoli, che spesso si lasciano influenzare e spaventare da ciò che sentono in televisione e dai mass media; gli adulti devono fornire loro le strategie principali, necessarie al fine di elaborare, decodificare e fronteggiare i loro vissuti emotivi. È inoltre molto importante tutelarli da immagini che possano rivelarsi troppo aggressive e violente, e andare a spiegare gli eventi con sincerità, ma adeguando il lessico da utilizzare all’età del bambino. 90

Il fatto che i genitori rispondano alle domande invece di evitarle, è molto importante, perché di fronte ad un rifiuto di spiegazioni da parte dei genitori, il bambino si ritroverebbe a credere senza alternative alle notizie date dai mass media, senza poter quindi ricevere accoglienza e protezione dai propri genitori e insegnanti.

Il modo in cui bambini esprimono le loro emozioni è molto soggettivo e dipende da numerosi fattori, come la fiducia, la confidenza che hanno con l’adulto con cui si relazionano, il carattere. Alcuni esprimono apertamente le loro paure, altri invece dissimulano perché si vergognano o perché non comprendono a pieno le proprie emozioni; così facendo non riescono a spiegare ai genitori quello che stanno provando.

È quindi importante educare i propri figli alla comunicazione, in modo che possano crescere in ambienti sani e accoglienti, dove possano sentirsi sicuri di essere se stessi, con tutte le emozioni e paure che possono provare nel corso della loro vita.

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I bambini in età prescolare sono quelli maggiormente colpiti dalle immagini televisive del mondo esterno, poiché non riescono ancora discernere completamente fantasia e realtà.

Gli adolescenti al contrario possiedono le capacità necessarie ad affrontare a livello sia cognitivo che emotivo gli eventi tragici e violenti. Tuttavia, essendo un periodo particolare di sviluppo, è importante che gli adulti aiutino gli adolescenti ad imparare a gestire le loro reazioni emotive, che spesso possono essere espresse in modi molto forti e non adatti ai contesti91.

È quindi importante che i genitori assumano un ruolo di filtro tra i figli e il mondo esterno, al fine di far giungere ai figli le informazioni correttamente incanalate e nei giusti toni. Inoltre, la principale paura dei bambini è quella legata alla morte; è quindi importante farli sentire amati e protetti, facendogli capire che non verranno mai abbandonati dai propri cari e che possono sentirsi al sicuro.

“Solo se il significato consolidato collettivamente viene repentinamente sconvolto,

un evento può acquisire lo status di trauma.

Sono i ‘colpi’ ai significati a far emergere il senso di shock, non gli eventi in se stessi.”

Il trauma nel nostro senso comune è qualcosa di vissuto e comprensibile, ma se prendiamo in esame ciò che J. C. Alexander intende per trauma è diverso; considera il trauma come il prodotto di un contorto ed eterogeneo lavoro di produzione sociale di significato. ciò che considera traumatici sono le rappresentazione non gli eventi; noi attori sociali consideriamo socialmente il male come una minaccia al nostro senso di sè.

"Alexander porta un esempio illuminante: I soldati americani mandati alla Prima e alla Seconda Guerra Mondiale a cercare il trionfo finale non hanno causato traumi collettivi, anche i morti sono stati decine di migliaia. Quelle guerre sembravano rafforzare le identità collettive di americani e tedeschi più che metterle in pericolo. I conflitti diventano davvero

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traumatici quando le narrazioni del trionfo vengono sfidate, quando le morti individuali sembrano inutili o contaminate"92

Ricordiamo tutti con molto sgomento e dolore gli avvenimento dell' 11 settembre 2001 e magari nulla invece di un giorno qualsiasi della nostra vita. Perchè? "A cosa serve davvero la sofisticata liturgia della riunione del parlamento francese a Versailles all'indomani degli attacchi terroristici a Parigi del Novembre 2015? E il lapidario "La france est en guerre" scandito dal presidente francese di allora? In una parola, che cosa trasforma gli accadimenti in traumi culturali, intendendo con questa espressione la percezione della collettività di essere state colpite da un evento sconvolgente per la loro identità e in grado di maturare le loro memorie per sempre, cosi da poter dire che nulla sarà mai più come prima? Che cosa ha il potere di mandare tutto in frantumi? Ad essere traumatici non sono gli eventi, ma le loro rappresentazioni. Queste sono il prodotto di un articolato processo di costruzione sociale che si snoda attorno a quella che Alexander chiama spirale di significazione"93

"Per convincere l'audience più ampia di essere stata a sua volta traumatizzata da un'esperienza o da un evento, il gruppo portatore deve avere successo nel lavoro di produzione del significato". Il successo di questo atto locutorio dipende dalla produzione da parte del gruppo portatore di convincenti performance sociali finalizzate a rispondere a quattro questioni fondamentali: 1) La natura del dolore: che cos'è veramente accaduto? 2) La natura della vittima: chi è stato colpito da questo evento sconvolgente? Individui, gruppi generici, collettività chiaramente identificabili, la "gente" in generale? 3) La relazione delle vittime con il pubblico: gli spettatori della perfomance delle vittime si identificano empaticamente con esse? 4) L'attribuzione delle responsabilità: chi ha causato o perpetrato il male che è stato offerto?"94

“Noi siamo quelli che hanno vissuto quell'evento, che hanno quella storia,che sono oggi quel che il nostro passato traumatico ha causato: "Ognuno è Je suis Charlie; ".... e adesso ammazzateci tutti". 95

92 Jeffrey C. Alexander, "Trauma" la rappresentazione sociale del dolore,pag.10, Biblioteca/Sociologia,

Meltemi,2012

93 Jeffrey C. Alexander, "Trauma" la rappresentazione sociale del dolore,pag.11, Biblioteca/Sociologia,

Meltemi,2012

94 Jeffrey C. Alexander, "Trauma" la rappresentazione sociale del dolore,pag.12, Biblioteca/Sociologia,

Meltemi,2012

95 Jeffrey C. Alexander, "Trauma" la rappresentazione sociale del dolore,pag.14, Biblioteca/Sociologia,

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I conflitti si trasformano in trauma nel momento in cui le morti individuali sembrano inutili o contaminate, come la morte di ragazzi, bambini, donne e uomini causate dagli attentati che vedono sempre di più colpire il mondo e la nostra integrità sociale e individuale. Spesso abbiamo l'idea che il trauma sia qualche cosa di comunemente vissuto e comprensibile.96 "Secondo la teoria profana, i traumi sarebbero eventi che accadono naturalmente mandando in frantumi il senso di benessere di un attore individuale o collettivo. In altri termini, il potere di mandare tutto in frantumi - il "TRAUMA"- sarebbe qualche cosa che emerge dagli eventi stessi. la reazione a questi eventi distruttivi, "l'essere traumatizzati", sarebbe una sorte di risposta immediata e impulsiva. Secondo la prospettiva profana, l'esperienza del trauma si produce all'incrocio tra eventi traumatizzanti e natura umana. Le persone hanno bisogno di sicurezza, ordine, amore e connessione. Se accade qualcosa che mette bruscamente a repentaglio questi bisogni non stupisce che, come dice la teoria profana, la gente ne sarà traumatizzata".97

"Per trauma individuale intendo un colpo alla psiche che rompe le difese di una persona in maniera così repentina e con una forza così brutale da impedirle di reagire efficacemente. ... Viceversa, per trauma collettivo intendo un colpo ai fondamenti della vita sociale che danneggia i legami che uniscono le persone e compromette il senso di comunità. Il trauma collettivo avanza lentamente, insidiando la consapevolezza di coloro che ne sono stati colpiti e non ha quel carattere repentino normalmente associato al "trauma". In ogni caso, è uno

shock.(Erikson 1976, pp.153-154)"98

I traumi vengono posti nella nostra vita di tutti i giorni come fatti storici, eventi con confini definiti, ed il nostro modo di reagire viene presentato come una questione che riguarda il pensiero personale e individuale. I traumi collettivi vengono costruiti, ed è il loro modo di essere rappresentato a creare vortici di significato, contese di potere, e noi individui reagiamo alle costruzioni dei traumi. Sperimentiamo il dolore, la sofferenza della sconfitta e della speranza che non succeda più.99

96 Jeffrey C. Alexander, "Trauma" la rappresentazione sociale del dolore, Biblioteca/Sociologia,

Meltemi,2012

97 Jeffrey C. Alexander, "Trauma" la rappresentazione sociale del dolore, pag. 37, Biblioteca/Sociologia,

Meltemi,2012

98 Jeffrey C. Alexander, "Trauma" la rappresentazione sociale del dolore, pag.40, Biblioteca/Sociologia,

Meltemi,2012

99 Jeffrey C. Alexander, "Trauma" la rappresentazione sociale del dolore,pag.195, Biblioteca/Sociologia,

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Lo stato di Trauma viene associato alla rappresentazione degli eventi pericolosi o impensato per l'identità collettiva. La sua esperienza può essere analizzata come un processo sociologico che come detto precedentemente pone attenzione alla natura del dolore subito, alla natura delle vittime, attribuendo responsabilità, conseguenze e riorientare il corso dell'azione politica.100

J.Alexander nel suo testo il trauma, pone attenzione ad un evento specifico quale l'olocausto, domandandosi come un evento così specifico caratterizzato dall'odio razziale ed etnico della violenza, sia un simbolo di sofferenza umana e dolore, che ha portato un susseguirsi di opportunità di giustizia. L'olocausto è stato definito come un trauma per tutto il genere umano, è presente nelle nostre memorie. Lo sterminio degli ebrei è espressione del male, in termini Durkheimiani, male sacro, che deve essere radicato dal mondo, il male sacro è un espressione sociologica appunto, che vuole spiegare come identificare il male chiami in causa istituzioni, religioni, scopi. L'orrore, l'atrocità, la brutalità e la crudeltà di questo vento furono interpretate come "barbarie umane". Ciò che l'olocausto vide come il male fu l'uso intenzionale sistemico e organizzato della violenza contro un gruppo su base ideologica. La teoria profana del trauma non vede che i fatti del trauma vengono mediati cognitivamente, moralmente ed emotivamente.101