• Non ci sono risultati.

Sicurezza, terrorismo e media: un'analisi sociologica

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Sicurezza, terrorismo e media: un'analisi sociologica"

Copied!
134
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea in Sociologia e Management dei Servizi Sociali

TESI DI LAUREA

SICUREZZA, TERRORISMO E MEDIA:

UN’ANALISI SOCIOLOGICA

CANDIDATA

RELATORE

FEDERICA SORRENTINO

Prof. VINCENZO MELE

(2)

“La vita è un processo in cui si deve costantemente scegliere tra

la Sicurezza (per paura e per il bisogno di difendersi) e il Rischio (per progredire e crescere). Scegli di crescere almeno dieci volte al giorno”

Abraham Maslow

A mio Nonno, e all’Amore.

(3)
(4)

I

Indice

Introduzione ... 1

1.

CAPITOLO: “Quando una società può definirsi davvero sicura?” 4

1.1 Che cos’è la sicurezza? ... 4

1.1.1 Evoluzione e cambiamento del senso di sicurezza ... 6

1.1.2 Noi ci sentiamo sicuri? Che percezione abbiamo della sicurezza nel mondo attuale? .... 7

1.1.3 La percezione della sicurezza ... 10

1.1.4 Testimonianze ... 11

1.2 Diritti umani: la sicurezza come diritto umano. ... 16

1.2.1 La sicurezza come diritto umano... 18

1.3 Cosa sono il rischio, l’incertezza? ... 22

1.3.1 Come Immigrazione e Globalizzazione hanno influito sulla nostra percezione di sicurezza? ... 30

1.4 Insicurezza e paura secondo Bauman ... 35

1.4.1 Bauman: la solitudine del cittadino globale ... 39

1.4.2 Intervista a Zygmunt Bauman di Alessandro Lanni (Dicembre 2015, Open Migration) e Intervista di Davide Casati (26/07/2016). ... 41

2.

CAPITOLO: “ Il terrorismo dopo l’11 Settembre 2001: aspetti

sociali e psicologici” ... 49

2.1 Che cos’è il terrorismo? ... 49

2.1.1 Analisi storica del terrorismo ... 52

2.1.2 La psicologia del terrorista ... 52

2.1.3 I suoi cambiamenti, sfide e dilemmi ... 57

2.1.4 Principali vittime del terrorismo... 62

2.2 Il nuovo terrorismo dopo l’11 settembre 2001 ... 68

2.3 Comunicazione ed emozioni ... 78

2.3.1 Neurofisiologia della paura ... 80

2.4 Il sistema europeo cosa fa per tutelare il fenomeno? ... 84

3.

CAPITOLO : “Come i media stanno influenzando la nostra

percezione?” ... 86

3.1 Terrorismo e Media: La comunicazione del terrore. ... 86

3.2 I media come armi: strategia del terrorismo. ... 89

3.3 Terrorismo e Social Network. ... 95

(5)

II

Conclusioni ... 120

Bibliografia... 122

Sitografia ... 125

(6)

1

Introduzione

"Paura" è il nome che diamo alla nostra incertezza: alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c'è da fare - che possiamo o non possiamo fare- per arrestare il cammino o, se questo non è in nostro potere, almeno per affrontarla.

Zygmunt Bauman

“Noi ci sentiamo sicuri?”, è il quesito che mi sono posta durante tutto il periodo di redazione di questo elaborato, ma soprattutto che da anni, decenni rimbalza nei media, tra le mura domestiche e nelle nostre coscienze.

A partire dall’11 settembre 2011, data spartiacque che ha cambiato non solo le relazioni geopolitiche degli Stati, ma il nostro modo di percepire il “Chi non è dell’Occidente” sino agli attentati in Francia, sotto il governo Hollande e ancora prima alla testata satirica Charlie Hebdo, così a Londra, così a Berlino e ancora prima a Madrid nel 2004 e poi a Barcellona, un filo rosso ha pervaso il modo di percepire la storia e il nostro rapporto con l’altro.

Sempre più si parla di “diritto alla sicurezza”, una legittimazione dello Stato ad incidere su altri diritti, dalla privacy alla libera disposizione e inviolabilità del corpo. Ci siamo abituati nel tempo ai controlli agli imbarchi aeroportuali e siamo sempre aperti all’idea di avere anche dei metal detector in stazione, nelle scuole, nella vita quotidiana. Eppure accade spesso che nel vedere un camion bianco che ci viene incontro, un attimo ci si fermi e si abbia un certo timore, è come se le immagini prospettate dai media e che abbiamo interiorizzato risveglino repentinamente il nostro inconscio, sfiorando le nostre insicurezze.

Difatti la sicurezza è un paradigma sociologico, che non è possibile circoscrivere esclusivamente come sicurezza da parte dello Stato contro attentati, incidenti, guerre, non è solo un fatto di ordine pubblico, ma è uno stato d’animo, l’essere umano nelle sue relazioni, nell’educazione, nella sua quotidianità. In un insieme di fattori che oggi definiamo “cultura della sicurezza”. È innegabile che la percezione della sicurezza sia cambiata, in tempi anche

(7)

2

molto accelerati, una società che si mostra sempre più individualista è una società insicura, non solo da un punto di vista terroristico, ma la paura del diverso, di quel “babaròs” ha dimostrato nelle epoche storiche una profonda fragilità della struttura sociale nel suo complesso. Un’evoluzione sì possibile, ma non per forza positiva.

Negli ultimi anni la precarietà affettiva, lavorativa, economica e politica ha reso gli individui sempre più fragili ed è proprio in questo assottigliarsi dei valori che una società perde le sue certezze, le sue sicurezze. Ed è qui che il terrorismo e l’integralismo, non solamente di matrice islamica, riescono a profilare le loro idee. Di fatti la storia ricorda che è proprio nell’insicurezza che i regimi totalitari hanno costruito un modello basato su una razza pura. Sicura. Mai come adesso parliamo di “contagiati della paura”: persone che modificano le loro proprie abitudini quotidiane sotto la minaccia che avvertono degli attentati terroristici, del crimine. La paura del terrorismo è sempre forte, si è arrivati al punto di evitare viaggi all’estero, frequentare luoghi affollati, cambiare le nostre abitudini, per evitare il pericolo, ciò coinvolge tutto il mondo.

Il terrorismo è un fenomeno complesso che ha radici nel tempo con collegamenti politici, economici, religiosi, culturali ed è diventato sempre più radicato, strutturato e organizzato. Uno tra i principali obiettivi dei terroristi è proprio quello di vincere questa guerra mettendoci paura, terrore proprio come il poter assistere alla raffigurazione di tali atrocità attraverso i canali propri dei terroristi, utilizzati per esempio dall’ISIS nome di un’organizzazione jihadista salafita attiva in Siria e Iraq, organizzazione militare e terroristica che sostiene il fondamentalismo islamico. Sicurezza e rischio diventano le due facce della stessa medaglia. Percepirsi sicuri significa sentirsi salvi, protetti. Un bambino piccolo per esempio si addormenta stringendo tra le braccia un pelouche, questo gli dà un senso di sicurezza, requisito fondamentale nella nostra vita.

Nel 2018, dove la realtà aumentata è sempre più diffusa, dove la democrazia sta diventando un fatto social, dove la comunicazione è 4.0, numerose sono le questioni irrisolte che meritano una tutela, si pensi ai diritti civili, alle libertà (di stampa per esempio) e alla sicurezza, e proprio ad alcuni quesiti ho cercato di rispondere:

Quando una società può definirsi davvero sicura?

(8)

3

La tesi intende focalizzarsi soprattutto sul sentimento di paura sociale diffusa suscitata dagli eventi terroristici. Per cercare di analizzare le cause di questo sentimento la tesi ricostruisce, nel primo capitolo, i concetti di sicurezza, insicurezza, paura, globalizzazione e immigrazione secondo le teorie sociologiche di N. Luhmann, U. Beck e Z. Bauman. Per cercare però di analizzare il fenomeno e di adottare un atteggiamento non solo di tipo teorico ma anche empirico, è stata effettuata anche una ricerca sul campo sulla base di tre interviste a tre persone di diversa nazionalità in Italia e in Francia. Le testimonianze hanno avuto un unico filo conduttore: la paura provata nel periodo immediatamente successivo agli attentati di Parigi e Strasburgo, e come questi eventi hanno segnato la vita di tre giovani ragazze, “cittadine d’Europa” a tutti gli effetti.

Nel secondo capitolo la tesi analizza gli aspetti sociali e psicologici del fenomeno terroristico dall’attentato delle torri gemelle 2001 ad oggi, attentato che ha segnato e cambiato la storia globale.

In conclusione, il terzo capitolo analizza – anche mediante l'utilizzo di fonti di sociologia visuale – il ruolo dei mass media e dei social network, sia come mezzi propagandistici e di diffusione della violenza da parte dei terroristi, che come strumenti di costruzione sociale della paura e della insicurezza.

Dobbiamo ricordare le parole di Pierre Bordieu: "chi ha la possibilità di dedicare la propria vita allo studio del mondo sociale non può riposare, neutrale e indifferente di fronte alle lotte la cui posta è il futuro del mondo". Il suo dovere (il nostro, quello dei sociologi) è, in altri termini, il dovere della speranza. Ma in che cosa?

(9)

4

1. CAPITOLO: “Quando una società può definirsi davvero sicura?”

1.1 Che cos’è la sicurezza?

La sicurezza è un bisogno dell’uomo legato alla convivenza sociale, che nel corso dei secoli ha iniziato a fare propriamente parte della base della società, andandosi a legare ai concetti di qualità della vita, sviluppo sociale, economico, culturale, inseriti nei diritti fondamentali.

“La sicurezza è dunque un processo sociale, politico, culturale ed economico che si costruisce nel rispetto delle regole condivise, nell’esercizio dei diritti umani fondamentali, nella fiducia come collante sociale, si fonda sul capitale sociale anche come sicurezza partecipata” 1.

Nel momento in cui riproponiamo il dilemma di Hobbes homo homini lupus2, si va a far coincidere i concetti di benessere e sicurezza con quello di “bene comune”, andando in particolare a toccare il concetto di sicurezza individuale nella vita quotidiana, nel lavoro e nella costruzione identitaria.

Nella lingua italiana il termine “sicurezza” era declinato come solidità delle cose (confirmare soliditatem), come peritia ac prudentia, come certa fides, come fidentia ac

secum animus, firmitas (fermezza morale), come securitas, incolumitas ac publica sui presidii causa a cui consulere (Cicerone), tutti significati che si ritrovano nella nostra lingua

e nelle lingue neolatine. Diversamente, nelle lingue anglosassoni Safe and Security si declinano nel campo della pubblica sicurezza come dispositivi o strategie di salvaguardia del benessere pubblico.3

Dopo gli avvenimenti dell’11 settembre, si sono posti dei nuovi interrogativi, che hanno fatto sì che il termine sicurezza venisse affiancato da quello di insicurezza. Fino alla

1 Maria Caterina Federici, “Per una sociologia della sicurezza”, Rischio incertezza e società, p.1, Mondadori

università.

2 L'espressione latina homo homini lupus (letteralmente "l'uomo è lupo per l'altro uomo"), il cui precedente

più antico si legge nel commediografo latino Plauto (lupus est homo homini, Asinaria, a. II, sc. IV, v. 495), riassume efficacemente un'antica concezione della condizione umana che si è tramandata e diffusa nei secoli, lasciando tracce di sé sia nel pensiero colto sia in alcuni detti popolari e motti di spirito. Si riferisce ad una concezione della natura umana molto radicata nella cultura occidentale, secondo tale concezione, vi sarebbe nell'uomo l'istinto di sopraffare il proprio simile, come il lupo che, per sopravvivere, sbrana il più debole. (https://it.wikipedia.org/wiki/Homo_homini_lupus)

3 Angelo Romeo, “Per una sociologia della sicurezza”, Rischio incertezza e società, p.2, Mondadori

(10)

5

crisi degli anni ’80, i valori razionali che costituivano la base della modernità erano quelli dettati da Rousseau e gli illuministi. Come in tutti i settori, questi valori sono entrati in crisi a causa di una serie di avvenimenti, che hanno portato la società a rivedere i propri punti di riferimento. Nelle società tradizionali non tutti i problemi erano sotto controllo e venivano messi in sicurezza; nelle società globalizzate e complesse, il senso di sicurezza nasce al contrario dalla moltitudine di norme di governo, dai problemi che non riescono “a governarne” la complessità Simmel definisce la società umana “il ponte e la porta”, ovvero qualcosa che chiude (la porta) e poi apre e fornisce accesso (il ponte). Nasce così una società di individui, parola che deriva dal latino “indivisibile” e “maschera”, andando quindi ad indicare i ruoli esercitati nei processi sociali. La percezione della sicurezza è invece originata dalla gestione mediatica e dalla diffusione dei fatti criminosi o semplicemente devianti, in tempo reale e in modalità massive, anche a volte diffuse ad arte fino alla distinzione tra insicuri, cioè noi, e non sicuri, cioè i migranti, i non connessi, le minoranze etniche, etc..4

“Le azioni umane sono determinate principalmente dal sentimento, dalla passione, dall’interesse e poi, in proporzioni ridottissime, dal ragionamento”5; l’importante è

interpretare le condizioni storico-culturali, gli effetti sociali che derivano da tali condizioni, quel cumulo di sentimenti che si chiama interesse.

Nel quotidiano siamo bombardati da statistiche; i dati statistici attestano un livello di sicurezza sia in termini di reati, sia in termini di reiterazione degli stessi e si scontrano e incontrano con la dimensione della gestione dei fenomeni legati ai fatti in relazione ai valori, agli obiettivi condivisi, agli strumenti necessari per raggiungerli, alle dimensioni di polities e policy, alle misure operative necessarie per contrastare i fenomeni che ne derivano e governarne la complessità.

Un altro concetto che viene subito in mente quando si pensa alla parola Sicurezza, è l’assenza di pericolo, di rischio, a prescindere da quale sia l’origine di esso (un terremoto, una guerra, l’inquinamento..). Questo ambito così vasto, richiede quindi una vasta gamma di analisi e di operazioni di sicurezza che abbiano un taglio differente a seconda del contesto in cui debbano essere applicate.

4 Maria Caterina Federici, “Per una sociologia della sicurezza”, Rischio incertezza e società, Mondadori

università.

5 Vilfredo Pareto, “L’individuel et le social, in Congrès international de Philosophie IIème séssion”, Gèneve,

4-8 settembre 1904, in “Rapports et comptes rendus publié par le soins”, ED Claparède, Henry kündig, editeur, Genève, pp.125-131.

(11)

6

1.1.1 Evoluzione e cambiamento del senso di sicurezza

“La mente dell’universo è sociale” , diceva Marco Aurelio; l’insicurezza è la diretta conseguenza del rischio che cresce nella presenza individuale e sociale, amplificato dalla comunicazione e a volte, veicolato ad hoc dai mass media per creare audience al fine di intrattenere ed orientare le opinioni pubbliche.

Il metodo prevalentemente utilizzato è quello della logica della situazione, un metodo individualistico, che sostituisce i fattori psicologici con quelli situazionali di carattere oggettivo, andando quindi a dare un carattere di oggettività a situazioni ed eventi che invece sono tendenzialmente molto collegati al libero arbitrio e alle caratteristiche strettamente personali degli individui.

La persona viene quindi influenzata da una serie di elementi, fatti, forze che vanno a modificare il suo comportamento e percezione degli eventi all’interno della società.

Ed è in questo contesto che hanno trovato larga applicazione misure di sicurezza quali videosorveglianza, esercito che pattuglia le strade, elementi che invece di apportare effettiva percezione di sicurezza, non vanno che ad alimentare quel senso di rischio possibile e imprevedibile che permea ormai la vita di tutti i giorni e di tutte le persone.

Giddens affermava che “il luogo più pericoloso è la casa” mentre Mark Twain sosteneva che “il luogo più pericoloso è il letto” poiché tutti vi muoiono6; in realtà sappiamo

bene che nessuno di questi due luoghi sia realmente il più pericoloso della terra, tuttavia è facile, apportando fatti quali eventuali morti ad essi collegati, andare ad insinuare il dubbio del rischio, della paura.

Questo approccio paradigmatico di comunicazione sociale è ormai spesso utilizzato come chiave interpretativa di fondo all’interno delle società post-moderne.

La sicurezza è un diritto primario e una componente fondamentale della qualità della vita delle persone in rapporto allo sviluppo di una comunità e alla rete dei sentimenti e dei valori che formano e radicano l’identità di cittadinanza.

6 Maria Caterina Federici, “Per una sociologia della sicurezza”, Rischio incertezza e società, Mondadori

(12)

7

1.1.2 Noi ci sentiamo sicuri? Che percezione abbiamo della sicurezza nel mondo attuale?

La sicurezza viene considerata basilare per lo sviluppo delle società umane e per lo sviluppo economico di una società.7 Alla sicurezza come bene primario, sono state date diverse risposte da parte delle comunità umane, risposte quali la sicurezza economica, lavorativa, il clan in origine, la signoria, lo Stato di diritto ai giorni nostri; vi sono una serie di regole e norme che servono a garantire la sicurezza in campo sociale, proprietario, la sicurezza di avere libertà di opinione, di associazione, di culto, di pari opportunità.

“La sicurezza individuale si ancora a strutture di aspettative emotive e culturali

capaci di assicurare senso di protezione e possibilità di azione, i quali si radicano, a loro volta, nella solidità della collettività di cui gli individui fanno parte.”8

“Nella postmodernità il Problema della sicurezza umana va a divenire un Problema

fondante la società stessa, un Problema che si riflette e ha conseguenze nel campo del lavoro, della polis, del viaggio, della medicina, della comunicazione e si configura come rischio e perdita di sicurezza dentro un’epoca tra le più criticamente sicure della storia occidentale.”9

Emile Durkheim si chiedeva cosa fosse un fatto sociale: non soltanto ciò che si può osservare in termini di comportamenti e azioni della condotta umana, ma anche la potenza imperativa e coercitiva in virtù della quale si creano credenze, pregiudizi, opinioni, che vengono imposti nella percezione dei fatti stessi attraverso la mediazione delle strutture di potere e dei mezzi di comunicazione di massa. La cosa importante non è tanto la sintesi, quanto l’analisi dell’atto saliente, della dinamica del mutamento.

La società della sicurezza non è l’opposto della società del rischio, ma è il suo specchio. Essa è una società dove, la consapevolezza del rischio fa si che ci sia una maggiore richiesta di sicurezza; dove all’aumentare degli ambiti in cui il rischio può manifestarsi, vengono elaborate strategie contestualizzate per farvi fronte, calcolarlo, gestirlo e

7 Federici Maria Caterina, Romeo Angelo (a cura di), Sviluppo locale e sicurezza. Lo studio di un caso di area in crisi industriale, Carocci, Roma, 2017

8Alexander Jeffrey C., Trauma. La rappresentazione sociale del dolore, Meltemi, 2018, pp 47-48

9 Federici Maria Caternia (a cura di), La sicurezza umana. Un paradigma sociologico, p.7, FrancoAngeli,

(13)

8

controllarlo; dove la paura, causata dalla prefigurazione di danni futuri, si traduce nella ricerca ossessiva di una condizione di sicurezza nel presente.

L’architettura dell’equilibrio sociale è molto complessa, e comprende nella sua struttura numerosi elementi che non sono collegati da rapporti di causa effetto, ma semplicemente legati da un rapporto di influenza reciproca secondo nessi di interdipendenza. Qui non si tratta di un equilibrio statico, ma di un equilibrio dinamico, essendo la società in continuo divenire, in un continuo processo di modificazione lento e duraturo.

È dunque importante andare a capire, basandoci su queste premesse, di quale sicurezza parliamo quando si affronta il tema della sicurezza. Il principale spunto di riflessione è indagare come, partendo dall’insicurezza, si possa svolgere questa indagine. L’eccessiva proliferazione di norme, ai fini del controllo sociale, ha finito per accrescere la sfiducia degli individui nei confronti di sistemi legislativi troppo caotici, o applicati in maniera poco chiara. E questo sistema di regole preconfezionate, a prescindere che vada bene a tutti o meno, va a contribuire alla maggiore necessità di sicurezza, sempre più avvertita in questo contesto di incertezze. A questo punto si inserisce nuovamente lo Stato di diritto, unico garante della sicurezza della società civile per mezzo delle forze armate. La difesa e l’esercito hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo di una società moderna.

L’uso della forza per mantenere la sicurezza, trova oggi più vasta applicazione per la simultaneità della convinzione e dell’emozione che si produce e si rappresenta nella coscienza di ciascun individuo che ascolta la stessa notizia, vede magari le stesse immagini in televisione, tramite quindi il ruolo dei mass media, ispiratori comuni, invisibili, dotati di un grande potere di influenza all’interno del processo sociale e culturale, con una grande passione per le notizie “forti”.10

Questa vera “industria della paura” convince i cittadini che è necessario sacrificare tutto, pensioni, sanità, istruzione, diritti lavorativi, libertà, al fine di avere più risorse da impiegare negli armamenti, in un mondo globalizzato e senza più alcuna ideologia predominante.

10 Maria Caterina Federici, “Per una sociologia della sicurezza”, Rischio incertezza e società, Mondadori

(14)

9

In particolare, dopo gli episodi terroristici degli ultimi anni, la richiesta di sicurezza da parte dei cittadini è aumentata notevolmente, poiché è venuto a mancare quel senso di sicurezza che era proprio della loro quotidianità.

Essendosi concretizzata la possibilità di essere attaccati in momenti di svago, come una cena, un concerto, una passeggiata, ha reso la società più sensibile al problema della sicurezza, permettendo a un forte sentimento di paura profonda di prendere il sopravvento. Nella società attuale, il diverso è motivo di paura, non perché si abbiano prove concrete, ma semplicemente perché non lo si comprende a pieno, e non riusciamo a calcolare in maniera corretta e funzionale quanto questo possa essere rischioso.11

Gli stati uniti possono a pieno titolo essere considerati la 1° società ad avanzata insicurezza della storia, non solo perché essa genera e tollera livelli di criminalità maggiori di quelli prevalenti in altre società avanzate ma nel senso che essa ha creato l'insicurezza a principio organizzativo della vita collettiva e modalità chiave di regolazione delle condotte individuali e degli scambi socio-economici. In particolare nelle rovine del Ghetto nero, in questo enclave segregata e degradata della metropoli, l'insicurezza permea e avviluppa la società americana e raggiunge livelli parossistici. le sensazioni di insicurezza che pervade ad esempio il Quattre Mille è alimentata dal senso di solitudine dei suoi abitanti, residenti, dell'ecologia degradata e dalla fastidiosa piccola delinquenza. 12

La rivolta di Seattle del 1999, i moti di Genova durante il G8 nel 2001, l'attentato catastrofico alle Torri Gemelle, l'11 settembre 2001, tutti questi eventi hanno portato ad evidenziare il tema della sicurezza nel dibattito pubblico, tanto da diventare alla base delle attività dello stato secondo alcuni critici. La sorveglianza e controllo per garantire la sicurezza del cittadino non deriva solamente da eventi catastrofici come l'attentato alle torri gemelle, ma ha origini precedenti nella storia dell'uomo.13

11 Maria Caterina Federici, “Per una sociologia della sicurezza”, Rischio incertezza e società, Mondadori

università.

12 Wacquant Loic J.D.,"I reitti della città ghetto, periferia, stato". ETS 2016, p.149, p.185 13 U. Rossi, A. Vanolo "Geografia politica urbana", Editori Laterza 2010,p.113-114

(15)

10

1.1.3 La percezione della sicurezza

L’indagine sulla “Sicurezza dei cittadini” fornisce un quadro articolato di indicatori sulla preoccupazione di subire reati e delle relative conseguenze e sul livello di degrado socio-ambientale della zona in cui si vive.

Nel 2015-2016 si stima che il 27,6% dei cittadini si ritiene poco o per niente sicuro uscendo da solo di sera, per il 38,2% la paura della criminalità influenza molto o abbastanza le proprie abitudini.

Rispetto alle precedenti rilevazioni la percezione di insicurezza risulta stabile mentre si riduce l’influenza della criminalità sulle abitudini di vita (dal 48,5% al 38,2%).

Il senso di insicurezza delle donne è decisamente maggiore di quello degli uomini: il 36,6% non esce di sera per paura (a fronte dell’8,5% degli uomini), il 35,3% quando esce da sola di sera non si sente sicura (il 19,3% degli uomini). Gli anziani hanno un profilo di insicurezza simile.

A fronte di tali preoccupazioni, la quota di persone che ha sperimentato la paura concreta di essere sul punto di subire un reato nei tre mesi precedenti l’intervista è pari al 6,4% (7,2% donne e 5,6% uomini)

Tra il 2008-2009 e il 2015-2016, si stima un miglioramento generalizzato nelle preoccupazioni: il 41,9% dei cittadini è preoccupato di subire uno scippo o un borseggio (-6,3 punti percentuali dal 2008-2009), il 40,5% un’aggressione o una rapina (-7,1 punti percentuali ), il 37% il furto dell’auto (-6,7) e il 28,7% (-14) teme per sé o i propri familiari di subire una violenza sessuale. Il 60,2% dei cittadini è (molto o abbastanza) preoccupato dei furti nell’abitazione (unico dato stabile).

Nonostante il miglioramento, il 33,9% dei cittadini ritiene di vivere in una zona a rischio di criminalità (molto o abbastanza), dato decisamente in aumento rispetto alla rilevazione precedente (+11,9 punti percentuali).

14

(16)

11

1.1.4 Testimonianze

Vanessa, 30 anni, a Milano dal 2016.

“Vivere è come volare, ci si può riuscire soltanto poggiando su cose leggere, del resto non si può ignorare la voce che dice che oltre le stelle c’è un posto migliore...

…E un giorno qualunque ti viene la voglia di andare vedere, di andare a scoprire se è vero, che il senso profondo di tutte le cose lo puoi ritrovare soltanto guardandoti in fondo.” - Brunori SAS, Kurt Kobain

“Vivere in una grande città è una continua sfida contro il tempo, è un’avventura quotidiana che mette alla prova i propri nervi. Io e l’autrice di questa tesi ci conosciamo da tanti anni e mi ha chiesto di fornirle un contributo perché sa che sono stata un po’ una cittadina del mondo vivendo tra Polonia, Italia e Francia. Una scelta di vita che mi ha permesso di conoscere e diventare amica di persone che vivono ovunque in Europa e non solo. Che sono parte della mia vita anche se lontane, una ricchezza che vorrei condividere con coloro che ogni giorno sostengono che l’Europa non serva a nulla.

Quando i media e la politica discutono sull’Importanza o meno dell’Unione Europea suggerirei sempre di prendere una valigia e chiacchierare con un ragazzo danese in Erasmus a Parigi; con una lavoratrice belga in trasferta a Berlino, di leggere tra gli sguardi in aeroporto. Solo in questo modo è davvero possibile comprendere l’anima più genuina e vera dell’Europa e dei suoi cittadini. Un continente attaccato nella sua idea ed essenza non solo dal terrorismo ma dagli stessi abitanti che la popolano, dimentichi che la pace non è un dato di fatto ma una conquista fatta di sangue, un progetto che forse trova nella pace di Westfalia la sua prima pietra miliare.

Ma in questa tesi si parla di sicurezza e terrorismo non di Europa politica e media, anche se, a mio parere, profondamente intrecciati. Ricorderò sempre lo sguardo glaciale della mia coinquilina moldava che viveva a Parigi per frequentare la Sorbona quando le chiesi come fosse stato essere lì vicino al Bataclan, lei glissò la domanda con uno sguardo verso il basso. Così la mia cara amica che studiando a Nizza non ne ha mai più voluto parlare, perché secondo lei perdere degli amici brutalmente non é cosa che si può raccontare. Perché si tratta di un dolore intimo e allo stesso tempo collettivo, difficile da metabolizzare. Che resta lì, latente nella coscienza di ognuno di noi.

(17)

12

L’anno scorso io vivevo a Strasburgo e ogni mattina superati i controlli all’ingresso del Consiglio d’Europa lanciavo uno sguardo al display che indicava il livello di allerta e avevo un groppo in gola. E durante il periodo natalizio, come tante persone camminavo tra i mercatini che sono stati lo scorso dicembre teatro della strage e il senso di inquietudine già nel 2017 era talmente forte che decisi di evitarli. In fondo vedere tutta quella gendarmerie vestita di nero con i mitra in mano sotto l’albero e tra il gli omini di pan di zenzero non era così in sintonia con la magia del Natale.

C’era aria di un possibile attentato già un anno prima.

E così, quest’anno, vivendo a Milano son venuta a sapere dell’attentato in diretta dal gruppo dei miei ex colleghi che hanno lasciato Strasburgo come me e che vivono sparsi per il mondo e ho pianto perché era come se avessero colpito un mio ricordo. Una parte della mia vita. Eppure essere cittadini d’Europa è qualcosa di così importante e grande che non può frantumarsi per il terrorismo prima e per il populismo poi. Altrimenti i sacrifici di tutti quei giovani che hanno dato la vita sarebbero stati vani.

Qual è invece la percezione a Milano? È quella di guardarsi sempre intorno nella metro, ma di non volerne parlare. Anche perché Milano è così, una realtà strana cosmopolita ma profondamente lombarda e nella sua vita “da bere” non si ferma poi tanto a riflettere. “

Anna, 26 anni, italiana a Parigi dal 2015.

“Mi sono ritrovata spesso a pensare a quale sia la mia visione di sicurezza, visto il posto dove vivo per lavoro. Per me la sicurezza è poter uscire e fare quello che devi fare senza avere paura che possa succedere qualcosa da un momento all’altro; poter seguire la propria routine senza avere l’ansia che possa capitarti qualcosa di brutto.

Quando c’è stato l’attentato a Charlie Hebdo io ancora non vivevo a Parigi in pianta stabile, venivo ogni tanto a trovare il mio fidanzato. Però da allora, ti controllano ovunque, anche per entrare nei negozi; ti controllano le borse, controllano che tu non abbia niente di strano. Poi per le strade incontri i gendarmi con i mitra, che sono anche un po’ inquietanti, però sapendo perché ci sono, alla fine ti abitui. Il terrorismo è difficile da prevedere, anche se adesso ci sono tante indagini in corso e intercettazioni, penso che sia comunque molto difficile da prevedere.

(18)

13

I parigini non si sono comunque chiusi in casa, continuano ad uscire, a loro piace molto nei finesettimana andare a bere sulle terrasses, e continuano tranquillamente a farlo, la vita va avanti. Tuttavia mi è stato raccontato che nei giorni seguenti, le strade erano deserte, i bar erano vuoti anche la domenica; ma adesso la vita è tornata ad essere la stessa.

Per quanto riguarda il rapporto con le persone di fede islamica, appena successo, sì c’era della diffidenza più marcata, ma mai troppo esplicita, i francesi non lo darebbero mai a vedere! Adesso penso sia tornato tutto a posto, i francesi riescono a distinguere tra un estremista e un comune membro della comunità islamica concettualmente parlando, non se la prendono con tutti i cittadini di fede islamica in quanto tali. L’unica polemica che resta in piedi è quella contro i velo per le donne, quella non gli va tanto giù, non sono molto d’accorto con il Burka diciamo, che copre l’intero volto delle donne.

Il mio stile di vita non è cambiato, continuo a fare le cose che devo fare e per le quali sono venuta a vivere a Parigi. Non ho smesso di usare la metro, non potrei mai, a Parigi senza metro non puoi spostarti, è impossibile. In realtà non conosco nessuno che abbia cambiato il suo stile di vita; la sorella del mio ragazzo le prime settimane dopo l’attentato, non riusciva a dormire la notte, aveva degli incubi dove sparavano alle persone, ma adesso è tranquilla e conduce la sua vita come sempre.

Anche a nome di Charles, il mio ragazzo, posso dire che non abbiamo cambiato il nostro stile di vita; usciamo ogni weekend come tutti, come prima, per staccare dalla settimana lavorativa, e non pensiamo costantemente agli attentati.”

Juliette, 25 ans, française, parisienne d’adoption depuis 2012.

“En ce moment il y a justement un gros débat sur la sécurité en France. Certains votent pour des lois qui interdisent quelqu’un de dissimuler une trop grande partie de son corps (surtout le visage) et certains sont mécontents de ces lois car elles portent atteinte à la devise de la France « liberté égalité fraternité » (pays laïque).

Personnellement, je ne me sentais plus en sécurité à Paris les jours suivants les attentats du 13 Novembre 2015.

Quand il y a eu Charlie Hebdo en Janvier, je ne me rendais pas vraiment compte de la menace que le terrorisme représentait, mais après Novembre, j’avais une peur bleue de descendre dans la rue ou d’en boire un verre en terrasse. Une de mes amies, qui se trouvait au restaurant

(19)

14

« le petit Cambodge » est morte d’une balle dans le cœur alors qu’elle se trouvait avec une de ses amies Suédoise (qui n’est pas decedée, mais je pense qu’elle ne reviendra plus jamais en France).

Avant d’apprendre la disparition de mon amie, j’etais déjà profondément touchée et effrayée parce qu’il s’etait passé. La nuit du 13 Novembre, je n’ai pas dormi. Comme la plupart des français, je suivais les infos à la télévision, savoir comment les choses allaient prendre fin. C’etait Un tel traumatisme, que je n’ai pas dormi non plus les 7 nuits suivantes, et ma mère me conseillait de ne plus vivre à Paris, de louper une année d’études. C’est pour te dire à quel point les gens étaient traumatisés.

J’ai décidé de rester quand même et de braver ma peur. À l’entrée de mon école, ils avaient mis un vigile qui vérifiait nos identités chaque matin. Dans tous les magasins c’etait comme ça: on fouillait nos sacs, et l’interieur de nos manteaux. Ça ne donnait pas un ressenti de sécurité mais nous nous sentions quand même rassurés (même si j’avoue qu’en vrai les vigiles faisaient à peine attention à nos sacs, c’etait plus de la dissuasion qu’autre chose). Même si nous avions peur, nous avons mangé en terrasse dès les vendredi d’apres, comme pour montrer qu’ils n’auraient pas notre peau à tous.

Cependant, des fois les gens prenaient peur pour tout et rien et entraînait une foule en antique dans les rues de Paris (je l’ai vécu dans le 2ème arrondissement, suite à un lancé de pétards par des adolescents). Mais au fin des semaines, Paris est redevenu Paris.

Je n’ai pas un regard changeant sur les musulmans, seulement je dois avouer ne plus être très à l´aise quand une femme est en burca (la tenue qui recouvre même des yeux) par exemple dans le metro.

Je n’ai pas changé mon mode de vie, je prends toujours le métro chaque jour, et des verres en terrasse. Et j’aime toujours autant Paris.

Et je ne connais personne qui a changé complètement son mode de vie après ça. “

Juliette, 25 anni, francese, parigina d’adozione dal 2012. (traduzione)

“In questo momento è in corso un grande dibattito sulla sicurezza in Francia. Alcuni votano per delle leggi che impediscano di nascondere gran parte del corpo (in particolare il viso),

(20)

15

mentre altri non sono contenti di certe leggi perché potrebbero minare il motto francese di “libertà, uguaglianza, fratellanza” – siamo comunque un paese laico.

Personalmente, io non mi sentivo più al sicuro nei giorni seguenti all’attentato del 13 Novembre 2015.

Quando c’è stato l’attentato a Charlie Hebdo a Gennaio, non mi rendevo pienamente conto della minaccia che il terrorismo rappresentava, ma dopo Novembre, avevo una paura assurda di scendere in strada e andare a bere qualcosa fuori. Una delle mie amiche che si trovava al ristorante « le petit Cambodge » è morta perché ha ricevuto un colpo al cuore mentre cenava con una sua amica Svedese (lei non è morta nell’attentato, ma credo che non metterà mai più piede in a Parigi o in Francia).

Prima di sapere della morte della mia amica ero già molto toccata e spaventata da ciò che stava succedendo. La notte del 13 November non ho dormito; come la maggior parte dei francesi, ho seguito le notizie tutta la notte per sapere come andava a concludersi la situazione. Non ho dormito neanche i 7 giorni seguenti a causa del trauma, e mia madre mi consigliava di prendere una pausa dagli studi e tornare a casa. La gente era veramente traumatizzata dall’accaduto.

Tuttavia ho deciso di restare e combattere la mia paura. All’entrata della mia scuola avevano messo un vigile che controllava le nostre identità ogni mattina. Anche nei negozi, controllavano tutte le borse e i giacchetti. Questo non ci dava sicurezza vera, ma per lo meno ci faceva sentire rassicurati (anche se i vigili non controllavano poi così bene nelle borse, ma solamente perché obbligati a farlo).

Nonostante avessimo paura, abbiamo ricominciato a mangiare nelle terrasses dal venerdì seguente, per dimostrare che non ci avrebbero scalfiti.

Certe volte le persone di spaventavano per tutto andando a scatenere delle fughe di massa dove vieni trascinato dalla folla (mi è successo una volta nel secondo arrondissement, dopo degli adolescenti avevano semplicemente lanciato dei petardi). Ma nei fine settimana Parigi è tornata ad essere Parigi.

Non ho cambiato opinione sui musulmani, anche se devo ammettere che non mi sento a mio agio a vedere delle donne con il burka, soprattutto in metropolitana.

Non ho cambiato il mio stile di vita, prendo sempre la metro, ed esco volentieri a bere qualcosa nelle terrasses. E amo sempre molto Parigi.

(21)

16

E non conosco nessuno che abbia cambiato completamente il suo modo di vivere dopo tutto questo.”

1.2 Diritti umani: la sicurezza come diritto umano.

Il lungo percorso per il riconoscimento dei diritti umani, popolato di lotte aspre e sacrifici di singoli e gruppi sociali, affonda le sue radici nell’antica riflessione sui diritti naturali dell’individuo, così definiti dai filosofi greci perché connessi alla natura stessa dell’essere umano, e di cui ognuno è titolare per nascita, a prescindere che siano riconosciuti e accettati da qualche autorità politica che li conceda.

I primi tentativi concreti verso la nascita di una società eguale e tollerante nacquero nel XVIII secolo sulla spinta dell’Illuminismo, corrente di pensiero filosofico e politico, che annovera tra i suoi principali ispiratori Kant, Rousseau, Voltaire, Montesquieu e Beccaria. L’illuminismo animò la lotta dei coloni americani per affrancarsi dal dominio inglese, coronata con la stesura della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti (4 luglio 1776). In Francia, i giacobini consacrarono la Res Publica ai diritti e alle libertà con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (26 agosto 1789). Tra i testi più avanzati di questo periodo, ricordiamo Per la pace perpetua (1795) di Immanuel Kant, nel quale il filosofo tedesco disegnò un ordine mondiale regolato dal principio ius cosmopoliticum: libera circolazione degli uomini, accoglienza e riconoscimento universale dei diritti da parte degli Stati. Anche la convenzione di Filadelfia nel 1787 adottò la costituzione degli Stati Uniti d’America, ad oggi la più antica in uso, sostenuta nel 1791 dalla Carta dei Diritti che contiene i primi dieci emendamenti alla Costituzione (noti come Bill of rights). I principi affermati in questa carta rappresentano il patrimonio genetico dello Stato democratico: inteso come un contratto tra i cittadini, per salvaguardare i diritti degli individui e le libertà.15

La storia occidentale è stata a lungo caratterizzata, almeno fino alla metà del XX secolo, da gravi tensioni sociali originate dallo sviluppo disordinato delle economie industriali, che si sono ripercosse sulla vita sociale degli individui. È in questo contesto che Karl Marx e Friedrich Engels andarono a denunciare con veemenza la dicotomia esistente tra i principi fecondati dall’Illuminismo e la disuguaglianza imperante nelle società del loro

15 Marta Picchio, Diritti umani e sicurezza, p.115 all’interno di “Sociologia della sicurezza” a cura di

(22)

17

tempo. La dottrina socialista infatti rispondeva al capitalismo rivendicando i “diritti sociali”, ovvero i “diritti di seconda generazione”: lavoro dignitoso e in sicurezza, istruzione e salute. Questi sono secondo Marx i diritti sociali che uno stato deve garantire e tutelare per i suoi cittadini, associati ai “diritti di prima generazione”, ovvero quelli politici e civili, che limitano i poteri dello stato in relazione alle libertà dell’individuo e permettono la partecipazione alla vita politica.

Il cammino verso i diritti non procede comunque in direzione progressiva; di fatto le riflessioni filosofiche fatte dal XVII al XIX secolo, prendevano come modello la società borghese, fatta a misura di uomini bianchi , dove persistevano la discriminazione delle donne e il razzismo coloniale.

È solamente alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con l’obiettivo di promuovere la pace nel mondo e scongiurare il ripetersi di drammi di simile portata, il 24 ottobre 1945 entrò in vigore lo Statuto delle Nazioni Unite, che ne sancì la nascita, andando a sostituire la Società delle Nazioni fondata nel 1919. E fu su iniziativa della first lady Eleanor Roosevelt che venne scritta la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, con il fine di creare un “argine morale” contro nuovi possibili soprusi.

1. Sicurezza Sociale.

Abbiamo tutti il diritto ad una casa, a cure mediche, all’istruzione e alle cure per i bambini, ad abbastanza soldi per vivere e all’assistenza sanitaria quando ci ammaliamo o invecchiamo. 16

La Dichiarazione segnò un inedito e straordinario traguardo di civiltà, dando voce alle principali tradizioni filosofiche e culturali, già consolidate nella storia nel riconoscimento dei principali diritti sociali, economici e culturali, trovavano espressione il giusnaturalismo unito al pensiero liberale e alla dottrina socialista.

La Dichiarazione non obbliga gli Stati ad alcun vincolo di rispetto delle sue norme, ma incarna una legge morale universale sulla quale si fonda il diritto internazionale. La Dichiarazione ha ispirato numerose Costituzioni democratiche, trattati, convenzioni, dichiarazioni, che normano tutela ed applicazione dei diritti umani nelle società mondiali, protagoniste di un mutamento socio-politico-culturale, economico e scientifico-tecnologico.

16

(23)

18

Nel 1969, ad esempio, si raggiunse con la Convenzione di Vienna l’introduzione di un principio di predominanza dei trattati per i diritti umani sugli interessi particolari degli stati. A partire dal 1946 l’ONU ha istituito la Corte internazionale di giustizia all’Aja, al fine di giudicare i governi e i singoli cittadini accusati di crimini contro l’umanità e crimini di guerra; questo è stato un traguardo decisivo per l’affermazione dei diritti umani nel mondo.17

Dal 1949 anche gli Stati Europei hanno promosso un organismo indipendente per tutelare i diritti e le libertà: il Consiglio d’Europa con sede a Strasburgo, al quale oggi aderiscono 47 Stati (28 nell’Unione Europea). Nel 1950 il Consiglio ha promosso la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

L’Unione Europea che conosciamo è nata nel 1992, con il Trattato di Maastricht; il 1° dicembre 2009 è entrato in vigore il Trattato di Lisbona che ha rifondato l’UE nella veste attuale. Pilastro di questa riforma è stata la Carta di Nizza del 2000, strumento moderno aperto ai diritti di “terza generazione”, composto da 50 articoli raggruppati sinteticamente intorno a sei valori fondamentali: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia.

1.2.1 La sicurezza come diritto umano.

Nella realtà dei fatti è bene sapere che non esistono società realmente democratiche e sviluppate che perseguano la piena affermazione dei diritti umani, civili, politici e sociali. Una nazione non può oltretutto definirsi sicura solamente perché protegge i propri confini, le istituzioni e gli individui da attacchi interni ed esterni, se poi non tutela in maniera adeguata i diritti fondamentali e con essi gli ecosistemi che sono alla base della nostra vita terrena.

Negli ultimi trent’anni la riflessione sulla sicurezza si è spostata dalle minacce militari al tema della tutela e promozione della sicurezza dei singoli individui, intesa come protezione da minacce, situazioni critiche e pervasive, potenzialmente dannose per l’esistenza, la salute, il benessere sociale e personale, e non ultima la dignità personale e sociale garantita dai diritti umani.18 Sotto la spinta della Dichiarazione, essi sono stati accolti

17 Marta Picchio, Diritti umani e sicurezza, p.116 all’interno di “Sociologia della sicurezza” a cura di

Federici e Romeo

18 Marta Picchio, Diritti umani e sicurezza, p.119 all’interno di “Sociologia della sicurezza” a cura di

(24)

19

negli ordinamenti costituzionali democratici con due caratteristiche essenziali: appartengono indiscriminatamente ad ogni individuo, sono universali, sono quindi preminenti e differenti dai diritti civili normativi e applicati negli ordinamenti delle singole nazioni.

Il rispetto e la promozione della dignità umana sono i due metri di misura per vedere il grado di civiltà dei sistemi giuridici e l’efficacia degli apparati pubblici nella loro azione amministrativa. Nonostante la riflessione sui diritti umani dell’individuo sia ormai una missione straordinaria di civiltà per pensatori e legislatori, essa non può prescindere né dalla qualità degli ordinamenti giuridici, né tantomeno dall’efficacia dei sistemi statali e degli organismi internazionali che devono farne applicare le norme.

E proprio tra i diritti universali ritroviamo la dimensione della Sicurezza.

Nell’art. 3 della Dichiarazione Universale si afferma che ogni individuo possiede “il

diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. La sicurezza personale

è dunque la premessa e la condizione sulla quale si fonda la sicurezza sociale: il Welfare State, il complesso delle prestazioni pubbliche erogate dallo Stato, che vanno a tutelare gli individui dalle situazioni di bisogno e dai principali rischi emergenti.

L’art. 22 della Dichiarazione Universale, in merito a tale discorso, sancisce che “ogni

individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”. Nella concezione

delle moderne democrazie libertarie, l’affermazione dei diritti umani viene garantita da un sistema giuridico avanzato unito ad un adeguato sistema di sicurezza sociale.

L’ONU ha maturato una considerazione sempre maggiore per gli aspetti multidimensionali della sicurezza proprio a partire dalla Dichiarazione. Nel Rapporto sullo Sviluppo Umano del 1994, la sicurezza umana viene declinata attraverso due missioni principali: la libertà dalla paura (freedom from fear) e la libertà dal bisogno (freedom from

wants).19 Questo permise di avviare lo studio della correlazione diretta presente tra il progresso umano e sociale mondiale e l’affermazione de diritti umani fondamentali dell’individuo.

19 Marta Picchio, Diritti umani e sicurezza, p.120 all’interno di “Sociologia della sicurezza” a cura di

(25)

20

Uno dei principali teorici di questo rapporto, Mahbub Ul Haq (economista pakistano), nel suo libro New imperatives of human security (1994) affermava che la sicurezza umana deve essere interpretata come sicurezza della gente e non solo del territorio; sicurezza delle persone e non solo delle loro nazioni; sicurezza attraverso lo sviluppo, non attraverso le armi; sicurezza di tutte le persone del mondo nelle loro case, al lavoro, a scuola, per strada, nelle loro comunità, nel loro ambiente.20

Fu sull’ondata di queste affermazioni che il segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan istituì nel 2001 la Commissione sulla sicurezza umana, alla quale affidò la missione di leggere e promuovere le politiche per la sicurezza umana nei vari ambiti di loro applicazione. Così, nella sua relazione all’Assemblea Generale, ne parlava l’8 maggio del 2000: “La sicurezza umana nella sua accezione più ampia, abbraccia molto di più

dell’assenza dei conflitti armati. Include diritti umani, buon governo, accesso all’educazione e al sistema sanitario e assicurare che ogni individuo abbia le opportunità e possibilità di scelta di realizzare il proprio potenziale. Ogni passo in questa direzione è anche un passo verso la riduzione della povertà, l’ottenimento della crescita economica e la prevenzione dei conflitti. La libertà dal bisogno, la libertà dalla paura e la libertà delle generazioni future di ereditare un sistema naturale sano – questi sono i punti cardine tra loro interrelati della sicurezza umana e quindi nazionale.”

Andando a proiettare questa concezione sullo scenario mondiale, emerge quanto la sicurezza umana sia stata messa in crisi dalle principali minacce endemiche e croniche planetarie, quali il climate change e le sue conseguenze (es. calamità naturali come gli tsunami) e la repressione dei diritti umani fondamentali (libertà, salute, educazione), che vengono sostenute da interessi economici occulti o manifesti. Gli eventi gravi e dolorosi come gli attentati terroristici, gli effetti delle crisi economiche, gli atti criminali in genere, le discriminazioni sociali, sembrano tutti avere, oltre dimensioni circoscritte, un legame più o meno indiretto con i rischi planetari emergenti.21

La securization22 è una forma estrema di politicizzazione, processo avviato da governi, leader politici e gruppi di pressione che porta un problema, umanitario, economico

20 Hans Joas, La sacralità della persona. Una nuova genealogia dei diritti umani, FrancoAngeli, Milano,

2014.

21 Marta Picchio, Diritti umani e sicurezza, p.121 all’interno di “Sociologia della sicurezza” a cura di

Federici e Romeo

22 Buzan Barry, Ole Waever, Jaap de Wilde, Security. A New Framework for Analysis, Lynne Rennier

(26)

21

o sociale, ad essere percepito come un problema di sicurezza o una minaccia alla sicurezza, così urgente e viale da giustificare l’adozione di misure straordinarie e autorizzare l’infrazione di regole normalmente vigenti. La securization innesca la paura per il diverso a priori, inculcando la cultura del sospetto nei confronti dei soggetti più deboli.

La strategia del terrore istaurata con l’ondata di migrazioni che sta investendo il nostro continente, deve essere contrastata non solo prevenendo l’attività dei terroristi, ma soprattutto andando a ad agire dentro il cuore pulsante delle società mondiali, con l’impegno di una cooperazione adeguata alla vastità e alla gravità dei drammi che fiaccano il pianeta. Di fronte a questi rischi sempre più estesi e minacciosi per la sicurezza umana, investire nelle politiche umanitarie e sociali significherebbe garantire e sostenere il progresso e il benessere delle comunità; non vanno chiaramente in questa direzione, quei governi che hanno deciso di politicizzare i fenomeni di immigrazione. Mutare la questione immigrazione da tema umanitario a questione di sicurezza, è il più grave e pericoloso atto di securization contemporaneo. Esso ha permesso a legittimare la revisione in negativo delle politiche di accoglienza dei migranti e dei meccanismi di concessione dei diritti d’asilo ai rifugiati.23

Attuando politiche migratorie sempre più restrittive, invece di risolvere il problema, si va a spingere i migranti nell’illegalità, andando a porre le premesse per la criminalità. Viene inoltre violato il principio di non refoulement (non respingimento delle persone bisognose di protezione internazionale) codificato dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, in applicazione dell’art.14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. 24 Il

rapporto 2016-2017 di Amnesty International denuncia come 36 paesi abbiano violato il diritto internazionale nell’ultimo anno, respingendo illegalmente i richiedenti asilo in Paesi che negano i diritti umani.25

La formazione di una sensibilità e di una coscienza collettiva sull’importanza della tutela e promozione dei diritti umani, propria dell’educazione, purtroppo non è sostenuta dall’informazione di massa. L’era digitale facilita la condivisione e la circolazione delle informazioni, ma i media sono piuttosto disattenti nel raccontare i temi umanitari, quando non distorcono la realtà dei fatti per rispondere a fini politici.

23 Zonca Elena Valentina, Cittadinanza sociale e diritti degli stranieri profili comparatistici, Cedam, Padova,

2016

24 Stojanovic Nenad, Dialogo sulle quote. Rappresentanza, eguaglianza e discriminazione nelle democrazie multiculturali, il Mulino, Bologna, 2014.

(27)

22

La paura degli attentati terroristici attuati da individui nati o integrati nelle società che intendono destabilizzare, ha innescato non solo in Occidente, un lento e progressivo isolamento di numerose comunità etnico/religiose, percepite dai governi e in particolar modo dall’opinione pubblica, come potenzialmente sensibili ad infiltrazioni terroristiche. Le crescenti difficoltà incontrate da questi gruppi sociali non integrati, non fanno altro che favorire atteggiamenti ostili verso le consuetudini e le leggi del Paese di accoglienza/residenza.

L’argine morale, culturale e sociale più solido per contrastare tutto questo è lo sguardo informato e consapevole dei cittadini, i quali dovrebbero favorire il riconoscimento dei diritti umani e promuovere una inclusione positiva degli immigrati, che potrebbe favorire la formazione di una comunità più solida, portando ad isolare le minoranze estremiste più pericolose.26

La tutela delle diversità proprie delle società multiculturali contemporanee, non deve contraddire quindi l’universalità dei diritti umani, ma per conquistare questo traguardo, sono necessarie conoscenza e integrazione: dialogo, incontro, comprensione e rispetto, sostenuti dalla reciproca volontà di costruire una via comune e condivisa non solo per il benessere dei singoli, ma della comunità.27

Al fine di ottenere un futuro più equo, sicuro, pacifico e rispettoso degli ecosistemi ambientali, è sicuramente necessario rimettere al centro i diritti, nella loro dimensione più universale e condivisa, ovvero quella dei diritti umani.

1.3 Cosa sono il rischio, l’incertezza?

Il rischio. La sicurezza e la percezione di essa rappresentano, innanzitutto, un problema

culturale.

Se volessimo risalire all’origine del concetto di rischio, dovremmo prendere in considerazione come periodo storico il Medioevo: è proprio in quegli anni che prende forma il concetto di rischio come lo intendiamo noi ai giorni nostri. All’epoca le imprese mercantili si ritrovavano molto spesso a dover affrontare calamità naturali che rischiavano di mettere “a rischio” tutte le loro attività commerciali. Viene da sé che inizialmente il concetto di

26 Sen Amartya, La libertà individuale come impegno sociale. Laterza, Roma-Bari, 2015

27 Papisca Antonio, Cittadinanza e cittadinanze ad omnes includendos: la via dei diritti umani, in Accogliere gli immigrati, Testimonianze di inclusione socio-economica, a cura di B. Ghiringhelli e S. Marelli, Carocci,

(28)

23

rischio era principalmente legato alle calamità naturali e non all’errore umano. Come lo stesso Ewald 28 afferma “A quel tempo, il termine rischio indicava la possibilità di un

pericolo oggettivo, un atto di Dio, una forza maggiore o qualche altro pericolo del mare non imputabile a una condotta sbagliata”. Essendo dunque il rischio totalmente allontanato

dalla manipolazione o errore dell’uomo, viene lasciato spazio ad una lettura completamente basata sul divino, lasciando quindi l’uomo in una situazione di difficoltà estrema.

Questa visione del rischio viene, tuttavia, messa in discussione nel momento in cui viene a crearsi un contesto di globalizzazione e postmodernità che vanno a gestire il vissuto umano e sociale, influenzando la gestione di tempo e spazio in tutti i campi; non è quindi più possibile pensare che il concetto di rischio sia totalmente distaccato dall’azione umana.

La globalizzazione ha determinato, da un lato la rottura delle barriere culturali, ma dall’altro ha reso la società più eterogenea, causando numerose forme di disagio e paura, dovute alle diversità presenti tra gli individui da un punto di vista culturale ed etnico, su un piano sia lavorativo che economico, oltre che ambientale; per questo si è iniziato a parlare di rischio globale e società mondiale del rischio29.

Al giorno d’oggi il rischio ha plasmato ogni aspetto della vita sociale, andando quindi oltre la visione circoscritta e iniziale legata a un determinato spazio fisico, tema e individuo. Risalendo al significato etimologico della parola rischio , ci possiamo rendere conto di come sia romani che greci abbiano sempre associato tale parola al concetto di pericolo di vita, e quindi al concetto di paura-minaccia. In particolare, in greco il termine “péras” significa limite, richiamando proprio il concetto di esperienza, di evento che mette alla prova30.

Rifacendoci quindi alla prospettiva classica, possiamo notare quanto il concetto di rischio sia collegato a una ricerca continua di mezzi e tecniche da parte dell’uomo, con il fine di salvaguardare la sua incolumità.

28 Ewald François, Two infinities of risk, in The politics of everyday fear, a cura di B. Massumi, University of

Minnesota Press, Minneapolis, 1993, p.226

29 Beck Ulrich, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma, 1986 30 Angelo Romeo, Per una sociologia della sicurezza, Rischio, incertezza e società, pag 20

(29)

24

A partire dalla globalizzazione, il teorico sul rischio per eccellenza Beck, propone una riflessione, divenuta modello teorico per tutti gli studi sulla paura e sulle conseguenze globali, che il rischio ha determinato nel corso degli anni.

La società del rischio non è altro che il risultato di una morte della cultura della tradizione del “villaggio globale”, luogo in cui, a causa dell’incapacità dell’essere umano di controllare le proprie attività, si susseguono continue catastrofi di ogni genere.31

Beck definisce così la nuova società mondiale del rischio:

“[..] La novità della società mondiale del rischio consiste nel fatto che le conseguenze e i

pericoli globali frutto delle decisioni sulla nostra civiltà sono in netto contrasto con il linguaggio del controllo istituzionalizzato e con la promessa di controllare la situazione nell’eventualità di catastrofi messe sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale. [..] Perciò la nascita sociale di un pericolo globale è un avvenimento tanto improbabile quanto drammatico e traumatico, in grado di sconvolgere la società mondiale.” 32

Viene quindi posto al centro dell’attenzione il rapporto tra globalizzazione e sistema sociale: gli individui si trovano in una situazione di difficoltà poiché devono affrontare determinate emergenze, in un contesto in cui sono numerose le opportunità date dalla globalizzazione.

Il rischio viene dunque posto in stretta correlazione con il concetto di incertezza da Le Breton:

“ Il rischio è la conseguenza aleatoria di una situazione, ma in termini di una minaccia, di

un danno possibile. A differenza dello stesso pericolo, percepito sotto una luce positiva, che sarebbe piuttosto una possibilità. [..] Rischio e incertezza hanno un campo semantico che si sovrappone, e sono spesso utilizzati come sinonimi. Un approccio più attento alla gestione del rischio, tuttavia, li distingue. Il rischio è un’incertezza quantificata, esso indica un potenziale pericolo che potrebbe derivare da un evento o da una combinazione di circostanze, ma non è altro che un’eventualità, non può accadere in una situazione prevista. Alcune statistiche rivelano le sue probabilità di accadimento. Si tratta di una misura

31 Angelo Romeo, Per una sociologia della sicurezza, Rischio, incertezza e società, pag 21 32 Beck Ulrich, Un mondo a rischio, pp. 9-11, Einaudi, Torino, 2003

(30)

25

dell’incertezza. L’incertezza differisce da questa accezione poiché riflette con precisione una radicale mancanza di conoscenza a suo riguardo.” 33

Negli ultimi anni c’è stato un interesse trasversale sul problema, che ha coinvolto numerose discipline oltre alle scienze sociali, portando quindi alla nascita di un insieme di metodologie e di tecniche di intervento utili per inquadrare i fenomeni di rischio: la “Risk Assessment”. L’aumento che c’è stato delle varie tipologie di rischio, ha reso necessario questo affinamento delle metodologie e delle tecniche di indagine che sono dunque in continua evoluzione.

In realtà la definizione di rischio ha vissuto non poche problematiche per affermarsi nel campo delle scienze sociali, rispetto ad altri argomenti ormai consolidati. Niklas Luhmann (1996) evidenzia alcune criticità e difficoltà:

“[..] il tema del rischio rientrerebbe dunque in una teoria della società moderna e verrebbe

coniato a partire dal suo apparato concettuale. Ma una teoria del genere non c’è, e le tradizioni classiche, alle quali si orienta ancora la maggioranza dei teorici della sociologia, offrono pochi punti di aggancio per temi come l’ecologia, la tecnologia, il rischio, per non parlare dei problemi dell’autoreferenza. [..] La ricerca sul rischio potrebbe essere un’ulteriore possibilità. Ma si resta impressionati dalle conseguenze negative del coinvolgimento di tante discipline e di tante materie, e non c’è un concetto di rischio che possa soddisfare le esigenze scientifiche. [..] Se si cercano definizioni del concetto di rischio, ci si ritrova subito nella nebbia fitta e si ha l’impressione di non poter vedere al di là del proprio naso. Il problema non viene colto in maniera adeguata nemmeno nei saggi specifici sul tema.”34

Questa mancanza di solidità a livello teorico del concetto di rischio, va poi a rispecchiarsi nei numerosi lavori empirici, nei quali non viene mai presentato allo stesso modo, mettendo in risalto la confusione terminologica presente tra i termini rischio – pericolo – insicuro.

Sarebbe quindi importante fare uno sforzo per innanzi tutto individuare una definizione chiara, per evitare che essa venga confusa con l’opinionismo proveniente dal

33 Le Breton David, Sociologie du risque, Puf, Paris, 2012.

(31)

26

“sentito dire” o dal racconto dei media, sempre più centrati su questioni di emergenza e insicurezza.

Tuttavia Luhmann rileva ulteriori dubbi sulla definizione di rischio:

“È molto diffusa l’idea che il concetto di rischio debba essere determinato opponendolo a

quello di sicurezza. [..] Questo porta rapidamente a quell’atteggiamento per il quale ci si augura senz’altro la sicurezza, ma dati i rapporti mondiali esistenti bisogna per forza accettare dei rischi. La forma del rischio diventa quindi una variante della distinzione gradevole/sgradevole. Una versione un po’ più raffinata si trova tra gli esperti di sicurezza. La loro esperienza professionale insegna che la sicurezza assoluta non si può ottenere: può sempre accadere qualcosa. Perciò essi utilizzano il concetto di rischio per precisare in maniera ragionieristica la loro aspirazione alla sicurezza e la misura di ciò che può essere ragionevolmente raggiunto [..]. All’interno di questa costellazione, il concetto di sicurezza contrapposto a quello di rischio resta un concetto vuoto, analogo a quello di salute nella distinzione malato/sano, e funge quindi soltanto da concetto di riflessione oppure anche da valvola di sfogo per esigenze sociali che si impongono nel calcolo del rischio a seconda del livello di pretese.”35

Dopo aver esposto le riflessioni fatte da numerosi personaggi di rilievo, quali Beck, Le Breton e Luhmann, possiamo affermare che, nonostante le numerose ricerche prodotte, non solo in campo sociologico ma anche antropologico, non si riesca ad individuare una definizione che possa essere considerata unica; possiamo per tanto mettere in luce quanto la definizione di rischio si adatti alla cultura e al contesto. Questo spiegherebbe quindi ulteriormente quanto una definizione universale sia difficile da dare, e come questo vada ad incontrare nel quotidiano una differenziazione del concetto di rischio anche in base alle esperienze individuali, all’educazione degli individui, andando quindi a costituire un problema in buona parte culturale. Il rischio risulta quindi differenziato da sensibilità e capacità relazionali, che l’individuo mette continuamente in gioco nella propria vita quotidiana, in un’ottica di salvaguardia della propria stabilità personale e sociale.

L’incertezza. Il paradigma dell’incertezza è senza ombra di dubbio un’altra chiave di lettura

utile al fine di comprendere forse in modo più approfondito il concetto di rischio.

(32)

27

L’incertezza intesa come dubbio progettuale e di aspettative è un concetto che richiama l’instabilità, il dubbio e rievoca anche una certa insicurezza36.

Il senso di incertezza ed instabilità iniziano ad essere maturati dall’individuo all’interno dell’ambiente urbano con il processo di industrializzazione, senso in continua crescita ancora ai giorni nostri.

La città moderna ha quindi aumentato le possibilità degli individui, in particolare la libertà di azione, mettendoli però in parte anche alle strette, andando a rappresentare un contesto in cui si può avere tutto quello che si desidera, avendo opportunità di scelta differenti, che portano però ad uno stato di incertezza costante, che si riflette anche negli ambiti relazionali, occupazionali e di svago.

Questa continua ricerca di un qualcosa, di uno spazio, non sempre corrisponde a una piena soddisfazione da parte dell’individuo moderno, il cui senso di insicurezza e insoddisfazione si aggrava sempre di più. È in questo contesto che Simmel (1995) individua una ricerca di attenzione da parte dell’individuo nell’ambiente urbano e nelle dinamiche che si vengono a creare al suo interno. Egli arriva perfino a descrivere la figura del cittadino

blasé37, eterno insoddisfatto e insicuro del vivere quotidiano, la cui essenza è una sensibilità piatta rispetto alle differenze tra le cose. È un cittadino che non riesce più a scindere le differenze, senza prospettiva della società in cui vive, e che finisce per maturare un atteggiamento di incertezza e insicurezza, sentimenti che vanno a formare un terreno fertile per la diffusione di una percezione del rischio più accentuata, in un contesto di disagio sociale elevato tanto nelle periferie, quanto nel centro delle società.

È in questo contesto che Zygmunt Bauman colloca la nascita di una vera e propria ambiguità, data da un individuo che, nonostante in possesso di numerose possibilità di scelta, riesce a tramutarle in una incapacità di prendere decisioni, che aumenta il senso di incertezza e instabilità. Egli dice:

“una ambiguità morale profondamente sentita poiché ci offre una libertà di scelta mai

goduta prima, ma che ci getta pure in uno stato di incertezza, mai prima d’ora così angoscioso [..] l’unico desiderio è avere una guida per essere sollevati da alcune

36 Bauman Zygmunt, La società dell’incertezza, il Mulino, Bologna, 1999

Riferimenti

Documenti correlati

Un ringraziamento speciale va alla Dott.ssa Valentina Picchi, per avermi insegnato, con calma e tanta, tanta pazienza, a muovermi nel mondo dei laboratori, del PC e infine

Le ricerche descritte in questa tesi sono state condotte presso il Dipartimento di Patologia Sperimentale, Biotecnologie Mediche, Infettivologia ed Epidemiologia dell’Università

Come prima cosa desidero ringraziare i miei genitori, che mi sono sempre stati vicini durante questi anni e mi hanno sempre dato la forza di non arrendermi mai di

Infine voglio ringraziare i miei amici Giovanni Bertini e Alessandro Giannangeli con i quali ho condiviso gran parte del

Desidero quindi ringraziare i miei relatori per l’inestimabile aiuto che mi hanno fornito nella stesura della presente ed in generale nell’ultima fase del mio corso di studi;

Un ringraziamento speciale va alla Dr.ssa Beatrice Nesi e alla Dr.ssa Debora Trinchello, le quali, durante la realizzazione pratica del lavoro, non mi hanno

Un sincero ringraziamento va ai miei genitori, nonché miei finanziatori, che in tutti questi anni mi sono sempre stati vicini, pronti ad incoraggiarmi nei

Infine desidero ringraziare Luca, per essermi stato vicino in questi ultimi anni, per aver sempre creduto in me e per avermi aiutata in tutti i modi affinché portassi