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La psicologia del terrorista

2. CAPITOLO: “ Il terrorismo dopo l’11 Settembre 2001: aspett

2.1 Che cos’è il terrorismo?

2.1.2 La psicologia del terrorista

Comprendere la mentalità di un terrorista da un punto di vista psicologico non è una cosa semplice, in primo luogo perché è difficile avere l’opportunità di avvicinarsi all’oggetto di studio, ovvero il terrorista in carne ed ossa.

70 Paola Vinciguerra, Eleonora Iacobelli, “Terrorismo. Impariamo a vincere la paura”, p.23, Ed. Minerva 71 Paola Vinciguerra, Eleonora Iacobelli, “Terrorismo. Impariamo a vincere la paura”, p.24, Ed. Minerva

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La personalità del terrorista non rientra in quelle genericamente definite “malate”: questi soggetti sono persone carismatiche dotate di un grande potere manipolatorio, in grado di valutare razionalmente costi e benefici che derivano dai loro atti terroristici. Le loro azioni sono ritenute necessarie e valide ai fini delle loro ideologie estremiste.

Esistono gruppi nei quali il senso di appartenenza si infonde in maniera talmente radicata che tutti coloro che ne fanno parte vengono spinti a compiere queste azioni senza avere il minimo senso di colpa. Inoltre, coloro che decidono di aderire a questi gruppi, manifestano una necessità paragonabile ad un bisogno fondamentale, di appartenere ad una comunità che possa guidarli e accompagnarli con le sue ideologie per tutto il corso della loro vita. Sembra che le persone riescano ad affrontare il mondo e le proprie insicurezze abbracciando i pensieri e le ideologie dei gruppi estremisti; per molti di loro è come trovare “una famiglia”, e questo senso di comfort li aiuta a reprimere l’ansia che deriva dal senso di “non essere”, riempendo il vuoto con sistemi di credenze che fungono da auto-protezione.72

Da un punto di vista psicologico, viene indotto un potente condizionamento, andando a creare comunità chiuse che hanno una forte impronta mistico-militare, dove tutti si sentono affratellati nella realizzazione di un progetto segreto e considerato di vitale importanza. La salvezza degli altri “fratelli” e dell’intera comunità dipendono dal sacrificio di ciascuno degli affiliati. Vengono rifiutate tutte le autorità e le leggi che non incorporano il loro punto di vista.73

“Le Web est un miroir narcissique où l’on cherche surtout une confirmation. Les

sites de discussion mettent en lien des jeunes soucieux de se renforcer dans leur convinction, et illuminés par l’idée de participer à une entreprise grandiose qui leur donne un statut, un importance. Le recruitement est individualisé, lié à la sensibilité du jeune et à ses aspirations. À tout moment il peut renoncer, reculer, débattre, il a le sentiment d’être totalement libre de son adhésion mais aussi et surtout d’être pris au sérieux, important pour que ces hommes si éloignés géographiquement s’intéressent à lui. Il remet peu à peu en question l’enveloppe de sens de sa vie personnelle et familiale. Il entre doucement dans la conviction d’un complot contre l’islam propageant l’injustice à travers le monde. De vidéo en vidéo, de questionnement en questionnement, avec les clés subtiles que lui prodiguent les rabatteurs ou ses compagnons déjà convertis, ilen arrive à se convaincre qu’il vit dans un

72 Paola Vinciguerra, Eleonora Iacobelli, “Terrorismo. Impariamo a vincere la paura”, Ed. Minerva 73 Paola Vinciguerra, Eleonora Iacobelli, “Terrorismo. Impariamo a vincere la paura”, Ed. Minerva

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immense mensonge permanent de l’ “Occident” pour prendre e pouvoir sue les sociétés musulmanes. La théorie du complot est le monde cognitif le plus simple par son manichéisme et l’illusion de donner une clé majeure de compréhension aux désordres du monde. (..) L’unique solution pou sortir de la catastrophe annoncée est la conversion de la planète à un intégrisme islamiste sans faille, régi par la charia, où toute dérogation serait punie de mort, et les jihadistes investis du formidable pouvoir de tout contrôler. Certains partent sans même avoir échangé avec un recruteur, ni même être unjour entrés dans une mosquée. Ils sont convaincus d’avoir été choisis par Dieu et cette force intérieure le amène en Syrie ou ailleurs pour combattre ceux qui sont devenus à leurs yeux les “mécréants”. Seule une infime minorité de jeunes s’engagent dans la radicalité, aucune ecplication sociologique ne permet donc de comprendre leur comportement de manière univoque. Evoquer les séquelles post- coloniales ou la marginalisation sociale des jeunes n’explique rien d’autant que des attentats ont lieu dans des pays sans le moindre passé colonial et même à forte majorité islamique. Des dizaines de millions de musulmans en Europe immergés dans la même histoire et les mêmes conditions sociales dénoncent ces actions, y compris les parents de ces convertis. Les familles de la plupart des jihadistes après les attentats refusent même que leurs restes reposent à proximité des leurs.”74

Le principali motivazioni diffuse al giorno d’oggi sono quelle religiose. Alcuni membri di Hamas e Jihadisti di varia estrazione furono intervistati negli anni ’90; dall’analisi fatta da un punto di vista psicologico di queste interviste si è potuto constatare che queste persone riuscivano a trattare l’argomento “terrorismo” con una freddezza assoluta, senza mostrare alcun segno di coinvolgimento emotivo, ritenendo che le loro azioni fossero motivate e giustificate da profonde convinzioni religiose, e quindi essendo convinti di essere dalla parte del giusto nonostante le numerose vittime innocenti coinvolte negli attentati.75

La fedeltà assoluta alla scrittura del Corano è sicuramente la caratteristica che più descrive i terroristi islamici radicali; essi rifiutano ogni tipo di interpretazione e spiritualizzazione del messaggio religioso, e questo li porta a vedere tutte le società “infedeli” come nemiche, poiché non consentono il libero esercizio della religiosità e della legge islamica, andando quindi a giustificare la jihad, perpetrata senza esclusione di mezzi.

74 David le Breton, Jalons pour une anthropologie du jihadisme, Sicurezza e scienze sociali V, 2/2017 75 Paola Vinciguerra, Eleonora Iacobelli, “Terrorismo. Impariamo a vincere la paura”, Ed. Minerva

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Una scelta di vita così radicale non è quindi spiegata dalla presenza di psicopatologie o disturbi psichici. Anzi, sono gli stessi leader a fare una scelta tra gli arruolati in base a queste caratteristiche: se gli aspiranti mostrano segni di squilibrio, vengono scartati, perché pericolosi per l’intera comunità.

La maggior parte degli estremisti islamici non proviene da condizioni di disagio estremo, ma da ambienti culturali medio-alti. Si tratta spesso di giovani non sposati, con un livello di istruzione piuttosto elevato, che non hanno un lavoro o che ne hanno uno che non rispecchia a pieno le loro competenze personali. Provengono da famiglie molto numerose (otto persone in media) e conoscono condizioni di vita molto dure, pur non patendo la fame. Non subiscono alcun “lavaggio del cervello” né tantomeno sono degli isolati sociali; piuttosto sono persone con grandi capacità organizzative e intellettuali, in grado di controllare a livello emotivo tutte le eventuali reazioni derivanti dal rischio che corrono e, di conseguenza, non hanno paura di nulla.76

Possiamo riassumere le caratteristiche psicologiche peculiari dei terroristi così: - Capacità strategiche e organizzative;

- Concentrazione, vigilanza e determinazione;

- Capacità di monitoraggio e gestione delle proprie emozioni; - Freddezza e lucidità nell’affrontare situazioni impreviste; - Mancanza di empatia;

- Capacità di poter rinunciare alla propria vita pur di arrivare al proprio obiettivo o, meglio, incapacità di considerare la propria vita più importante di un obiettivo.77 Il terrorismo suicida viene invece spesso giustificato dalle condizioni di deprivazione sociale, che portano l’individuo a mettere fine alla propria vita come gesto di protesta contro la società ritenuta ingiusta e inadeguata. L’aspetto che ha richiamato di più l’attenzione degli studiosi è la frustrazione legata alle prospettive lavorative e professionali che non trovano uno sbocco positivo in una società spesso piegata dalla guerra civile.

76 Paola Vinciguerra, Eleonora Iacobelli, “Terrorismo. Impariamo a vincere la paura”, Ed. Minerva 77 Paola Vinciguerra, Eleonora Iacobelli, “Terrorismo. Impariamo a vincere la paura”, pp.30,31, Ed.

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Un’altra cosa che è stata verificata è che la maggior parte dei terroristi palestinesi ha avuto delle esperienze traumatiche in passato con le forze speciali israeliane che hanno perpetrato sugli oppositori più irriducibili violenze umilianti. La genesi del terrorismo suicida è da collocare in una serie di eventi che devono aver leso la sfera sociale della persona. In particolar modo, sembrano essere maggiormente rilevanti le “forme di violenza

fisica estrema commesse dalla polizia o dalle forse di sicurezza sui futuri martiri o loro amici o parenti”.78

Possiamo genericamente classificare i terroristi in base alle principali motivazioni che li spingono ad unirsi a gruppi e perpetrare questi crimini atroci:

- Terroristi con interessi speciali da tutelare → sono coloro che usano il terrorismo per difendere il loro pensiero riguardo a cause civili radicali;

- Terroristi estremisti di destra → il loro obiettivo è quello di mantenere o promuovere differenti livelli di gerarchia sociale;

- Terroristi estremisti religiosi non tradizionali → sono individui che professano culti poco diffusi e che possiedono una spiccata tendenza megalomane;

- Terroristi solitari → coloro che commettono atti terroristici senza essere affiliati a nessun gruppo e che spesso soffrono di disturbi psicologici;

“Le noyau du jihadisme, particulièrement ces dernières années, est composé de jeunes de

couches sociales populaires, surtout d’origine immigrée (deuxième ou troisième génération en provenance de pays musulmans), souvent catégorisés comme exclus. Ce sont de déracinés, portés par un sentiment d’insignifiance, d’humiliation, un virilisme d’autant plus virulent qu’ils sont socialement en échec et plus enclin à une interprétation du monde en termes de complot à leur égard ou envers l’islam. En s’identifiant à l’Islam, ils donnent un signification et une valeur renouvelée à leur existence, ils retrouvent un idéal qui les magnifie. Parmi eux, les plus nombreux relévent de la délinquance. Dans son enquête, la moitié des djihadistes croisé par Thomson, journaliste et spécialiste de la question, onte u mailles à partir avec la justice pour des faits de délinquance ou, plus rarement, de grand banditisme. Comme le dit Ahsen, un ancient délinquant, à Khosrokhavar “pour moi, le jihad c’est une manière de me racheter, de me faire excuser pour mes fautes”. La renaissance operée par l’addésion au groupe, le lâcher prise de l’ancienne identité procure le sentiment

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d’entrer dans une sorte de pureté, de mettre un sens à leur existence et d’échapper au chaos. La radicalisation est un manière de se refaire une innocence à travers une conversion radicale, une sortie par le haut d’une période révolue de “mécréance” avec les filles, l’alcool, l’argent facile. Cette période de mécréance est reparée au centuple en la faisant payer aux autres. Le délinquant minable, régulièrement mis en prison, en échec de la haute délinquance, est soudain mué en surmale, disposant d’un pouvoir infini sur les autres, avec notamment le droit de tuer, de torturer sans scrupule et de prendre sa revanche sur ses échecs passés. La radicalisation est une sublimation de la violence et de la délinquance. Imposer sa propre loi, au nom de Dieu, et non plus être hors la loi. Le jihadisme est unSèsame qui légitime l’existence du jeune et donne à sa haine une raison de se déployer et de le transformer lui-même miraculeusement en héros de l’islam à défaur d’avoir été un délinquant crédible ou un bon musulman. Dèsormais il eciste, il jouit de la peur qu’il inflige.”79

Nizza/ L'Isis perde terreno in Siria. E l'Europa rischia altri attentati

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