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I Modelli Operativi intern

CAPITOLO 4: RAPPORTO INTERGENERAZIONALE

4.7 I Modelli Operativi intern

Lo studio delle differenze individuali, riscontrate nell’organizzazione del sistema di attaccamento, si avvale di tecniche d’indagine focalizzate non solo sul piano operativo, quanto più su quello delle rappresentazioni mentali. I dati di ricerca collegano le rappresentazioni, le fantasie del bambino e i suoi discorsi, all’attaccamento precoce alla madre: la natura e la qualità di queste strutture dipendono dal tipo di attaccamento sviluppato quindi la capacità di sintonizzazione e condivisione degli affetti positivi e negativi vengono indicati come fattori di mediazione nella trasmissione dei modelli di attaccamento.

Il concetto di trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento enfatizza gli aspetti di continuità nel corso della vita, senza tenere sufficientemente conto delle discontinuità provocate nello sviluppo dai cambiamenti evolutivi, esperienziali o ambientali a cui gli individui sono sottoposti. In effetti, la continuità tra le esperienze individuali precoci di attaccamento e i successivi comportamenti genitoriali di accudimento del bambino può venire interrotta da una serie molteplice di fattori. Bowlby stesso riconosceva il fatto che esperienze positive di attaccamento, anche successive all’infanzia, possono avere una funzione ristrutturante rispetto all’originaria esperienza di attaccamento con i genitori, a volte contribuendo a una trasformazione di attaccamenti insicura, per mezzo dello svolgimento di una funzione di “base sicura” da parte dell’altro relazionale, perché la continuità che si realizza a seguito dei modelli di attaccamento fra una generazione e quella successiva realizzata attraverso i modelli operativi interni, facendo riferimento a quelle rappresentazioni di se stessi e delle figure di

attaccamento, le quali esercitano una funzione di previsione del comportamento del caregiver e di guida del comportamento dell’individuo nelle varie situazioni interattive, non solo nella fase infantile ma anche in quella adulta.

Infatti è possibile che un minore maltrattato e che non abbia ricevuto le cure necessarie da parte delle sue figure di riferimento, diventi nel corso della sua vita

un genitore totalmente differente rispetto alla sua figura di riferimento, quindi sviluppa dei modelli operativi interni contrari al suo modello.

Una possibile elaborazione di modelli operativi interni diversi da quelli sperimentati nel contesto familiare possono realizzarsi a seguito di un intervento da parte dei servizi sociali, ovvero quando si pone un limite agli avvenimenti dannosi per il minore, e per questo motivo che le forme di protezione, di cui anche l’allontanamento del minore dal contesto familiare, o l’inserimento in una casa famiglia, o affidamento temporaneo o permanente presso una “nuova famiglia”, può permettere al minore non solo di interrompere il danno ma anche di sperimentare nuove forme di accudimento, un inedito modello di rapporti relazionali e affettive che permettono di ampliare la sua sfera di conoscenza tale da permettergli non solo di allontanarsi dal contesto di trascuratezza o di abbandono delle figure genitoriali, ma di sperimentare una nuova realtà tale da diventare un suo nuovo modello operativo.

Quindi possiamo dedurre che un bambino abusato, maltratto o gravemente trascurato non necessariamente dovrà diventare un adulto abusante o maltrattante, perché possono intervenire una serie di fattori, sopra descritti che gli permetteranno di elaborare meglio il trauma e diventare un adulto sicuro e capace di intraprendere nuove relazioni significative e distanzianti da quelle patologiche vissute nell’infanzia.

Per questo è necessario che ogni professionista che svolge questo lavoro con minori, sia a nelle scuole che nei servizi pubblici o privati che siano deve essere in grado di proteggere il minore sia prima che il bambino venga coinvolto in eventi traumatici, rilevando i segnali di rischio per riuscire ad attivare forme di protezione adeguati, e qualora l’evento si sia verificato, riuscire a comprendere e ad aiutare il minore in a elaborare e riconoscere il trauma e portarlo a superarlo adeguatamente.

CONCLUSIONE

La valutazione di un sospetto abuso sessuale su minore ed in particolare la diagnosi che ne deriverà devono sempre essere poste in ambito multidisciplinare. In queste ultime pagine vorrei evidenziare l’importanza di sviluppare una cultura in cui si ponga al centro del proprio interesse la tutela e il benessere del bambino. Quando si riuscirà, infatti, a comprendere l’entità dell’impatto che gli eventi dell’infanzia hanno sullo sviluppo delle persona, si potrà anche prestare maggiore attenzione al maltrattamento e all’abuso subito dai minori. “Ogni bambino è unico e ha valore per il solo fatto d’esistere79” afferma Jesper Juul, che sottolinea, quindi, il diritto di ogni bambino ad essere rispettato ed amato e ad avere accanto adulti che si prendano cura di lui. Per prevenire il maltrattamento e l’abuso sui minori è dunque fondamentale dare importanza al bambino inteso sia come individuo in evoluzione sia come entità che risiede all’interno di ogni soggetto divenuto adulto.

È, innanzitutto, con il bambino che fu che l’adulto deve cercare di entrare in contatto per riuscire a comprendere e ad empatizzare davvero con il mondo infantile che lo circonda. La scuola, dopo la famiglia, rappresenta uno degli spazi di vita più importanti nell’esistenza dei bambini e fornisce, quindi, l’opportunità di osservarli da vicino. Essa ha perciò l’occasione di cogliere per tempo quei segnali di malessere e di disagio che funzionano come “campanelli d’allarme” di un possibile abuso subito dal minore.

La scuola, costituisce il luogo in cui risulta necessario avviare un’opera di prevenzione del maltrattamento e dell’abuso, partendo prima di tutto dal sostegno e dallo sviluppo negli insegnanti delle loro competenze emotive e relazionali. Oltre alle figure professionali, quindi insegnanti, operatori di settori sociali e sanitari devono essere in grado di comprendere se vi sono degli atteggiamenti

79 Juul J., “Il bambino è competente. Valori e conoscenze in famiglia”,pag. 92. Feltrinelli Editore, Milano, 1995.

anomali nel comportamento di un minore e della sua famiglia di origine in modo tale da segnalare e prevenire la cronicizzazione di questi eventi.

Quindi a mio parere prevenzione significa informare e formare la società a riconoscere i segnali di pericolo e le richieste di aiuto che arrivano in forma diretta o indiretta dai bambini, ma significa anche credere che oltre al male, alla violenza, agli abusi sessuali e al maltrattamento esistono delle persone che sono in grado di fare del bene, esistono e rappresentano la maggioranza dei casi, dei genitori che si prendono cura dei propri figli, che sono attenti ad ogni esigenza e bisogno dei propri figli permettendo di crescere sano e sicuro e di diventare un giorno un adulto capace di fare il bene e di vivere in questa società in modo consono.

Con un unico peso, aiutare coloro che non hanno avuto questa fortuna, dimostrando che il bene esiste, che nelle relazioni fra pari non esistono solo persone violenti e maltrattanti, ma che c’è l’amore, il rispetto, la stima, il coraggio di affrontare la vita con un sorriso. Concludo citando una frase detta dal predicatore John Wesley:

“Fate tutto il bene che potete, con tutti i mezzi che potete, in tutti i modi che potete, in tutti i luoghi che potete, tutte le volte che potete, a tutti quelli che potete, sempre, finché potrete”.

Continuando affermava che la fede in Gesù Cristo può e vuole condurci al di là di un interesse esclusivo per il benessere degli altri esseri umani, verso una preoccupazione più generale per il benessere degli uccelli nei nostri cortili, dei pesci nei nostri fiumi, e di ogni creatura che vive sulla faccia della Terra.

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