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Trasmissione intergenerazionale e la transgenerazionale della vita psichica.

CAPITOLO 4: RAPPORTO INTERGENERAZIONALE

4.6 Trasmissione intergenerazionale e la transgenerazionale della vita psichica.

I trasporti psichici possono essere a potenziale maturativo, se si effettuano con le modalità dello scambio e del rispetto secondo il paradigma della distinzione o a potenziale patologico, si effettuano con le modalità dell'espulsione e del rifiuto secondo il paradigma della confusione. Nella trasmissione intergenerazionale i vissuti psichici trasmessi hanno potuto essere elaborati da una generazione, potendo così essere ripresi e trasformati da quella successiva. La trasmissione intergenerazionale veicola vissuti elaborati o elaborabili, pensieri e rappresentazioni identitarie, costruzioni e ricostruzioni della storia familiare. Presuppone fondamentalmente alterità e differenziazione negli scambi intersoggettivi tra i membri di una famiglia.

Nella trasmissione transgenerazionale “si individua un processo di trasmissione

di elementi esclusivamente psichici, che avviene in maniera tacita, nascosta e che tende a tramandare contenuti indicibili talvolta persino impensabili”69.

Ciò che viene trasmesso non viene introiettato ma piuttosto incorporato perciò i bambini sono attenti osservatori delle emozioni profonde dei genitori ricercano nei loro occhi la conferma continua di essere amati e sono disposti a tutto pur di non perdere questo amore. E' come se avessero delle antenne con cui riescono a percepire le emozioni di chi si prende cura di loro e da cui dipendono, e sono in grado di assorbire gli stati d’animo più intimi dei genitori, di cui loro stessi hanno meno consapevolezza e farli propri.

Si trovano così a gestire pesi che non comprendono, ma avvertono il dovere di farlo poiché ne va della loro sopravvivenza diventando così alleati fedeli dei genitori. Il bambino, in base alle informazioni che raccoglie intorno a sé, tende a costruirsi una storia della vita familiare, su come è venuto al mondo, su come si strutturano i rapporti affettivi.

Di fronte ad un genitore psicotico crede a quanto gli viene detto, anche ai suoi deliri, poiché il figlio non mette mai in discussione i genitori. Il loro potere, la loro forza, il loro sapere, i loro discorsi e il suo amore verso di essi restano forti, comunque essi siano: tanto più i genitori sono folli, malvagi, persecutori, più sono idealizzabili, idealizzati, anche se in forma negativa. Il bambino ha come punto di riferimento l’ambiente in cui nasce, lo considera l’unico modello possibile, non ha la consapevolezza che invece è solo uno dei modelli possibili.

Tutte le relazioni genitori-figli sono influenzate dallo schema di comportamento interiorizzato dei genitori precedenti, da ciò che non è andato bene o che li ha fatto soffrire e che i figli non dovranno subire. L’illusione iniziale che sostiene i genitori è che, nella nuova relazione, si riescano magicamente a ricucire le ferite del passato. Il rapporto con il figlio viene caricato di aspettative e gli si chiede, già prima che nasca e possa esprimere la sua personalità, di riscattare gli “errori”subiti nelle relazioni passate. La trasmissione psichica influisce in modo determinante nella costruzione del Sé molto di più del patrimonio genetico, tutto ciò che il figlio sperimenta nella vita in comune con i genitori, attraverso le cose dette e non dette, i gesti, i comportamenti, entra a far parte della sua memoria e va ad incidere profondamente nella strutturazione della sua personalità.

Nella vita quotidiana, fatta di piccoli rituali sta la memoria della famiglia, una memoria indispensabile a creare il senso di continuità del gruppo. I messaggi non verbali sono molto importanti nella formazione del bambino, capace di registrare quotidianamente le azioni dei genitori e soprattutto nei casi di incongruenza tra parole e fatti, di fronte ai silenzi o ai vuoti del non detto, tenta di darsi delle risposte da solo. Quanto il bambino respira nell’ambito familiare, influisce sulla strutturazione di elementi di personalità per imitazione o per opposizione alla cultura familiare e va a costituire il suo carattere, il suo essere nel mondo.

Freud parla di “identificazione” come forma più primitiva di attaccamento affettivo ad un’altra persona, che fa da supporto ad una trasmissione intersoggettiva e si attua quando, per una comunanza affettiva, un io si appropria di un tratto inconscio di un altro io. Nel figlio viene sperimentata l’illusione dell’immortalità dell’io negata dalla realtà, il bambino può restare prigioniero degli ideali narcisistici dei genitori, a seconda della loro difficoltà ad elaborare l’idea del figlio come entità psichica a se stante.

C’è come un buttare su un altro apparato psichico ciò che il soggetto stesso non riesce più a mantenere dentro di sé. Non è tanto rilevante il contenuto, quanto il bisogno fondamentale di indirizzare. La trasmissione non è dunque legata ad un messaggio esplicito ma allo stile di comunicazione dei genitori, perciò l’identificazione fa tacere i desideri del bambino che vengono messi in secondo piano. Il figlio, per la propria sopravvivenza psichica, perde il libero accesso all’interpretazione del proprio psichismo e resta assoggettato a ciò che i genitori dicono o tacciono.

La non identificazione appare come l’unica condizione di liberazione e riappropriazione del desiderio. I genitori, a loro volta, sono stati vittime della struttura narcisistica di altri genitori che li ha condizionati: è una dinamica che si ripete nelle generazioni. Nel figlio si fissa una storia che appartiene al passato ma che tramite lui torna attuale, il tempo si fa circolare e si concretizza un eterno presente.

Il soggetto assorbe, inconsapevolmente, ciò di cui non si parla attraverso divieti, rituali, abitudini: tutto ciò prende forma dentro di lui e vi resta in maniera indiscussa e invariabile. Solo se viene riportato a livello di coscienza, il soggetto può rendersi conto dell’influenza che questo patrimonio ha nella sua vita. Il bambino ha così due parti contemporaneamente presenti in lui: una desiderosa di essere se stessa e di seguire le proprie istanze vitali, l’altra costretta a modellarsi secondo richieste tramandate nelle generazioni.

Le teorie sull’eredità epigenetiche sostengono che le esperienze traumatiche si trasmettono alle generazione successive, influenzando il metabolismo a lungo termine, e che gli effetti del trauma ereditato persistono sui comportamenti

psicologici fino alla terza generazione, anche se le persone non sono mai state esposte alle stesse esperienze.(Mazza)

In una ricerca svoltosi sulla relazione fra la tossicodipendenza e famiglia, l’ipotesi emersa è che vi fosse un legame fra le difficoltà che hanno vissuto i genitori dalla propria infanzia e la ripercussione di questi vissuti nella formazione della coppia e nel successivo stile di accudimento dei figli e le sintomatologie sviluppate nei figli. È emerso che nelle famiglie esiste un meccanismo interattivo dominante che impregna la comunicazione familiare denominate minimizzante, e si può parlare di minimizzazione del danno subito, la quale non consiste nel negare o nascondere

lo svolgimento degli accadimenti reali, ma nello smorzare la rilevanza emotiva che li accompagna, soprattutto quando si tratta del dolore legato a eventi di portata traumatica”70.

Quindi si è passato ad una successiva ipotesi secondo cui, “il genitore del

tossicodipendente trasmettono intergenerazionalmente, una cultura affettiva e relazionale acquisita nella relazione con i rispetti genitori carica di vicissitudini carenzianti e traumatiche impensabili come tali, inelaborate e inespresse e di grave ostacolo ad un’adeguata assunzione del ruolo parentale”71.

Sono state accumulate prove considerevoli a supporto anche del fatto che l’abuso infantile viene trasmesso tra le generazioni. Alcuni soggetti sembrano sentirsi maggiormente al sicuro quando ricreano un’esperienza precedente e familiare di trascuratezza o abbandono. Tali modalità relazionali, chiaramente insicure, sembrano in grado, contrariamente alle aspettative, di generare un sentimento interno di sicurezza. Il paradosso apparente viene risolto se si considera che l’attaccamento deriva dalle rappresentazioni mentali dell’altro e che il sentimento di essere compresi da parte del genitore è alla base del fenomeno dell’attaccamento. La sensazione di essere compresi può svilupparsi all’interno di una relazione in cui il bambino si sottomette masochisticamente; in altre parole, il bambino comprende che la sua sottomissione ai genitori è il modo più sicuro di

70 Ibdem, nota 6.

71 Cirillo S., Berrini R., Cambiaso G., Mazza R. “La famiglia Del Tossicodipendente”, pag.48 Raffaello Cortina Editore. 1996. Milano.

essere con loro. Il bisogno biologico di sentirsi capiti ha la precedenza rispetto a quasi tutti gli altri obiettivi, talvolta perfino rispetto alla sopravvivenza stessa e costringe il bambino a ricercare vicinanza tramite la violenza e la sofferenza, l’unica modalità che egli conosce. L’abuso dei genitori indebolisce la teoria della mente del bambino: non è più sicuro per lui empatizzare con i pensieri del genitore, se questo implica prendere coscienza del desiderio del genitore di fare del male al bambino stesso. Tale inibizione, se da un lato produce sostanziali benefici per il soggetto in quanto gli permette di eludere un dolore psichico insopportabile, dall’altro non fa che perpetrare il circolo vizioso dell’abuso, impedendo di far leva sull’empatia quale principio fondamentale alla base della relazione d’aiuto.

Dunque farà esperienza di tali vissuti traumatici, convenendo a una maggior facilità d'identificazione con la figura dell’aggressore, soprattutto per quanto riguarda i maschi, per strutturare una difesa del sé efficace che dia la possibilità di esercitare potere nelle relazioni e mantenere un legame con il genitore maltrattante.

“Immaginiamoci l’esperienza del bambino di fronte ad un padre che torna a casa la sera incollerito, urlante, che comincia a insultare e minacciare la madre, a rompere le suppellettili; immaginiamoci la paura di questo bambino e il suo senso di totale impotenza, perché il padre è tanto più grande e forte di lui, perché capisce che è meglio non attirare la sua attenzione su di sé (e magari si sente anche in colpa per non saper difendere sua madre); non è difficile immaginarci anche, a questo punto, che da adulto sia tentato di preferire il ruolo di aggressore”72.

Minori testimoni di maltrattamenti intrafamiliari, possono anche imparare che esprimere le proprie opinioni, emozioni o sentimenti, che portare un punto di vista diverso può scatenare la violenza, per cui mettono in atto strategie compiacenti e di evitamento tipiche del comportamento delle vittime. Spesso i figli vengono imputati per la loro somiglianza con l’uno o l’altro genitore, con il quale poi si

trovano a identificarsi per non disattendere aspettative di uno o dell’altro, oppure cercano di modificare i propri comportamenti e atteggiamenti per essere accettati dall’uno o dall’altro, comportando conflitti interni di lealtà difficili da controllare. L’approccio della psicogenealogia, che in questa sede voglio solo accennare, riprende il concetto di “inconscio collettivo” di Jung73, trasformandolo in un bagaglio di avvenimenti familiari che lega le generazioni nel tempo riproponendo atteggiamenti, comportamenti, dinamiche e giochi relazionali che ci vincolano ai nostri antenati, e che ci influenzano nel presente e nel futuro. Anche per quanto riguarda maltrattamenti, trascuratezza e adultizzazione dei più piccoli, si possono riscontrare concatenazioni nelle generazioni precedenti, cui l’irresponsabilità e le violenze degli adulti si sono “tramandate” nel tempo, come un’ereditarietà dei modelli. genitoriali e dei modelli relazionali e comportamentali che può riversarsi nel presente sottoforma di trauma, le cui origini vanno ricercate nel passato per riuscire a prendere coscienza e modificare gli andamenti futuri. Il lavoro sui casi ha appurato che uomini violenti oggi, hanno alle spalle violenze subite o assistite nell’infanzia, quando il loro padre teneva comportamenti maltrattanti. È importante dunque poter avviare un lavoro ad hoc anche con gli aggressori, per poter avviare un cambiamento nelle modalità relazionali e recuperare per lo meno una capacità genitoriale adeguata che possa manifestarsi in termini positivi con i propri figli.

4.6.1 Perché un genitore diventa abusante?

Il nesso non è diretto e causale, ma l’assistere a violenza in famiglia aumenta la probabilità di perpetrarla o subirla in età adulta, anche se va specificato che non tutti reagiscono allo stesso modo: il ripetersi del ciclo dipende da una moltitudine di fattori interni ed esterni. In ogni caso in termini di prevenzione futura è

73 C.G. Jung intende con inconscio collettivo quella parte formata da archetipi, modelli determinati che sembrano essere presenti sempre e ovunque, che devono la loro esistenza

esclusivamente all’ereditarietà. Cfr. U. Galimberti, Psicologia, Le Garzantine, Ed. Garzanti, Torino 1999.

fondamentale il lavoro con i bambini testimoni di violenze, rielaborare il trauma e agire per il cambiamento di comportamenti e atteggiamenti, che da la possibilità di modificare il loro percorso. Oltre a questo è importante un lavoro più ampio che riguardi l’intera società ancora permeata di antichi costumi, miti, modelli culturali ed educativi che finora sono stati tramandati e che rafforzano l’uso della violenza, ancor più quella domestica, privata, che se ben nascosta diventa inesistente. Anche un uomo, il mostro che picchia o abusa della sua compagna, o di sua figlia o sua madre, è stato un bambino. E' stato una persona che ha dato e richiesto affetto, perciò il risvolto psicologico è dunque alla base dell'annosa domanda: perché un uomo abusa di una donna? Oppure perché un uomo picchia violentemente i suoi figli e sua moglie? Citando l’opera di Cirillo, che condivido appieno: “Ogni genitore maltrattante è un bambino incompiuto che ha vissuto dei

traumi in passato ed è anche un coniuge deluso e frustrato, che riversa il suo disagio sul figlio”74.

Quando permane il bisogno di essere amato, apprezzato, approvato, la persona tenderà a ricercare costantemente “surrogati genitoriali” che possano colmare tale privazione. Rabbia, risentimento, delusione nei confronti degli oggetti d’amore primari, possono essere proiettati sulla moglie, sul marito o sui figli come rivincita di un trattamento ingiusto durato anni.

Questi adulti son stati bambini, ed impensabile pensare che quelli che oggi sono dei genitori abusanti e violenti da piccoli hanno subito qualcosa di orribile, e molte volte non son stati creduti, hanno dovuto ingoiarsi un dolore troppo grande da poter essere gestito nell’attesa che “un giorno” sarebbero diventati grandi e sarebbero stati credibili. Nel frattempo questo dolore ha lavorato all’interno delle loro viscere corrodendone l’equilibrio e rendendo difficile la crescita, portando ad essere diffidente nei confronti del mondo intero.

Un abuso subito nell’infanzia potrebbe avere effetti deleteri lungo tutto l’arco della vita ed avvelenarla irrimediabilmente. Quando il bambino subisce attenzioni sessuali, sia che ciò avvenga tramite violenza che tramite seduzione, si verifica un

fatto che difficilmente può essere recuperato. Il bambino vive un’esperienza che porta in sé aspetti di piacere e di dolore fisici, di attrazione e di vergogna, di paura e di curiosità in un miscuglio tanto più difficile da elaborare quanto più è tenera l’età in cui si verifica l’abuso. Tutto è confuso, incerto, ambiguo. Quanto succede, ciò che “il mio vicino” o “mio cugino grande” oppure “il mio insegnante” sta facendo sembra buono ma non è buono, “ma forse sono io che sono sbagliato/a”. I gesti quotidiani di affetto vengono sporcati, infangati, e non saranno mai più gli stessi. Scoprire la sessualità, da adolescenti, diventa un dramma. Certi stimoli provati in modo incongruo ad un’età ancora troppo acerba esplodono, come natura ordina, dalla pubertà in poi, e vengono a quel punto vissuti in modo drammatico. Vengono associati infatti a dolore, paura, vergogna. Il sesso diventa un qualcosa di ambiguo, sporco e attraente nel suo essere sporco. La confusione si allarga alla sfera affettiva, a maggior ragione quando l’abusante è stato un proprio caro. Diventa difficile a quel punto separare gli aspetti legati alla relazione con l’altro sesso da quelli legati all’esperienza o alle esperienze infantili e si vive inconsapevolmente in un continuo collegamento tra passato ben tatuato nella carne e presente. I bambini hanno bisogno di difendersi dalla confusione e dall’affollamento di sensazioni di segno opposto che son costretti a vivere loro malgrado. Spesso lo fanno attraverso la scissione di fatto: “stanno usando il mio corpo che risponde in modo imprevedibile; lascio pertanto questo mio corpo, che non controllo più, nelle mani del mio abusante e con la mente, l’anima, lo spirito, i pensieri, vado altrove, in un mondo inaccessibile dove tutto è come lo voglio io e dove ho il massimo controllo”. Ma purtroppo questo comporta che a poco a poco si impara a non sentire, non si sentono più le sensazioni fisiche, a poco a poco ci si distacca dalle emozioni e anche gli affetti, lentamente, diventano lontani, ovattati.

Henry Kempe afferma che i genitori maltrattanti non rientrano in una categoria che possa essere oggetto di una diagnosi psichiatrica. Esistono, comunque, delle caratteristiche comuni che possono spiegarci il perché l’aggressività presente in ognuno di noi possa proiettarsi e scatenarsi contro i propri figli.

• Immaturità affettiva • Narcisismo Benigno • Narcisismo Maligno

I genitori abusanti avrebbero perciò da piccoli, ignorato i propri bisogni, perché costretti a soddisfare quelli degli altri, inoltre la relazione di attaccamento fragile ai propri genitori li avrebbe resi insicuri, con una bassa autostima e scarsa fiducia di base. Tutte queste caratteristiche li rendono dipendenti da modelli culturali stereotipati. Il figlio viene considerato un prodotto che “deve essere necessariamente buono, un modello, deve capire, deve essere maturo. In questo modo il bambino deve assumere comportamenti da adulto: c’è un ribaltamento dei ruoli.” Di fronte a tutto questo il bambino ,per quanto grandi siano i suoi sforzi, non sarà mai all’altezza della situazione, quindi per il genitore sarà sempre da modificare. Si stabilirà quindi una sfida tra il bambino che cercherà di adeguarsi alle richieste del genitore ed il genitore che avrà delle aspettative sempre più irrealistiche ed inadeguate alle potenzialità del bambino. Sul concetto di narcisismo bisogna sottolineare che questi sentimenti di amore di sé sono legati alle vicende dei primissimi anni di vita ed in particolare al rapporto con gli oggetti-sé (la madre ed il padre); la prima soddisfa il bisogno di conferma e di rispecchiamento, il secondo il bisogno di idealizzazione.

I tratti salienti della personalità narcisistica si esprimono con un’eccessiva considerazione di sé ed un bisogno smodato di riconoscimenti e di ammirazione da parte degli altri. Dietro una facciata brillante c’è il bisogno di manipolare, dominare, strumentalizzare gli altri, pertanto i rapporti interpersonali non possono essere che opportunistici. Pur di non perdere la propria libertà personale, il genitore narcisista trascura i propri figli, anche amandoli. Il narcisismo maligno si esprime con il bisogno irrefrenabile di opprimere ed umiliare i più deboli. Esistono molti genitori apparentemente normali, ma che mettono in atto nei confronti dei propri figli delle vere e proprie forme di violenza psicologica. Questi genitori sono apparentemente normali anzi gentili, premurosi con gli altri appaiono ricchi di saggezza di vita che elargiscono a profusione. Al di là delle

apparenze sono nei confronti dei figli, freddi staccati, rigidi. La relazione con il bambino si esaurisce in comandi finalizzati all’ordine, alla pulizia del corpo e dell’ambiente. Mancano totalmente di calore e di empatia. Applicano misure coercitive reprimendo la spontaneità, la vitalità del bambino e giustificando il tutto come necessario per una sana crescita del bambino. E’ probabile che il bambino diventi un bambino calmo e tranquillo.

È importante considerare che la teoria transegenerazionale è connesso con quello della responsabilità dei genitori rispetto alla trasmissione del vissuto traumatico, perciò loro devono essere in grado di riconoscere il trauma, elaborarlo e distaccarlo dai bambini.

4.6.2 La Resilienza

Bisogna prendere in esame che un certo numero di bambini vittime di esperienze traumatiche resistono alle dure prove della vita, le elaborano e, talvolta, ne escono rinforzati, ha invitato gli studiosi a guardare il problema sotto un’altra ottica. Fino a quel momento, infatti, la prospettiva utilizzata nello studio del trauma era di carattere logico: un soggetto messo a dura prova riporterà necessariamente conseguenze fisiche, psicologiche, affettive e sociali; più le prove saranno difficili e “traumatizzanti”, peggiori saranno le conseguenze che si riverseranno sul bambino, senza che questi possa fare nulla per evitarlo. Tale modello “patocentrico”, che si basava sulla rigida equazione tra rischio e disadattamento è figlio del positivismo e affonda le sue radici nei principi fisici e matematici: se aumentiamo la temperatura, l’acqua arriverà a ebollizione. Esempi di questo tipo