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La terapia nel contesto Coatto

CAPITOLO 3: CASO DI ABUSO SESSUALE INTRAFAMILIARE 3.1 Caso su un abuso sessuale a carico di due sorelle

3.4 La terapia nel contesto Coatto

“Il nodo centrale del lavoro di terapia coatta è, e resta il difficile rapporto tra l’intervento d’aiuto e l’intervento di controllo.”59

Considerando che bisogna fare una distinzione fra il contesto terapeutico e quello di controllo, anche se questa formula è fondamentale per svolgere le funzioni in un modo indipendente, risulta impossibile evitare che vi siano contatti fra i professionisti che operano nel contesto del controllo rispetto a quelli della terapia, perché ambedue i ruoli integrandosi fra di loro permettono di realizzare una maggiore tutela nei confronti dell’intera famiglia. Si viene a conoscenza degli avvenimenti e in seguito alla segnalazione e alla terapia coatta solo dopo che vi è stata una fase di controllo da parte degli operatori del servizio sociale, che si avranno le informazioni che portano a comprendere quale terapia intraprendere, considerando che nel contesto coatto non vi sono dei collaboratori del nucleo familiare e questo aumenta l’intrecciarsi della relazione fra gli operatori del controllo e quelli della terapia. Il CBM ha messo a punto una nuova formula operativa, dove è stato prestabilito che una prima seduta della presa in carico, che serve a definire il contesto, ma in questo incontro la famiglia troverà sia l’ équpe che dovrà effettuare la diagnosi e in seguito un’eventuale terapia, ma anche il servizio sociale che effettuerà il controllo della famiglia, che presenterà inizialmente la situazione che ha portato alla segnalazione, rielaborando anche lo stesso decreto emanato dal Tribunale che sottopone la famiglia al servizio sociale. Perciò anche se in seguito vi sarà la presenza dell’operatore del servizio sociale solo sporadicamente mentre generalmente aggiornerà i colleghi solo telefonicamente, permette alla famiglia di essere a conoscenza di questa collaborazione fra gli operatori del controllo e quelli della terapia, quindi una totale trasparenza nel servizio. Logicamente i due ruoli quello del terapista e quello dell’assistente sociale non devono né confondersi e né sovrapporsi, perché le informazioni che vengono raccolte nella fase di controllo al terapista serve per muoversi nella direzione di aiuto alla famiglia, e non in un atteggiamento di accusa o di un controllo opprimenti nei loro confronti.

Dall’elaborazione dei casi di maltrattamento fisico, psicologico e abuso sessuale è possibile elaborare la disponibilità delle famiglia ad accettare un trattamento analizzando le differenze e le difficoltà che si hanno nello svolgere questa fase, indipendentemente dal metodo e degli strumenti che si hanno a disposizione. Nei casi di maltrattamento fisico60, facendo riferimento ad una ricerca svoltosi su 250 casi, in cui i bambini presentavano dei segni della violenza fisica che avevano subito nel proprio nucleo familiare solo il 23,3% aveva deciso di accettare il trattamento che gli viene proposto e nonostante questa percentuale non raggiunga nemmeno la meta dei casi, ancor meno ovvero solo il 9,5% aveva raggiunto la fase finale con un esito positivo della terapia e il 13,7% delle famiglie che avevano deciso di accettare la fase di terapia, hanno deciso di abbandonare a seguito dei cambiamenti comportamentali dei bambini che hanno iniziato a manifestare in un modo evidente le patologie o i disagi psicologici che avevano represso precedentemente.

Mentre il 76,7% della restante percentuale dei genitori non hanno accettato nemmeno l’inizio della fase terapeutica rinunciando, perché molti dei genitori non considerano le violenze fisiche come probabili conseguenze psicologiche, quindi sottovalutando la gravità delle azioni commesse non si prende coscienza delle conseguenze e degli effetti devastanti del loro comportamento sui propri figli, quindi non vogliono nemmeno giungere ad una fase diagnostica, sono i casi dei genitori che hanno un atteggiamento sadico, ovvero coloro che non sono in grado di creare un legame con il proprio figlio nemmeno se distorto, sono quei genitori che non aderiscono alla fase diagnostica perché in ogni caso l’operatore dovrebbe comprendere che questo tipo di genitore anche se accettassero una terapia, non potrebbe produrre degli esiti positivi o di cambiamento, solitamente in questi casi si consiglia al giudice di allontanare il minore in modo definitivo, promuovendo l’affido all’altro coniuge nei casi in cui questo sia separato o abbia intenzione di separarsi dal genitore maltrattante. Fra i genitori che hanno deciso di non accettare

60 Montecchi F. “Gli abusi all’infanzia, dalla ricerca all’intervento clinico”, La Nuova Italia Scientifica, 1994.

la terapia oppure hanno interrotto nell’immediato si trovano quei genitori che hanno delle psicopatologie come coloro che hanno una personalità bordeline61 o psicotica, oppure quelli che presentano una personalità perfettamente integrata nel mondo esterno e nella relazione con il prossimo, ma hanno delle fasi di rottura e di non connessione della propria personalità nei casi in cui si evidenzia forte stress oppure quando deve gestire i membri della propria famiglia.

Altre volte invece i genitori maltrattano fisicamente i propri figli solo in determinati momenti, ovvero durante un particolar momento di ira, di collera o di depressione, per il resto del tempo hanno creato un legame con il proprio figlio dalla quale non vogliono staccarsi, e viceversa il bambino non ha intenzione di lasciare il suo nucleo familiare e non presenta degli effetti immediati a livello psicologico del maltrattamento subito, oppure sostengono che hanno usato la violenza solo come metodo contenitivo nei confronti del proprio figlio e quindi decidono di accettare la terapia solo per la psicopatologia dei figli troppo attivi. Nei casi di trattamento a seguito di un abuso psicologico sul minore, si rivelano che i casi scoperti grazie al servizio di psichiatria, dove solitamente si rivela la sofferenza psichica mentre con difficoltà si scopre la violenza psicologica che un minore ha potuto subire.

A differenza degli altri tipi di abuso dove è possibile rintracciare, almeno a grandi linee quali possono essere i disagi psichici e le conseguenze psicologiche dell’evento traumatico, in questo tipo di violenza, a causa della complessità della mente umana e della personalità dell’essere non permette di avere delle certezze assolute della gravità del maltrattamento subito, infatti mina proprio la personalità dell’essere umano nel modo più profondo, toccando alcuni aspetti quali ad esempio l’autostima, la propria identità, potendo portare l’essere nel corso del tempo ad avere delle patologie di tipo nevrotiche o psicotiche, ed una volta diventate tali vengono conosciute da parte dei servizi che si interessano dell’ambito della neuropsichiatria infantile. Dai dati presi in esami in alcune

61 Disturbo Borderline di Personalità (DBP) è condizione che genera un significativo livello di instabilità emotiva ed è caratterizzato da una immagine distorta di sé, da sensazioni di inutilità e dall’idea di essere fondamentalmente difettati

ricerche svoltasi è possibile evidenziare che il 34% dei casi di violenza psicologica è collegata ad un abuso fisico e che nel 69% dei casi la violenza psicologica è stata la madre e padre insieme a carico del figlio o dei figli. Nei casi in cui sono gli stessi genitori, ambedue i coniugi o solo uno di essi ad attuare questo tipo di comportamento solo il 31,2% dei casi ha portato i genitori ad accettare la terapia proposta da parte degli operatori, in modo associata o singola, nella metà della percentuale sopra riportata, oltre ad una terapia familiare è stata associata una terapia farmacologica. Il 14 % ha deciso di interrompere la terapia mentre il restante 17,2% dei casi ha proseguito la terapia prestabilita.

I casi di violenza psicologica colpisce sia le bambine che i bambini indistintamente, e la terapia familiare in questi casi è di assoluta importanza, e se i genitori decidono di sottrarsi alla terapia, difficilmente di riesce ad allontanare i minori dal contesto familiare perché non è facilmente sostenibile a livello giuridico. La violenza di questo genere è riscontrabile soprattutto durante le separazioni conflittuali dei coniugi, dove i genitori abusano psicologicamente del minore, particolarmente quando tutti e due i coniugi lottano per ottenere l’affido dei figli, e quindi i genitori pressano psicologicamente il proprio figlio per schierarlo da un parte o dall’altra fra i due genitori, quindi l’attenzione da parte dell’operatore dev’essere proprio quella di mediazione fra il genitore ed il bambino non permettendo che assuma su di sé un carico così eccessivo come se la scelta dovesse dipendere solo dal bambino.

Nei casi di abuso sessuale rilevati, sempre a seguito di alcune ricerche effettuate, è possibile rintracciare una percentuale soggetta a variazione, è possibile individuare il 4,7% dei casi intrafamiliari e il 10,6% extrafamiliari, di cui sono vittime sia bambine che bambini. Questo tipo di abuso su minore è quello maggiormente trattato, dove si individua solitamente una psicoterapia individuale nei confronti del minore che ha subito l’abuso, e quindi di analisi del trauma subito e poi anche una terapia per i genitori.

Dalla psicoterapia individuale del bambino è possibile rintracciare che ha delle origini molto profonde, ed ha una componente multifattoriale, che riguarda l’area sociale, familiare e anche individuale del bambino, questo caratterizza la

sofferenza intrapsichica del bambino ma anche della sua famiglia. L’ intervento terapeutico a seguito dell’abuso ha subito negli anni una vera e proprio evoluzione, passando dalla denuncia all’intervento giudiziario e sociale, fino a giungere a quella che oggi definiamo una fase di cura, nonostante a seguito dell’abuso sono molti i componenti che necessitano di una fase di terapia e di cura, ci sono i bisogni psicologici dei genitori dell’abusante, oppure a carico di un solo genitore abusante, quindi la terapia familiare ha assunto un ruolo centrale nel contesto terapeutico.

Anche se al bambino spetta un ruolo primario di terapia, attuando interventi sul minore capaci di prevenire delle patologie significative oppure dei danni permanenti nella psiche del bambino, danneggiandolo psicologicamente, oppure portandolo a vivere a dei fallimenti scolastici e lavorativi, utilizzando dei comportamenti violenti quindi introducendosi in settori quali la criminalità, la delinquenza oppure nella maggior parte dei casi dove non sono stati effettuati degli interventi sul minore è possibile che il bambino crescendo diventi egli stesso un violento, abusando dei suoi figli o di sua moglie.

Non bisogna quindi solo allontanare il minore dal contesto familiare nella quale si verifica l’abuso sessuale, oppure intraprendere una terapia familiare, ma bisogna lavorare sulla psiche del minore in modo tale che il trauma venga elaborato e poi superato, altrimenti persiste per tutta la vita nella mente e nell’anima del minore. Prima di specificare il trattamento terapeutico che l’operatore dovrà svolgere con il minore, bisogna prima realizzare fra loro una relazione, in modo tale che il bambino sperimenta una figura adulta capace di ascoltare, di aspettare i suoi tempi, senza attuare un comportamento di tipo interpretativo, ma attuando una “modalità di ascolto analitica, di osservazione e di comunicazione contenitiva e

accettante in cui il terapeuta interpreta per sé tutto ciò che avviene, soprattutto nelle prime fasi. Ciò costituisce una presenza transizionale a cui il bambino può chiedere una partecipazione più attiva o dare il ruolo di una figura assente, si crea quindi uno spazio potenziale, in parte reale e in parte illusoria, in cui il bambino trova le condizioni ideali per fare una esperienza priva delle interferenza che possono venire dal terapeuta. Ciò determina un’atmosfera di

confidenza tra analista e bambino, attraverso cui è possibile avviare un processo terapeutico”62. Nei casi in cui il bambino continua a subire dei maltrattamenti e

contemporaneamente continua la terapia, i danni possono essere ancora maggiore, perché rinforza il contrapposizione che esiste nel bambino, perciò spesso sono proprio i genitori che bloccano la frequentazione del bambino con il terapeuta, oppure spingono il bambino a non frequentare più il terapeuta perché fanno degli attacchi diretti o indiretti nei confronti dello stesso terapeuta.

Il bambino che ha subito un maltrattamento o un abuso, o semplicemente un bambino in tenerissima età necessita di un appoggio, di un supporto per poter continuare una terapia così difficoltosa per la sua psiche, quindi senza un sostegno il bambino non potrà giungere alla fine della terapia e ancor meno potrà produrre successo, per questo motivo vi è la necessità che tutto il nucleo familiare intraprenda una terapia, e che vi siano terapeuti differenti fra quelli del genitore e quello del figlio.

Un altro aspetto da analizzare riguarda ancora la durata della psicoterapia, e negli ultimi anni è emersa come una terapia breve con un contratto a termine rappresenta un metodo fattibile nel contesto pubblico, secondo il quale non è detto che il bambino guarisca o che porti a termine la terapia a lungo termine ma sarà in grado di attivare dei processi autocurativi, quindi i professionisti che stanno lavorando nel caso non diventano dei guaritori ma degli “attivatori” di salute, inoltre un contratto a termine dà un senso di conclusione, di fine percorso, e quindi mobilita le risorse e le energie sia nei genitori e sia nel bambino ad impegnarsi in una terapia solo per alcuni mesi che porteranno ad un esito.

I bambini che hanno subito un abuso sessuale, che hanno sviluppato in seguito dei sintomi psichiatrici, 76,05% sono quelli per cui i genitori sono più disponibili ad essere coinvolti, perché a causa dei problemi a livello psicologico del figlio decidono di rivolgersi ai servizi e anche ad intraprendere una terapia, rappresentano quelle terapie che vengono interrotti con più difficoltà perché le

62 Montecchi F. “ Dal bambino minaccioso al bambino minacciato. Gli abusi e la violenza in

patologie psicologiche che si sviluppano nel bambino producono una dipendenza del genitore ai servizi. Nei casi in cui i bambini psicotici, sono presenti delle violenze fisiche, incuria, discuria che hanno subito durante i primi anni della loro vita e quindi il bambino nella sua natura non era malato ma lo è diventato a causa delle esperienze vissute nel contesto familiare, perciò vi è la necessità di terapie familiari che si prolungano nel corso del tempo.

Nei casi in cui il minore viene allontanato dal nucleo familiare, può verificarsi che quest’ultimo venga allontanato da ambedue i genitori e quindi viene collocato presso una casa-famiglia, nella quale c’è un nucleo differente da quello familiare, e nella quale vi sono delle nuove figure di riferimento e che permettono una buona riuscita del trattamento solo quando vi è una collaborazione fra il terapista e l’istituto dov’è collocato il minore, inoltre questa soluzione dev’essere solo temporanea, infatti il bambino che viene collocato presso questi tipi di istituti sa che vive in questo contesto solo per un periodo limitato di tempo nella quale la sua famiglia di origine riacquista quelle competenze che sono momentaneamente assenti.

Vi è la necessità in questi contesti di essere chiari sia sul trattamento nei confronti dei genitori e sia nei confronti del bambino, in modo da evitare ulteriori traumi o lunghi periodi di istituzionalizzazione, inoltre è doveroso che vi sia una collaborazione fra strutture e istituzioni per fornire ai giudici delle indicazioni dettagliate dell’intervento.

Nei casi in cui invece l’allontanamento del minore riguarda un solo genitore e conseguentemente la sua collocazione presso l’altro genitore, quest’ultimo necessita di un supporto terapeutico e logistico e se vi è la esigenza anche di una protezione collocando, nei casi in cui sia la madre presso una struttura madre- bambino, attivando un lavoro di supporto alla donna che potrebbe ricevere dei ricatti o delle minacce ritrattare le accuse mosse nei confronti dell’altro coniuge, abusante o maltrattante quale che sia, quindi fin dal principio vi è la necessità di svolgere un lavoro anche di mediazione fra i sue genitori e di una psicoterapia di coppia dove questo sia possibile.

Altri possono essere i casi in cui a seguito della diagnosi negativa su ambedue i genitori, e conseguentemente ad una sospensione della potestà genitoriali il bambino venga collocato in affidamento, che può rappresentare un mezzo molto efficiente se utilizzato nel modo opportuno attraverso una terapia familiare e individuale per permettere la recuperabilità della famiglia di origine del bambino. Nei casi in cui però la famiglia non sfrutta nemmeno quest’ulteriore mezzo a disposizione per riacquistare le competenze genitoriali, oppure perché totalmente impossibilitati in questo processo, come nei casi di genitori con problemi psichiatrici, non vi sarà una vita serena e tranquilla per i figli che nella maggior parte dei casi sono collocati in affidamenti intrafamiliari, perché vi è un’interferenza continua da parte del genitore nella sua stessa famiglia, e l’impossibilità o l’incapacità dell’affidatario di opporsi a questa intrusione da parte dei genitori. Per ovviare questo pericolo è necessario che il servizio oltre ad occuparsi del minore si faccia carico anche della famiglia affidataria, attivando anche una terapia a sostegno della nuova famiglia.

Altri casi nella quale vi è un’irrecuperabilità dei genitori avviene che il bambino viene dichiarato adottabile, ma spesse volte fra questa definizione e la reala adottabilità del minore a causa dei numerosi ricorsi che avviano i genitori, passano molti anni non permettendo quindi al minore di raggiungere una certa stabilità affettiva, sociale e psicologica, mentre il bambino necessita proprio di assumere nella sua mente alcune figure di riferimento per creare la sua personalità e per trovare dei punti di aggancio tali da permettergli lo sviluppo e raggiungere un equilibrio nella sua vita e nella sua persona. In questi casi la terapia individuale al minore serve proprio per permettergli di elaborare la fine di una relazione con i suoi genitori, di essere chiari con i bambini e aiutarli ad elaborare il vissuto, la perdita quasi come se fosse un lutto e indirizzarli verso un futuro diverso da quello vissuto fino a poco tempo prima.